giovedì 18 novembre 2021

IL DIO GESÙFoundation Pillars

 (segue da qui)

III

FOUNDATION PILLARS

Mi propongo di offrire ai miei lettori, in un altro volume, un piccolo intermezzo comico e ricreativo, raccontando loro come il professore zurighese Paul W. Schmiedel, nell'importante articolo sui vangeli che ha fornito all'Encyclopaedia Biblica, ha pensato di fondare la storicità (la storicità fisica) di Gesù su un certo numero di «Foundation Pillars» (l'Encyclopaedia Biblica è stata pubblicata in inglese), che rivelano in questo onorevole ed erudito studioso una mentalità da vaudeville.

Tendendo in anticipo il petto alla risposta, pongo io stesso, come base di questi studi, diversi Foundation Pillars.

L'ipotesi che questo libro espone si fonda, in effetti, per quanto azzardato possa apparire l'edificio, su un certo numero di fatti che si riconoscerà come certi, e che nessuno contesterà, tanto tra gli studiosi indipendenti quanto tra gli studiosi cattolici. La controversia sorgerà quanto all'interpretazione di questi fatti. Il primo tra loro, già esposto sopra, è di una così eclatante evidenza che si avrebbe qualche vergogna a rinvenirvi, se non comportasse conseguenze alle quali il razionalismo si sforza di sottrarsi; ed è che i cristiani, da diciotto secoli, adorano in Gesù un dio.

Se i razionalisti vogliono ben ricordarsi del viaggio che io li ho invitati a fare nelle chiese dove l'incenso brucia in suo onore, tra i libri dove la sua divinità è proclamata, e attraverso il flusso di preghiere che senza arresto salgono verso il suo trono, io penso che non ci sarà una voce a protestare contro il mio primo Foundation Pillar.

Che Gesù sia, in realtà, il figlio di Dio, dio egli stesso, come insegna la Chiesa e come lo hanno creduto, lo credono e lo crederanno per molto tempo i cristiani, non è contestabile che vi sia là un'affermazione della fede, la quale non potrebbe essere né controllata e nemmeno discussa dalla ragione. Ma quella credenza è un fatto, un fatto che ha milleottocento anni di esistenza; e la religione che professa quella credenza è una realtà, una realtà che dura da milleottocento anni.

Ricordiamo più su l'affermazione di Durkheim che non ci sono religioni false; tutte le religioni sono vere, in quanto sono l'espressione delle necessità dei gruppi che le praticano. Tutt'al più si potrebbe aggiungere che diventano false quando cessano di corrispondere a queste necessità; e, piuttosto che false, si dovrebbe dire superate. Ma esiste un momento in cui esse sono vere con tutta la giovinezza vivida della loro verità, è quello in cui esse nascono, si sviluppano, si ingrandiscono. A questa fase, una religione è interamente vera, nel senso che porta al mondo una soluzione nuova a necessità nuove. Mai religione è stata più vera del cristianesimo, allo stadio rivoluzionario in cui ha rovesciato il vecchio mondo mediterraneo.

La distinzione si può concepire solo tra le grandi e le piccole religioni: le grandi, quelle che hanno regnato su vaste masse umane e sono durate per secoli, e che hanno di conseguenza espresso più umanità; le piccole, che hanno espresso solo una umanità ridotta. Le religioni false sono propriamente quelle che non hanno espresso nulla e che, a dirla tutta, non sono esistite. 

Il successo nelle imprese individuali non prova nulla, perché è solo una questione relativa. Il successo nelle cose sociali, e soprattutto nelle cose eminentemente sociali che sono le religioni, è il criterio del vero. Una religione si ingrandisce e dura perché esprime il sociale; decresce quando cessa di esprimerlo. Come un'antica famiglia signorile, il giudaismo riceve dalla sua continuità il più bel titolo di nobiltà che nessuna religione abbia portato.

La sociologia non ammette che la menzogna sia alla base di una religione «vera». La menzogna interviene più tardi, nelle religioni sviluppate, quando i politici entrano in scena; ma le verità religiose non sono opera dei Padri della Chiesa. 

Più che la menzogna, la sociologia non ammette che l'errore possa essere alla base di una religione. L'errore fa la sua entrata di concerto con i ragionatori. Ed ecco la grande obiezione che la sociologia oppone all'evemerismo; se Gesù è stato creduto e resta creduto un dio, non è possibile che la divinità di Gesù sia la menzogna di qualche furbo; e né è più possibile che sia l'errore dei santi che avrebbero commesso l'incomprensibile abbaglio di prendere uno di loro per un dio. Se Gesù è stato creduto e resta creduto dio, è perché è stato dio per la società che si è espressa in lui.

In verità, la sociologia non è che la traduzione, in linguaggio profano, della teologia. 

La nostra posizione è quindi tanto ferma quanto semplice. Quando i cristiani credono che Gesù è il figlio di Dio, dio stesso, noi sappiamo che vi è là un'affermazione della fede che non potrebbe essere né controllata e nemmeno discussa dalla ragione; essa deve nondimeno essere il punto di partenza sociologico di ogni studio su Gesù. Per andare fino alla fine del nostro pensiero, quando la Chiesa insegna, quando i cristiani credono che Gesù è il figlio di Dio, dio egli stesso, che si è fatto uomo, la Chiesa ha ragione e i cristiani hanno ragione. Si tratta solo di tradurre in linguaggio sociologico l'affermazione teologica; si tratta solo, in ultima analisi, di comprendere che cos'è un dio e come è possibile a un dio di farsi uomo.

La base di uno studio sociologico di Gesù non può essere né i cavilli di Trifone, né le immaginazioni di Renan, né le aspirazioni di Auguste Sabatier. Se la sociologia è la scienza delle realtà, la realtà è, quanto a Gesù, il culto che gli è reso.

Ma la realtà è anche che, per secoli, Osiride, Giove, Mitra e mille altri sono stati venerati, allo stesso titolo di Gesù, come dèi. E la realtà è ancora, per riprendere gli esempi di Sir James Frazer, che né Maometto, né Lutero, né Calvino, io aggiungerei né Napoleone, hanno mai avuto altari. 

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