giovedì 13 luglio 2023

Giuseppe non può non aver parlato del Gesù

 (segue da qui)

§ 5) Giuseppe non può non aver parlato del Gesù. Ma se è vero che ogni accenno al «Gesù» contenuto nei testi di Giuseppe deve ritenersi estraneo ai testi originari, può forse ammettersi che lo storico giudeo non abbia detto nulla di un Uomo, che era stato creatore di un movimento così vasto? Va notato al riguardo che Giuseppe Flavio, come storico, non può considerarsi alla stregua degli storici romani o greci, quali furono Tacito, ad esempio, o Dione Cassio. Questi ultimi, dovendo tracciare la vita di un Grande Impero, potevano tracciare nelle loro opere soltanto le grandi linee dei movimenti politici relativi, e solo di sfuggita potevano accennare ai movimenti delle piccole provincie. Giuseppe Flavio invece, trattando distesamente la storia di una piccola provincia, per il limitato ambiente del quale doveva occuparsi, doveva registrare, gli episodi paesani, le piccole ribellioni, finanche i pettegolezzi, verificatisi in una fazione o nell'altra, alla maniera dei cronisti municipali del nostro Medio Evo. Appunto per questo la Storia di Giuseppe deve considerarsi una Storia e Cronaca Municipale. Essa difatti, specie per quanto riguarda l'ultimo periodo trattato — dalla morte di Erode il Grande fino alla caduta di Gerusalemme sotto Tito — non è che una relazione minuta del movimento messianico antiromano: di quel movimento cioè che, affermatosi coll'intento di liberare la Giudea dal dominio romano, ripristinandovi il Regno di Davide, ebbe i suoi animatori in taluni «Capi», denominati comunemente Messia.

È ben vero che Giuseppe Flavio indica con attributi diversi, e quasi sempre spregiativi, gli agitatori messianici; ma di essi parla abbondantemente. Ciò posto, come avrebbe potuto egli trascurare il principale Messia: quegli cioè la cui predicazione, sola tra tutte, aveva avuto un seguito? Da Giuda di Zaccaria a Giuda Galileo, da Simone servo di Erode a Eleazaro di Dineo, da Atronge pastore al Profeta Egiziano, da Teuda a Manaemo, a Giovanni di Giscala, a Simone di Giora, tutti i Messia, capi-popolo e falsi profeti furono dallo storico giudeo delineati con tratti magistrali. E se Giuseppe fu così minuto nel trattare di tutti quei personaggi, come mai avrebbe passato sotto silenzio proprio il «Gesù», il cui moto, al momento in cui lo storico scriveva in Roma, riempiva le cronache di quella metropoli, per i frequenti «màrtiri», che cadevano vittime del proprio fanatismo e del dispotismo imperiale? 

Se quindi il personaggio che la tradizione ha tramandato cogli attributi di «Messia» e «Gesù» è esistito — come tutto concorre a far ritenere — Giuseppe deve averne parlato. Diligente e preciso come si mostra, non poteva egli — senza offendere se stesso ed irritare nel contempo i propri lettori — passare sotto silenzio un Uomo, che aveva lasciato tante tracce dietro di sé. Giacché Giuseppe scriveva in un'epoca nella quale i «Fatti del Gesù» erano ancora di dominio pubblico. Ma se Giuseppe ha parlato dell'Uomo che c'interessa, come mai nessuno degli studiosi che ci hanno preceduto ha saputo identificarlo nei libri di quello, traendolo alla luce nella sua vera veste?

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