domenica 28 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoTendenze opposte: l'Epistola di Giacomo

 (segue da qui)


Tendenze opposte: l'Epistola di Giacomo.

La tendenza conciliante di questo gruppo di scritti, che mirava a riunire i fratelli nemici e a fondere le loro opposizioni dottrinali in una sintesi complessiva, non mancò di scontrarsi con pregiudizi ostili e di suscitare forti resistenze. In ogni conflitto, accanto a persone calme e moderate che vorrebbero mettere tutti d'accordo, ve ne sono altre che non vogliono avere nulla a che fare con possibili accordi e che si ostinano in un atteggiamento irriflessivo. Questo gruppo di inconciliabili doveva essere, a Roma, tanto più numeroso e attivo perché la crisi antiebraica l'aveva colpito duramente. Molti fedeli erano stati educati nel rispetto e nell'amore della Bibbia. Erano stati profondamente scioccati dalle critiche di Marcione. Il Vangelo da lui utilizzato e l'Apostolikon apparivano loro opere perniciose. Non capivano perché ci si sforzasse di mantenerli, persino in un'edizione riveduta e corretta. Ad ogni momento arrivavano dalla Palestina o dalla Siria i giudeo-cristiani ferocemente attaccati alle loro tradizioni ancestrali, che non ammettevano che ci si potesse compromettere con i nemici del mosaismo. Per loro, i testi che invocava Marcione servivano solo a fuorviare le anime, e i travestimenti con cui si potevano rivestirli non facevano che renderli più pericolosi. Gli autentici rappresentanti della vera fede non erano ai loro occhi né Paolo né Luca, suo collaboratore, ma piuttosto gli apostoli che Gesù stesso aveva associato alla sua opera, con la missione di continuarla, e, tra tutti, Giacomo, che era stato, si diceva, il primo testimone della sua resurrezione. È nei loro scritti che andava cercata la strada che conduce al Cristo. Da quella convinzione ci vengono due opere ben rappresentative, che hanno preso posto accanto alle precedenti nella Bibbia cristiana.

La prima di queste produzioni giudaizzanti debutta così: «Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella Diaspora, salute».

Rivolgendosi all'insieme della Diaspora, l'autore dà a pensare che risieda al centro del giudaismo. Vi sarebbe una troppo grande improbabilità nel far scrivere lontano da Gerusalemme il grande difensore della Legge, il cui ricordo era indissolubilmente legato a quella città. Ma è chiaro, per un lettore informato, che quella cosiddetta Epistola non può essere stata scritta da un uomo come Giacomo, che si rivolge dalla sua vecchia metropoli ai suoi simili in ogni paese. Non vi si trova nulla di ciò che l'aveva un tempo appassionato. Non si parla affatto del Tempio, né delle cerimonie che vi si svolgono, né della circoncisione, né delle altre osservanze il cui rispetto si impone ai pagani convertiti. Vi è detto, per contro, che «la religione pura e senza macchia, davanti a Dio nostro Padre, consiste nel visitare gli orfani e le vedove nella loro afflizione e nel preservarsi dalle sozzure del mondo». [105] Infine, il testo è scritto in greco, in una lingua pura, quasi classica, in uno stile curato, quello di una dissertazione accademica.

Questo fiore precoce e delicato non è affatto cresciuto sul suolo roccioso della Giudea. È un puro prodotto del suolo romano. Ne porta l'impronta ben prominente. Vi si ritrovano le tendenze fondamentalmente pratiche di Clemente, con la stessa distanza da elevate speculazioni. Il pragmatismo vi è ancora più marcato che nella Lettera ai Corinzi e nei supplementi anonimi ai libri sacri di Marcione. D'altra parte, il tono è più fermo, più combattivo, persino aggressivo. 

Lo Pseudo-Giacomo attacca i principi stessi del Paolinismo, la dottrina della giustificazione per fede. Lo fa con un vigore particolare che attesta che la questione è aspramente dibattuta intorno a lui. La sua critica verte sui testi ben noti, e non solo su quelli che si leggeva nell'Apostolikon, ma anche su alcuni di quelli che conteneva l'edizione corretta. 

«Fratelli miei, che serve a qualcuno dire che ha la fede, se non ha le opere? La fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono nudi e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, riscaldatevi e saziatevi», senza dare loro ciò che è necessario al corpo, a che serve ciò?». [106]

Il seguito si rivolge più precisamente al testo famoso dell'Epistola ai Romani (4:1-5), aggiunto nell'ultima edizione, dove è detto che è per mezzo della fede che Abramo fu giustificato: «Qualcuno dirà: «Tu hai le opere, ma io ho la fede...». Vuoi sapere, o uomo vano, che la fede senza le opere è inutile? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato dalle opere quando offrì suo figlio Isacco sull'altare? Vedi che la fede ha lavorato con le opere e che è per mezzo delle opere che la fede fu resa perfetta». Così si realizza ciò che dice la Scrittura: «Abramo credette a Dio e ciò gli fu riconosciuto come giustizia (Genesi 15:6), ed egli fu chiamato l'amico di Dio (Isaia 41:8)». [107]

L'«uomo vano» così rimproverato, non è altro che Paolo, o più esattamente lo Pseudo-Paolo dell'Apostolikon. Allo stesso tempo, è il suo ultimo editore ad aver introdotto nella sua opera il testo incriminato a proposito di Abramo. 

Tutto il resto dell'Epistola si spiega in funzione di quel testo ambiguo. Siccome si può essere giustificati solo dalle proprie opere, l'autore fa una rassegna dettagliata di quelle che sono richieste al discepolo del Cristo. La sua esposizione consiste in una rete di moralità appena tinta di dogmatica, piuttosto simile a quella che si trova formulata nei dodici comandamenti della seconda parte del libro di Erma. 

Lo Pseudo-Giacomo se la prende particolarmente coi chiacchieroni che passano il loro tempo a discorrere, soprattutto con coloro i cui discorsi seminano divisione e fanno intendere solo una falsa sapienza capace di turbare le anime: «Che ogni uomo», dice, «sia veloce ad ascoltare, lento a parlare». Più avanti precisa il suo pensiero: «Fratelli miei, non ci sia affatto tra voi un gran numero di persone che si mettono a insegnare». Segue una invettiva accademica sui mali della lingua, che porta a quella conclusione: «Chi tra voi è saggio e intelligente? Mostri le sue opere con una buona condotta e con la dolcezza della sapienza. Ma se avete nel vostro cuore uno zelo amaro e uno spirito polemico, non vantatevi e non mentite contro la verità. Questa sapienza non è affatto quella che viene dall'alto: ma è terrena, carnale, diabolica». [108

Queste parole traducono lo stato d'animo della grande Chiesa di fronte alle controversie sollevate dai Marcioniti. Riecheggiano alcune invettive di Erma contro i falsi profeti il cui spirito vano formula per gli uomini insegnamenti vani, la cui sapienza non viene affatto dall'alto ma dalla terra. [109]

L'Epistola non è più tenera con i ricchi. Il denaro non vale più dell'ingegno agli occhi di colui che giudica gli uomini solo dalle loro opere. Un santo povero vale più di un mondano opulento: «Supponiamo», dice lo Pseudo-Giacomo, «che entri nella vostra Assemblea un uomo con un anello d'oro, in abito magnifico, ed entri anche un povero miseramente vestito,  se, volgendo il vostro sguardo verso colui che porta l'abito magnifico, voi gli dite: «Tu siediti qui in quel posto d'onore!», e se dite al povero: «Tu stattene là in piedi!», oppure: «Siediti qui vicino al mio sgabello!», non avete giudicato parzialmente, nel basarvi su cattive ragioni? Ascoltate, fratelli miei carissimi, non ha Dio scelto i poveri agli occhi del mondo, perché siano ricchi in fede... ? Non sono forse i ricchi che vi opprimono e che vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi quelli che oltraggiano il bel nome che voi portate?». [110]

Queste osservazioni tradiscono una sorda collera. Più oltre, il nostro moralista si scaglia, alla maniera degli antichi profeti, contro i possidenti: 

«A voi ora, o ricchi! Piangete e gemete a causa dei mali che verranno su di voi. Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine si ergerà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Ecco che grida il salario dei lavoratori che hanno mietuto i vostri campi e che voi avete frodato, e le grida dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti». [111]

Abbiamo lì quasi gli inizi di una sorta di socialismo cristiano, che si consola delle ingiustizie presenti con la prospettiva vendicativa della grande sera, quando i ruoli saranno ribaltati. Non si tratta affatto di uno sfogo casuale, dovuto a una circostanza passeggera, a uno sbalzo d'umore. Invettive simili si leggono già nel Pastore di Erma e vi si accompagnano da raccomandazioni pressappoco identiche. I ricchi devono aiutare i bisognosi, «visitare le vedove e gli orfani». È così che si comporteranno da veri credenti, che faranno prova di un cuore puro e senza macchia. [112]

Se i due autori non sono gli stessi, hanno un'affinità ben stretta, sono i rappresentanti di uno stesso gruppo in cui sopravvivono le tendenze sociali dell'essenismo. 


NOTE

[105] Epistola di Giacomo 1:27.

[106] Id., 2:14-16.

[107] Id., 2:18-23.

[108] Id., 1:19; 3:1; 3:2-12; 3:13-15.

[109] Pastore di Erma, Precetti 11:1-20.

[110] Epistola di Giacomo 3:2-7.

[111] Id., 5:1-4. Si veda Isaia 5:9. 

[112] Pastore di Erma, 1° Similitudine 8; Precetti 2:7. Si veda Giacomo 1:27.

Nessun commento: