lunedì 6 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoL'apostolo Paolo

 (segue da qui)

L'apostolo Paolo.

«Saulo» è il nome che portava tra gli ebrei l'apostolo «Paolo». Quest'ultimo nome, attinto dai latini e sempre messo da lui in testa alle sue lettere, gli permetteva di presentarsi come un suddito romano e facilitava così la sua attività di missionario nella Gentilità. Egli stesso racconta che dalla Siria si recò in Cilicia. [6] Più tardi era in «Galazia», o più precisamente nella parte meridionale di quella provincia, che raggruppava soprattutto il centro dell'Asia Minore attorno ad Ancyra, l'attuale Ankara, ma che si estendeva a sud fino al mare. Lo vediamo in seguito in Macedonia, a Filippi, a Tessalonica, la nostra Salonicco, poi in Acaia, a Corinto. Se ne dipartì solo dopo avervi messo in piedi comunità cristiane ben vivaci, animate dal suo spirito ardente e conquistatore. Da lontano scriveva loro per stimolarle o confortarle, a volte anche per rimproverarle con tono veemente. Un giorno inviò ai fedeli di Roma una lettera destinata a prendere contatto con loro e li mise a corrente del progetto che aveva spesso formulato di andare a vederli.

Lui stesso ricorda, in una delle sue missive, alcune peripezie particolarmente drammatiche del suo apostolato. Lo fa con uno stile incalzante, concitato, appassionato, che porta il segno di un carattere ardente e impulsivo: «Spesso in pericolo di morte, cinque volte ho ricevuto dai Giudei quaranta colpi meno uno, tre volte flagellato, tre volte ho fatto naufragio, un giorno e una notte sono stato nell'abisso. Spesso in viaggio, pericoli sui fiumi, pericoli per i briganti, pericoli del mio popolo, pericolo dei Gentili, pericoli in città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli di falsi fratelli. In fatiche e in pene, spesso in veglia, nella fame e nella sete, spesso nei digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a tutto, ciò che mi assilla tutti i giorni, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?». [7]

Questo ardore traboccante, questo tono focoso, hanno fatto di Paolo per i posteri, il tipo perfetto del missionario, l'«Apostolo» per eccellenza. Si è visto in lui il grande costruttore della Chiesa. Alcuni lo hanno persino considerato come il suo vero fondatore. Un tal giudizio è molto esagerato. Paolo non ha avuto, per i suoi contemporanei, l'importanza che gli è stata attribuita in seguito. Sappiamo da lui stesso che non si è imposto come una personalità superiore al rispetto unanime del suo entourage. Egli fu molto discusso anche nelle Chiese in cui si era più impegnato. A Corinto, in particolare, vari partiti si erano formati contro di lui. Uno si appellava a Cefa, venuto forse di persona da Gerusalemme, un altro ad un certo Apollo, che il libro degli Atti ci presenta come un ebreo di Alessandria, «uomo eloquente e versato nelle Scritture». Quanto a lui, lo si trattava da falso apostolo, che si era introdotto senza mandato, da ingannatore, i cui successi erano dovuti solo all'astuzia, da parassita, abituato a farsi intrattenere dalle Chiese, da ignorante poco versato nelle Scritture e poco abile a discorrere, da folle pretenzioso, che da lontano si mostrava arrogante e non era, visto da vicino, che un poveraccio. [8] Se parla con tanta asprezza delle pene che ha sopportato, dei pericoli che ha corso, delle preoccupazioni che lo opprimono, è proprio per rispondere a queste critiche e far valere le sue credenziali.

Lo conosciamo solo attraverso sé stesso. È da Damasco che era partito; lì si era effettuata la sua visione decisiva del «Figlio». Quest'ultimo termine, che è per lui sinonimo di «Cristo», è quello che vediamo impiegato comunemente e nello stesso senso attraverso la prima stesura dell'Epistola agli Ebrei. [9] L'idea che si faceva di quella personalità trascendente non differiva senza dubbio sensibilmente da quella che si afferma in questo  documento arcaico. Ciò equivale a dire che anch'essa si basava parallelamente su testimonianze scritturali, considerate come messianiche, piuttosto che sulle attestazioni degli ex compagni di Gesù. È meditando su queste testimonianze scritturali, invocate dai partigiani della nuova fede, che Paolo sarà giunto alla visione interiore del Figlio di Dio fatto uomo. Ecco perché la presenta come una rivelazione fatta da Dio stesso. I veri rivelatori sono i cristiani che ha incontrato sul suo cammino e la cui ferma credenza, divenuta la regola della loro vita, avrà fatto su di lui un'impressione profonda. La sua visione non è che un riflesso di quella che ognuno di loro portava dentro di sé, perché tutti erano ossessionati dallo stesso miraggio del Cristo Salvatore, apparso quaggiù per rimediare alla loro comune miseria. Tutti avevano consapevolezza di trovarsi in rapporti personali con lui. Così si spiega l'atteggiamento del nuovo convertito nei confronti dei suoi predecessori nell'apostolato. Se non si è recato senza indugio presso di loro, è perché non ha sentito il bisogno né l'interesse di un tale passo. Avendo in sé la visione intima del Figlio di Dio, credeva di conoscerlo così bene come quei vecchi testimoni. Poteva dire allora, come dirà più tardi: «Ritengo che io non sia stato inferiore in nulla ai Super-Apostoli». [10] Ma nulla mostra che, in questi primi tempi, vi sia stata tra loro e lui la minima divergenza. 

Gravi difficoltà sono sorte più tardi, dopo che Paolo ebbe lasciato Damasco. Da quella città, caduta prima dell'anno 40 in potere del re nabateo Areta IV, il cui Governatore voleva farlo arrestare, [11] si è recato in «Siria», vale a dire, secondo ogni apparenza, ad Antiochia. Senza dubbio ha avuto lì una visione nuova, quella di un cristianesimo allargato, liberato dai vincoli più scioccanti del legalismo ebraico, della circoncisione, dei divieti alimentari, dei tabù sociali. Lo vediamo infatti, dopo un nuovo spostamento dalla Siria in «Cilicia»,  esposto agli attacchi violenti di cristiani giudaizzanti, che gli rimproverano le libertà prese da lui nei confronti della Legge. [12]

Si è troppo visto nell'Apostolo un innovatore di genio, che con la foga di un temperamento vigoroso, avrebbe condotto la Chiesa su sentieri tanto poco esplorati prima di lui quanto pieni di promesse. Nulla prova che abbia realmente innovato. Il suo atteggiamento è quello del suo entourage, che si spiega a sua volta per le condizioni sociali della comunità di cui faceva parte.

NOTE DEL CAPITOLO 5

[6] Epistola ai Galati 1.21.

[7] 2° epistola ai Corinzi 11:23, 29.

[8] 2 Corinzi 10:7; 22:21.

[9] Ebrei 1:2, 5, 8, ecc. (si veda più sopra pag. 107).

[10] 2 Corinzi 11:5.

[11] 2 Corinzi 11:32, 33.

[12] Galati 1:21; 3:1

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