sabato 29 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoOfiti

 (segue da qui)


Ofiti.

Quella gnosi, così ampia e così complessa, si prestava a ogni tipo di variazioni. Siccome esponeva le tattiche adottate dalla Sapienza per la liberazione dell'anima prigioniera, la gente dallo spirito inventivo poteva sempre immaginare qualche altra azione salutare. Siccome d'altronde diverse tradizioni erano utilizzate, chiunque ne conoscesse altre che vi potessero adattarsi si trovava indotto a farle valere. Nessuna autorità dottrinale vi era lì ad imporre un'ortodossia e il pubblico religioso era aperto alle novità. Sullo stesso tronco potevano quindi crescere diverse sette. 

Al seguito della sua esposizione generale, Ireneo segnala particolarmente uno di questi gruppi, che si impone all'attenzione per la sua stranezza: «Secondo il dire di alcuni», osserva, «fu la Sapienza stessa che si fece serpente. È per questo che quest'ultimo si rivoltò contro l'autore di Adamo e che comunicò la conoscenza agli uomini. È anche per questo motivo che è stato chiamato il più saggio di tutti gli animali». [22]

Una tale credenza si concepisce bene solo in un ambiente in cui il serpente era l'oggetto di un certo culto. Ma sappiamo che proprio nel mondo greco godeva di un rispetto religioso. Quando emerge dalle profondità della terra per insinuarsi nei campi, nei giardini, attorno alle case, si vedeva in lui una sorta di genio della famiglia, un ritornato dal mondo dei morti, in cui riviveva l'anima di qualche antenato. Lo si circondava di riguardi, lo si ammetteva all'interno della casa, gli si offrivano cibi, quelli che si ritenevano graditi ai morti. I neofiti cristiani venuti dal paganesimo tenevano a queste pratiche. Molti si sarebbero fatti scrupoli ad allontanarsene. Soltanto che le interpretarono nel senso delle loro nuove convinzioni e le adattarono di conseguenza al cerimoniale della Chiesa. È così che vediamo menzionata, già nella seconda metà del II° secolo, una setta cristiana di «Ofiani», che i testi successivi chiamano «Ofiti», e il cui nome viene dal greco «ophis», che vuol dire «serpente». [23] Un cacciatore di eresie ci dice sul loro conto: «Onorano il serpente a causa della gnosi portata da lui agli uomini e gli offrono del pane. Hanno infatti un vero serpente che nutrono in una scatola. Al momento dei loro misteri, si porta quella scatola e si dispongono i pani su una tavola; si apre la scatola, il serpente esce, si arrampica sulla tavola, si avvolge attorno ai pani. Tale è per loro l'offerta perfetta. Spezzano questi pani, attorno ai quali si è avvolto il serpente, li distribuiscono ai comunicanti e magnificano quella eucarestia così consacrata dalle spire della bestia. Terminano i loro riti con un inno rivolto al Padre supremo». [24] Quella eucarestia ofita è senza dubbio solo l'adattamento al pasto sacro dei cristiani di qualche pratica religiosa che era corrente nelle cerchie pagane di adoratori del serpente. 

Un pagano del tempo di Ireneo, Celso, ha conosciuto la stessa setta. Ha persino avuto tra le mani una figura simbolica, un «diagramma» che rappresentava le grandi linee delle loro dottrine, e ne dà un breve scorcio. Una linea nera divide questo disegno in due sezioni. Nella parte di sopra si leggono varie iscrizioni, come «Il Padre e il Figlio». Vi si vede il Padre che applica un sigillo al Figlio, che dice ricevendolo: «Sono unto con l'unzione bianca presa dall'albero della vita». Vi si parla della «Vergine Prounikos», dell'«anima del mondo», raffigurata da un grande cerchio, che ne contiene altri dieci, di sette demoni principali che hanno la forma di un leone, di un toro, di un drago, di un'aquila, di un orso, di un can, d'un asino. L'attenzione è soprattutto rivolta al primo tra loro, il Dio dei giudei, da cui il serpente fu maledetto per aver comunicato agli uomini la conoscenza del bene e del male e che, per questo motivo, è incorso lui stesso in una maledizione ben più grave. Al dipinto si attribuiscono una «figura quadrata» — senza dubbio la sacra tetrade — «porte del cielo», «ruscelli della Chiesa terrena», un morente che si trova collocato tra i sette mostri summenzionati e sette angeli di luce. 

In un trattato «Contro Celso», il grande alessandrino Origene dichiara di avere avuto conoscenza della setta descritta da Ireneo e di essersi procurato lo stesso diagramma. Egli dà sul suo conto alcuni dettagli aggiuntivi che completano la nostra comprensione del carattere del gruppo. [25] Apprendiamo da lui che gli Arconti che presiedono ai sette cieli sono Ialdabaoth, Iao, Sabaoth, Adonaios, Eloaios, Horaios, Astaphaios, e che i demoni che si contendono con gli Angeli di Luce le anime dei morenti si chiamano Michele, Suriele, [26] Raffaele, Gabriele, Tantabaoth, Erataoth. Siamo anche istruiti su diverse parole d'ordine che l'anima dell'iniziato dovrà pronunciare presentandosi davanti alla porta d'ingresso di ogni cielo. Tutte queste informazioni si adattano benissimo a quelle che provengono da Ireneo. Si spiegano da loro. Gli Ofiti sono dunque proprio un ramo della grande famiglia degli gnostici descritta dal vescovo di Lione.

Origene finge di considerarli una quantità trascurabile. Forse erano poco numerosi, ai suoi tempi, nelle regioni che ha conosciuto. Erano più numerosi altrove, perché è per mezzo di loro che Celso, mente molto saggia, si rappresenta la dottrina comune dei cristiani. Aggiungiamo che dovevano avere una costituzione abbastanza robusta poiché Epifanio, vescovo di Salamina, li ha trovati due secoli più tardi in piena vitalità. 


NOTE DEL CAPITOLO 8

[22] IRENEO 1:30-15.

[23] CELSO in ORIGENE, contra Celsum, patrologia greca 11:1328-1357; 6:24-39. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata 7:17, patrologia greca 9:553.

[24] EPIFANIO, Haer., 38 (patrologia greca, 41: 648) secondo Ippolito di Roma.

[25] ORIGENE, contra Celsum 6:30-32.

[26] Messo senza dubbio per Uriel, come in diversi manoscritti di Enoc; si veda F. MARTIN, le livre d'Hénoch, pag. 18, nota 1.

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