giovedì 16 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoL'Eucarestia

 (segue da qui)

L'Eucarestia.

Quanto ai pasti comuni, che avevano luogo due volte al giorno tra gli Esseni, essi potevano mantenersi con quella frequenza solo in una comunità di monaci. Anch'essi, d'altronde, avrebbero attirato troppo l'attenzione e provocato le critiche da parte di malintenzionati. Li si ridusse a uno solo, che raggruppava i fedeli nel giorno del Signore e che ebbe, per questo fatto, un carattere ancora più santo.

Già il Vangelo dei Nazareni accentua il carattere sacro dell'agape tradizionale facendovi partecipare Gesù stesso con i suoi dodici apostoli nell'ora esatta in cui comincerà la sua Passione. Quell'ultima scena chiude la vita del Cristo, proprio come il battesimo al Giordano l'inaugurava. Anch'essa servirà ormai da modello per i cristiani. Il pasto eucaristico delle Chiese sarà considerato come il rinnovamento di quello che ebbe luogo nel cenacolo. I discepoli vi riprodurranno il gesto del Maestro e si sentiranno perciò in comunione più stretta con lui.

Per meglio sottolineare la natura mistica di questo pasto, se ne eliminò presto tutto ciò che costituiva un vero pasto, in cui si mangia per la propria fame, in cui si beve per la propria sete. Vi si trattenne solo una piccola quantità di cibo, un po' di pane che si frazionava tra fratelli, un calice che si faceva circolare attorno. 

È in questo punto preciso dell'evoluzione del rituale, per chiarirne il significato e accelerarne il progresso, che interviene una regolamentazione importante inscritta nella raccolta paolina.

«Ho appreso», scrive lo Pseudo-Paolo ai Corinzi, «che quando vi riunite in assemblea, delle divisioni si formano tra voi... Questo non è mangiare il pasto del Signore. Quando ci si mette a tavola, ognuno comincia a mangiare il proprio pasto, e uno è affamato mentre l'altro è sazio. Non avete dunque case in cui mangiare e bere? O disprezzate la Chiesa di Dio e fate onta a coloro che non hanno nulla? Cosa vi dirò? Dovrei lodarvi? In ciò io non vi lodo affatto».

Segue quella presentazione dell'ultima Cena: 

«Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che anch'io vi ho trasmesso, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu consegnato, prese il pane e, avendo reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in mia memoria». Egli prese allo stesso modo il calice, dopo il pasto, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che bevete, in mia memoria». [52]

Il fatto che questo racconto sia presentato come «ricevuto dal Signore» mostra che non viene, tale e quale, dalla tradizione. È, almeno in parte,  un insegnamento personale. Se Paolo lo avesse già «trasmesso» ai Corinzi, non avrebbe dovuto esporlo loro in modo così diretto e solenne, come se ne parlasse per la prima volta. È uno pseudonimo che parla qui e che sfrutta il suo nome per far meglio accettare una tesi particolarmente ardita che la sua novità potrebbe far respingere. Secondo lui, infatti, il Cristo non si è limitato a celebrare con i suoi discepoli l'Ultima Cena, né a domandare che fosse rinnovata nella sua memoria. Ha voluto ancora fornirne lui stesso la sostanza. Egli si è costituito il cibo dei commensali.

Per afferrare su questo punto il pensiero dello Pseudo-Paolo va ricordato il posto importante che egli dà senza posa al simbolismo. Perché il pane che Gesù spezza con il suo entourage è il suo stesso corpo? Perché il suo corpo sarà spezzato, come questo pane, per i suoi discepoli. Perché il calice è la nuova alleanza nel suo sangue? Perché il suo sangue scorrerà, come il contenuto del calice, per la loro salvezza comune, realizzando così la «nuova alleanza» predetta da Geremia. Il pane e il calice sono figure della morte del Cristo. Lo Pseudo-Paolo insiste su questo punto: «Tutte le volte», spiega, «che mangiate questo pane e bevete questo calice, annunciate la morte del Signore finché egli venga. Così chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore».

A questo simbolismo generale se ne aggiunge un altro più preciso. Siccome si tratta di un pasto, la morte del Cristo è qui assimilata allo sgozzamento rituale dell'agnello pasquale. Così si spiega la menzione della «nuova alleanza», perché è tramite il sangue versato alla prima Pasqua, quella che seguì l'uscita dall'Egitto, che l'antica alleanza fu sigillata da Mosè. [53] Il Cristo riappare dunque qui, conformemente alla concezione primitiva, come l'agnello di Dio. Da lì è venuta l'idea che egli possa essere mangiato misticamente dai fedeli. Anche separandosi dal giudaismo, il rituale cristiano mantiene con esso legami profondi.

Eppure l'influenza dei ricordi biblici non può spiegare tutto. Mosè si accontentava di aspergere il sangue della vittima sui figli di Israele. Non lo dava affatto da bere. L'idea di una tale bevanda non è affatto ebraica. Essa era riprovata dalla Legge di Mosè. [54] È da altrove che deve provenire. Lo stesso Pseudo-Paolo lo lascia intravedere. Scrive, in una invettiva contro l'idolatria:  «Il calice di benedizione che benediciamo non è forse comunione al sangue di Cristo? Il pane che spezziamo non è forse comunione al corpo del Cristo?... Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla tavola del Signore e alla tavola dei demoni». [55]

Questo parallelo è significativo. Il nostro teologo concepisce il pasto eucaristico come analogo a quelli che, negli altri culti, accompagnano l'immolazione delle vittime. È, come loro, un rito di comunione. Soltanto si comunica qui con il Cristo, là con i falsi Dèi. Bisogna scegliere. Non si può fare nel contempo l'uno e l'altro: «Che cosa dico allora? Che la carne sacrificata agli idoli è qualcosa o che un idolo è qualcosa? Per nulla. Dico che ciò che si sacrifica lo si sacrifica ai demoni e non a Dio. Ma io non voglio che voi siate in comunione con i demoni... Vogliamo provocare la gelosia del Signore?»

L'invettiva è rivolta ai pasti sacri in cui si mangia la carne delle vittime offerte alla divinità. Ma ce ne sono altri di carattere meno grossolano. Sono quelli che hanno luogo nelle religioni misteriche. Questi culti, che hanno una tendenza più morale, si discostano dalle tradizioni correnti ed esigono dai loro adepti un'iniziazione preliminare. Insegnano che la divinità deve essere adorata in spirito mediante la pratica di una vita pura e mantengono gli antichi riti solo come figure di verità più elevate. In ciò sono molto vicini al cristianesimo. Lo Pseudo-Paolo ne ha la sensazione molto netta. Nel corso della stessa Epistola, [56] presenta la dottrina del Cristo come un «mistero», che deve essere rivelato solo con riserva, a iniziati selezionati. La sua concezione della cena eucaristica ha dunque potuto ispirarsi  a pratiche simili che avevano luogo in Siria in questi tipi di culti.

I sacerdoti di Iside avevano una coppa magica sulla quale era pronunciata una formula consacratoria, conservata in un antico papiro: «Tu sei vino, e non più vino, ma le viscere di Osiride». Ai misti di Attis, dopo un rumoroso charivari, si serviva un cibo solido e una bevanda, di cui uno si prendeva su un tamburello, l'altro in un cimbalo, e che un autore cristiano, Firmico Materno, mette in parallelo con il pane e la coppa eucaristici. [57] Ancora meglio, tra gli adepti di Mitra si raccontava che questo Dio fatto uomo avesse consumato un ultimo pasto con i suoi compagni prima di lasciarli per risalire in cielo, e se ne commemorava il ricordo con una cena talmente simile a quella dei cristiani che questi potevano credere a un plagio. Uno di loro, san Giustino, avendo ricordato, nella sua prima Apologia, come l'Eucarestia fosse stata istituita dal Cristo, aggiunge piuttosto imprudentemente: «Questo è proprio ciò che, nei misteri di Mitra, hanno appreso a fare i malvagi demoni. Si presentano, infatti, del pane e una coppa d'acqua, nelle cerimonie dell'iniziazione, con certe formule, o lo sapete, o potete saperlo». [58]

Giustino parla da cristiano. Siccome la rassomiglianza gli appare molto grande tra la pratica degli adepti di Mitra e quella della sua stessa Chiesa perché non accada che l'una provenga dall'altra, conclude, con la sua logica da credente, che è l'Eucarestia ad essere la più antica. Ma la sua tesi è contraria a ogni plausibilità. Il mitraismo si è formato ben prima del cristianesimo. Non è quindi da esso, in questo caso, che proviene l'imitazione. Piuttosto, proviene dalla Chiesa.

Ansiosi di attirare a loro i seguaci delle religioni misteriche, i propagandisti cristiani hanno ammesso volentieri, per attirarli meglio, quelle loro pratiche che si prestavano abbastanza facilmente ad un'interpretazione ortodossa. Potevano utilizzare tanto più ampiamente quel metodo nei confronti degli adepti di Mitra, in quanto questi ultimi si reclutavano soprattutto nell'ambiente o nell'entourage dei soldati, che erano particolarmente numerosi nelle vicinanze della capitale siriana. Già realizzavano con loro un'intesa cordiale, celebrando all'indomani del sabato, il giorno del Sole (Sonntag, Sunday), come il giorno del Signore, dies dominica, la domenica. Si avvicinavano a loro ancora di più e accentuavano la loro rottura con il giudaismo celebrando in questo giorno un'Eucarestia essenziale, divenuta nel pieno senso del termine la «cena del Signore».

NOTE DEL CAPITOLO 5

[52] 1 Corinzi 11:18-25, 26-27.

[53] Esodo 24:8.

[54] Levitico 7:27; 17:10-14.

[55] 1 Corinzi 10:16-22.

[56] 1 Corinzi 2:7; 4:1.

[57] MATERNO, De err., 18.

[58] SAN GIUSTINO, Apologia 1, 66:4.

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