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NOMI, TITOLI E ATTRIBUTI DEL SECONDO DIO
1. Ieshu, il Signore della Salvezza. — Il signor Guignebert, che è lontanissimo dalle tesi mitiche, ma che porta una grande sincerità e nello stesso tempo una considerevole erudizione nello studio delle origini cristiane, scriveva nel 1914 le righe seguenti (alle quali abbiamo già fatto allusione precedentemente):
«Si deve ammettere che il caso si è mostrato singolarmente perspicace, se è lui, tutto solo, che ha fatto dare il nome di Soccorso di Dio, o di Salvatore, ad un bambino in cui doveva rivelarsi, una trentina d'anni più tardi, il destino di salvare gli uomini». Ed egli ammette la «possibilità» che «questo nome di Gesù sia stato, in verità, un titolo del Cristo, corrispondente alla sua funzione divina», e non «un nome d'uomo». [1]
Gesù, in effetti, si dice in ebraico Ieshuah, per abbreviazione Ieshu. Ora, Salvezza in ebraico si dice Ieshuah. Gesù è quindi esattamente la Salvezza.
È tuttavia innegabile che Gesù è stato un nome d'uomo in Palestina e che nel corso della storia ebraica parecchi personaggi si sono chiamati Gesù. Allo stesso modo, degli uomini in Grecia si sono chiamati Dioniso. Allo stesso modo, oggi, quando apriamo l'annuario di Parigi dell'anno 1927, troviamo sette persone che si chiamano «Dieu», di cui una al completo «Dieu e Soci», e una persona che si chiama «Jésus» ed esercita la professione di sarto per signore.
Se, di conseguenza, dubitiamo che il nome di Gesù, nel cristianesimo, sia stato il nome del figlio di un carpentiere galileo, non è perché la cosa fosse impossibile o addirittura insolita, ma per la ragione espressa dal signor Guignebert: «Il caso avrebbe fatto le cose fin troppo bene».
La storia evemerista di Gesù può concepirsi solo ammettendo una serie di coincidenze straordinarie, di cui chiediamo il permesso di enumerare le principali. Abbiamo appena toccato una prima coincidenza: secondo la tesi evemerista, l'uomo che doveva più tardi essere considerato portatore di Salvezza al mondo era stato denominato alla sua nascita proprio Gesù, vale a dire la Salvezza.
Ma ecco, immediatamente, una seconda coincidenza. Questo nome Gesù era lo stesso, modernizzato, che aveva portato un antico patriarca della storia antica palestinese, e che un uso tardivo ha trasformato in Giosuè.
Si deve sapere che tra Giosuè e Gesù la differenza esiste solo nelle traduzioni latine e moderne. Non esiste in greco che un solo nome, Ἰησοῦς; non esiste in ebraico che una sola serie di nomi derivati ciascuno dal precedente: Iehoshua, Ieshua, Ieshuh, poi Ieshu. È evidente che l'ortodossia cristiana ha esitato a dare lo stesso nome all'uomo-dio e a dei semplici mortali; allo scopo di mettere il suo fondatore a parte dal resto dell'umanità, e seguendo la tradizione della Vulgata latina, ha abituato i bambini del catechismo a riservare il nome di Gesù al figlio di Dio, e a consacrare quello di Giosuè a tutti gli altri: Iehoshuah, Ieshuah, e Ieshuh... Astuzia il cui risultato fu di distogliere le menti dalla connessione accecante che appare tra l'uomo-dio Gesù-Giosué dei vangeli e il patriarca Gesù-Giosué dell'Antico Testamento.
Il patriarca dell'Antico Testamento?
Abbiamo riassunto poco fa la tesi secondo la quale alcuni degli antichi baal palestinesi erano stati assimilati dal giudaismo che ne aveva fatto degli eroi servitori di Jahvè, vale a dire dei patriarchi. Si sa che in effetti un gran numero di studiosi insegnano che i patriarchi della Bibbia sono antichi dèi palestinesi.
Se fosse così, la nostra seconda coincidenza si complicherebbe singolarmente, poiché, secondo la versione evemerista, il figlio del carpentiere galileo avrebbe portato il nome, non solo di un antico patriarca, ma anche di un antico dio palestinese.
Il giorno in cui studieremo il nome di questo antico dio, ricorderemo che il libro dei Giudici parla di un dio cananeo chiamato Baal-Berith; Baal in ebraico significa Signore; Berith significa Alleanza; Baal-Berith è dunque il Signore dell'Alleanza. Così come Berith significa l'Alleanza, sappiamo che Ieshuah significa la Salvezza. La domanda si porrà. L'antico dio che ci interessa non sarebbe stato analogamente Baal-Ieshuah, il Signore della Salvezza?
2. Bar-Elahin, il Figlio di Dio. — Nelle religioni misteriche, il secondo dio è il figlio del grande dio. Essendo Jahvè accettato come il grande dio, Gesù è suo figlio; ma la cosa ha due accezioni.
Si sa che prima di indicare la filiazione, la parola ebraica Ben, Bar in aramaico, ha significato originariamente «della stessa specie». Il Gesù, figlio di Dio, Ben Elohim in ebraico, Bar Elahin in aramaico, esprime originariamente qualcosa che rassomiglia, tutte le sfumature mantenute, alla definizione cattolica: «figlio di Dio, dio stesso». È l'affermazione della «natura divina».
3. Bar-Abba, il Figlio del Padre. — Molto presto nella storia, Ben e Bar hanno preso il senso moderno di filiazione che possiede oggi la parola «Figlio». Quel secondo significato ha prevalso quando l'accento è stato messo sulla paternità del grande dio. Da allora, il dio figlio non è più solo il «Figlio di Dio»; è esplicitamente il «Figlio del Dio Padre», e sarà chiamato per nome il «Figlio del Padre».
Questo Bar-Abba è in greco il Barabba di cui abbiamo visto che i vangeli hanno fatto il condannato che è preferito a Gesù dalla folla. Che i due condannati che comparvero quel giorno davanti a Pilato abbiano portato lo stesso nome, e che a questo nome si siano stati aggiunti, in guisa di cognomen, i due titoli di colui che chiamiamo il Cristo, sarebbe, nell'ipotesi evemerista, una terza coincidenza la cui stranezza non cederebbe in nulla alle precedenti.
4. Bar-Nasha, il Figlio d'Uomo. — Perché Gesù è «Figlio» in una terza maniera.
Da lungo tempo l'antica religione dell'Iran aveva concepito una sorta di uomo celeste che le versioni greche chiamano Άνθρωπος e che era l'intermediario, il mediatore, tra il grande dio supremo e l'umanità. La stessa nozione si era sviluppata nelle sette mandee, sulle quali, come abbiamo appena detto, recenti lavori hanno attirato l'attenzione. E tale sembra essere stato l'Anthrôpos che Giovanni Battista avrebbe annunciato. È dunque infinitamente probabile che la nozione di Anthrôpos sia penetrata negli ambienti precristiani che erano stabiliti presso il Giordano; e sarebbe questa che si riscontrerebbe nelle epistole di San Paolo, in particolare nel celebre confronto tra l'Uomo-Adamo e l'Uomo-Gesù.
Oltrepassando la regione del Giordano, la nozione dell'Uomo Celeste era però pervenuta fin nel giudaismo, dove la si ritrova nell'espressione di «Figlio d'Uomo» che corrisponde al senso enfatico che va dato all'Anthrôpos. Il «Figlio d'Uomo» appare per la prima volta, un secolo e mezzo prima della data della crocifissione di Gesù, in una profezia di Daniele; dal libro di Daniele, era passato al libro di Enoc, sempre con un'accezione messianica. Intorno all'anno 70, all'epoca in cui comincerà la giudaizzazione del cristianesimo, l'accezione messianica giudaica sarà trasferita alla nozione di Anthropos allo stesso tempo e allo stesso modo che a quella del Cristo. Così l'antico «Uomo Celeste» del precristianesimo e del paolinismo doveva confondersi con il «Figlio d'Uomo» della tradizione ebraica.
5. Christos, l'Unto dell'Olio. — In ciascuna delle religioni misteriche, il secondo dio porta certi titoli che corrispondono a certi caratteri che gli sono attribuiti. Gesù, nel precristianesimo, è l'Unto dell'Olio, e il termine che lo designa così, Christos, dopo essere stato un titolo, è diventato un nome proprio, e infine una funzione. Avremo molte volte l'occasione di constatare i misfatti delle traduzioni correnti dell'Antico e del Nuovo Testamento, e in particolare come hanno imbrogliato i concetti. Poco fa, le abbiamo visto oscurare un fatto di primaria importanza traducendo alternativamente la parola greca Iêsous con Giosuè, quando si tratta del patriarca, e con Gesù, quando si tratta del dio cristiano. Il caso del termine Christos è analogo.
L'unto, vale a dire colui che ha ricevuto l'unzione dell'olio santo, si dice in ebraico Mashiah e in greco Christos. Di Mashiah si è fatto Messia; di Christos si è fatto Cristo. Ora, nelle traduzioni moderne il termine Christos è tradotto alternativamente con Unto, Cristo e Messia, senza altra regola che l'intenzione, non del testo, ma del traduttore. In realtà, i tre termini dovrebbero essere attribuiti esclusivamente e rigorosamente ciascuno a una delle tre nozioni ben differenti che rappresentano.
L'Unto dell'Olio. — L'unzione con l'olio è caratteristica, presso diversi popoli e particolarmente in Palestina, della dignità regale e sacerdotale; gli Unti in Israele sono i re e i sommi sacerdoti, ciò senza l'ombra di quel che chiamiamo oggi messianismo; l'enorme fortuna ottenuta dalla parola Messia non deve farcelo dimenticare. In tutto l'Antico Testamento la parola Mashiah o Christos non significa mai altro che l'Unto. Fino alla fine dell'epoca biblica e anche per una notevole parte dell'epoca post-biblica, gli ebrei aspettano un Liberatore, ma non lo chiamano mai Messia.
Tra i precristiani, il secondo dio Gesù è un Unto, ma in questo senso primitivo, vale a dire che egli è rivestito della dignità regale e sacerdotale, e in questo senso soltanto.
Il Cristo. — Penetrando nel mondo greco, la parola diventa un nome proprio, il secondo nome di Gesù. Gesù, infatti, per quanto familiare questo nome ci sia divenuto, era un nome semitico incomprensibile per i Greci; Christos, al contrario, è una parola greca; è il participio passato del verbo χρίω, ungere; ha per gli uomini che parlano greco un significato. Benché ebreo, ma rivolgendosi a uomini che parlavano greco, San Paolo, dopo averlo probabilmente ricevuto dai cristiani di Antiochia, lo adottò come secondo nome proprio di Gesù, — ciò sempre senza alcun'accezione messianica. La parola rassomigliava alla parola latina chrestus, che significa «utile»; e sappiamo che il gioco di parole fu ripetuto molte volte a Roma; il successo del nome Christos non poteva che approfittarne.
Il nome proprio Christos è così la testimonianza della prima ellenizzazione di Gesù.
Il Messia. — Il senso moderno di Liberatore è, per Gesù, la testimonianza della sua giudaizzazione. Risale a circa l'anno 70.
Abbiamo visto che originariamente il Mashiah ebraico non era nient'altro che l'Unto; a poco a poco, però, nel corso del primo secolo prima [2] e del primo secolo dopo la nostra era, era diventato il titolo del Liberatore promesso dalle profezie, vale a dire che aveva preso l'accezione messianica. Ma si ignora fin troppo che quella accezione «messianica», la parola Messia non l'ha mai avuta così pienamente nel giudaismo come nel cristianesimo, e che, a dire il vero, è al cristianesimo che deve la sua fortuna; i rabbini designavano in molti modi il Liberatore atteso; il titolo di Messia era uno di quelli che impiegavano meno. Sono soprattutto i cristiani che raccontano che gli ebrei attendono «il Messia».
La nozione ebraica di messianismo attribuita al nome Christos, il titolo di Christos che prende il significato di Liberatore nello stesso tempo in cui è il secondo nome proprio di Gesù, tale sarà il capolavoro della giudaizzazione del cristianesimo, il giorno in cui, per prendere il posto lasciato vuoto dal giudaismo che sembrava essere perito con Gerusalemme e lo stato ebraico nell'anno 70, si è voluto fare del cristianesimo il suo erede e il «nuovo Israele». [3]
Riassumiamo il triplice avatar. Un titolo, l'Unto dell'Olio, nell'antica accezione palestinese; un nome proprio, Christos, con l'ellenizzazione del dio; una funzione, il Messia, con la sua giudaizzazione.
6. Il Nazareno. — È pressappoco universalmente ammesso che Gesù il Nazareno non significa Gesù di Nazaret. L'espressione Gesù di Nazaret tradurrebbe correttamente Ἰησοῦς ἀπὸ Ναζαρέτ e forse Ἰησοῦς ὁ Ναζαραῖος (Gesù di Nazara), ma non traduce in alcun modo il titolo più comunemente usato Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος. E sembra che vi sia avuta una sorta di sfida da parte del signor Goguel, eppure così circospetto, a titolare così, nel 1925, il libro che dedicava a Gesù il Nazareno.
Ricercheremo più avanti quale possa essere l'origine e il significato della parola Nazareno; l'opinione più generalmente ammessa è, conformemente alla tesi del signor Salvatorelli, che sia un adattamento del termine ebraico nazir che significa «il Santo». E resterà da spiegare come il figlio del carpentiere sia nato in un villaggio i cui abitanti si chiamavano con un nome che avrebbe significato proprio i Santi.
Ancora una coincidenza.
È la quarta, e non è l'ultima.
7. Sôtêr, il Guaritore. — Indichiamo brevemente, quanto al presente, che la parola Sôtêr non ha soltanto il senso di Salvatore ma anche quello di Guaritore; è il titolo dato ad Esculapio, Asclepio Sôter. Il nome di Gesù possedeva una virtù quasi magica mediante la quale i suoi fedeli operavano guarigioni, come testimonia in particolare il libro degli Atti.
Questo sarà il piccolo lato, non trascurabile, del cristianesimo primitivo, e sarà interessante riconoscere che gli stessi uomini che portarono al mondo il grande messaggio rivoluzionario della salvezza nell'unione beata con il dio, erano, allo stesso tempo, un gruppo organizzato di guaritori alla giornata, o piuttosto si guadagnavano da vivere con quella che si chiamerebbe oggi il «secondo mestiere» di guaritori.
Lascio da parte il dio del grano, il cui studio non potrebbe trovare posto qui, e termino con la forma animale del dio.
8. Ichthus, il dio Pesce. — residuo dei culti primitivi, all'epoca in cui gli dèi avevano forma animale, analoga a tanti altri residui che persistevano presso gli altri dèi misterici. Ovviamente, il Gesù di San Paolo e dei vangeli non è un dio pesce; ma il fatto che abbia conservato tracce di un'antica forma animale è, o dovrebbe essere, per lo storico delle religioni, uno dei più sicuri indizi di un'origine antica.
La cosa risulta da una serie di fatti stabiliti, che ricordo semplicemente:
1°. Gesù è chiamato nei propri termini il Pesce, Ichthus;
2° È rappresentato sotto la forma di un pesce nelle Catacombe, chiunque abbia letto Quo Vadis lo sa;
3° Tertulliano lo chiama «Nostro Pesce»;
4° Delle sette eretiche lo adoravano sotto questo nome: i Naasseni, da Nahash, serpente in aramaico (il serpente d'acqua), gli Ofiti, da Ophis, stesso senso;
5° Il culto del pesce è attestato dal racconto della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci nei vangeli.
Risposta della Chiesa, che ad ogni costo non ha voluto conservare una tradizione così idolatrica, e risposta degli evemeristi:
Gesù è stato chiamato Ichthus, perché le cinque lettere della parola ΙΧΘΥΣ sono le iniziali della formula: Ἰησοῦς Χριστός θεοῦ Υἱός Σωτήρ.
Si sarebbe dunque detto Ichthus, come si dice CGT, come si dice PTT, come si dice SFIO.... Non si vede che gli episodi comici si ripetono un po' troppo spesso nella storia evemerista delle origini cristiane?
I cristiani che abbreviavano la formula Deo Optimo Maximo, quando leggevano D. O. M., non pronunciavano dom; pronunciavano Deo Optimo Maximo. Non si immagina che la formula sacra Ι.Χ.Θ.Υ.Σ., se fosse stata impiegata, sia stata letta pronunciando la parola, che non avrebbe significato altra cosa nei grandi porti mediterranei se non pesce fresco e talvolta pesce marcio.
La questione è di sapere se la formula stessa fosse originariamente impiegata e se non sia stata creata al fine di giustificare l'uso della parola che ne riunisce le iniziali. Ma, nell'ipotesi evemerista, resterà da spiegare come queste iniziali abbiano costituito proprio la parola corrispondente alla forma animale del dio.
Come?
- Una coincidenza.
Questa è la quinta coincidenza dell'evemerismo.
Ma ecco che sorge immediatamente una sesta.
Il patriarca Giosuè, quello che fu forse un antico dio palestinese, e che porta lo stesso nome del dio del cristianesimo, è chiamato nella Bibbia: Gesù Figlio di Nun, che significa Gesù Figlio del Pesce.
Ci sono molte coincidenze attorno al figlio del carpentiere.
NOTE
[1] Guignebert, la Vie cachée de Jésus, pagina 22.
[2] Per la prima volta, sembra, nel Salmo di Salomone 17, intorno all'anno 40 della nostra era.
[3] Si veda sopra, pagine 139 e seguenti.
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