giovedì 8 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALa conversione di Paolo.



La conversione di Paolo.

Arriviamo al quarto punto, che è di gran lunga il più importante, poiché Paolo è il solo personaggio cristiano illustre che ci abbia lasciato degli scritti, almeno parzialmente autentici, tra il tempo di Ponzio Pilato e quello della scrittura dei Vangeli. Nessuna delle spiegazioni date da Guignebert, Loisy o Goguel sul credo al quale si è convertito Paolo appare soddisfacente. 

Consideriamo prima di tutto una questione riguardante la personalità di Paolo, ma secondaria rispetto all'evoluzione generale del cristianesimo: Paolo, israelita ellenizzato, ha veramente perseguitato i cristiani prima della sua conversione? È possibile, ma non è stabilito con certezza dai testi delle Epistole paoline. Si tratta questa questione in due passi dell'Epistola ai Galati, che possono derivare o dalla scuola dell'eretico Marcione nel II° secolo (secondo Turmel), o dai discepoli mistici di Paolo alla fine del I° secolo (secondo Loisy). [21]

In uno dei passi (1:23), l'asserzione è data come una informazione raccolta dalle Chiese cristiane di Giudea in merito a Paolo: «Esse sentivano soltanto dire: colui che una volta ci perseguitava, ora predica la fede, che nel passato cercava di distruggere». L'opposizione tra Paolo e i cristiani di Giudea, di cui parleremo più avanti, [22] sembra essere stata retroattivamente accentuata dai discepoli mistici di Paolo (o di Marcione), in polemica con la scuola degli avversari dell'apostolo. In queste condizioni, ci si può domandare se i discepoli paolini (oppure i marcioniti), che sembrano aver scritto i versi citati più sopra, non si siano trovati in presenza di un'informazione messa in circolazione dai nemici di Paolo: l'avrebbero raccolta, volgendola a suo favore, in maniera da far meglio emergere la sua conversione mediante l'azione di Gesù Cristo. 

Nell'altro passo di Galati (1:13-14), Paolo avrebbe scritto: «Voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la Chiesa di Dio, e la devastavo; e mi distinguevo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri». Queste frasi sembrano riferirsi ad un'epoca in cui la separazione tra il cristianesimo e l'ebraismo era più accentuata che al tempo di Paolo. Vi è quindi ragione di credere che gli autori di questi versi siano della stessa appartenenza religiosa di quelli dei versi precedenti, ed è possibile applicare a quest'ultimo passo una interpretazione analoga.

Quanto al verso della 1° Epistola ai Corinzi 15, dove è ricordata la persecuzione condotta da Paolo contro la «Chiesa di Dio», esso è considerato da Turmel e Loisy facente parte di una redazione cattolica, della metà del II° secolo, destinata a subordinare Paolo agli altri apostoli. [23]

Stessa incertezza a riguardo della «rivelazione» ricevuta da Paolo a Damasco, che avrebbe determinato la sua conversione; essa figura anche in due passi della Epistola ai Galati (1:12 e 15-16), che Turmel e Loisy sono d'accordo nel non attribuire a Paolo: [24] è difficile determinare a proposito di questa rivelazione se si tratti di un'invenzione dei paolini mistici oppure dei marcioniti, o se si tratti di una tradizione raccolta da loro, la cui esattezza è possibile. [25]

Però il problema essenziale che vi si deve esaminare, è a quale concezione di Gesù Cristo Paolo si è convertito. Guignebert spiega così come segue [26] «da dove veniva il grande mito paolino della Redenzione. Si vede senza difficoltà come, pur collegandosi per il suo punto di partenza alla prima speculazione sulla resurrezione e sulla croce, [27] prenda posto nella linea dei Misteri e perché vi mantenga la sua originalità. Quella originalità non procede da un colpo di genio mistico, ma da un'interpretazione mitica di un fatto, di per sé inquietante, imbarazzante, scandaloso, il fatto stesso della morte del Nazareno. Ed è per questa svolta che la speculazione paolina si trova a recare una testimonianza che, da parte mia, io trovo irresistibile, sulla storicità di Gesù. Che Paolo sia stato l'architetto principale o soltanto il principale teorico dell'adattamento in questione, questo è di per sé inspiegabile e persino inconcepibile, se lo si considera a parte dalla rivelazione paolina».

Torneremo più tardi sullo «scandalo» della croce, che opponeva Paolo ai cristiani di Gerusalemme. [28] Risulta da questa citazione di Guignebert che, secondo lui, Paolo avrebbe dato alla crocifissione di Gesù un altro significato rispetto a quello dei discepoli di quest'ultimo: Guignebert vede «in Paolo il secondo fondatore del cristianesimo, un secondo fondatore, di cui giudica il ruolo altrettanto importante, se non più di quello del primo». [29] In altri termini, i cristiani di Gerusalemme, «se professavano per il loro Maestro una venerazione che lo innalzava al di sopra della condizione umana, erano ancora lontani dall'identificarlo a Dio»; [30] è Paolo che, secondo Guignebert, avrebbe visto in Gesù una emanazione di Dio. 

La confutazione di questa concezione ci sembra essere stata data da una frase del Padre Joseph Bonsirven: «Come mai un fariseo, dal monoteismo intransigente, avrebbe potuto adorare un uomo trasformato in Dio ?». [31]  

Senza dubbio, Guignebert sosteneva che si trattava nel caso di Paolo di un ebreo ellenizzato, ed esamineremo in che modo le credenze degli ebrei ellenizzati potessero allontanarsi da quelle dei palestinesi, ma l'obiezione del Padre Bonsirven resta valida: per gli ebrei, un uomo, per quanto grande fosse, fosse anche Mosè, non poteva diventare Dio. Ora come mai Paolo, che viveva in Siria, poteva ammettere che un uomo, artigiano come lui, che aveva vissuto per trent'anni un'esistenza umana sulla terra ed era morto crocifisso diciotto mesi prima, fosse in realtà un'emanazione di Dio? E, invece di precipitarsi a Gerusalemme, per ottenere dei dettagli su Gesù da coloro che lo hanno conosciuto, Paolo si recò, per molti anni, a predicare in Arabia, in Siria, in Cilicia, la fede alla quale si è convertito.

Sicuramente il padre Bonsirven ha espresso la sua obiezione in vista di stabilire «come improbabile il fatto che la concezione di Paolo a proposito della natura di Cristo sia opera sua». Ma noi pensiamo che l'obiezione sia valida di per sé.

Veniamo ora alla conseguenza che il Padre Bonsirven ne ricava: è quella che dal canto suo Goguel, protestante liberale, ha espresso in questi termini: «Paolo non ha fondato una nuova religione, ma è entrato in una Chiesa già costituita», [32] — che, peraltro a sua volta, pretendeva soltanto di dare l'autentica interpretazione della antica religione ebraica. [33] Comunque lo stesso problema che il Padre Bonsirven ha sollevato per Paolo si presenta nel caso degli ebrei cristiani di Damasco, alla fede dei quali si è unito: come hanno potuto credere che un oscuro profeta della campagna di Palestina, torturato da un anno a diciotto mesi prima, fosse una emanazione di Dio? La questione non si pone nella dottrina cattolica, ma si pone a riguardo tanto della tesi di Guignebert: interpretazione da parte di Paolo di un dramma recente, quanto di quella di Goguel: stesso credo costituito nella Chiesa di Damasco. Essi constatano dagli scritti di Paolo, Guignebert, il fatto che costui «ha sacrificato Gesù al Cristo... di deliberato proposito», [34] Goguel, il fatto che «Paolo si interessa al dramma della morte e della resurrezione di Cristo più che al suo insegnamento»: [35] questi due storici trovano naturale un tale pregiudizio; si può pensare, al contrario, che è improbabile a riguardo di un uomo che sarebbe vissuto soltanto alcuni anni prima e di cui Paolo poteva conoscere e avrebbe conosciuto i diretti discepoli. [36] Inoltre, l'«indifferenza» che avrebbero manifestata «i primi cristiani ai fatti della vita di Gesù», [37] sembra incompatibile con la teoria secondo la quale il cristianesimo sarebbe nato dall'attaccamento dei discepoli di Gesù al ricordo del loro maestro. 

Goguel (non più di Guignert) non vedeva alcuna contraddizione tra le due teorie religiose che Turmel, e Loisy dopo di lui, avevano visto come sovrapposte, e talvolta perfino intrecciate, nelle epistole paoline. «Per realizzare il suo piano malgrado la caduta (dell'uomo)», ha scritto Goguel, «Dio ha sovrapposto al piano della creazione quello della redenzione». [38] Sono questi due piani che Loisy dichiara proprio inconciliabili, almeno così come li presentano le Epistole paoline, e in particolare l'Epistola ai Romani. Vi è una teoria, che si lega ad una dottrina ebraica precedente, che si basa sull'attesa di un'imminente fine del mondo: [39] Gesù, resuscitato da Dio dai morti, deve essere lo strumento dell'instaurazione di un mondo nuovo, dove Dio estenderà a tutti gli uomini che crederanno in Gesù Cristo le promesse fatte una volta al patriarca israelita Abramo; quella dottrina è giustificata da un gran numero di citazioni bibliche. La seconda teoria ignora queste promesse; la giustificazione per mezzo della fede è intesa in modo del tutto diverso: la giustizia è la liberazione dal peccato che, fin da Adamo, regna nel mondo e la fede è la fiducia nella redenzione per mezzo di Gesù Cristo, figlio di Dio, inviato da lui come vittima propiziatoria per il genere umano; la dottrina si ricava senza il minimo appello ai testi biblici. La prima teoria è quella del Paolo storico; la seconda è quella dei discepoli mistici di Paolo, che l'hanno collocata sotto il suo nome. [40]

Comunque, sebbene Loisy non l'abbia enunciato che di passaggio, egli riteneva che Paolo, non più dei cristiani ellenisti, alla fede dei quali egli aveva aderito, non vedesse in Gesù una emanazione di Dio. «Per lui», ha scritto Loisy, «Gesù è un figlio di Israele, che è morto crocifisso e che Dio ha resuscitato, rendendolo «Cristo» e «Signore». [41] E quella concezione di Paolo si avvicinerebbe a quella che Loisy e Guignebert concordano nel prestare ai cristiani di Gerusalemme. [42] Ma quella dei discepoli mistici di Paolo è tutt'altra: Gesù è il figlio di Dio, inviato da lui nella rassomiglianza della carne del peccato (Epistola ai Romani 8:3). [43] Si è allora obbligati a constatare che Loisy non ha fatto che rinviare il problema: come si sarebbe realizzato il passaggio dal pensiero di Paolo: Gesù è un uomo risorto da Dio e vivente presso di lui, a quello dei suoi discepoli: Gesù è il figlio di Dio ? Loisy non dà alcuna indicazione a proposito di questo problema essenziale.

Questa è la ragione per cui, dopo aver tentato di mostrare le inadeguatezze delle tesi storiche che prendono come punto di origine del cristianesimo la carriera di un profeta ebreo al tempo di Tiberio, cercheremo di abbozzare la sua evoluzione partendo dall'ipotesi di un credo in un essere divino fatto uomo per la volontà di Dio.

NOTE

[21] TURMEL (sotto lo pseudonimo di DELAFOSSE), L'Epître aux Galates (nell'opera intitolata La 2° Epître aux Corinthiens), pag. 71 e il testo dell'Epistola. LOISY, Remarques, op. cit., pag. 37-38 e 40.

[22] Si veda pag. 129 e seguenti.

[23] Si veda DELAFOSSE (TURMEL), La 1° Epître aux Corinthiens, pag. 120 e 123-124, e LOISY, Remarques, pag. 76-79. Si veda più avanti, pag. 129-132. 

[24] Stessi riferimenti della nota 21 della pagina 109. — D'altra parte Loisy pensa che la visione di cui si parla nella 2° Epistola ai Corinzi 12:2-4, è la stessa che menziona Galati, ma con un errore di data: l'autore del passo della 2° Epistola ai Corinzi avrebbe fatto risalire la visione a quattordici anni prima, nel trascrivere letteralmente Galati, senza accorgersi che essa è datata in Galati in relazione al «concilio di Gerusalemme» (nell'anno 43), mentre la 2° Epistola ai Corinzi sarebbe stata inviata da Efeso dall'apostolo Paolo tra il 56 e il 58. Si veda LOISY, Remarques, pag. 56, nota 1, e DELAFOSSE (TURMEL), La 2° Epître aux Corinthiens, pag. 10.

[25] ALFARIC (Le problème de Jésus, pag. 20) è incline a vedere in Paolo «un puro mistico» e ha considerato autentica almeno la sostanza di Galati 1:11-12, 15-16 e della 2° Epistola ai Corinzi 12:2-4.

[26] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 350-351 (quella citazione fa parte di una conferenza di Guignebert su Le mystère pauline, risalente al 1933 ed inserita alla fine della sua opera Le Christ, restata incompiuta nel 1939).

[27] Guignebert ha in vista, in una nota, «i versi» dell'Epistola ai Filippesi 2:2-11, che è stata studiata più sopra, pag. 62-69.

[28] Si veda pag. 148-154.

[29] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 222.

[30] Marcel SIMON, Les premiers chrétiens, op. cit., pag. 39.

[31] Joseph BONSIRVEN, L'Evangile de Paul (1948), pag. 25: frase citata da COUCHOUD, in Le Dieu Jésus (1951), pag. 65.

[32] GOGUEL, Jésus, pag. 86. Si è visto (pag. 102) che questa è egualmente la concezione di Loisy.

[33] Osservazione di GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 327: è il pensiero che presta a Palo, ma lo si può estendere alla Chiesa in cui questi è entrato.

[34] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 26.

[35] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 272-273.

[36] Questione che esamineremo più oltre, pag. 129 e seguenti.

[37] GOGUEL, Jésus, pag. 129.

[38] GOGUEL, Jésus, pag. 85.

[39] Si veda più avanti Appendice 2, pag. 253.

[40] Si veda per la spiegazione della prima teoria, LOISY, Remarques..., pag. 9-16 e 23-24, e Histoire et mythe, pag. 240-242; per quella della seconda, Remarques..., pag. 16-21 e 23-24, e Histoire et mythe, pag. 71-74.

[41] LOISY, Histoire et mythe, pag. 244. L'espressione «Signore e Cristo» è posta sulle labbra di Pietro dagli Atti degli Apostoli 2:36. Si veda l'espressione «Capo e salvatore» in Atti 5:31 (citata più sopra, pag. 72-73). 

[42] Si veda più sopra, pag. 99-100 e 111-112.

[43] Si veda più sopra Appendice 2, pag. 257-259.

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