sabato 21 ottobre 2023

«Resurrezione dei corpi» e «immortalità dell'anima»

 (segue da qui)

§ 105) «Resurrezione dei corpi» e «immortalità dell'anima». — In contrasto colla concezione sadducea più antica, la concezione farisaica più recente aveva assimilato dalle credenze zoroastriane (dopo che il decreto di Ciro aveva reso gradito ai Giudei tutto ciò che era persiano), il concetto di una resurrezione dei corpi. Tale resurrezione avrebbe dovuto aver luogo al termine delle cose create, dopo un giudizio finale e universale, al quale avrebbe dovuto presiedere lo stesso Dio. 

Come è manifesto però, il concetto di «resurrezione dei corpi» era cosa diversa dal concetto di «anima immortale». Nella «resurrezione» era credenza che l'uomo, morendo, andasse al luogo del riposo (cimitero), dove sarebbe rimasto dormiente, finchè la tromba del giudizio non l'avesse chiamato al risveglio. La credenza invece nell'anima immortale implicava il concetto di un «luogo purissimo» extra-terreno, nel quale le anime, appena liberate dei corpi, sarebbero ritornate, e nel quale sarebbero state esenti da ogni disgrazia.

Il neo-messianismo zelota, diventato prima galileismo e poi cristianesimo, coltivava entrambe le dette credenze, ora fuse insieme, ed ora separate. Giacché il Maestro di Galilea aveva predicato, primo in Palestina, il concetto di «anima immortale» (come Giuseppe Flavio ci attesta, riportando il discorso di Eleazaro di Giairo). Per altro, sapendo noi che il pensiero galileo era derivazione del pensiero farisaico, nel quale l'idea di resurrezione dei corpi era di norma, è naturale che anche quest'idea fosse patrimonio del Galileismo. Senonché, mentre gli Zeloti di Giudea, morto il Maestro, avevano coltivato con prevalenza l'idea di «immortalità dell'anima», i Galilei della diaspora, verisimilmente a causa della predicazione di Paolo, che sappiamo essere stato un Fariseo (Atti, XXIII, 6), coltivavano con prevalenza l'idea di «resurrezione dei corpi».

Ed invero i primi cristiani chiamarono cimiteri (coemeteria) i luoghi dove custodivano i cadaveri: come a dire «luoghi del riposo», o «del sonno» (da Koimào = dormo). Era infatti loro credenza che il defunto dovesse in quei luoghi dormire, fino a quando, giunta la fine del mondo, le sacre tombe non lo avessero chiamato al cospetto di Dio. [1] Il concetto escatologico quindi era legato, nel primo Cristianesimo, al concetto di fine del mondo. [2] Al quale proposito è utile richiamare la dottrina di Paolo, quale si trova esposta nella prima ai Tessalonicesi (IV, 13-18).

Da tale epistola si rileva che i fedeli di Tessalonica — i quali si erano convertiti al messianismo di Paolo nella fiducia che la seconda venuta del Gesù sarebbe stata imminente, e che essi sarebbero stati trasportati da Gesù stesso in Cielo — vedendo trascorrere i mesi e gli anni, e vedendo morire molti dei fratelli, temettero che l'evento promesso non avrebbe avuto luogo, e che i oro morti avrebbero finito coll'imputridire in una vana attesa. A questi uomini di poca fede così rispose l'apostolo: «Non vogliamo noi, o fratelli, che voi continuiate a rimanere nell'ignoranza, circa la sorte di coloro i quali sono entrati nel sonno della morte ... Vi diciamo dunque, con la parola del Signore, che noi stessi, che sopravviviamo per attendere la venuta del Signore, non prevarremo sugli altri che già dormono. Giacché il Signore stesso, al momento opportuno, alla voce dell'Arcangelo ed allo squillo della tromba divina, scenderà dal Cielo, ed allora quei nostri fratelli, che sono morti in Cristo, risorgeranno per primi, e noi, rimasti vivi, saremo dopo di essi, e saremo rapiti insieme nelle nuvole, per muovere incontro al Signore, e per restare poi sempre col Signore». [3]

Da questa esposizione apparirà manifesta la promessa del premio immediato, assicurato da Paolo ai suoi fedeli. [4] Più tardi però si constatò che la promessa fine del mondo non arrivava, e l'attesa della resurrezione diventava snervante per i vivi, mentre i morti si decomponevano, in un sonno che inutilmente attendeva il risveglio. Opportuna pertanto giungeva allora la fusione tra l'elemento galileo-zelota e l'elemento paolista. Fu per questo che — abbandonatosi a poco a poco il concetto di resurrezione materiale — fu ripreso il concetto di immortalità dell'anima, e immediata vita d'oltretomba, già predicato da Giuda Galileo, cominciandosi ad elaborarlo, in conformità col pensiero mitraico e zoroastriano. Appunto in conseguenza di ciò, le idee di Paradiso e di Inferno, comuni al Zoroastrismo ed al Mitraismo, si sostituirono a poco a poco nel Cristianesimo alle idee di sonno in attesa della resurrezione, sostituendosi da ultimo alla «resurrezione» stessa. [5]

Aggiungiamo che lo Zoroastrismo conosceva, oltre ad un luogo di premio e ad un luogo di pena (per un periodo limitato però), anche un terzo luogo, dove le anime stavano senza premio e senza pena. Esso era chiamato Hamestegan, e diede al Cristianesimo gli estremi del suo Limbo[6] Non conosceva lo Zoroastrismo l'istituto del Purgatorio il quale deve ritenersi di marca prettamente latina. [7]

NOTE

[1] Cfr. i noti versi danteschi:

Ciascun ritroverà sua triste tomba,

Riprenderà sua carne e sua figura,

Udirà quel che in eterno rimbomba.


[2] Cfr. Matteo, XXII, 23 e segg., in relazione a X, 7; Paolo, I Corinti, XV, 29 e segg.

[3] Cfr. Paolo, I Tessal., IV, 16.

[4] I Corinti, XV, 13-32.

[5] Chiariamo qui che nell'esporre il processo di formazione dell'idea cristiana, noi non accenniamo agli urti tra le varie tendenze che miravano ad apportare, ed in effetti apportavano, elementi sempre nuovi all'idea originaria.

[6] Vedi Avesta, Ediz. Immortali XCI, Milano, p. 109.

[7] Secondo l'Ellero (Vita dei popoli, Torino 1925) l'istituzione del Purgatorio nel Cristianesimo deve considerarsi l'operazione finanziaria più colossale che sia mai stata concepita, poiché da essa smisurate ricchezze dovevano derivare e sono derivate alle classi sacerdotali.

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