venerdì 2 giugno 2023

Origini Sociali del CristianesimoGiustino

 (segue da qui)


 II. — CONTRO GLI GNOSTICI

Gli gnostici mettevano troppo in pericolo la fede comune perché ci si limitasse a scomunicarli. Era necessario premunire i fedeli contro la loro propaganda e sforzarsi di ricondurre sulla retta via coloro che cominciavano a lasciarsi distogliere sui cattivi sentieri. Una campagna di propaganda fu organizzata in questo senso. Possiamo percepirne, attraverso alcuni scritti del tempo, le prime tappe. 


Giustino.

Siccome gli adepti della gnosi appartenevano alle classi colte e si vantavano di un sapere ben superiore a quello del volgo, importava opporre loro la testimonianza di un uomo del loro ambiente, impregnato della stessa cultura, a conoscenza delle dottrine dei maestri più illustri. È quanto fece, un po' prima dell'anno 150, il «filosofo» Giustino, in un trattato da tempo perduto, «contro tutte le eresie». Egli stesso si presenta, altrove, come un amico della sapienza. L'ha cercata, dice, dapprima da uno stoico, poi presso un peripatetico, più tardi, alla scuola di un pitagorico, infine e soprattutto a quella di un platonico. L'ha trovata infine solo nella compagnia di un vecchio che gli ha parlato degli antichi profeti. Questi «uomini giusti e amati da Dio», anteriori a tutti i cosiddetti filosofi, hanno da soli visto e annunciato agli uomini la verità su Dio, l'autore dell'universo, e su suo figlio il Cristo. È tra loro che ha ha finito per scoprire l'oggetto delle sue ricerche. Da allora ha professato il cristianesimo pur portando il mantello di filosofo. [26]

Racconto quantomeno stilizzato, in cui la finzione gioca un ruolo importante. In realtà, Giustino ha solo una conoscenza molto superficiale della sapienza antica, quella che possiede ogni uomo colto. A giudizio di un autore che lo ha esaminato da vicino, questo cosiddetto platonico non ha letto un solo dialogo di Platone. Le rare citazioni che fa sul suo conto sono attinte da qualche antologia. [27]

Il mantello di filosofo di cui si è rivestito è solo un abito preso in prestito, di cui si serve per dare più autorità alle sue parole presso il mondo dei letterati.

Cosa diceva il suo trattato contro le eresie? Possiamo farcene una certa idea da un passo della sua prima Apologia, scritta nel 150, [28] in cui rinvia a questo scritto controverso. Vi denuncia Simon Mago, il suo discepolo Menandro, poi Marcione del Ponto, i cui adepti si definiscono indebitamente cristiani. [29] Senza dubbio seguono lo stesso ordine nel suo primo scritto. Ma anche altri eretici dovevano essere denunciati così e messi alla berlina. Infatti, enumera parecchi gruppi nel suo Dialogo con Trifone. [30] Molta gente, osserva, si appellano a Gesù, ma solo di nome: «Tra loro alcuni si chiamano Marciani (Marcioniti?), alcuni Valentiniani, alcuni Basilidiani, alcuni Saturniniani, altri portano altri nomi, ciascuno denominandosi secondo il fondatore della sua dottrina, così come ogni uomo che pensa di filosofare crede di dover designare la filosofia che professa secondo il suo autore». [31] Senza dubbio Giustino passava in rassegna anche questi altri testi nel corso del suo trattato. Egli stesso attesta che la sua opera verteva su «tutte le eresie».

Si può dubitare che ne abbia fatto uno studio approfondito. Le sue conoscenze sono molto superficiali. Ha un'enorme ignoranza. Non sa che l'Egitto all'inizio della nostra era era un possedimento romano. Egli fa vivere al tempo di Erode il Grande, che regnò sotto Augusto, Tolomeo Filadelfo, più vecchio di due secoli, che gli avrebbe domandato «i libri scritti in ebraico dalla mano stessa dei profeti», con interpreti capaci di tradurli in greco. Da qui sarebbe venuta la famosa versione dei Settanta, che ai suoi tempi si trova  «ovunque tra tutti i Giudei». [32]

Un uomo capace di tali anacronismi può fare le peggiori confusioni. Scrive a proposito di Simone Mago: «Lo si prese per un Dio, ebbe come tale una statua; essa sorge in un'isola del Tevere tra i due ponti con quella iscrizione latina: «Simoni deo sancto». [33] L'indicazione è precisa. Rischia molto di essere errata. Si è rinvenuta nel XVI° secolo, nel luogo indicato, sull'isola Tiberina, una statua la cui base recava l'iscrizione: «Simoni sancto Deo Fidio Sacrum». Si trattava di un Dio autenticamente romano, Simo Sancus, patrono della Buona Fede. Ossessionato dal ricordo del samaritano Simone, considerato il padre di tutte le eresie, Giustino avrà confuso le due figure. 

Questo «filosofo» è di una creduloneria sconcertante. Vede dappertutto l'azione di spiriti maligni, che si sforzano di ingannarci. «I demoni», scrive, «fecero portare la pena di morte contro coloro che leggevano i libri di IstaSpe, della Sibilla o dei Profeti, per spaventare gli uomini e distoglierli dal cercare in quella lettura la conoscenza del bene». Aggiunge fieramente: «Noi li leggiamo senza paura». [34] È per l'azione incessante di questi geni perversi che egli spiega la genesi e gli sviluppi della gnosi. Simone era «aiutato dai demoni», Menandro operò «con la loro assistenza». È «con il loro concorso» che Marcione «seminò la blasfemia attraverso il mondo». [35]

In un tale stato d'animo, Giustino non pensa a vedere come le idee gnostiche si incastrino logicamente e si adattino al loro fine religioso. Si applica piuttosto a coglierle in fallo, ad accusarle di falsità e di perversità per meglio mettere in rilievo il loro carattere diabolico. Lanciato su quella via può fare le peggiori confusioni. Lo si vede bene nella sua esposizione iniziale. Secondo i Simoniani, il Dio Altissimo ha emesso dapprima una «grande Potenza», che fu seguita da un'ipostasi femminile la «Sapienza». Quest'ultima, essendo in seguito ad una caduta originale caduta nella materia, vi fu imprigionata nei lacci della carne e passò in vari corpi di donne, in particolare in quello della bella Elena cantata da Omero. Essa aveva finito per cadere, dopo numerosi avatar, in una prostituta di Tiro, quando la grande Potenza venne in suo soccorso sotto forma di un uomo di nome Simone. Questo Dio Salvatore, con le sue imprese miracolose e le sue sagge parole, le rese la coscienza del suo primo stato e la ricondusse al suo primo padre. Giustino prende alla lettera quella epopea mistica. Presenta questo Redentore provvidenziale come un volgare mago che si è innamorato di una cortigiana di bassa lega. [36] È quasi come se un virtuoso non credente rimproverasse a Gesù di aver fatto i miracoli con l'aiuto del diavolo e di essersi compromesso con la donna adultera, o con quella Maria di Magdala che aveva strappato a sette demoni.

Per quanto parziale fosse, l'opera di Giustino rispondeva tanto meglio ai bisogni della comunità romana. I suoi pregiudizi erano quelli delle masse. Egli li rafforzava coprendole col manto della filosofia. Così quella prima critica delle eresie non doveva affatto passare inosservata. Avrebbe provocato molte imitazioni, a cominciare da quella del vescovo di Lione, Ireneo, in cui sopravvisse per una gran parte. Fu il prototipo di un genere letterario chiamato nella Chiesa a un grande futuro.


NOTE DEL CAPITOLO 10

[26] GIUSTINO, Dialogo con Trifone, 2, 8.

[27] J. GEFFEKEN, Zwei orientische apologeten, Leipzig, 1907, pag. 103.

[28] GIUSTINO, 1° Apologia, 46:1.

[29] Id., ibid., 26:8 e 1-6. Si sa che il trattato «Contro tutte le eresie», perduto, è stato utilizzato da Ireneo.

[30GIUSTINO, Dialogo con Trifone, 35:6.

[31] Si veda Georges ARCHAMBAULT, Justin, pag. 158-159 (nota).

[32] GIUSTINO, Apologia 1:31, 1-5.

[33] Id., ibid., 26:2.

[34] Id., ibid., 1:44, 12-13.

[35] Id., ibid., 1:26, 2-4-5.

[36] Id., ibid., 1:26, 2-3.

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