(segue da qui)
III. — LA QUESTIONE DEL NOME
§ 6) Le voci «Gesù» e «Cristo» rappresentano attributi. — Sta di fatto che gli studiosi che ci hanno preceduto, accettando quale punto di partenza delle loro indagini i Vangeli, ricercarono, nelle fonti profane in genere, ed in Giuseppe Flavio specialmente, un personaggio che rispondesse al nome di «Gesù-Cristo». Anche l'Harnack, che in materia viene considerato tra i più autorevoli, così esordisce in Essenza del Cristianesimo: «Sarà sempre da ricordare agli uomini che in mezzo ad essi visse un uomo di nome Gesù Cristo». [1] Ma un uomo con questo «nome» non visse mai. E se l'Harnack, invece di speculare a fondo sulle speculazioni altrui, si fosse ambientato col momento storico vissuto dal Nazzareno e dai suoi successori — momento che avrebbe dovuto rivivere, prima di descrivere — avrebbe notato che tanto i Giudei, eternamente scontenti, quanto i Romani, scontenti allora a causa del dispotismo cesareo aggravantesi (§ 91), vivevano all'epoca nella «aspettazione» di un «Capo» (in ebraico «messia») e nell'aspettazione di un «Salvatore» (in ebraico «gesù»). Avrebbe potuto così intuire che le denominazioni di «Cristo» (Messia) e di «Gesù», colle quali l'uomo riconosciuto allora quale «Salvatore» era stato registrato nella tradizione cristiana, non potevano essere stati i «nomi profani», sotto i quali quegli era vissuto in Giudea, e sotto i quali doveva invece essere stato registrato nelle «pubbliche tavole» (perché proprio «pubbliche tavole» precisa Giuseppe Flavio essersi chiamati all'epoca i registri dello Stato Civile).
Per altro, la parola «Cristo» è parola esclusivamente greca, sconosciuta in Palestina, dove la parola corrispondente era invece «Messia» (Mesiah). In conseguenza, non esistendo tra gli Ebrei la parola «Cristo», non poteva esistere nei documenti profani un personaggio con questo nome.
Le voci «Gesù» e «Cristo» (o meglio Gesù e Messia) rappresentavano soltanto attributi, riconosciuti al Maestro di Galilea dai propri seguaci, ma non statigli riconosciuti dagli altri Giudei che non lo avevano seguito. Ciò tenuto presente, a meglio illustrare il nostro concetto, ci sia consentito anzitutto un raffronto tra due personaggi, ciascuno dei quali fu riconosciuto «Messia» (ossia «Capo» e «Duce») dai rispettivi seguaci: tra il Messia Gesù cioè e l'Augusto Cesare. Giacché mentre da un lato, in base alla divinatio facente capo ai Profeti d'Israele, ma avente origine prevalente nella Sibilla Babilonese, si disse in Galilea che il Messia vaticinato era da ravvisarsi nel Gesù; d'altro canto, in base alla divinatio facente capo ai Libri Sibillini, ma avente anch'essa origine nella Sibilla Babilonese, si disse in Roma che il Messia vaticinato doveva individuarsi in Augusto (cfr. Vrg. Egl. I e IV). E poiché anche il primo imperatore di Roma era stato tramandato ai posteri con due attributi messianici: quello cioè di «Cesare» e quello di «Augusto», l'analogia col personaggio evangelico, tramandato dalla tradizione cogli attributi di «Messia» e di «Gesù», non potrebbe apparire più calzante.
Nel caso di Augusto, se noi non possedessimo di Lui le biografie che possediamo, e soltanto la leggenda creata dagli adulatori ci avesse tramandato sue notizie; poiché tale leggenda ci parlerebbe di un Cesare Augusto giovane e bello, venerato quale Dio, e quale benefattore dell'umanità dai contemporanei; poiché il suo nome natale non era stato né Augusto né Cesare, e le sue gesta non erano state affatto benefiche, ricercandone noi le tracce negli scritti repubblicani dell'epoca, invano cercheremmo in essi un personaggio che rispondesse a quei nomi. Leggeremmo bensì, negli scritti repubblicani, di un Caio Ottavio Cepia, o di un Caio Ottavio Turino, fattosi tiranno dopo la morte di Cesare, che aveva sfuggito i combattimenti nel momento culminante, che aveva assoldato milizie straniere quali corporis custodes per soffocare le libertà repubblicane, e si era reso ridicolo col farsi adorare quale Dio; ma non identificheremmo nel ridicolo «tiranno» presentatoci dallo scrittore repubblicano, il «Dio» benefattore descritto dall'adulatore augusteo. Ed allo stesso modo che per risolvere la questione augustea, qualora esistesse, noi cercheremmo invano negli scrittori repubblicani un personaggio registrato sotto gli attributi di «Cesare» e di «Augusto»; così, per risolvere la questione cristologica, noi cercheremo invano negli scrittori acristiani dell'epoca un personaggio che risponda agli attributi di «Gesù» e di «Cristo».
Peraltro, dalla «Vita» di Maometto, ad esempio, noi apprendiamo che gli Arabi non aderenti all'idea coranica chiamavano «Ab-ul Quacem» il fondatore dell'Islam, evitando di designarlo coll'attributo di «Maometto», perché ciò sarebbe equivalso a riconoscergli la veste messianica. E se in Arabia gli avversari di Maometto chiamarono costui col suo nome profano, evitando di chiamarlo coll'attributo messianico, è naturale che lo stesso abbiano fatto in Giudea gli avversari del Gesù. La prima causa quindi, per la quale nessuno degli studiosi che ci hanno preceduto poté rintracciare nelle fonti profane il personaggio che aveva dato vita al movimento cristiano, va individuata nell'ignoranza del NOME profano di quello, sotto il quale soltanto le ricerche avrebbero dovuto essere condotte.
Senonché l'opinione che il Maestro di Galilea fosse vissuto in Palestina sotto i nomi di «Gesù» e di «Cristo» è ormai talmente radicata, che non senza resistenze il lettore comune accoglierà le surriferite nostre conclusioni. Altri argomenti pertanto sarà necessario portare, ed altri argomenti noi porteremo, per chiarire senza possibilità d'equivoci questa parte preliminare della nostra trattazione.
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