mercoledì 20 aprile 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANAIL DIO ALIMENTO

 (segue da qui)

IL DIO ALIMENTO

Sotto la forma del sacrificio della Croce, il rito preistorico del dio messo a morte e che risorge ha conquistato il mondo; si può in quell'affare accordare al sacrificio della Comunione solo il ruolo del brillante secondo; qualunque successo abbia avuto tra le masse, non sembra che avrebbe bastato ad esprimere i postulati della società giudeo-greco-latina dei primi secoli. Di fatto, tiene di gran lunga un minor posto del sacrificio della Croce nelle epistole di San Paolo e nei vangeli, e forse ha assunto il suo pieno significato solo in seno ad un piccolo numero di circoli più o meno gnostici, come quello in cui è nato il capitolo 6 del vangelo secondo San Giovanni.

In un'opera che non pretende di essere un quadro completo dell'instaurazione del cristianesimo, si sarebbe dunque potuto lasciarlo un po' in ombra, se, da una parte, non avesse svolto nell'Apparizione il ruolo che tenteremo di precisare, e se, d'altra parte, non credessimo necessario mostrare che tutti gli elementi essenziali del cristianesimo, il sacrificio di Comunione come pure il sacrificio della Croce, avevano la loro origine nelle religioni primitive, e quale fosse il loro significato sociale.

Il sacrificio di Comunione è, nel cristianesimo, il pasto eucaristico come lo si vede praticare negli affreschi delle Catacombe, è la Comunione come si pratica oggi nelle nostre chiese. Cos'era nelle religioni primitive? Un sacrificio a forma alimentare.

Per mangiare un animale, si deve cominciare coll'ucciderlo, anche se lo si mangia crudo, a maggior ragione quando lo si fa cuocere. Nel sacrificio primitivo, la messa a morte ha talvolta per solo scopo di mangiare l'animale che si è immolato. Se questo animale è il dio del gruppo, il sacrificio del dio consiste nell'immolare il dio per mangiarlo. Questo è ciò che si chiama nel gergo erudito la comunione teofagica. Teofagia, Θεὸν ϕαγεῖν, mangiare il dio.

In vista di quale fine un rito dove, tra tante stravaganze, è facile riconoscere la più sconcertante? In vista del fine più eminentemente sociale che si possa concepire.

Al punto di partenza del sacrificio di Comunione troviamo in effetti lo stesso principio del punto di partenza del sacrificio di Espiazione: rinnovare ciò che deperisce. Ma i mezzi sono diversi. Nel sacrificio di Espiazione o, più precisamente, di Eliminazione, si pretendeva distruggere le cause di indebolimento e di decadenza che minacciavano il clan. Nel sacrificio di Comunione, si pretende in origine mantenere e, quando si indebolisce, rinnovare la parentela che è la base e la forma della società, mangiando in comune la carne dell'animale di cui ci si crede parenti; questa è la comunione totemica, la quale precede la comunione teofagica. Lo scopo è ridivenire ciò che è necessario che si sia perché il clan sopravviva: uomini della stessa carne.

L'idea che si acquisiscano le qualità di un animale mangiandone la carne è così profondamente radicata nell'uomo che ancora oggi si sente la gente semplice dire che a nutrirsi di un tale animale si diventa simili a quell'animale; lo si dice per scherzo; ma lo si dice... Lo si è detto senza scherzare tra i primitivi, e la nozione è alla base della mentalità preistorica. Persiste nella mentalità di alcuni tra i selvaggi. [1]

La questione ha però una tutt'altra portata quando la carne che si fa propria mangiandola è quella del dio. Il sacrificio di Eliminazione, quando si era operato sulla persona del dio, aveva preteso rivificare il clan con il dio risorto o almeno rinnovato. Parallelamente, non appena gli uomini del clan vennero a persuadersi che discendevano da uno stesso antenato (che divenne rapidamente l'antenato dio), il loro primo pensiero fu di fare di costui il piatto principale della loro alimentazione spirituale; così si riaffermava la parentela, nello stesso tempo in cui si rivificava assorbendone le forze divine. 

Alle funzioni che il sacrificio di Eliminazione assegnava agli dèi, il sacrificio di Comunione ne aggiunse di nuove. Nel sacrificio di Eliminazione essi si accontentavano di farsi mettere a morte; nel sacrificio di Comunione diedero la loro carne in nutrimento. Si pensi alle parole che (proprio a questo proposito) la piccola santa Teresa di Lisieux rivolgeva a Gesù (nelle Novissima Verba): «O Gesù, lascia che ti dica che la tua devozione va fino alla follia».

Quella pratica della teofagia che, cinquemila anni dopo le epoche neolitiche, riempiva di una ammirazione estatica la grande piccola santa, è facile a Sir James Frazer  giudicarla tanto «imbecille e ridicola» quanto quella del sacrificio di Eliminazione; noi vi ritroviamo, quanto a noi, il più venerabile sforzo dei primi uomini per assicurare il mantenimento del legame sociale. In un'epoca in cui nessun Dottor Voronoff avrebbe saputo operare il trapianto delle ghiandole, l'uomo ha fatto ricorso a mezzi che possono evidentemente stupirci; ma il ricorso a un mezzo qualsiasi per reagire contro il decadimento naturale è di per sé solo qualcosa di prodigioso che eleva l'uomo al di sopra degli animali. E, quanto all'efficacia di queste pratiche, sappiamo che esse portavano realmente al gruppo un rinnovamento di vita, e in un modo certamente più durevole di quello che le operazioni del Dottor Voronoff recano generalmente ai suoi clienti.

La dottrina sociologica che vede nel dio la personificazione del gruppo sociale riconcilia le due interpretazioni, che si sono opposte l'una all'altra, della comunione teofagica. Mangiando il dio, ci si divinizza, ma con ciò stesso, se il dio è la personificazione del gruppo sociale, ci si risocializza; detto altrimenti, si restaura tra sé stessi il legame sociale, si riafferma tra sé stessi la comunione umana.

Come tutti i riti primitivi, la comunione teofagica si praticava nel modo realistico che caratterizza tutto ciò che appartiene alla mentalità primitiva. Nei clan in cui il dio è un animale commestibile, si mangia questo animale, non senza grande supporto di cerimonie, beninteso; nei clan in cui egli non è più commestibile, si mangia un alimento che è ritenuto essere il suo corpo; la stessa cosa avrò luogo quando il dio avrà forma umana e si ripugnerà l'antropofagia. Nella più antica religione di Gesù, quando quest'ultimo è un dio pesce (o serpente d'acqua), [2] la comunione teofagica si pratica mangiando ritualmente quest'ultimo. Lo studio della preistoria del cristianesimo ci mostrerà come l'influenza cananea (essendo i Cananei una popolazione agricola) introdusse nel culto gesuano una comunione sotto le specie del grano, senza però che scomparisse la forma primitiva; minore vi fu, per contro, l'influenza della comunione sotto le specie dell'agnello portata in Palestina dai pastori dell'Israele nomade.

Nello stesso tempo in cui si perpetuava nelle religioni dell'Oriente mediterraneo, la comunione teofagica si è perpetuata nell'antica religione egizia e nelle religioni pre-elleniche; essa riapparve in Grecia con la «rinascita» dionisiaca e ne troveremo tra poco le tracce nelle Baccanti di Euripide, dove essa è letteralmente un'omofagia, ὀμοϕαγεῖν, mangiare una carne cruda. Si leggeranno con tanto piacere quanto profitto gli studi nel corso dei quali Salomon Reinach ha individuato nelle favole della mitologia greca sopravvivenze che si possono considerare verosimili. [3]

Nei culti un po' evoluti, la comunione teofagica si trasforma e diviene il pasto della commensalità, le cui tracce visibili appaiono nella Bibbia.

Il principio del pasto di commensalità è lo stesso della comunione teofagica: condividere un alimento con altri equivale a farsi una stessa carne, poiché mangiare una cosa equivale ad assorbirne l'essere. Ma non si mangia più il dio; si comunica con lui mangiando una parte dell'animale che gli è consacrato e di cui egli è supposto mangiare la sua parte; nello stesso tempo, si comunica con le persone che prendono parte allo stesso nutrimento. In questa fase, l'uomo invita il suo dio a sedersi alla sua tavola; non lo mette più nel suo piatto; vi è là un progresso che indica sufficientemente che noi non siamo più alle origini. 

La mentalità primitiva sussiste nei pasti di commensalità; scompare quasi completamente, o piuttosto sussiste solo allo stato di sopravvivenza in quelli in cui l'idea del sacrificio rituale è scomparsa; tali i pasti in cui i fedeli si riuniscono dopo la celebrazione del loro culto e che conservano un carattere religioso ma non hanno più nulla di sacramentale. Si è voluto denominare agapi i pasti di quella sorta, pallide degenerazioni degli antichi sacrifici di Comunione; noi li chiameremo semplicemente «pasti sacri», in opposizione ai pasti di commensalità e ai pasti teofagici, recanti tutti il nome generico di «pasti di Comunione».

Mettendo al numero quattro il semplice pasto sacro, al numero tre il pasto di commensalità, al numero due il pasto teofagico e alle origini  la comunione totemica, resteremo nella strada genialmente aperta da Robertson Smith.

Ci si domanderà forse come il sacrificio di Espiazione, dove il dio muore al fine di risorgere, e il sacrificio di Comunione, dove egli muore al fine di essere mangiato, possano riconciliarsi. Il cristianesimo non si è sottratto alla difficoltà. Sembra, in ogni caso, che vi siano tra le due operazioni un tipo di contraddizione alla quale la mentalità primitiva è poco sensibile. E, a dire il vero, nulla è più vano che voler ridurre le azioni della vita alle regole della logica. Bisogna perdonare gli uomini il contraddirsi; se questi signori della critica interna avessero creato l'universo, lo avrebbero probabilmente creato senza contraddizioni; gli dèi sono stati meno saggi. 

NOTE

[1] Come quel capo di una delle tribù della Nuova Zelanda che pretendeva di avere sangue bianco nelle vene; e, siccome ci si stupiva, spiegò che suo nonno aveva un giorno mangiato un missionario.

[2] Si veda più avanti, pagina 46. 

[3] Cultes, Mythes et Religions, passim.

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