venerdì 13 settembre 2024

ECCE DEUS — CONTENUTO DEL VANGELO

 (segue da qui)

CONTENUTO DEL VANGELO 

65. Siamo ora messi di fronte a una domanda di vitale interesse e importanza: perché, allora, questo culto di Gesù fu originariamente segreto e si espresse in termini parabolici così prudenti da renderlo incomprensibile alla moltitudine? Per rispondere a ciò dobbiamo prima proporre e rispondere a un'altra domanda, ancora più significativa e fondamentale: quale fu l'essenza, l'idea centrale e il principio attivo del culto stesso? A quest'ultima domanda rispondiamo direttamente e immediatamente: fu una Protesta contro l'Idolatria; fu una Crociata per il Monoteismo.

66. Le prove di quest'ultima proposizione sono varie e abbondanti. Quella che per prima impressionò il pensiero dello scrittore si trova in una considerazione dello spirito generale degli apologeti. Considera, ad esempio, Atenagora — 177 E.C. (?) — che sembra rappresentare al meglio l'apologia cristiana. In cosa consiste la sua difesa? Praticamente in un assalto al politeismo dominante. Dopo tre o quattro pagine di introduzione, in cui protesta contro la condanna dei cristiani per il solo nome, Atenagora procede a rispondere alle accuse mosse contro di loro, di cui menziona tre: ateismo, cene tiestee, relazioni promiscue. Poi passa a un'elaborata confutazione della prima accusa, mostrando che la dottrina cristiana riconosce un solo Dio, che ha fatto tutte le cose mediante il Logos; che i poeti e i filosofi testimoniano parimenti questa unità della Divinità, a cui i cristiani aggiungono la testimonianza dei profeti; mostrando che il politeismo è intrinsecamente assurdo, come attestato da questi profeti ebraici; che i cristiani non possono essere atei, siccome riconoscono un solo Dio, increato, eterno, invisibile, impassibile, incomprensibile, illimitabile, ecc., che ha creato l'universo mediante il suo Logos, chiamato anche suo Figlio per buone ragioni; che ammettono anche lo Spirito Santo, che emana e si irradia da Dio come raggio di sole. Egli mostra inoltre che le massime morali e la pratica dei cristiani, in particolare nei confronti dei nemici, confutano l'accusa di ateismo; e spiega perché non offrono alcun sacrificio a Dio, il Creatore dell'Universo. Spiega poi perché i cristiani non possono adorare gli dèi locali, a differenza degli altri, che non distinguono Dio dalla materia, e perché non possono adorare l'Universo. Poi attacca più da vicino gli dèi, mostrando che i loro nomi e le loro immagini sono recenti; che essi stessi sono creature, come confessano i poeti; che le loro rappresentazioni sono assurde; che i poeti li descrivono come grossolani e impuri; che le interpretazioni fisiche dei miti sono vane, poiché in ogni caso tali processi della natura non sono dèi; e poi critica Talete e Platone (e lo pseudo-Platone). Parla poi a lungo dei demoni, che considera i principi attivi dell'idolatria. “Coloro che trascinano gli uomini davanti agli idoli sono i cosiddetti demoni i quali si attaccano al sangue delle vittime leccandole tutte intorno. Ma quegli dèi che piacciono alla maggioranza e che danno il nome alle immagini, furono uomini come è possibile sapere dalla loro storia. E che siano i demoni ad agire sotto il loro nome è dimostrato dalla natura delle loro operazioni”. Egli espande questa dottrina dell'allettamento dei demoni all'idolatria, e insiste sul fatto che i nomi degli dei erano derivati da uomini, chiama a testimoniare i poeti e infine tenta di mostrare perché la divinità fosse attribuita ad uomini, concludendo che “noi non siamo atei quando riconosciamo che è Dio il Creatore dell'Universo e il suo Logos”. In sei o sette pagine confuta poi brevemente le altre due accuse. Così, dunque, quasi esattamente tre quarti di questa apologia (capitoli 4-30) sono dedicati all'attacco al politeismo e alla difesa del monoteismo cristiano, mentre il restante quarto è dedicato al prologo (capitoli 1-3), alle accuse minori e all'epilogo (capitoli 31-36). Praticamente l'intero argomento è incentrato sulla contrapposizione tra monoteismo e politeismo. Più degno di nota il fatto che non vi sia alcuna menzione o accenno remoto ad una storia neotestamentaria. Ci sono ripetute assonanze con i Vangeli (come Matteo 5:46; Luca 6:32-34; Matteo 5:44, 45; Luca 6:27, 28; Matteo 5:28; Matteo 12:39; Matteo 19:9); ma, stranamente, l'unico segno di citazione è dice (φησί), dove il soggetto sottinteso è il Logos; per una volta esso figura: “poiché di nuovo il Logos cosi dice: 'se qualcuno bacerà una seconda volta perché ne ha tratto piacere, [egli pecca]'; e aggiunge: 'Bisogna dunque contenersi nel baciare o,  meglio, nell’ossequiare, come un’azione che se, anche per poco, è  insozzata dal pensiero, ci esclude dalla vita eterna'”. L'espressione “di nuovo” indica che nella citazione precedente, nello stesso capitolo, il soggetto sottinteso di dice (φησί) era lo stesso Logos. Evidentemente l'apologeta ha attinto da fonti a noi sconosciute. Il cristianesimo di Atenagora pare consistere in questa apologia praticamente di un monoteismo filosofico temperato da alcune teorie familiari, stoiche e non, intorno al Logos e allo Spirito, e da una certa conoscenza della letteratura cristiana antica. 

67. Consulta ora l'Apologia e Atti di Apollonio, che si suppone avesse sofferto il martirio intorno al 185 E.C.. La storia è quasi la stessa; le sue risposte al Prefetto sono principalmente un forte attacco all'idolatria dominante. Ma aggiunge che “Il Logos di Dio, il Salvatore delle anime e dei corpi, si incarnò in Giudea e adempì ogni giustizia”, ecc. Aggiunge anche l'inestimabile versetto 40 : “Anche tra i filosofi greci, come è noto, c’è un’espressione che dice: Il giusto sarà frustato, torturato, incatenato, gli saranno bruciati entrambi gli occhi, e infine, quando avrà sofferto tutte le più gravi torture, sarà inchiodato ad un palo”. Il riferimento è naturalmente a Platone (Repubblica 2:361 D), e mostra chiaramente che questo passo era nella coscienza cristiana che elaborò la storia della Passione. Il critico liberale non esita, quando trova qualcosa fatta “perché si adempisse ciò che fu detto dal profeta”, a interpretare queste parole in senso stretto; a dichiarare che l'episodio fu inventato per adempiere la profezia. Proprio qui abbiamo una profezia del più grande dei veggenti greci, e l'episodio creato per adempierla. È degno di nota il fatto che, secondo Harnack, nella letteratura cristiana antica non si trova nessun altro riferimento a questo celebre passo. [1] Perché? Perché i cristiani non ne ebbero familiarità? Impossibile. Il silenzio dei cristiani fu intenzionale e la ragione è ovvia. Il passo era rivelatore. Similmente dobbiamo comprendere il loro silenzio intorno ai Nasareni precristiani e ai molti altri leoni che erano più sicuri quando dormivano. 

68. Ritorniamo da questa importante digressione alle Apologie. Considera ora quello di Aristide, famoso nell'antichità, come testimoniato in molti modi: dal suo uso in Vita di Barlaam e Giosafat, dal suo uso apparente da parte di Celso e di Giustino, e dalla sua menzione da parte di Eusebio in Storia Ecclesiastica e in Chronicon. Qui il caso è ancor più evidente. In questa Apologia, apparentemente la più antica, non c'è praticamente nient'altro che un attacco molto elaborato all'intero sistema del politeismo antico, dei barbari e dei greci e, assai sorprendentemente, addirittura degli ebrei. 

I giudei dunque dicono che uno è Dio, creatore di tutto e onnipotente, e che non conviene adorare qualcos'altro se non questo Dio solo; e in questo sembra che siano più vicini alla verità di tutti gli altri popoli, perché soprattutto adorano Dio e non le sue opere......Tuttavia essi si sono allontanati dall’esatta conoscenza e, nella loro mente, pensano di adorare Dio, ma nel modo delle loro azioni, verso gli angeli e non verso Dio è il loro culto, poiché osservano i sabati e le neomenie e gli azzimi e il grande giorno e il digiuno e la circoncisione e la mondezza dei cibi, cose che nemmeno così osservano alla perfezione.

Sorprendentemente il cristiano Aristide attacca gli ebrei in quanto non sono ancora abbastanza monoteisti! E continua: 

Ma i cristiani, o re, vagando e cercando, hanno trovato la verità e, come abbiamo appreso dai loro libri, essi sono vicini alla verità e all'esatta conoscenza più del resto dei popoli, perché conoscono e credono in Dio, fattore del cielo e della terra, colui in cui è tutto e da cui è tutto, colui che non ha per compagno un altro dio, colui dal quale hanno ricevuto quei precetti, ecc.

Non c'è alcun riferimento in tutto ciò che segue, o nell'intera Apologia, al Nuovo Testamento o alla vita evangelica di Gesù. [2] 

69. C'è invero un cosiddetto passo cristologico, che varia così tanto nelle versioni greca, siriaca e latina che che si può riporre poca fiducia in una qualsiasi delle forme testuali. Possiamo parafrasare il testo greco così:

Ma i cristiani traggono la loro origine dal Signore Gesù Cristo. Questo è confessato il Figlio di Dio altissimo nello Spirito Santo, disceso dal cielo per la salvezza degli uomini; e da una vergine santa generato senza fecondazione e senza corruzione assunse la carne e apparve agli uomini per richiamarli dall’errore del politeismo. E dopo aver portato a compimento la sua mirabile economia nella morte di croce ebbe la sua esperienza con deliberata volontà secondo una grande economia; e dopo tre giorni resuscitò e sali al cielo. La gloria della sua Parusia è possibile per te conoscerla, o Re, se leggi per caso da quel (testo) che dagli altri è chiamato Santa Scrittura evangelica. Egli ebbe dodici discepoli, i quali dopo che egli salì al cielo andarono nelle regioni del mondo e insegnarono la sua grandezza, come fece uno di loro che percorse le nostre regioni annunciando la dottrina di verità. Per cui quelli che da allora ad oggi continuano a porsi al servizio del loro annuncio di giustizia sono chiamati cristiani.

70. I critici scorgono in questo passo importante gli inizi di un credo, il Simbolo degli apostoli. Noi siamo interessati solo a due o tre osservazioni. In primo luogo, l'uso della parola ὁμολογεῖται (è confessato, permesso, ammesso). Lo scrittore sembra consapevole che non sta affermando un fatto storico, ma semplicemente qualcosa che è concordato o concesso: una sorta di postulato di fede. Similmente, nella versione siriaca si legge: “Ed è detto come Dio discese dal cielo e da una vergine ebrea prese e si rivestì di carne”; laddove nelle versioni successive armena e latina tutto ciò è dichiarato come un fatto: non c'è la modifica “è detto” o “confessato”. In secondo luogo, notiamo la dichiarazione inequivocabile delle ragioni dell'incarnazione e della manifestazione di questo Figlio di Dio Altissimo: “Per richiamarli dall’errore del politeismo”. [3] Questa, allora, sembra essere stata la concezione originaria della missione del Gesù o del culto di Gesù: ossia l'abbattimento dell'idolatria, come attesta più volte anche Origene, molto più tardi. [4] Molto opportunamente, troviamo proprio queste parole omesse dalle successive versioni siriache, armene e latine. Queste parole raccontavano la loro storia fin troppo chiaramente. In terzo luogo, il termine “Parusia”, inteso comunemente a significare la “seconda” venuta, è utilizzato qui proprio a proposito dell'unica presenza del Gesù nella carne, come descritta nei Vangeli. La “seconda” venuta è una fantasia successiva. In quarto luogo: “In questo grande passo cristologico è degno di nota come non siano introdotte le frasi esatte del Nuovo Testamento” (J. Armitage Robinson, pag. 84).

71. Sembrerebbe, allora, che la testimonianza di questa Apologia, risalente apparentemente ai “primi anni del regno di Antonino Pio” (Harris), sia fortemente e inequivocabilmente a favore della nostra tesi, ossia che l'azione principale della propaganda era diretta distintamente e specialmente contro il politeismo dominante. 

72. Cosa dice ora il Martire? Sotto il suo nome vanno due Apologie, apparentemente modellate in una certa misura su altre precedenti, come quella di Aristide. Queste Apologie parlano di una grande varietà di argomenti in maniera piuttosto disordinata. Il livello di intelligenza è sensibilmente più basso rispetto alle apologie di Aristide e di Atenagora. Grande attenzione è data a un'esegesi molto fantastica dell'Antico Testamento a sostegno delle dottrine cristiane difese. La posizione generale di Giustino è che l'Antico Testamento prefigura il piano cristiano di salvezza in mille modi, e che tutto ciò si è compiuto o si compirà o ripeterà nella storia cristiana. “Poiché dunque abbiamo dimostrato che i fatti accaduti sono stati tutti predetti dai profeti prima che accadessero, è necessario credere che sicuramente accadranno quelle cose riguardo alle quali è stato predetto in modo simile il loro avverarsi. Nel modo in cui accadde ciò che era stato predetto, ma sconosciuto, allo stesso modo accadranno le altre cose anche se non si ha conoscenza di esse né fede” (1:52). Naturalmente non possiamo soffermarci su alcuna tesi di questo tipo. È solo necessario osservare che Giustino non manca di attaccare energicamente l'idolatria e che afferma esplicitamente che la missione del Gesù fosse “a vantaggio degli uomini che hanno fede e per la distruzione dei demoni” (2:6). In quanto la sua testimonianza su questo e altri punti è discussa minuziosamente altrove in questo volume, si può soprassedere qui con l'osservazione generale che essa concorda con la tesi che stiamo difendendo. 

73. Passiamo ora all'Esortazione di Clemente Alessandrino (Λόγος προτρεπτικὸς πρὸς Ἕλληνας), e scopriamo che consiste quasi interamente in una protesta piuttosto verbosa ma comunque eloquente contro il politeismo greco e nella raccomandazione di accettare al suo posto il culto dell'unico Dio e del suo Logos, il quale evidentemente è solo un aspetto di Dio. Notiamo in particolare la missione del suo “Cantore”: “Ma non è tale il mio cantore; egli non è venuto per sciogliere entro lungo spazio di tempo l’amara servitù dei demoni che ci tiranneggiano, ma trasferendoci dal giogo dei demoni al giogo dolce e soave delle pietà (τῆς θεοσεβείας), richiama nuovamente verso il cielo coloro che erano stati dispersi (ἐῤῥιμμένους) sulla terra”. Nota attentamente la parola greca, perché è proprio quella usata da Matteo (9:36) per descrivere la condizione di smarrimento della moltitudine galilea, paragonata a pecore smarrite. Clemente la impiega qui per descrivere la condizione dei Greci, indotti dai loro poeti al culto degradante degli “idoli”, “con pietre e con legni”, cioè “con statue e dipinti”, e quindi sottoposti alla “servitù degli elementi infimi” “dei demoni che ci tiranneggiano”. Non è necessario approfondire questo pensiero. La testimonianza di Clemente è la più forte possibile del fatto che egli considerò il cristianesimo, almeno il movimento cristiano originario, una Crociata, una Guerra Santa, contro la stordente idolatria dell'Impero, concepita come culto dei demoni. Questa era l'essenza stessa della sua concezione. La dottrina del Logos fu per lui tutt'altro che irrilevante, ma era secondaria e disturbava il suo monoteismo non più di quanto la stessa dottrina disturbasse il monoteismo di Filone. Quanto assolutamente Clemente identifichi [5] Gesù, il Verbo, e il Cristo (come semplici aspetti) con la Divinità lo si mostra vividamente in questa frase: “Giovanni, l’araldo del Logos, in tal modo esortava a prepararsi per la Parusia di Dio del Cristo (εἰς θεοῦ τοῦ χριστοῦ παρουσίαν). Naturalmente, egli parla anche di questo Logos eterno che è apparso agli uomini e persino che “diventa uomo”. Sorprendente è la sua espressione: “Sì, dico, il Logos, il Logos di Dio diventato uomo (ναί φημι ὁ Λόγος ὁ τοῦ θεοῦ ἄνθρωπος γενόμενος). Ciò è menzionato semplicemente per mostrare che noi non stiamo sopprimendo né trascurando (anche se non discutiamo) la Cristologia di Clemente — non che ciò  influisca sulla nostra argomentazione. 

74. Passiamo ora al celebrato Octavius di Minucio Felice, scritto al più tardi prima della fine del secondo secolo. La testimonianza di questo dialogo ciceroniano è ricca ed esplicita come i più esigenti potrebbero desiderare. Il ragionamento tramite cui Cecilio si converte praticamente non è altro che un appello al monoteismo più puro in opposizione al politeismo dominante. Questo monoteismo è affermato e riaffermato, è incoraggiato e ribadito, nei termini più forti possibili. Naturalmente era necessario respingere le calunnie che circolavano riguardo la moralità e il culto dei cristiani, per lavare la macchia degli aspri rimproveri di Cecilio nelle acque della verità; ma questa cruda negazione non riveste una grande importanza nella discussione. È sul monoteismo cristiano contro l'assurdo e degradante politeismo pagano che ruota tutta la grande argomentazione. “Non cercare di dare un nome a Dio: il suo nome  è Dio......ma per Dio,  che è il solo della propria specie, il nome di Dio dice tutto (Nec nomen Deo quaeras: Deus nomen est...... Deo, qui solus est, Dei vocabulum totum est). Riferendosi al fatto che il popolo in preghiera dice semplicemente “Dio”, egli si chiede: “È questo il linguaggio spontaneo del popolo o la professione di fede in un Cristiano? (Vulgi iste naturalis sermo est, an Christiani confitentis oratio?). “Dunque, gli Dèi non possono derivare dai morti, perché Dio non può morire, e neppure dai vivi, perché chiunque nasca deve morire: divino è solo ciò che non conosce né inizio né fine”. È abbastanza. Ottavio è un monoteista puro, niente di meno e niente di più. Egli combatte la battaglia per il cristianesimo in quanto la battaglia per il Dio Unico contro i molti dèi di Roma. Egli non accenna mai a nessuna storia neotestamentaria, e nemmeno a un incipiente credo o simbolo apostolico. E con queste armi, e solo con queste, egli converte il politeista Cecilio. Sembra impossibile che ci sia una prova più esatta della nostra tesi fondamentale.  

75. Se ora passiamo al Discorso ai Greci di Taziano, all'Esortazione ai Greci di Giustino, ai tre libri di Teofilo ad Autolico, troviamo sempre la stessa storia, quella già ripetuta così spesso. Sarebbe noioso e superfluo soffermarsi su questi, ma è interessante notare il racconto di Taziano sulla propria conversione (capitolo 29). Essa non avvenne affatto, come potremmo immaginare, con la predicazione della croce e dell'incomparabile vita in Galilea, ma tramite lo studio di alcuni “scritti barbari” (ebraici) contenenti, tra profezie ed eccellenti precetti, l'“insegnamento di un Principio solo di tutte le cose”, scritti che “sciolgono dalla schiavitù che è nel mondo e ci liberano dai numerosi sovrani e dalle migliaia di tiranni”: questi sono, naturalmente, i “demoni che ci tiranneggiano” di Clemente, le divinità del mondo pagano, come afferma ripetutamente Taziano. In maniera abbastanza simile si convertì Teofilo, secondo il suo stesso racconto (Libro 1, capitolo 14), né possiamo pensare diversamente della conversione di Giustino. Vale la pena di citare alcune frasi di Teofilo. Di Dio dice: “Se lo chiamo Logos, nomino il suo principio”. E ancora: “Affida te stesso al Medico e ti  aprirà gli occhi dell’anima e del cuore. Chi è il Medico? È Dio! Egli guarisce e dà vita per mezzo della sua parola e della sua sapienza”

76. Fino a questo punto la testimonianza di Origene, essendo notevolmente posteriore (250 E.C.), non è stata menzionata. Ma è troppo importante per essere omessa. Nella sua opera Contro Celso, nel complesso la più abile Apologia del cristianesimo mai pubblicata, egli presenta il caso in ogni aspetto che si offrisse alla sua intelligenza straordinariamente comprensiva e profonda. Ma da nessuna parte egli tradisce qualche consapevolezza del punto di vista moderno, da nessuna parte presenta in primo piano la personalità umana di Gesù, da nessuna parte basa un'argomentazione sulla sua unicità o anche solo sulla sua superiorità. Ma dappertutto sottolinea la razionalità unica del monoteismo, dappertutto argomenta contro l'errore del politeismo, dappertutto sostiene che gli dèi pagani sono demoni, che l'idolatria è un culto di demoni, che abbattere il quale e ricondurre l'umanità all'unico vero Dio è la missione speciale e particolare di Gesù e del culto di Gesù. Ripetutamente cita la versione della Septuaginta del Salmo 96:5: “Tutti gli dèi delle genti sono demoni”. In 4:32 parla di Gesù che “annientò la dottrina riguardante i demoni terrestri”; in 7:17 vede “la rovina del diavolo” “testimoniata da coloro che in ogni parte del mondo, sfuggendo ai demoni che li tengono soggetti, e liberandosi da questa schiavitù che su loro incombeva, si dedicano a Dio, ecc.” Quid multa? Che Origene concepisse il cristianesimo e la missione di Gesù intesi principalmente a richiamare il mondo pagano dal grande errore e dal male del culto demoniaco del politeismo alla fede e al servizio dell'unico vero Dio, è superfluo sottolinearlo in ogni libro e quasi in ogni capitolo di questa principale tra tutte le Apologie. 

77. Con ciò, dunque, chiudiamo l'argomentazione derivata dagli Apologeti. [6] Sembra pressoché impossibile immaginarla più profonda, più esplicita, più coerente, più assolutamente dimostrativa. Dobbiamo ricordare che gli Apologeti non stanno discutendo tra loro, non parlano una lingua che i non-iniziati non potrebbero capire facilmente; ma stanno ragionando con i pagani attorno a loro, e quindi devono usare argomentazioni che fossero comuni nella grande controversia, devono presentare le prove fondamentali dei cristiani nel loro accesso dibattito con il paganesimo. Possiamo affermare, allora, col massimo grado di certezza raggiungibile in queste materie, che la dimostrazione centrale ed essenziale del cristiano fosse una vivida esposizione della colossale assurdità del politeismo e un appello potente all'istinto monoteista (monistico) insito in ogni uomo. 

78. Sul versante negativo, il silenzio dell'Apologeta è profondamente impressionante. Egli non racconta assolutamente nulla di nulla della bella e pura vita umana in Galilea e in Giudea; non un solo episodio ha da citare, non un solo argomento, non una sola illustrazione, non una sola esortazione, non un solo accenno: non un solo motivo da trarre da quella vita incomparabile che è supposta aver suggestionato i discepoli e persino il persecutore Saulo. Il ministro moderno, persino il critico moderno, a distanza di millenovecento anni, ricolma tutti i secchi del suo discorso da questa fonte limpida e inesauribile della personalità di Gesù e della vita di Gesù. Ma l'antico Apologeta sotto gli Antonini, prima che si formasse il canone del Nuovo Testamento, nel dibattito con re e imperatori e filosofi e con gli intimi della sua stessa cerchia, non sa nulla di nulla di questa fonte. Non attinge mai una goccia dalle sue acque; spesso non vi allude neppure lontanamente. Sembrerebbe quasi che essa esista per lui, se mai esista, solo come dottrina esoterica e non come dottrina essoterica. Troviamo infatti un po' di scarne allusioni a certi dogmi che furono “confessati”, ma sono tutte di natura più o meno metempirica, al pari del “mistero” di 1 Timoteo 3:16; non troviamo alcun riconoscimento di sorta di quella vita umana che la teologia moderna, sia liberale che ortodossa, pone alla base della sua intera tesi neotestamentaria. 

79. Contro questa dichiarazione di ampio respiro, i vaghi riferimenti (anche se fossero molto meno vaghi) di Giustino alle Memorie degli Apostoli non possono essere chiamati in causa. Abbiamo visto che Giustino aveva una teoria secondo la quale l'Antico Testamento era un tipo elaborato, il cui anti-tipo doveva essere trovato nella storia cristiana; egli argomentava non dalla prospettiva della realtà, ma della necessità: Questo e quello dovevano essere accaduti, perciò accaddero. [7] La testimonianza di una simile tesi vale ben poco. Per di più la questione critico-testuale riguardante Giustino è vastissima e difficilissima. Le interpolazioni sembrano così estese che qualsiasi argomentazione tratta da lui solo deve essere accolta con estrema cautela. 

80. Riteniamo, allora, che lo stato d'animo generale rivelato negli Apologeti, come manifestato nel loro metodo praticamente uniforme di procedere nelle controversie con i loro interlocutori pagani, sia per sempre e totalmente inconciliabile con la tesi della vita umana. Se questi uomini seppero e accettarono la storia evangelica nel suo senso letterale, se credettero nella vita umana di Gesù come ci credono il cristiano e il critico moderni, allora a stento è possibile capire perché la ignorassero così assolutamente nei loro dibattiti con gli altri. La vera forza di questa argomentazione non può essere colta da nessuno che non conosca da vicino almeno una di queste apologie. Nessuna dose di citazioni sarà sufficiente. Il lettore prenda allora in mano una di esse, come Octavius, e la legga attentamente e si abbandoni alla reazione naturale; non avrà più alcun dubbio sulla correttezza generale delle proposizioni qui sostenute. 

81. Abbiamo divagato volutamente dalla tesi principale: ossia che il cristianesimo primitivo fu essenzialmente una rivolta contro gli dèi. L'argomentazione tratta dagli Apologeti può essere completata da una argomentazione simile tratta dagli Atti degli Apostoli, come, ad esempio, dal discorso di Paolo sull'Areopago. In questa famosa arringa i primi nove versetti si muovono proprio lungo le linee degli apologeti; non si tratta che dell'opposizione tra monoteismo e politeismo. Il decimo versetto (versetto 31) sposta il pensiero su un altro binario ed è irrilevante nel presente contesto. Dice Holtzmann (pag. 393): “Così anche il discorso di Paolo prende una svolta improvvisa al versetto 31”. Così come sta, esso è chiaramente non-storico. Però non è il caso di approfondire questa riflessione, dal momento che abbiamo dato una trattazione separata ed elaborata degli Atti (in una monografia non ancora pubblicata). 

82. Altrettanto importanti sono le considerazioni tratte dai Vangeli stessi. Nell'attività di Gesù e degli apostoli, come lì delineati, l'unico momento importante è la cacciata dei demoni. Così, nell'invio degli apostoli (Marco 3:14, 15): “Ne costituì Dodici......che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni”; (Matteo 10:1): “Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità”. Ancora, in Luca 10:17-20, quando i settanta (che certamente simboleggiano la missione generale tra i pagani) ritornano ed esclamano con gioia: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”, la risposta è: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore”. Sembra incredibile che si debba esitare un istante sul senso di queste parole. Quando rammentiamo il fatto che comunemente i primi cristiani ritenevano demoni gli dèi pagani e raffiguravano comunemente la missione di Gesù come l'abbattimento di questi dèi-demoni, sembra chiaro come il sole a mezzogiorno che questa caduta di Satana dal cielo non possa essere niente di meno (e come poteva forse essere qualcosa di più?) che la rovina definitiva del politeismo, il trionfo completo del Dio Unico Eterno. Sembra superfluo insistere su qualcosa di così chiaro. Tutto ciò che è necessario è che il lettore si soffermi per un momento su questi e altri passi simili, e lasci che il loro significato evidente si imponga alla sua mente. E si faccia pure la domanda quasi implicita: se non è questo il significato di questi versetti, allora quale è il loro significato? Quale altro possibile significato, che non sia banale, possono avere? Può un uomo razionale credere per un momento che il Salvatore abbia inviato i suoi apostoli e discepoli con tanta tremenda solennità per guarire i pochi pazzi che si aggiravano in Galilea? È questo il modo in cui il più sublime dei maestri avrebbe fondato la nuova e vera religione? E descriverebbe la guarigione di alcuni di questi disgraziati come la caduta di Satana dal cielo? Un'idea del genere non può suscitare il minimo rispetto o la minima attenzione. Ci sono studiosi che la sostengano davvero? Se sì, non ragioniam di lor. A questo punto, allora, la nostra tesi sembrerebbe così auto-evidente da non richiedere altro che una semplice dichiarazione. Nondimeno, è così estremamente importante nelle sue conseguenze che si è pensato di dedicare un paragrafo separato per la sua dimostrazione.

83. Possiamo anche guardare la questione da un altro punto di vista. Se per espulsione dei demoni si intende l'abbattimento degli dèi pagani, la loro espulsione dalla mente dei loro precedenti adoratori servili, allora questa possente missione, certamente di gran lunga la più grande che la nuova propaganda potesse proporre o potesse realizzare, e certamente senza ombra di dubbio la più importante tra tutte le sue conquiste effettive, questa missione suprema riceve nei Vangeli il riconoscimento più importante e perfettamente adeguato: sì, negli Atti 10:38 è specificata come la missione e azione del Gesù. Questo, dunque, è perfettamente ciò che dovremmo e dobbiamo aspettarci. Sembra del tutto inconcepibile che i primi propagatori di una nuova religione, che annientò tutte le altre, non facciano mai la minima allusione a nessuna di queste, ma rivolgano la loro principale attenzione alla guarigione di qualche malato, ad un'impresa meramente filantropica, priva di qualsiasi significato rilevante, e sprovvista di qualsiasi elemento o rilievo religioso di sorta. D'altra parte, se gli esorcismi sono presi alla lettera, se non simboleggiano la conquista degli dèi pagani, allora, in effetti, nei Vangeli, nella vita, nella morte e nell'insegnamento del Gesù, nella messa in posa della nuova fede, non troviamo nessun riferimento di alcun tipo al fatto sconvolgente dell'idolatria, all'effettivo stato di cose su cui la nuova religione fu molto più essenzialmente e volutamente interessata rispetto a qualsiasi altro. C'è, infatti, un'immensa apparente lacuna nel Vangelo, che va colmata, che è realmente e completamente colmata dall'ipotesi qui esposta, e che non può essere colmata in nessun'altra maniera concepibile. Sembra poco ragionevole esigere una verifica più rigorosa di un'ipotesi.  

84. Avanziamo ora di un passo e sosteniamo che è impensabile che un grande movimento religioso mondiale in quell'epoca non si fosse rivolto innanzitutto all'idolatria dominante. Quest'ultima, infatti, si poneva direttamente di traverso rispetto a qualsiasi riforma religiosa realizzabile. Era del tutto assurdo parlare di rinnovare la faccia della terra (“Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”) finché il politeismo dominante rimanesse intatto. Quale altra via immaginabile si apriva per Dio per “riconciliare il mondo a sé” se non quella di eliminare gli dèi pagani, scacciandoli dall'uomo verso i porci, la loro dimora naturale, e di farli sprofondare tutti nel mare? Da qui la sublime illustrazione di Marco 5:1-13. L'idea che Dio stesse riconciliando il mondo a sé mediante la conversione (a un sistema dogmatico incomprensibile) di alcuni individui qua e là è inesprimibilmente puerile; è, infatti, un Individualismo impazzito. Il pensiero e i progetti dei predicatori primitivi furono incomparabilmente più grandiosi. [8] Essi mirarono — magnificamente mirarono — al risanamento dell'intera società, almeno nei suoi aspetti religiosi; e questo comportò innanzitutto, come un sine qua non, l'abbattimento del politeismo. Alla luce di questo fatto, le Apologie, che rappresentano chiaramente l'approccio del cristiano e del pagano l'uno verso l'altro, diventano perfettamente comprensibili; anzi, vediamo chiaramente come fosse assolutamente necessario per loro che fossero proprio quelle che erano. Quando in età moderna sorge un riformatore pratico e zelante, non solo sognatore e speculativo, come Lutero o Calvino, oppure Knox o Fox, o persino Parker o Eddy, diventa inevitabile per lui assumere una certa posizione rispetto alla fede e al culto prevalenti. Così pure fu inevitabile nel caso dei primi propagandisti cristiani. E neppure ebbero la possibilità di scegliere la propria posizione. Il loro dogma monoteista si scontrò direttamente con l'idolatria del tempo e tra i due, fin dall'inizio, fu guerra all'arma bianca e ai ferri corti. Da qui l'intensità della lotta non appena la propaganda fu resa pubblica.

NOTE

[1] Ma sembra che sia stato nel pensiero di Giacomo, che dice (5:6): “Avete condannato e ucciso il Giusto; egli non può opporre resistenza”; e di Giustino, quando dice (Dialogo con Trifone 16b) : “Avete ucciso il Giusto”. Questo titolo, “il Giusto”, sembra risalire alla Repubblica, ma potrebbe essere stato trasferito da Israele.

[2] È degno di nota che il testo greco dice invero: “I giudei lo consegnarono a Pilato”, ma non il siriaco. Che il testo greco abbia sofferto in questo punto sembra corroborato dal fatto che esso è stato trasferito al capitolo 14 dalla sua giusta posizione nel capitolo 2. Appare altrettanto evidente che nel siriaco la descrizione originale dei cristiani consisteva di un'unica prima frase, come nelle descrizioni parallele di barbari, gentili ed ebrei. Il passo cristologico successivo sembra un'aggiunta postuma. Ma la questione critico-testuale è troppo intricata per una discussione qui. Consulta il lavoro approfondito di Geffcken, Zwei griechische Apologeten.

[3] ὅπως ἐκ τῆς πολυθέου πλάνης αὐτοὺς ἀνακαλέσηται.

[4] Ancor più tardi, Lattanzio. Si veda pag. 38, nota a piè di pagina.

[5] Per simili ardite identificazioni di queste Idee ed Entità, vedi Colossesi 2:2, “per giungere alla completa conoscenza del mistero di (del) Dio Cristo (τοῦ Θεοῦ Χριστοῦ); Tito 2:13, “nell'attesa della......manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”; Giuda 25, “all'unico Dio, nostro salvatore”. Così pure lo stesso Clemente, riferendosi ai Salmi 34:8, cita Paolo che esorta: “Gustate e vedete che il Cristo è Dio (ὅτι χριστὸς ὁ θεός).

[6] La loro testimonianza potrebbe essere riportata in maniera molto più estesa, ma non si tenta qui di presentarla integralmente.

[7] Persino un intellettuale così acuto e dotato come Origene diede all'argomentazione della profezia il primo posto, e Crisostomo, commentando Atti 2:16, dice che niente può essere più convincente, dal momento che essa “prevaleva persino sui fatti”. Se questi ultimi vengono contraddetti, tanto peggio per loro!

[8] Su questo punto la concezione di Ramsay della predicazione di Paolo presenta un importante elemento di correttezza.

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