martedì 30 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AGLI EBREI (Ma non senza farle importanti concessioni)

 (segue da qui)


5. Ma non senza farle importanti concessioni

L'Epistola agli Ebrei, nello stesso tempo in cui insegna l'incarnazione del Cristo, ci insegna anche che il Dio che ha istituito la legge mosaica è lo stesso Dio che ha inviato il Cristo. Essa combatte Marcione. 

Ora che questo fatto è acquisito, notiamo il testo 2:14-15 che, dopo aver proclamato l'incarnazione del Cristo, aggiunge: «Affinché, mediante la morte, egli annientasse colui che ha il potere della morte, vale a dire il diavolo, e liberasse coloro che, per paura della morte, erano tenuti, durante la loro vita, in schiavitù». Apprendiamo qui che la morte del Cristo è stata destinata a rovinare l'impero del diavolo (o addirittura ad annientare il diavolo) che ha il potere della morte. Ma nei capitoli 5 e 9 leggiamo che il Cristo è morto per rispetto della legge mosaica che prescriveva al sommo sacerdote di offrire sacrifici, che faceva le purificazioni mediante i sacrifici e che, peraltro, è stata inaugurata con l'effusione del sangue. I capitoli 5 e 9 danno della morte del Cristo due spiegazioni che si armonizzano l'una con l'altra, che si completano anche l'una con l'altra. Il testo 2:14-15 ce ne presenta una terza che non si concilia con quelle che ci presentano 5 e 9.

Ma da Marcione si diceva che il Cristo fosse morto per rovinare l'impero del Creatore, per sottrarre al suo potere gli uomini che egli si accaniva a far morire. Il testo 2:14-15 che, paragonato alle dissertazioni dei capitoli 5 e 9, fa l'effetto di un masso erratico, è uscito dalla scuola di Marcione. E constatiamo che il nemico è penetrato almeno una volta nella fortezza che doveva fermarlo. 

Proseguiamo la nostra inchiesta. Si è visto lo spazio considerevole che le istituzioni mosaiche occupano nell'epistola agli Ebrei. Si è visto che, sotto la penna dell'autore, sono queste istituzioni a rendere conto del sacerdozio del Cristo e della sua morte cruenta trasformata in sacrificio. Ma leggiamo in 6:20; 7:11, 12, 18 che il Cristo è sommo sacerdote, non secondo l'ordine di Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedec, che il sacerdozio è stato cambiato nella persona del Cristo, che questo cambiamento del sacerdozio suppone necessariamente un cambiamento della legge, e che vi è così abolizione dell'ordinanza precedente a causa della sua «inefficacia e della sua inutilità». Altrove ancora, in 8:7, 13, apprendiamo che la prima alleanza è stata sostituita da una seconda, che è l'alleanza antica, vale a dire, che ha cessato di esistere. Ma se il Cristo è venuto ad abolire le istituzioni mosaiche, perché ha tenuto, perfino a prezzo del suo sangue, a mettersi in  regola con loro? Perché ha voluto essere sommo sacerdote ed esercitare, a proprie spese, le funzioni del sommo sacerdote mosaico? Perché ha versato il suo sangue col pretesto che l'alleanza mosaica era stata inaugurata dal sangue? Non si ha tanto rispetto per le istituzioni che si giudicano inutili e che si vuole abolire. Tra questa abrogazione e quella preoccupazione per la continuità nei ruoli, vi è una contraddizione che deve essere l'opera di un'influenza esterna. Ma proprio da Marcione si insegnava che Gesù era venuto ad abolire la legge mosaica. Ecco l'influenza esterna che ha introdotto la contraddizione nei nostri testi. E constatiamo per la seconda volta che l'epistola agli Ebrei ha dato ospitalità al nemico.

Non vi è motivo di ricorrere a una dualità di redazioni per rendere conto dei nostri testi. È una questione di mentalità. Quando Marcione cominciò a propagare le sue tesi, esse furono dapprima respinte in blocco negli ambienti cattolici. È con questo stato d'animo che è stato scritto il testo 5:17 di Matteo: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge e i profeti; non sono venuto ad abolirli, ma per realizzarli». A poco a poco, però, l'intransigenza fece posto ad un eclettismo più o meno audace. Pur rifiutando i principi dell'eresiarca, si accolsero certi suoi postulati e li si adattò come meglio si poté nei contesti tradizionali, anche a costo di distorcere questi e quelli. 

È a quella scuola che appartiene l'epistola agli Ebrei. L'autore ha subìto l'influenza di Marcione e ha assimilato alcune delle sue tesi. Egli crede che il Cristo abbia abolito la legge mosaica, che la morte del Cristo sia stata destinata ad annientare l'impero del diavolo sugli uomini. Ma avrebbe orrore di dire che la legge mosaica, opera malvagia del Dio malvagio, sia stata abolita dal Dio buono di cui il Cristo è la manifestazione, e che il diavolo sia il Dio malvagio di cui il Dio buono, nella persona del Cristo, ha rovinato l'impero. Il diavolo, come lo concepisce, è una creatura angelica rivoltatasi contro Dio; ha cessato di essere il Dio creatore. Quanto alla legge mosaica, essa è stata abolita, non in quanto cattiva, ma in quanto inutile; e la sua abrogazione è stata decretata dallo stesso Dio che l'aveva istituita. Insomma l'autore dell'epistola agli Ebrei fa dell'eclettismo e dell'adattamento, vale a dire della deformazione.

Fin dove si spinge l'eclettismo? Ecco quanto ci resta da vedere. In 12:23 si parla degli «spiriti dei giusti arrivati alla perfezione». L'autore crede quindi che le anime dei cristiani defunti siano, sin da ora, in cielo in compagnia di Dio, perché la parola tétélêïômenôn non può avere un altro significato (se i «primogeniti» sono, com'è probabile, i cristiani della prima generazione, anch'essi sono sin d'ora in cielo). 

Anche se ammettesse la resurrezione, egli sarebbe ancora lontano dalla scuola di Giustino e di Ireneo che vietano, sotto le minacce più gravi, di introdurre le anime dei cristiani in cielo immediatamente dopo la morte (Giustino, Dialogo 80:4, rifiuta il titolo di cristiani a coloro che dicono che le anime dei giusti vanno in cielo immediatamente dopo la morte. Ireneo, 5:31, 1, tiene un linguaggio analogo). Ma egli non ammette la resurrezione. 

Senza dubbio, da molto tempo, i teologi associano il dogma della resurrezione al dogma dell'ingresso delle anime dei giusti in cielo immediatamente dopo la morte; essi dicono che le anime dei giusti godono fin d'ora della visione di Dio, e che ritorneranno nondimeno un giorno sulla terra per cercare i loro corpi e portarli nella patria celeste. Ma primitivamente si ebbe un'opposizione irriducibile tra le due dottrine, perché l'ingresso immediato delle anime dei giusti in cielo fu proprio proclamato in odio alla resurrezione dei corpi. E la transazione artificiale immaginata per associarle è posteriore. L'autore dell'epistola agli Ebrei è della scuola alla quale apparterranno di diritto: Clemente di Alessandria e   Origene. Questo cattolico ha attinto da Marcione il disprezzo per la credenza nella resurrezione dei corpi. [1]
Il suo eclettismo va ancora più oltre? Esaminiamo 2:14 e 9:11. In 2:14 leggiamo che il Cristo ha partecipato al sangue e alla carne paraplésiôs. Cosa vuol dire questo termine? A credere ai commentatori, esso introduce l'idea di una partecipazione al sangue e alla carne esattamente simile alla nostra. Ma in realtà paraplésiôs esprime solo una somiglianza approssimativa. Si è quindi autorizzati a dire che il senso del testo sia questo: «Siccome i figli partecipano al sangue e alla carne, ha partecipato lui stesso in qualche modo». E quella interpretazione non è combattuta da 2:17 che dice che il Cristo «ha dovuto rassomigliare in tutto ai suoi fratelli», perché quella rassomiglianza «in tutto» può essere allo stesso tempo una rassomiglianza «in qualche modo».

In 9:11 leggiamo: «Il Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, è passato attraverso il tabernacolo migliore e più perfetto, che non è costruito da mano d'uomo, vale a dire che non è di questa creazione, ed è entrato una volta per tutte nei luoghi santi...» L'autore, che ha appena descritto i riti compiuti dal sommo sacerdote dell'antica legge, dice che il Cristo, sull'esempio del sommo sacerdote mosaico, ha attraversato, anche lui, un tabernacolo ed è entrato in seguito nei luoghi santi. I «luoghi santi» in questione sono chiaramente il cielo che, peraltro, è indicato a chiare lettere in 9:24: «Il Cristo non è entrato nei luoghi santi fatti da mani d'uomo, immagini di quelli veri, ma nel cielo»

Non può esserci più alcun dubbio serio sul «tabernacolo» attraverso il quale il Cristo è passato per fare il suo ingresso in cielo. Quel tabernacolo — nel quale i commentatori del Medioevo si ostinavano a vedere o il cielo o la Chiesa — è necessariamente il corpo del Cristo. 

Ma ci viene detto che quel tabernacolo non è stato costruito da mani d'uomo, «vale a dire, non è di questa creazione». Si obietterà che vi sia qui un'allusione al concepimento verginale del Cristo? Ma chi è il teologo che oserebbe sostenere che il corpo concepito miracolosamente da Maria sia estraneo alla creazione? Non può esserlo, poiché Gesù ci è presentato come un discendente di Adamo, di Abramo e di Davide. 

L'espressione «non di questa creazione» si applica solo ad un organismo che non deve nulla alla carne di Maria. Il Cristo dell'epistola agli Ebrei non è il Cristo spirituale di Marcione, poiché egli ci ha salvati mediante il suo sangue. Egli ha dovuto avere un'infanzia e passare per il grembo di Maria, poiché ci viene detto (7:14) che egli è uscito da Giuda. Ma il suo corpo non apparteneva a «questa creazione», il suo sangue non era un sangue comune, un sangue volgare (10:29, minacce proferite contro coloro che dicono che il sangue dell'alleanza, mediante il quale essi sono stati santificati, sia «volgare», perché pensare così equivale a calpestare il Figlio di Dio). Questo corpo e questo sangue provenivano dal cielo, e il grembo di Maria è stato solo il canale per il quale essi sono passati per venire su questa terra. L'autore della nostra epistola ha subìto l'influenza del discepolo di Marcione, Apelle, il cui Cristo era entrato nel grembo di Maria con un corpo portato dal cielo. Questo fatto non deve sorprenderci troppo. È capitato spesso agli apologeti di assorbire le dottrine che combattevano. E, poiché siamo nella cristologia, ricordiamoci che il Cristo di Clemente Alessandrino e di Ilario di Poitiers era per metà spirituale.

Il Cristo dell'epistola agli Ebrei, che è il riflesso della gloria di Dio, l'impronta della sua sostanza, per cui Dio ha creato i mondi e che, in una parola, sostiene tutte le cose, è di gran lunga superiore agli angeli. D'altronde egli è il figlio di Dio e, nei salmi, ha ricevuto il titolo di Dio (controsenso della Septuaginta). D'altra parte, durante i giorni della sua vita mortale, egli ha supplicato Dio con lacrime di salvarlo dalla morte (5:7). È per mezzo di Dio che è stato riportato dai morti (13:20); dopo la sua resurrezione ha ricevuto un «supplemento» di gloria (11:10), e ha preso posto alla destra della maestà divina (1:3; 8:1; 10:12; 12:2). Malgrado i titoli di cui è dotato, il Cristo dell'Epistola agli Ebrei è il subordinato di Dio, che gli dà ordini e lo ricompensa quando i suoi ordini sono eseguiti. Non dimentichiamo d'altronde che, in Clemente Romano 33:4, l'uomo è «l'impronta dell'immagine» di Dio. Insomma, il Cristo dell'epistola agli Ebrei è simile al Cristo di Clemente Romano che, a sua volta, è subordinato a Dio; simile al Cristo di Clemente di Alessandria che a sua volta è in parte spirituale.

NOTE
[1] In 11:35 dove si parla di uomini che desideravano «una migliore resurrezione» Estio riconosce che, sotto la penna dell'autore, la parola «resurrezione» è una metonimia che serve a indicare la vita. 

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