sabato 3 giugno 2023

Origini Sociali del CristianesimoLe Epistole pastorali di Paolo

 (segue da qui)


Le Epistole pastorali di Paolo.

Malgrado tutto il successo che poté avere il suo libro presso i cristiani istruiti, Giustino mancava dell'autorità necessaria per imporsi all'insieme dei credenti. Nulla mostra che egli abbia ricoperto un qualche grado nella gerarchia romana. Occorreva ala Chiesa, per combattere le false dottrine, nomi più prestigiosi. Tra tutti quelli ai quali si poteva pensare, quello di Paolo era il più noto. Poteva apparire il più qualificato. L'apostolo era stato un ardente polemista. I sosia postumi che si erano sforzati di continuare la sua opera, lo avevano fatto parlare come un dottore ispirato della Nuova Legge. L'ultima edizione delle sue Epistole costituiva una sorta di Summa teologica ad uso degli ortodossi. Vi combatteva in termini velati le tesi marcionite. Sembrava quindi particolarmente adatto a mettere in guardia i fedeli dallo gnosticismo.

È da quella convinzione che derivano le tre Epistole chiamate «Pastorali», che non si leggevano affatto tra quelle dell'Apostolikon ma che vengono al loro seguito nell'edizione canonica. La prima è indirizzata a Timoteo, che Paolo avrebbe lasciato a Efeso partendo per la Macedonia e che conta di ricongiungere prossimamente. [37] Una seconda, scritta per lo stesso destinatario, si dà come proveniente da Roma, dove lo invita a recarsi prima dell'inverno. [38] La terza è per Tito, che è restato a Creta al fine di vegliare al buon ordine della comunità mentre l'apostolo è a Nicopoli, dove deve trascorrere l'inverno. [39] Queste lettere si differenziano dalle precedenti per il loro indirizzo stesso, poiché sono scritte non più alle chiese ma ai loro capi. Si differenziano ancora di più per il loro argomento, poiché non vertono direttamente sulle dottrine, ma piuttosto sull'atteggiamento che i capi dovrebbero adottare nei confronti di coloro che si discostano dall'insegnamento ufficiale. Esse non hanno peraltro né la vivace spontaneità, la mordacità dei testi autentici di Paolo, né le grandi antitesi astratte e generali che abbondano attraverso gli ampi supplementi della seconda edizione, né le copiose citazioni dalla Bibbia ebraica che costellano le interpolazioni dell'ultimo editore. 

C'è un nuovo Paolo ad offrirsi qui a noi, un Paolo anti-gnostico. Dettaglio curioso: il suo anti-gnosticismo si accompagna ad una forte ondata di antigiudaismo. Sono gli gnostici, di solito, a mostrarsi antigiudaici. I giudaizzanti si atteggiano di conseguenza [come] i nemici naturali della gnosi. Qui, entrambi sono chiaramente presi di mira, in nome della tradizione degli apostoli.

Nella prima Epistola, lo Pseudo-Paolo scrive a Timoteo: «Ti ho pregato, andando in Macedonia, di restare a Efeso, perché tu ingiunga ad alcuni di non dare insegnamenti estranei e di non attaccarsi a genealogie interminabili, che producono dispute piuttosto che l'edificazione di Dio nella fede. Il fine del comandamento è la carità proveniente da un cuore retto, da una buona coscienza e da una fede sincera. Alcuni, per essersene allontanati, si sono dati a un vano discorso, volendo essere dottori della Legge senza sapere né cosa dicono né di cosa parlano. Ora sappiamo... che la Legge non è fatta per i giusti, ma per i malvagi e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati e i profanatori, per i parricidi, gli omicidi, i fornicatori, i sodomiti, i venditori di schiavi, i bugiardi, per tutti quelli che commettono tutto ciò che è contrario alla santa dottrina». [40] L'enumerazione di quella triste clientela dà un'idea così infelice del patronato di cui si tratta che un lettore ha provato il bisogno di metterla in sordina. Egli ha fatto precedere la frase compromettente con un'osservazione che ne riduce notevolmente la portata, ma che non vi si adatta né per il significato né per la costruzione: «Sappiamo che la legge è buona se viene usata come si deve, sapendo (al singolare) che la legge non è fatta per il giusto, ma per i peccatori...».

L'Epistola a Tito è come un duplicato della prima a Timoteo. Inizia pressappoco allo stesso modo e lancia invettive altrettanto taglienti contro i dottori delle leggi giudaiche: «Ti ho lasciato a Creta perché tu metta ordine nelle cose che restano da sistemare e stabilisca in ogni città dei sacerdoti  ogni città come ti ho prescritto. ... un uomo irreprensibile ... perché bisogna che il vescovo sia  irreprensibile ... attaccato, quanto all'insegnamento, alla parola fedele, in modo di essere capace di rivolgere esortazioni conformemente alla santa dottrina e di confutare i contraddittori. Infatti, numerosi sono i ribelli, i ciarloni, i seduttori, soprattutto tra i circoncisi. Bisogna loro chiudere la bocca, dato che sconvolgono intere case insegnando con vergognoso spirito di lucro ciò che non si deve insegnare... Confutateli seriamente, affinché professino una fede sana, invece di attaccarsi a favole giudaiche, a prescrizioni umane che distolgono dalla verità... Evita le questioni ridicole, le genealogie, le dispute, le controversie relative alla fede; esse sono ridicole e vane. Allontana da te l'uomo eretico dopo un primo e un secondo avvertimento, sapendo che un tale uomo è pervertito...». [41]

Oltre a questi testi che si riferiscono al giudaismo, ve ne sono altri che lo ignorano e si rivolgono direttamente alla gnosi. Come lo è il seguente che si legge nella prima Epistola a Timoteo: [42] «Lo Spirito dice espressamente che negli ultimi tempi alcuni abbandoneranno la fede per attaccarsi a spiriti seduttori e a dottrine di demoni, di impostori la cui coscienza sarà marchiata con un ferro rovente, che proibiranno il matrimonio e l'uso di cibi che Dio ha creato perché siano assunti con rendimento di grazie da coloro che sono fedeli e che hanno conosciuto la verità, perché ogni creatura di Dio è buona»

Stessa raffigurazione di questi esseri perversi nella seconda Epistola a Timoteo, che li presenta come «gonfi di orgoglio [...], affettando le apparenze della pietà ma che rinnegano quel che la rende reale»... «Ci sono alcuni tra loro che penetrano nelle case e e circuiscono donnette cariche di peccati, alla merce di tutte le passioni, che apprendono sempre e non possono mai arrivare alla conoscenza della verità. E come Iannè e Iambrè si opposero a Mosè, così anche costoro si oppongono alla verità, uomini dalla mente perversa e dalla fede corrotta». Timoteo non si lascerà prendere nella loro trappola, perché conosce fin dall'infanzia «le sacre lettere, che possono istruirlo mediante la fede in Cristo Gesù»... «Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per l'insegnamento, per la dimostrazione, per la riprovazione, per l'istruzione nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo, pronto per ogni opera buona». [43]

Vi è una tale differenza di tono tra ciò che è detto qui sulla Bibbia e l'osservazione iniziale a proposito della Legge, che si è pensato di essere in presenza di due edizioni diverse, l'una marcionita, l'altra cattolica. [44] Alla prima appartengono i testi riguardanti il mosaismo e i suoi dottori;  le «genealogie interminabili» che respinge sarebbero quelle del Cristo che si leggono nei Vangeli di Matteo e Luca. Per «favole giudaiche» dovremmo intendere quelle che professano i cristiani giudaizzanti. La seconda edizione sarebbe intervenuta per neutralizzare la prima. La sua tendenza si affermerebbe nell'osservazione finale della prima epistola, che sarebbe rivolta all'opera principale di Marcione: «O Timoteo, custodisci il deposito evitando i discorsi vuoti e le antitesi della falsa gnosi, la cui professione ha allontanato alcuni dalla fede». [45]

Ipotesi ben fragile. Non ci risulta che i Marcioniti abbiano mai invocato delle Lettere di Paolo a Timoteo. I testi che si attribuiscono loro, se provenissero da loro, avrebbero un altro tono. Raccomanderebbero di reclutare i ministri della Chiesa tra le persone votate al celibato, e più precisamente tra coloro che si fanno distinguere per il loro «sapere». Ma esse si limitano a chiedere che vescovi e diaconi siano irreprensibili, che ciascuno abbia una sola moglie e si sforzi di educare bene i suoi figli. [46] Tendono a mantenere intatto il deposito della legge, non di promuovere la «scienza» teologica. D'altra parte, i testi attribuiti alla seconda edizione non hanno nulla di particolarmente anti-marcionita. La riprovazione delle «antitesi» non prende di mira necessariamente l'opera così intitolata di Marcione. Può intendersi altrettanto bene, e anche meglio, a proposito delle contraddizioni opposte dalla «falsa gnosi» alla credenza cattolica. Più precisamente, tutto si capisce molto meglio se si ammette che lo Pseudo-Paolo abbia in mente la scuola di Valentino. L'insieme delle «Epistole Pastorali» si spiega così benissimo senza bisogno di ammettervi due edizioni contrarie.

I Valentiniani erano ancora più numerosi dei Marcioniti. Si mostravano soprattutto più pericolosi perché si abbandonavano ad una propaganda molto flessibile e cauta. La loro dottrina si prestava a ciò più di quella di Marcione. Valentino non ripudiava in blocco il giudaismo. Vi trovava del buono, del cattivo, una mescolanza frequente del meglio e del peggio. Abbiamo una lunga lettera, molto notevole per tono e dottrina, indirizzata da uno dei suoi discepoli, Tolomeo, a una signora di nome Flora, che lo aveva consultato a proposito del libro di Mosè. Vi distingue tre elementi, di cui l'uno, sacro e immutabile, proviene dal Dio degli ebrei, un secondo, più imperfetto, è l'opera di Mosè, un terzo, ancora più opinabile, è dovuto agli «anziani» di Israele. Al primo appartengono, ad esempio, il Decalogo, al secondo la legge del taglione, al terzo il rituale del Levitico. [47] Dello stesso autore ci resta un commentario del Prologo del Vangelo secondo Giovanni, dove si sforza di estrarre dal testo giovanneo la dottrina valentiniana della processione degli Eoni. Ecco un esempio tipico di questi maestri della gnosi che si atteggiano da «dottori della Legge» e che avanzano «genealogie interminabili». Il loro insegnamento doveva aver avuto una risonanza profonda negli ambienti colti del giudaismo, perché offriva loro il modo per mantenere il meglio della Legge, pur ripudiandone al contempo quelle tra le sue parti che apparvero insostenibili. Così facevano, abbiamo visto, i Naasseni, i Perati, i Setiani e quel Giustino che brandiva il libro di Baruc. Essi trovarono nei racconti della Genesi i più alti misteri della gnosi. Senza dubbio applicarono lo stesso metodo di interpretazione alle prescrizioni più realistiche del codice mosaico. Le loro dottrine dovevano essere particolarmente diffuse a Roma, la terra classica dello gnosticismo, perché è da lì che vengono, per il vescovo Ippolito, le informazioni che abbiamo sul loro conto. Tutta questa gente era legata a Valentino e riprendeva li suo insegnamento. È agli gnostici dello stesso tipo che si applicano i testi dello Pseudo-Paolo riguardanti i «vani parlatori», numerosi soprattutto «tra i circoncisi», che turbano famiglie intere spacciando «favole giudaiche». [48] Sono loro che ci sono presentati altrove come gente dall'aspetto pio che si introduce nelle case per «adescare donne deboli di mente, ansiose di arrivare alla conoscenza della verità». [49] La gnosi di Valentino, con il suo concetto di coppie divine e di nozze mistiche, si prestava particolarmente a questo tipo di propaganda. È essa ancora che prendono di mira le invettive contro i «falsi dottori opposti al matrimonio e all'uso dei cibi creati da Dio», [50] come pure coloro che dicono «che la resurrezione è già arrivata», [51] poiché i Valentiniani, da buoni gnostici, propugnavano la continenza e l'astinenza e non ammettevano altra resurrezione se non quella tutta spirituale della conversione.

Così interpretate, le Epistole pastorali si mostrano molto coerenti. Traducono, a loro modo, la reazione delle masse credenti contro le dottrine di una certa aristocrazia che, in nome di una scienza più elevata, rovina la fede dei semplici. Riflettono le tendenze dominanti della Chiesa romana. Senza dubbio sono l'opera di uno dei suoi rappresentanti più qualificati, di Clemente, che abbiamo visto scrivere per essa ai cristiani di Corinto. La Lettera ai Corinzi rassomiglia singolarmente alle nostre tre Epistole. Stesso stile diffuso e untuoso. [52] Stesse espressioni e formule tipiche, stesse dossologie rivelatrici. [53] Stessa preoccupazione per la deferenza dovuta al potere civile. [54] Stessa avversione per le persone «gonfie di orgoglio» che si dilettano nelle «dispute». [55] La sostanza stessa delle idee rimane pressappoco identica. In fondo è già contro gli gnostici ad essere diretta la lettera di Clemente ai Corinzi. Sono loro ad aver turbato la Chiesa locale facendo rimuovere i suoi capi in carica, «vescovi» o «anziani» di cui giudicavano la dottrina e la vita troppo poco cristiane. Ricordiamoci che rimproveravano loro in particolare di professare la resurrezione della carne e anche di avere mogli e figli invece di dedicarsi unicamente al servizio di Dio. Loro soli, dichiaravano, avevano diritto di guidare le anime, perché loro soli vi si conformavano con la pratica assidua dell'ascetismo. È contro pretese analoghe che reagirono le nostre tre Epistole pastorali, ed è lo stesso ideale del pastore legato alla tradizione della Chiesa che oppongono a quello del maestro della gnosi. Non si concedono lo stesso lusso di citazioni bibliche. Sembrano persino astenersene sistematicamente, eccezion fatta per due o tre passi che sembrano aggiunti. Ma questo deve essere solo perché l'autore, che raccomanda di evitare ogni disputa a proposito della Legge, ci tiene a dare l'esempio astenendosi da qualsiasi richiamo che possa prestarsi alla discussione.

Dettaglio rivelatore: la sostanza delle due Epistole a Timoteo si presenta già in un episodio del libro degli Atti, che peraltro ha lo stesso contesto geografico. Paolo vi si rivolge agli «anziani» della Chiesa di Efeso, che sono stati costituiti «vescovi» dallo Spirito Santo sul gregge locale. Predice loro che sorgeranno maestri malvagi a insegnare cose perniciose. Li esorta di conseguenza a vegliare con cura sulle pecore affidate alla loro custodia. [56] Abbiamo lì una sorta di abbreviazione delle predizioni e delle raccomandazioni fatte dallo Pseudo-Paolo al vescovo di Efeso, Timoteo; ora il passo in questione appartiene alla seconda edizione del libro degli Atti dove abbiamo riconosciuto la mano di Clemente. Tutto ci porta, quindi, a vedere nelle lettere in questione l'opera dello stesso autore: è dall'ultimo editore dell'Apostolikon e dei due libri a Teofilo che provengono le Pastorali. Così si afferma nella sua diversità la continuità della Chiesa romana di cui rappresenta in modo eccellente le tendenze dominanti. 


NOTE DEL CAPITOLO 10

[37] Prima epistola a Timoteo 1:3; 3:14.  

[38] Seconda epistola a Timoteo 1:17; 4:21.

[39] Epistola a Tito 1:5; 3:12. 

[40] 1 Timoteo 1:3-10.

[41] Epistola a Tito 1:5-11; 3:9-11.

[42] 1 Timoteo 4:1-5.

[43] 2 Timoteo 3:29 e 15-17.

[44] H. DELAFOSSE (Turmel), les Ecrits de saint Paul, ed. Rieder, volume 4, pag. 68 e seguenti.

[45] 1 Timoteo 6:20-21.

[46] 1 Timoteo 3:2-10; 2-12; 4-12.

[47] Si veda capitolo 6, nota 21.

[48] Epistola a Tito 1:10-16.

[49] 2 Timoteo 3:1-7.

[50] 1 Timoteo 4:1-3.

[51] 2 Timoteo 2:18.

[52] 1 Timoteo 1:8-17; 2 Timoteo 1:13-14; Tito 1:1-4.

[53] 1 Timoteo 1:17; 6:16; 2 Timoteo 4:18.

[54] 1 Timoteo 2:1-2; Tito 3:1.

[55] 1 Timoteo 3:6; 6:3; 2 Timoteo 3:4 e 1 Timoteo 6:4-5; 2 Timoteo 2:23-26. Tito 3:9-11.

[56] Atti 20:17, 28-31. 

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