(segue da qui)
CAPO SESTO
RICOSTRUZIONE STORICA
XXIV. — IL MAESTRO
§ 80) Viaggi e predicazione. — Avendo individuato nella Storia i personaggi principali che ebbero a dar vita alla tradizione cristiana, cercheremo adesso, anche al lume della leggenda, di ricostruire storicamente la vita dei personaggi stessi, e ricostruire nei suoi sviluppi l'idea-seme, dalla sua origine, fino all'assorbimento di tutte le altre idee dominatrici del tempo.
Il Maestro nacque a Gamala, [1] villaggio sito sulla sponda meridionale del cosiddetto «Mare di Galilea» (Lago Tiberiade), laddove il Giordano riprende il suo corso verso Sud, dopo essersi confuso col lago. L'anno della sua nascita fu verosimilmente il 725-726 di Roma (27-28 av. E.V.): l'epoca cioè del primo censimento generale ordinato da Augusto per tutto l'impero, mentre il nome impostogli fu Giuda, molto in uso fra gli Ebrei, perché quello del più famoso tra i figli di Giacobbe.
Nulla dice lo storico circa la sua famiglia. Dalla tradizione però sappiamo che il padre di lui era un falegname: apparteneva cioè a quell'artigianato, che, nei piccoli paesi d'Oriente, come Gamala, aveva rappresentato e rappresentava l'elemento «notabile» della popolazione.
Infatti non bisogna dimenticare che nei villaggi rurali, quali erano allora tutti i piccoli centri di Palestina, la grande massa del popolo era costituita da quella classe di persone, che noi chiamiamo oggi contadini e pastori, ma che non diversificava dai veri e propri servi della gleba: povera gente cioè, che andava al mattino per i campi a lavorare le proprietà dei ricchi, in prevalenza sacerdoti, o a pascerne gli armenti, ritornando la sera stanca ai desolati tuguri, oppure sostando nelle capanne sparse. Al villaggio, durante il giorno, restavano i notabili, cogli artigiani (taluni dei quali discendenti da famiglie sacerdotali); e mentre alle masse rurali era pressoché inibito ogni conforto spirituale, non potendo esse frequentare la «casa della riunione», detta, alla greca, «sinagoga» ed iniziarvi lo studio della «Legge», ciò era invece comune ai figli degli artigiani, che, risiedendo nel villaggio, potevano frequentare la scuola tenutavi dal Rabbino. Non si pensi dunque, quando si afferma che il «Maestro» era figlio di un artigiano, ch'egli appartenesse agli strati inferiori del popolo, perché appunto come tale egli era stato allevato nell'ambiente più elevato del villaggio.
Come figlio di falegname, è probabile che il giovane, nella sua prima adolescenza, si sia esercitato nel mestiere paterno. La sua inclinazione meditativa però, simile a quella che si svilupperà più tardi nel cugino Giovanni, lo portava ad allontanarsi spesso dal suo banco, ed anche di queste assenze la tradizione ci fornisce elementi non dubbi. I primi anni pertanto egli deve averli trascorsi sulle rive del Giordano, peregrinando — come più tardi farà il Battista — per i terreni paludosi, che si stendono ai piedi delle alture di Gamala. Ed appunto colà, l'estrema miseria del paese e le condizioni dei molti sciagurati, che in quelle plaghe inospitali conducevano vita da bruti, avranno influito sullo spirito meditativo di lui, determinando quel suo amore per gl'infelici, che più tardi impronterà la sua predicazione.
Ben presto però, la sete di conoscere, che diventava in lui sempre più prepotente, e forse il desiderio di allontanarsi da quelle contrade, che gli causavano sofferenze morali, lo indussero a lasciare il villaggio nativo, per le contrade più ridenti della Galilea, dove avrebbe potuto offrire più materia, al proprio spirito anelante e assimilatore. Ed appunto allora forse, avendo egli lasciato Gamala per peregrinare in contrade nuove e lontane, sarà stato chiamato «Gamaliel», dal nome del villaggio nativo. [2]
Ma neppure in Galilea egli poteva, a lungo andare, trovar modo di soddisfare la sua brama di conoscere. A Giotapata od a Gadara avrà potuto egli apprendere i testi della Legge e sentire qualche Rabbi isolato; forse, sostando anche a Cesarea, la nuova città ellenistica, avrà potuto essere iniziato nei misteri della Kabala, associazione esoterica questa, nella quale il pensiero apocalittico era visto con molta simpatia, e che certamente non sarà stata estranea all'organizzazione dei successivi moti messianici. [3] Ma ben altre erano le aspirazioni del giovane, mentre i mercanti, che venivano dal lontano Oriente, portavano a lui notizie di luoghi raccolti e pii, dove gravi sacerdoti — che ora si chiamavano «Magi», ora si chiamavano «Yogi» — rivelavano agli adepti i misteri della vita universale, e dove le cognizioni molteplici, ch'era possibile apprendere, soddisfacevano lo Spirito, e cooperavano alla salute del corpo.
L'Oriente lontano pertanto lo attrasse ben presto, ed egli intraprese quel lungo viaggio, che per oltre dieci anni doveva portarlo a peregrinare per i conventi più noti d'India e di Persia, e per le scuole più addestrate nelle dottrine esoteriche del tempo. E poiché il Maestro usciva dalla Galilea dopo vari anni di permanenza, per avviarsi verso nuove regioni e nuovi paesi, era naturale che cominciasse da allora a distinguersi tra gli estranei, col nome della regione da cui proveniva. E fin d'allora gli sarà stato riconosciuto il soprannome di «Galileo», rimastogli poi per tutta la vita, e con il quale è passato alla Storia.
In verità, non crediamo possa dubitarsi del suo viaggio, e della sua lunga permanenza in Oriente. Ciò emerge anzitutto dalla prova negativa che ci dànno i Vangeli canonici, i quali nulla dicono del «Gesù» circa il periodo che va dal suo tredicesimo al trentesimo anno, dal che è necessario dedurre che in tale periodo egli era stato lontano dai luoghi, nei quali la tradizione sui fatti di lui venne da ultimo raccolta. Perché se egli fosse vissuto sempre in quei luoghi, qualche episodio della sua giovinezza avrebbe pur dovuto essere registrato dalla tradizione. E poiché altri «Vangeli» — rifiutati in seguito dalla Chiesa perché non rispondenti al principio religioso da essa successivamente accettato — rivelano tracce d'influenza indiana e persiana nel cristianesimo primitivo, deve presumersi che il Maestro, negli anni dei quali i Vangeli canonici tacciono, abbia peregrinato, oltre che nella Galilea, nei vasti paesi di Persia e d'India, visitandone e frequentandone le scuole esoteriche, allora colà molto numerose. [4]
Sappiamo d'altra parte che a quel tempo era una caratteristica comune ai filosofi, e sedicenti tali, quella di viaggiare per l'Oriente. Può dirsi anzi che non sia esistito un pensatore, che non abbia viaggiato in quelle regioni, per tentare di apprendervi le dottrine, che venivano insegnate in tutte le scuole e monasteri di quelle contrade. [5] Né va dimenticato che tutti gli insegnamenti, che oggi chiameremmo universitari, avevano allora carattere esoterico o misteriosofico. Le scuole infatti non erano altro che associazioni, nelle quali gli adepti entravano soltanto dopo riti iniziatici più o meno complicati, e dopo giuramenti che li obbligavano a non rivelare ad alcuno ciò che avrebbero appreso. [6] Le scuole upanishadiche in India, i misteri Orfici ed Eleusini in Grecia, i misteri di Mithra e di Attis in Persia e Frigia, i misteri di Ermes e di Osiride in Egitto, i misteri di Tamuz in Babilonia e così via, costituivano, sotto certi aspetti, esempi di scuole singole, e del modo come allora veniva somministrato il sapere. Né vanno trascurate le «scuole viaggianti» cinesi, i conventi buddisti, ed i collegi zoroastriani di Magi: tutte scuole, ch'erano ad un tempo religiose e scientifiche, poiché di rado, o soltanto nelle più scarse scuole esoteriche laiche, esisteva una separazione netta tra scienza e religione. [7]
Il Maestro di Galilea deve aver frequentato qualcheduna di quelle scuole, e, secondo alcuni, deve avervi appreso l'arte di curare le malattie (sistema yoga), nonché l'arte, se così può dirsi, di dominare le forze occulte della natura. [8] Ma a parte simili considerazioni, una prova indiretta che il «Maestro» abbia frequentato le scuole dei saggi persiani e indiani, l'abbiamo nelle opere straordinarie di lui (miracoli), riferiti dalla tradizione evangelica.
Per vero, la maggior parte degli scrittori moderni si sbarazza dei miracoli del «Gesù» negandoli, e spiegandoli colla suggestione collettiva o con altre cause note. Senonché ci sono fenomeni le cui cause attualmente ci sfuggono, ma ch'erano conosciute un tempo, e, occorrendo, provocate da coloro che ne praticavano i riti. Costoro però erano legati dal segreto (come più sopra abbiamo accennato), ed appunto per questo nulla fu mai scritto su tali fenomeni, [9] i cui procedimenti provocatori dovevano restare occulti. In conseguenza, quando quei fenomeni venivano provocati in pubblico, non potevano non causare le meraviglie degli astanti, donde la denominazione di «miracula» (da miror = mi meraviglio), che ebbero essi nel mondo latino.
Del resto — come sostengono anche oggi gli studiosi dell'argomento — Apollonio di Tiana, che pochi anni dopo Gesù fece lo stesso viaggio in Oriente apprendendovi le stesse dottrine, [10] curava infermi, raddrizzava storpi, ridava l'udito ai sordi, cacciava gli spiriti dagli indemoniati, risuscitava i morti; [11] in una parola: faceva miracoli. Massimo d'Efeso, che fu tenuto in molto onore da Giuliano, faceva miracoli, e lo stesso Vespasiano si afferma abbia provocato miracoli esso pure. [12] E poiché non può contestarsi che il Maestro di Galilea abbia fatto miracoli; poiché gli stessi padri dell'apologetica cristiana hanno ammesso che tali miracoli, nelle loro parvenze esterne, erano della stessa natura degli analoghi miracoli operati da Apollonio Tianeo, potrebbe giustamente concludersi, come a ragione argomentano teosofi e antroposofi, che il Maestro di Galilea abbia frequentato le stesse scuole d'India e di Persia, frequentate più tardi dal Tianeo, e nelle quali si apprendevano quelle discipline. [13]
Verso il trentesimo anno di età, il filosofo di Galilea tornò in Patria, quando più incombeva sulla nazione l'aspettativa messianica. E poiché nel villaggio nativo, dove il padre frattanto era morto, i notabili, invidiosi e gretti come sempre nei villaggi, per nascondere la propria inferiorità davanti al concittadino che tornava ricco di tutte le dottrine, rifiutavano di ascoltarlo, e lo deridevano perché, appena giunto, non era andato ad inchinarsi ai maggiorenti, egli, alteramente vivendo, prese a starsene lontano. Alla maniera orientale, radunò attorno a sé un gruppo di discepoli, e come i filosofi cinesi operavano in Cina, o come i Monaci buddisti facevano in Battriana, così egli volle fare in Galilea, insegnando ai discepoli, e viaggiando con essi, per istruirli, e per confortare il popolo, dal quale riceveva il sostentamento.
Sua residenza era diventata la riva del lago, dove poteva egli ammirare la natura, senza sopportare il riso sardonico dei villici di Gamala, che avrebbero voluto vederlo al banco lasciato deserto dal padre. E fu passeggiando in riva al lago ch'egli trovò Simone e Andrea, primi suoi compagni: due giovani pescatori, [14] stanchi per la poca pesca raccolta, dopo una lunga giornata di fatiche. Ad essi il Maestro rivolse la parola confortatrice, e parlò di nuove mète, di nuovi scopi della vita, di attività nuove, che avrebbero potuto sollevare il loro spirito, se avessero essi accettato d'intraprenderle con lui. A che scopo affannarsi dietro ad una rete, che non dava abbastanza di che vivere? Iddio, che è padrone di tutti i beni esistenti, e dà nutrimento a tutte le creature, non avrebbe mancato di dar nutrimento ad essi, e non avrebbe mancato di ridistribuire anche ad essi una quota di beni secondo i loro bisogni. Lo avessero seguito. Egli avrebbe attuato con loro la glorificazione del Dio d'Israele, l'affratellamento di tutti i discendenti di Giacobbe, e la ricostruzione del libero regno di Davide, nel quale tutti avrebbero avuto libertà e giustizia.
I giovani lo ascoltavano attoniti: la parola suadente, il gesto ieratico, l'aspetto ascetico — che rivelavano in lui, con l'assenza del lavoro fisico, un grande lavorìo spirituale — affascinarono quei due, che, abbandonate alfine le reti, misero la barca a disposizione del Maestro, e si disposero a seguirlo.
Quella barca fu la prima ricchezza della comunità galilea. Altri compagni si aggiunsero presto ai primi due, e la «scuola» del Rabbi Galileo prese sua stanza sul lago. Cominciarono infatti, sulla barca, i primi viaggi, e cominciò la divulgazione in mezzo alle masse di quella speciale idea messianico-apocalittica, che, seguita dapprincipio da pochi, doveva presto divulgarsi in tutto il paese, apportando in seguito tante e così smisurate conseguenze.
Giacché a Simone ed Andrea erano seguiti Giacomo e Giovanni, e poi altri ancora. Infatti sono sempre molti gli uomini, tra i reietti della vita, che attendono da eventi nuovi un miglioramento della propria condizione triste. Peraltro la predicazione «ispirata» del Maestro non poteva non creare seguaci entusiasti, mentre qualche guarigione, operata mettendo in pratica le norme apprese in Oriente, o qualche fatto meraviglioso compiuto, aumentavano il prestigio di lui nelle masse, accorrenti al suo passaggio per sentirne la parola. E proprio in questo modo egli tornava di tanto in tanto al villaggio natale, con uno stuolo di ammiratori, suscitando l'invidia dei concittadini, che non sapevano persuadersi come un figlio di falegname potesse conseguire tanta autorità.
Si avvicinava frattanto la festa degli Azzimi (anno 6 E.V.), durante la quale, da ogni parte, lunghe teorie di pellegrini convenivano a Gerusalemme, nell'unico tempio del Signore, dove soltanto era possibile celebrare il sacrificio dell'agnello. E per chi non abbia conoscenza di simili rituali, può riuscire difficile farsi un concetto di ciò che saranno stati i pellegrinaggi a Gerusalemme nell'epoca della quale trattiamo. L'analogia può ricorrere cogli attuali pellegrinaggi alla Mecca del mondo arabo, perché l'arabo è un popolo affine all'ebreo, mentre l'Arabia attuale non è molto dissimile dalla Palestina di allora. Il paragone invece coi pellegrinaggi praticati oggi nel mondo latino dai fedeli, che in determinate solennità si recano in certi santuari o eremi, per sciogliere un voto, è troppo pallido, sia per il numero grandemente inferiore di gente che oggi vi partecipa, sia per le distanze troppo brevi, che intercedono dai centri di raccolta ai santuari, sia per le strade attualmente comode ed agevoli, mentre erano allora insufficienti, o del tutto mancanti, sia per la durata, che oggi è di qualche giorno, mentre allora soltanto il viaggio durava più settimane.
Si riunivano i fedeli — tutti i maschi validi — in ogni piccolo centro, sotto la guida di un sacerdote, o di un anziano godente autorità nel villaggio; e partivano con poche scorte di viveri, affidandosi per il resto alla pietà dei contadini dimoranti per via. Spesso durante il cammino un gruppo raggiungeva l'altro, ed allora il gruppo che appariva il più importante, per la maggiore considerazione che godeva il personaggio che lo guidava, attirava gli altri gruppi, e insieme poi proseguivano, ascoltando la parola del capo, glorificatrice del Dio, e preannunziatrice dell'evento messianico rimuneratore. Accadeva così talvolta che, allorquando, dopo molte settimane di cammino, i pellegrini giungevano alla mèta, l'uomo godente prestigio, ch'era dapprincipio partito a capo di un piccolo gruppo, si trovasse a capo di masse numerose, tutte pendenti dalla sua parola e dal suo gesto.
Anche quell'anno le solite comitive si formarono nei vari centri rurali, per avviarsi alla Città Santa. Ed il Maestro di Galilea raccolse i suoi aderenti, e con essi s'incamminò verso la meta. Lungo la strada però il suo gruppo andò sempre più ampliandosi, per l'accorrervi continuo di altri gruppi, i cui componenti avevano sentito parlare di lui, e volevano ascoltarne la parola. E fu per tal modo che le masse al suo seguito diventarono ogni giorno più numerose.
Il «Maestro» difatti era a quei tempi quello che noi diremmo oggi un innovatore. La classe sacerdotale dei Sadducei aveva spogliato il popolo, dominandolo dispoticamente. La classe dei Farisei, che un tempo era stata più vicina al popolo, in seguito lo aveva abbandonato, ed insieme coi Sadducei si godeva ormai gli agi della vita. Le masse pertanto erano rimaste sole, colle proprie fatiche e le proprie miserie. E poiché il Maestro, vissuto in mezzo agli umili, conosceva quelle fatiche e quelle miserie, nel predicare la propria dottrina, tendente alla dittatura del popolo sotto la sola guida di Dio, non poteva non lanciare le sue invettive, contro le due classi privilegiate di «scribi e farisei ipocriti». Appunto per questo, anche in mezzo ai Farisei, la cui escatologia sostanzialmente non differiva dalla sua, il Maestro era avversato e combattuto; ma anche per questo egli era diventato l'idolo delle folle, use a non lesinare il loro plauso a chi sappia mostrarsi avverso alle classi ricche. Avvenne pertanto che in quella Pasqua dell'anno 6 il Maestro si trovò a dover guidare alla Città Santa un popolo numeroso, affascinato dalla parola di lui. Ed appunto a capo di questo popolo, cavalcando un modesto quadrupede, che la pietà dei fedeli gli avrà procurato per via, sarà entrato egli alfine in Gerusalemme, mentre mille voci intorno a lui gridavano «Osanna». [15]
In questo modo la fama del filosofo Galileo, come di persona che disponga di molto seguito, si spandeva dovunque per la Palestina, irradiandosi da Gerusalemme, dove tutto il mondo giudaico si trovava convenuto. [16]
NOTE
[1] L'Ottolenghi (Prime albe cristiane, Ed. Mendrisis, 1914), e con lui qualche altro, confonde Giulia Galileo, maestro di filosofia, con Giuda figlio di Ezechia ladrone. Evidentemente egli non ha letto bene Giuseppe Flavio, perché Giuda di Ezechia è stato ucciso durante la reazione di Varo, nell'anno 4 av. E. V. (Antichità, XVIII, XXI, 5), mentre Giuda Galileo fu crocifisso durante la reazione di Cirenio nell'anno 7 E.V. e cioè undici anni dopo (Antichità, XVIII, II, 4).
[2] È molto probabile che Giuda Galileo si sia chiamato anche «Gamaliel» dalla cittadina di Gamala, che gli aveva dato i natali. Ciò è tanto più ammissibile se si pensi che Gamala a sua volta aveva voluto chiamarsi — dal suo grande cittadino — la «Città di Giuda» (Luca, I, 39). Ma ove una simile ammissione debba farsi, ne deriverà che Gamaliel era uno dei tanti attributi con cui era stato conosciuto in vita il Maestro. Pertanto, allorquando la tradizione sui fatti di Paolo afferma che quest'ultimo si sarebbe dichiarato discepolo di Gamaliele (Atti, XXII, 3), vuol significare che Paolo aveva anch'esso dichiarato di considerare il «Gamaliel» per proprio Maestro. Da ciò sarebbe nata la leggenda di un Gamaliel maestro di Paolo.
Del resto è da escludere che Paolo abbia studiato a Gerusalemme, come vogliono alcuni interpreti, sotto un dottore fariseo chiamato o non chiamato Gamaliele, perché Paolo, nativo di Tarso, era sempre rimasto in Cilicia, dove aveva appreso la lingua greca da maestri greci, apprendendo l'ebraico e la legge alla Sinagoga o in famiglia. A Gerusalemme Paolo deve essere venuto solo da adulto, , e presumibilmente per la Pasqua dell'anno 31-32, ai tempi dei moti di Stefano. In conseguenza, non avendo Paolo mai avuto una residenza a Gerusalemme, e non potendo quindi essere stato colà alla scuola di un Gamaliel, tutti gli episodi relativi a quest'ultimo debbono considerarsi un prodotto della fantasia popolare, che avrebbe sdoppiato ancora una volta il personaggio, formando, dal «Gamaliel», attributo del «Maestro», una figura nuova, alla cui scuola Paolo si sarebbe formato.
[3] Kabala o Cabbàla o Quabbalah è termine ebraico relativamente recente, per significare la «ricezione» da parte dell'iniziato della dottrina esoterica su Dio e l'universo: dottrina che ricevuta inizialmente per rivelazione da pochi eletti, si riteneva fosse stata sempre trasmessa tra iniziati, con esclusione di chicchessia altro. I circoli mistici della Quabbalah erano quindi delle scuole, e associazioni segrete, per entrare nelle quali occorrevano riti speciali, a somiglianza delle analoghe scuole o confraternite orientali dei «misteri».
Tali circoli si fanno risalire ad epoche remotissime; ma senza prova alcuna. Troviamo invece tracce sicure di tali circoli, nel periodo del quale stiamo trattando; e specialmente tali tracce si rinvengono nella letteratura deuterocanonica e apocrifa. In conseguenza è nostra opinione che l'origine di tali circoli mistici non sia anteriore in Giudea al ritorno dalla Babilonia, dove le prime comunità misteriosofiche della Kabbalah debbono aver avuto luogo, per influsso delle analoghe dottrine misteriosofiche portatevi dai Persiani, e in gran parte già note anche in Babilonia (cfr. i riti di Tamûz).
[4] Cfr. L'apocrifo «Vangelo dell'infanzia» attribuito a S. Tommaso. V. anche Berg. von Eysinga, Judische Einflus auf evangelische Erzahungen 1909; Ramacharacha: Cristianesimo mistico, traduzione dall'inglese, ed. Torino, 1924.
[5] Pitagora, Talete, Solone e tutti pressoché i grandi pensatori della Grecia antica han molto viaggiato, per apprendere dai sacerdoti d'Oriente, custodi della sapienza d'allora, le conoscenze ch'erano state dei padri più antichi.
[6] Le nostre università medioevali avevano molti di questi riti.
[7] Il cataclisma diluviale, avendo distrutto le nazioni più progredite, aveva lasciato nei sopravvissuti un senso di terrore. E poiché a poco a poco si ritenne che i cataclismi fossero dovuti ad una cosciente forza soprannaturale, e tendessero a punire le colpe degli uomini, nacque gradatamente nei sopravvissuti un senso di umiliazione e di prostrazione, che supplicava ed invocava quella forza soprannaturale, allo scopo d'ottenere che risparmiasse ai mortali ulteriori cataclismi. Aveva così origine quel senso di legame — tra gli uomini da una parte e la forza eterna dall'altra — che fu detto religio. E poiché nelle epoche che seguirono i superstiti delle classi dirigenti dovettero continuare a dirigere i popoli avvalendosi del prestigio religioso più che del prestigio politico, dovettero anche adattare la scienza, che prima era stata laica e naturale, alle nuove concezioni religiose, rimanendone da allora i soli depositari. Questa l'origine delle scuole esoteriche. Sull'argomento cfr. «La Prima Umanità».
[8] In Marco (IV, 34) si legge di «Gesù»: «Ad essi (alle turbe dei popolani che seguivano) non parlava che in parabole; in disparte però spiegava tutto minutamente ai propri discepoli». Con ciò le norme esoteriche si trovano di fatto delineate e precisate. Non è quindi da meravigliarsi se mistici ed occultisti abbiano voluto intravvedere nel Gesù uno di loro. Del resto capita spesso che anche pensatori dotti, nel tracciare la biografia di un grande, cerchino di scorgere e scorgano in esso affinità col sentire proprio, attribuendo pertanto a quello concezioni che sono invece di loro stessi. Nel caso del Gesù però non può contestarsi che diversi passi involuti del Vangelo si prestino a suffragare talune teorie teosofiche; né può accettarsi la spiegazione del Buonaiuti, presentata in «Gesù Disse», che cioè quei passi, e soltanto quelli, sarebbero state aggiunte arbitrarie degli evangelisti.
[9] Le pubblicazioni del Ramacharacha in lingua inglese sulla scienza yoga rappresentano uno tra i primi tentativi che siano stati fatti in occidente per divulgare antichissime dottrine già tramandate in circoli chiusi, ma in gran parte ormai snaturate dalla propria origine.
[10] Il paragone tra Apollonio e Gesù non è nuovo. Nel periodo dell'apologetica cristiana tale paragone ricorreva spessissimo nelle discussioni degli studiosi, perché gli acristiani si richiamavano ai miracoli di Apollonio per contestare la divinità del «Galileo», asserita in base a miracoli. Interessante è poi ricordare che tanto del Tianeo quanto del Galileo si erano riconosciuti gli stessi miracoli, sicché l'apologetica cristiana ha dovuto alfine ammettere con Lattanzio che la divinità del «Galileo» doveva essere riconosciuta non già per i miracoli da esso operati, perché gli stessi miracoli li aveva operati anche il Tianeo (quantunque quest'ultimo, come si diceva, solo per influsso del «maligno») ma per il verificarsi in lui di tutte le circostanze predette dai profeti (cfr. Mead, Apollonio, ed. Torino, 1925, cap. V e gli autori dallo stesso citati. Per le confutazioni che opponevano e oppongono gli ecclesiastici ai sostenitori di Apollonio vedi Orsi, Storia Ecclesiastica, Venezia, 1749, vol. I, pp. 171 e segg.; 285 e segg.).
[11] Cfr. Filostrato, Vita di Apollonio; e tra i moderni il Mead citato.
[12] A proposito di Vespasiano è bene qui trascrivere quanto scrive Tacito, poiché dal testo dello storico latino si manifesta che i miracoli di Vespasiano non erano per nulla diversi nella loro sostanza dai fatti analoghi attribuiti al Gesù. Scrive dunque Tacito (Storie, IV, 81): «In quell'estate che Vespasiano dimorò in Alessandria aspettando i giorni favorevoli per navigare, si vide, da certi miracoli, che il Cielo e gli Dèi lo amavano.
Un povero cieco d'Alessandria, molto conosciuto, consigliato dall'oracolo di Serapide, si gettò ai piedi di Vespasiano, e lo pregò piangendo che volesse ridargli la vista, bagnandoli colla salive le gote e gli occhi; un altro, che aveva la mano rattrappita, per lo stesso suggerimento pregò Cesare che colla pianta del piede gliela calcasse. Vespasiano se ne rideva e cercava di mandarli via; ma quelli riprendevano a implorarlo... Parendogli alfine che alla sua fortuna tutto potesse essere facile e nulla impossibile, con lieto volto, e mentre il popolo d'intorno non batteva ciglio, eseguì quanto richiestogli. Immediatamente la mano rattrappita si raddrizzò ed il cieco vide».
Aggiunge poi Tacito, prevedendo che molti non avrebbero prestato fede al suo racconto: «Dell'uno e dell'altro fatto esistono anche oggi testimoni oculari, che non avrebbero alcun interesse a dire la menzogna».
Anche Svetonio conferma i suddetti miracoli, parlando di Vespasiano (v. Vita di Vespasiano, § 7).
[13] Il Ramacharacha, nel suo Cristianesimo Mistico (ed. Torino, 1924) così argomenta in sostanza: «Studiando i fatti meravigliosi provocati da Gesù, noi non possiamo non convincerci ch'essi hanno avuto la stessa origine e la stessa natura degli analoghi fatti attualmente provocati dai saggi (yogi) indiani. In conseguenza deve argomentarsi che il “Maestro” aveva frequentato quelle comunità d'Oriente, laddove le apposite discipline sono insegnate, come è confermato dall'Apocrifo dell'Infanzia».
È bene però avvertire che il libro del Ramacharacha, a parte qualche rilievo attendibile, è ben lungi dal soddisfare il critico e lo storico. Giacché Ramacharacha, che si qualifica un yogi, ha voluto fare del Gesù un yogi, per meglio valorizzare se stesso, pervenendo pertanto nel suo libro a molteplici assurdi.
[14] Simone e Andrea (al pari di Giacomo) dovevano avere allora (anno 5 E. V.) un'età di circa vent'anni: l'età più favorevole alle illusioni. È stato un errore della tradizione aver ritenuto che Simone fosse stato più vecchio del Maestro. Ciò è dovuto al fatto che il Maestro è morto giovane (anno 7 E. V.) e quindi nel ricordo dei posteri egli rimase e fu tramandato sempre giovane, mentre Simon-Pietro è morto vecchio anno 48 E. V.) per cui la sua figura rimase nei posteri come quella di un uomo anziano. In effetti l'età dei discepoli di Gesù non era diversa dall'età media ch'ebbero sempre i discepoli di tutti i filosofi, in relazione ai rispettivi maestri.
[15] La parola «Osanna» è un'antica voce ebraica di esclamazione gioiosa, corrispondente al nostro «Evviva», ed era naturale che la pronunciassero quei pellegrini, che si vedevano, dopo tanti stenti, giunti al termine del loro faticoso cammino.
[16] Sai Vangeli non si può accertare se il «Gesù» fece uno o tre viaggi a Gerusalemme in occasione della Pasqua, perché qualche vangelo parla di un solo viaggio, mentre qualche altro parla di più viaggi a Gerusalemme. Va rilevato però che i viaggi a Gerusalemme non vanno confusi cogli anni di predicazione messianica. Giacché quanto alla durata della predicazione messianica, come abbiamo osservato nel testo, essa fu triennale per il Battista, e fu invece annuale per il Gesù. Quanto invece ai viaggi a Gerusalemme, dovendosi ritenere che per formare la fama di un uomo, in tempi in cui i mezzi di comunicazione erano scarsi, non poteva bastare un solo viaggio; e poiché la morte del Maestro deve riportarsi alla Pasqua dell'anno 7, deriva che la fama del Maestro a Gerusalemme doveva aver avuto inizio almeno l'anno precedente. In questi sensi abbiamo creduto di dover ricostruire il racconto storico.
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