domenica 12 maggio 2024

L'APOCALISSE — ELIMINAZIONE DI IPOTESI EMESSE

 (segue da qui)


II. ELIMINAZIONE DI IPOTESI EMESSE

Il Veggente che annuncia la rovina imminente di Babilonia ci fornisce su quella città criminale alcune precisazioni. Raccogliamole. Egli dice in 17:2:

È con lei che i re della terra hanno fornicato... (9). Le sette teste sono sette monti sui quali la donna è assisa... La donna che hai visto è la grande città che ha la regalità sui re della terra.

Quella Babilonia che domina su tutti i re della terra, che inocula in tutti loro l'idolatria (indicata sotto il simbolo della fornicazione), non può essere chiaramente la Babilonia storica che in quell'epoca era poco più che un ricordo. Siamo in presenza di un'allegoria. Ed è impossibile confondersi sul significato di quella allegoria, poiché i «sette monti» costituiscono una topografia unica. È Roma, la città dai sette colli, la padrona del mondo, che è indicata qui. È essa che il cielo distruggerà incessantemente per dare soddisfazione ai martiri che gridano vendetta. 

L'Apocalisse annuncia la distruzione imminente di Roma pagana. Si devono quindi scartare in quanto chimeriche tutte le interpretazioni che,  con sfumature molteplici, vedono nell'Apocalisse la storia anticipata delle tribolazioni della Chiesa, interpretazioni nelle quali, da molti secoli, si diletta l'esegesi cattolica. Ma si deve scartare anche l'interpretazione che è stata troppo a lungo cara all’esegesi protestante, che vede nell'Apocalisse una profezia diretta contro il papato. Tutti questi sistemi, non appena li si confrontano con i testi, svaniscono come sogni.

L'Apocalisse non si limita a dirci che Roma pagana sarà presto distrutta. Ci insegna anche come si farà quella distruzione. Già una prima informazione ci è fornita da 16:12 dove vediamo cosa fece uno degli angeli incaricati delle coppe dell'ira divina: 

«Il sesto versò la sua coppa sul grande fiume dell'Eufrate; e la sua acqua si prosciugò affinché la via dei re provenienti dall'Oriente fosse preparata». 

Secondo questo testo è da una regione situata al di là dell'Eufrate che devono provenire gli esecutori della vendetta divina. Per recarsi al loro lavoro essi avranno l'Eufrate da attraversare. La Provvidenza, a cui nessun dettaglio sfugge, prepara loro la via prosciugando il grande fiume. Quella informazione è completata da 17:12 dove si parla di dieci corna che sono dieci re e di una Bestia con la quale i re lavoreranno: 

«Le dieci corna che hai visto e la Bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno, la metteranno tutta nuda, mangeranno le sue carni e la faranno bruciare al rogo».

Da ciò segue che Roma sarà saccheggiata e poi incendiata da una Bestia venuta da un paese situato al di là dell'Eufrate e avente sotto i suoi ordini dieci re, più esattamente dieci capitani, perché il Veggente ci spiega (12) che i re non hanno ancora ricevuto la regalità.

Naturalmente si desidera sapere quale sia quella Bestia che deve venire dall'Oriente con la sua scorta di dieci capitani e che ridurrà Roma in cenere. Ecco cosa ci insegna il Veggente. La Bestia è l'Impero Romano (ciò secondo 13:2). Quella Bestia serve da cavalcatura per la donna prostituta, vale a dire per Roma (17:3). Essa ha sette teste, vale a dire sette imperatori (13:1; 17:9). Ciascuna di queste teste si identifica praticamente con l'impero che guida, vale a dire con la Bestia, sicché la Bestia che designa l'impero romano può designare anche un imperatore. È questo spettacolo che si presenta a noi in 17:6 dove si parla della Bestia che «era», che «non è più», che «deve risalire dall'abisso» e stupire gli uomini «perché era e non è più e riapparirà». Quella Bestia è uno dei sette imperatori (17:10):

«Cinque sono caduti, uno esiste, l'altro non è ancora venuto e, quando sarà venuto, deve restare per poco tempo. E la Bestia che era e che non è più, lei stessa, un ottavo imperatore, ed essa è del numero dei sette».

 Ed è proprio questo imperatore che, con la sua scorta di re, deve venire dalle profondità dell'Oriente per annientare Roma. A queste informazioni aggiungiamo la seguente che è fornita da 13:3:

«Ho visto una di queste teste come ferita a morte, ma la sua ferita mortale era guarita».

La testa in questione, che è un imperatore, è chiaramente identica alla Bestia che era, che non è più, che riapparirà e che deve ritornare per distruggere Roma. 

Riassumiamo. Roma sarà distrutta da uno dei suoi imperatori, più esattamente da uno dei suoi ex imperatori, vale a dire da un uomo che è stato a capo dell'impero, che non è più, che è stato ferito a morte, la cui ferita è guarita, e che ritornerà dall'Oriente con una scorta di capitani. Ecco quanto dice il Veggente. E le sue parole rassomigliano a una collezione di enigmi. Ora apriamo Tacito. Ecco quanto si legge nelle Storie 2:8 (traduzione di Bumouf): 

«Circa nello stesso tempo la Grecia e l'Asia furono spaventate dalla falsa notizia che Nerone sarebbe arrivato. I racconti contradditori che si facevano della sua morte avevano dato luogo  alla menzogna e alla credulità di supporlo vivo. Sorsero diversi impostori di cui racconterò nel corso di quest'opera i  tentativi e la catastrofe. Questi era uno schiavo del Ponto, o, secondo altri, un liberto d'Italia abile a cantare e a suonare la lira, talento che, unito alla rassomiglianza dei lineamenti, favorì il successo della sua frode... » 

Gli eventi di cui ci parla Tacito si svolsero nelle ultime settimane dell'anno 68. Consultiamo Svetonio. Ecco quanto dice (Nerone, 57, traduzione di Baudement): 

«Vent'anni dopo (la morte di Nerone), durante la mia giovinezza, un avventuriero che si vantava di essere Nerone, si fece tra i Parti, col favore di questo nome che era caro a loro, un partito potente, e ci fu restituito solo con molta difficoltà». 

Il contemporaneo di Svetonio, il retore Dione Crisostomo, ci dice che molta gente si raffigurò ancora Nerone vivo (Orazione 21, 10, hon ghé kai nun eti pantes épithumousi dzén, hoi de pleistoi kai oiontai.). I libri sibillini, 4:117-124; 137-139; 5:145, 363; 8:71) dicono che Nerone è tra i Parti e che presto ritornerà. Lattanzio (De Morte Persecutorum, 2) ci informa che, al suo tempo, diversi pensavano che Nerone fosse ancora in vita e che sarebbe ritornato per preparare le  vie all'Anticristo. A detta di Sulpicio Severo (Dialogo 2:14) san Martino di Tours credeva nel ritorno imminente di Nerone che doveva seguire l'Anticristo. Sulpicio Severo, parlando a nel suo proprio nome, esprime lo stesso sentimento (Historia sacra 2:29); applica addirittura a Nerone il testo dell'Apocalisse 13:3: et plaga mortis ejus curata est. Infine Agostino (De civitate Dei 20:19) parlando di Nerone dice: Unde nonnulli ipsum resurrecturum et futurum Antichristum suspicantur. Alii vero nec occisum putant sed subtraetum potius... et vivum occultari... donec suo tempore reveletur et restituatur in regnum. Agostino, del resto, respinge quella opinione; si limita a constatare che essa ha ancora dei sostenitori. 

Il fatto è acquisito. La morte di Nerone, che aveva avuto solo un numero molto limitato di testimoni e le cui circostanze erano rimaste misteriose, non ha trovato credito tra le masse popolari. 

Si è pensato che il mostro, ferito molto gravemente ma non morto, fosse sfuggito con la fuga ai suoi nemici, che aveva trovato un rifugio in Oriente, che sarebbe ritornato e si sarebbe vendicato. Quella leggenda, già formatasi alla fine del 68, si è mantenuta a lungo sotto forme diverse poiché, all'epoca di sant'Agostino, aveva ancora aderenti. Se ora si approcciano con la credenza popolare i testi dell'Apocalisse (13:3; 16:10; 17:1-16), essi si chiariscono immediatamente. La Bestia ferita a morte ma la cui ferita è guarita è Nerone che, malgrado il pugnale conficcato in gola, è ritenuto essere sfuggito alla morte. La Bestia che è stata, che non è più, che deve riapparire, è ancora Nerone che è stato imperatore, che non lo è più e che riprenderà le redini dell'Impero. I capitani che faranno scorta alla Bestia sono i generali dei Parti che si preparano ad appoggiare le rivendicazioni di Nerone. L'esercito dei Parti, nella sua marcia su Roma, incontrerà l'Eufrate; è quindi per permettergli di passare ce l'angelo preveggente prosciuga il letto del grande fiume. Infine la Bestia, che deve ridurre Roma in cenere, è ancora Nerone che già nel 64 ha appiccato il fuoco alla città imperiale e che ha pensato nel 68 di rinnovare la sua prima impresa (Svetonio, Nerone 16).

Chiariti dalla leggenda popolare i testi dell'Apocalisse diventano comprensibili. Privati ​​di quella luce, non sono altro che un grimorio informe. Come esiteremo a concludere che il nostro Veggente condivide la convinzione comune e che si aspetta di vedere presto Nerone seguito dai Parti a marciare su Roma per annientarla? 

L'Apocalisse, che sa che Roma sarà presto distrutta per vendicare il sangue dei martiri, sa anche che l'esecutore delle grandi opere della giustizia divina sarà Nerone. Siamo ora in grado di apprezzare la tesi di Bossuet che ritiene che l'Apocalisse annunci la distruzione di Roma da parte di Alarico, e quella di Grozio che vede in questo libro la predizione dello smembramento progressivo dell'Impero Romano da parte dei Barbari e del saccheggio di Roma da parte di Totila. Queste due interpretazioni e altre analoghe hanno il merito di applicare gli oracoli dell'Apocalisse alla Roma pagana. [1] Ma, perché scartano Nerone, riescono solo a identificare «la Bestia» al prezzo di espedienti inaccettabili e non hanno alcuna coerenza. Lasciamole quindi da parte e proseguiamo la nostra ricerca. 

Abbiamo visto che un angelo ha prosciugato il letto dell'Eufrate per permettere agli esecutori della vendetta divina di marciare su Roma, e abbiamo concluso che Nerone, quando procederà al compimento della sua missione partirà da un paese situato al di là dell'Eufrate. Quella conclusione, che è rigorosa, smentisce la tesi di Renan che abbiamo ora da esaminare. Renan (L'Antéchrist, pag. 410 e seguenti) spiega mirabilmente che «la Bestia» dei capitoli 13 e 17 dell'Apocalisse è Nerone. Da questo fatto deduce (pag. 355) che l'Apocalisse è stata lanciata al pubblico alla «fine di gennaio dell'anno 69». Lui dice persino (pag. XXI): «Si può determinare quella data in pochi giorni». Su cosa si basa tale precisione? Sui rapporti ristretti che, secondo lui, sono esistiti tra la stesura dell'Apocalisse e l'apparizione del falso Nerone di cui Tacito ci ha parlato. Questo impostore che, circondato da una banda di vagabondi, si fece passare per Nerone e intraprese la conquista dell'impero, fu ucciso nell'isola di Citno (dell'arcipelago delle Cicladi) in una data che non può essere posteriore ai primi giorni di febbraio 69. Renan, dopo averci messo sotto i nostri occhi questi dati storici, aggiunge (pag. 438): «Ci pare impossibile che queste righe (dell'Apocalisse) siano state scritte dopo la morte del falso Nerone da parte di Asprena. La vista del cadavere dell'impostore portato di città in città, la contemplazione dei suoi lineamenti estinti dalla morte, avrebbero parlato troppo chiaramente contro le apprensioni del ritorno della Bestia il cui autore è posseduto. Ammettiamo quindi volentieri che Giovanni, sull'isola di Patmos, fosse a conoscenza degli eventi dell'isola di Citno, e che l'effetto prodotto su di lui dalle strane voci fu la causa principale della lettera che scrisse alle chiese dell'Asia per insegnare loro la grande notizia del Nerone risorto».

In due parole, secondo Renan la Bestia di cui l'Apocalisse annuncia il ritorno, è il falso Nerone dell'isola di Citno che cominciò a smuovere l'opinione pubblica nel gennaio 69 e che fu ucciso nei primi giorni del mese successivo. Il nostro Veggente ha potuto conoscere questo impostore solo nel momento in cui costui aveva dato ai suoi progetti un principio di esecuzione, il che non ebbe luogo prima della metà di gennaio 69. E non ha potuto continuare a credere al ritorno della Bestia a partire dal giorno in cui questa fu uccisa, cosa che ebbe luogo all'inizio di febbraio. L'Apocalisse ha dunque fatto la sua apparizione «alla fine di gennaio 69». Esaminiamo il risultato ottenuto da Renan. Il risultato è che la Bestia di cui l'Apocalisse annuncia il ritorno è il falso Nerone dell'anno 69. Non si può desiderare nulla di più preciso. Il confronto con il testo dell'Apocalisse ci dirà se l'accuratezza è all'altezza della precisione. Nell'Apocalisse i capitani, che si sono messi al servizio della Bestia, provengono da un paese situato al di là dell'Eufrate, ed è da questo stesso paese che viene anche la Bestia, poiché ha questi capitani sotto i suoi ordini (16:12; 17:12-13). Il falso Nerone dell'anno 69 non risiede al di là dell'Eufrate; nemmeno i suoi capitani, intendo dire i vagabondi che lo circondano. Tutta la banda si è imbarcata in un porto dell'Asia Minore e ha fatto vela verso la Siria o verso l'Egitto; ostacolata dalla tempesta ha trovato un rifugio nell'isola di Citno; attende solo un'occasione favorevole per partire. In quella avventura l'Eufrate non ha alcun posto. La Bestia che Renan ci presenta non corrisponde alla Bestia che ci presenta l'Apocalisse.

 Quando il totale di un'addizione è inesatto, ciò è dovuto al fatto che vi è da qualche parte un errore nei calcoli. Renan si è ingannato nei suoi calcoli. Lui che ha visto bene che la Bestia dell'Apocalisse è Nerone, la ha in seguito identificata a torto con il falso Nerone del 69. Da dove viene quell'errore? Era quindi più difficile trovare e stabilire altre identificazioni? No. In ogni caso poiché Svetonio ci informa che quasi vent'anni più tardi, nell'anno 88, un altro impostore rifugiatosi tra i Parti e appoggiato da loro si fece passare per Nerone, Renan avrebbe dovuto studiare quella seconda identificazione, calcolarne i vantaggi e gli inconvenienti. Non lo ha fatto. Non ha sospettato la possibilità di alcuna ipotesi a parte il falso Nerone del 69. Ancora una volta da dove viene quell'errore? 

Da due cause. Innanzitutto dal legame che Renan ha immaginato tra la stesura dell'Apocalisse e l'odioso massacro dei cristiani al quale si abbandonò Nerone nell'anno 64. Raccogliamo i commentari che accompagna il racconto di questo crimine mostruoso: (pag. 178) «Roma, resa responsabile di tutto il sangue versato, divenne come Babilonia una sorta di città sacramentale e simbolica (riferimento all'Apocalisse 18:24; 19:2)... Non c'era più da dubitare; l'Anticristo, il Cristo del male, esisteva. L'Anticristo era questo mostro dal volto umano...»; pag. 202. «Il sanguinoso episodio dell'agosto 64 aveva eguagliato in orrore i sogni più atroci che un cervello malato potesse concepire. Per parecchi anni la coscienza cristiana ne sarà ossessionata...»; pag. 206 «Efeso sarà il punto dove il risentimento per gli eventi dell'anno 64 sarà più forte. Tutto l'odio per Roma vi sarà concentrato; da lì partirà, in quattro anni, l'invettiva furibonda con la quale la coscienza cristiana risponderà alle atrocità di Nerone».

 Renan ha visto soprattutto nell'Apocalisse il grido di orrore lanciato dai cristiani in seguito al massacro del 64. Ha compreso bene peraltro che una simile protesta non era minimamente spiegabile venti o trent'anni dopo il crimine e che i martiri del 64 non avevano dovuto aspettare i dintorni del 90 o del 100 per gridare vendetta al cielo. È quella deduzione che lo ha portato alla data del 69. E certo la deduzione non manca di rigore; ma poiché porta a un risultato errato, siamo autorizzati a concludere che la premessa è falsa. No, l'Apocalisse non è «l'invettiva furibonda con la quale la coscienza cristiana» ha risposto «alle atrocità di Nerone»; e i martiri che (6:10) fanno appello alla vendetta divina non sono i martiri cristiani dell'anno 64. 

L'errore di Renan ha per seconda causa l'interpretazione che dà a 17:10: «(Le sette teste sono sette monti...) Sono anche sette re: cinque sono caduti, uno esiste, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto deve restare poco tempo». Renan ci spiega molto dottamente a pag. 407, 432 che gli antichi includevano Giulio Cesare nella lista degli imperatori; che i cinque imperatori caduti sono quindi Giulio Cesare, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio; che Nerone, che è il sesto, sarà anche l'ottavo menzionato dal versetto 22; e che il Veggente scrive sotto il regno di Galba. Renan tratta l'autore dell'Apocalisse come uno storico i cui testi devono essere interpretati secondo le regole del metodo storico. È lì il suo errore. Il Veggente è un apologeta che piega la Storia alle esigenze delle sue tesi. Ha bisogno di sette imperatori perché ha assunto in principio che i sette colli della città imperiale simboleggiassero i detentori dell'impero. Per ritrovare il suo numero prende consiglio solo dal suo interesse. Scarta dalla lista tutti i nomi che lo intralciano, e costruisce per il suo uso una lista che abbia il merito di essergli utile. Non si deve dunque domandare ai testi 17:10-11 di informarci sulla data dell'Apocalisse. È il metodo opposto che va seguito. Cerchiamo dapprima, senza tener alcun conto di 17:10-11, in quale data l'Apocalisse è stata scritta. Quella data, una volta trovata, ci servirà a interpretare 17:10-11. 

Nerone è la Bestia che deve ritornare per distruggere Roma. È lui che è stato investito di quella missione. E quando sarà giunta l'ora di compierla, partirà, seguito dai suoi luogotenenti, da un paese situato al di là dell'Eufrate. Proprio il falso Nerone dell'88, quello di cui parla Svetonio, risiedeva al di là dell'Eufrate; egli dimorava tra i Parti, aveva il loro appoggio. E, a partire dall'88, il soggiorno di Nerone tra i Parti costituisce parte integrante della leggenda del suo ritorno. Si attende la Bestia e si sa che verrà dai paesi situati al di là dell'Eufrate. Abbiamo quindi il diritto di affermare che l'Apocalisse o intravvede il falso Nerone dell'88, oppure utilizza la leggenda del ritorno di Nerone pervenuta alla sua seconda fase. Nella prima ipotesi essa è stata scritta nell'88. Nella seconda la sua composizione non può essere collocata prima, intorno al 90; ma potrebbe essere fatta risalire molto più tardi. Spetta ai testi decidere. Esaminiamo i testi. 

Nei primi versi del capitolo 13, il Veggente parla della Bestia che qui è l'impero romano. Ce la mostra dapprima (5 e 6) mentre proferisce bestemmie contro Dio che le ha dato piena libertà di azione per quarantadue mesi. Dopodiché leggiamo (7): «E le fu concesso di fare guerra ai santi e di vincerli». Dunque la Bestia, vale a dire l'impero romano, ha fatto ai santi la guerra, una guerra vittoriosa nella quale il Veggente crede di riconoscere l'adempimento di una profezia di Daniele 7:21, perché lui attinge dal suo testo.

NOTE

[1] Grotius, Annotationes ad Apocalypsim, 17, 16, Opera III, 1217, Londra, 1679; Bossuet, L'Apocalypse avec une explication. Prefazione, 7, 10 e commentario.

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