domenica 9 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoBasilide

 (segue da qui)

Basilide.

Secondo la dottrina di Basilide [9] la sostanza divina, perfetta in sé, è il principio di una serie di incarnazioni che si allontanano gradualmente dalla sua perfezione iniziale, e di cui si possono scandire così le principali tappe: Dio, l'Intelletto, il Verbo, la Ragione, la Sapienza, la Potenza, poi gli Angeli di un primo cielo, di un secondo, di un terzo, fino a quelli del più basso, del 365°, che sono tra tutti i più imperfetti. Sono loro ad aver formato questo mondo inferiore, poi l'uomo, e lo hanno assoggettato a leggi rigorose. È uno di loro che, avendo dalla sua parte il popolo degli ebrei, di cui si fece il legislatore, ha voluto farli dominare su tutti gli altri e si è attirato così l'inimicizia di tutti. Dio, vedendo la miseria dell'anima derivata dalla sua sostanza incorruttibile, ma racchiusa da loro in un corpo perituro e sottoposto ad ogni sorta di vessazioni, inviò quaggiù per rivelargli la scienza della salvezza il suo primogenito, l'Intelletto o il Cristo. Costui discese fino a noi e parve tale e quale a noi, ma senza esserlo veramente. Sembrò morire su una croce, ma fu un altro, Simone di Cirene, in cui si era trasformato, a soffrire al suo posto. Infine risalì verso suo Padre. I suoi discepoli faranno lo stesso se seguono il suo esempio, se si liberano dalle leggi con le quali gli Angeli malvagi li hanno ridotti in schiavitù, per ispirarsi solamente alla sua rivelazione. Pochi sono coloro che possono farlo, a malapena uno su mille. Costoro vivono in apparenza come gli altri, sanno assumere tutte le forme per rendersi invisibili ai geni maligni. Il loro motto è «Conoscili tutti e non essere conosciuto da nessuno». Potranno attraversare le sfere superiori senza essere arrestati da loro perché sapranno le parole d'ordine che permettono di attraversare il loro dominio. Perciò devono vivere in segreto, guardandosi bene da ogni divulgazione dei misteri. Come Pitagora, ci è detto, Basilide impose ai suoi adepti un silenzio di cinque anni. [10] Questo lascia intravedere in seno a quella Chiesa una comunità di monaci fortemente disciplinati, che mostravano con il loro esempio al resto dei fedeli la via da seguire per ritornare a Dio.

Quella dottrina è solo un adattamento cristiano di quella dei Simoniani alla quale Basilide era stato iniziato ad Antiochia, alla scuola di Menandro, presso Satornilo. [11] Rientrato in Egitto, si mise a propagarla nei luoghi di Prosopis, di Atribi, di Sais e infine di Alessandria, dove si stabilì. La riprese in un lungo commentario, in 24 libri, di un Vangelo sconosciuto, quello, senza dubbio, che si chiamava «secondo Mattia», il che non gli impedì di appellarsi peraltro ad una tradizione segreta di Glaucia, interprete di Pietro. Egli non voleva né la legge mosaica né i profeti ebrei; in compenso proponeva oracoli di Cam, di Barrabba, di Barkoph o Parchor. A ciò si aggiungevano «Odi», «Preghiere», «Incantesimi», di cui egli era l'autore. [12] Tutti questi testi dogmatici o liturgici dovevano restare segreti. Divieto era fatto agli iniziati di darne conoscenza ai profani. Dovevano vivere come tutti gli altri, assumere tutte le apparenze per sfuggire, come il Cristo, alle persecuzioni dai loro avversari. È così che, a una festa del 6 gennaio, quando gli Egiziani andavano ad attingere dal Nilo l'acqua sacra in ricordo di Osiride, essi facevano come la folla, ma in uno spirito ben diverso. Commemoravano così l'arrivo di Gesù al Giordano e il suo battesimo, che era la sua prima manifestazione. Da lì è venuta la solennità dell'Epifania, testimonianza concreta del legame che univa la setta alessandrina al resto del cristianesimo. 


NOTE DEL CAPITOLO 6

[9] Su BASILIDE: CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Stromata 7:17, 180. EPIFANIO, Haer. 24:1; Ippolito, Philosophoumena 7:13, 27.  

[10] EUSEBIO, Storia ecclesiastica 4:7, 3 (secondo Agrippa Castore).

[11] IRENEO, Adv. Haer. 1:24, 1. Su Satornilo, Philosophoumena 7:28. 

[12] CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Stromata 6:6, 53, 4. Si veda Prosper ALFARIC, Les Ecritures manichéennes, volume 1, pag. 11-12. 

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