martedì 14 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoProfeti e glossolali

 (segue da qui)


Profeti e glossolali.

È da profeta che il Deutero-Paolo si pronuncia sulla resurrezione e sul giudizio finale. Egli è qui l'emulo del veggente di Patmos, che ha avuto la rivelazione del dramma imminente. Non parla di sé come di un semplice esegeta degli oracoli del Signore, ma come uomo ispirato. 

Egli stesso ci dà a intendere che il suo caso non è isolato, che al contrario è frequente, si potrebbe quasi dire normale. Allo stesso tempo, ci fornisce sulle comunità cristiane alcuni dettagli curiosi, che ne fanno emergere la complessità, ma che mostrano pure che un'organizzazione vi si profila, che una certa gerarchia tende a stabilirsi in esse: «Come il corpo», dice ai Corinzi, «è uno e ha più membra... così è Cristo. Voi siete il corpo di Cristo e siete sue membra, ciascuno a suo modo. Dio ha stabilito nella Chiesa in primo luogo gli apostoli, in secondo luogo i profeti, in terzo luogo i dotti, in seguito miracoli, doni di guarigione, assistenze, direzioni, diversità di lingue». [42]

Intendiamo con le ultime parole che c'è gente che parla ogni sorta di lingua sconosciuta. Sono i «glossolali». In una città come Antiochia, dove si incontrano uomini di ogni paese, si odono molti idiomi e dialetti. Nella Chiesa cristiana, come nella sinagoga, ciascuno può prendere la parola. Ciascuno si esprime nel suo dialetto natale. Ciò basta perché non si possa più intendersi. Questo non è tutto. Non ci sono solo le «lingue degli uomini». Ci sono anche quelle «degli Angeli». [43] Gli oratori privilegiati ne possiedono le parole. Le fanno risuonare alle orecchie dei loro ascoltatori stupiti, come questo o quel papiro recentemente riesumato nella valle del Nilo le allinea con compiacimento sotto gli occhi dei lettori. Altri fanno ancora meglio. Capita loro di essere talmente posseduti dallo Spirito Santo e talmente sensibili al suo respiro interiore che è lui a far vibrare le loro corde vocali. I suoni articolati che emettono nel corso di queste crisi mistiche non appartengono a nessuna delle lingue conosciute. Non hanno che maggior valore per i credenti pii, perché è la voce di Dio che si fa intendere per mezzo loro.

Eppure, agli occhi del Deutero-Paolo, per quanto eccellente sia la glossolalia, non vale affatto la profezia: «Colui», dice, «che parla in una lingua non parla affatto per gli uomini, perché nessuno lo comprende. Colui che profetizza, al contrario, parla per gli uomini, li edifica, li esorta, li consola. Colui che parla in una lingua edifica sé stesso. Colui che profetizza edifica la Chiesa... Fratelli, di che utilità vi sarei  se venissi da voi parlando in lingue e non vi parlassi per rivelazione, o per conoscenza, o per profezia, o per dottrina? Se in un'assemblea della Chiesa intera tutti parlano in lingue e se entrano gente comune o non credenti, non diranno forse che siete pazzi? Ma se tutti profetizzano, e se entra un non credente o un semplice uditore, ... prostrandosi a terra, egli adorerà Dio». [44]

Queste osservazioni teoriche, che non mancano di sapore, si accompagnano a raccomandazioni molto suggestive: «Cosa fare dunque, fratelli? Quando vi riunite, ... se qualcuno parla in lingue, che due o tre al più parlino, ciascuno a turno, e che qualcuno interpreti. Se non c'è affatto interprete, tacciano... Quanto ai profeti, due o tre parlino e gli altri giudichino; e se un altro che è seduto ha una rivelazione, il primo taccia. Perché voi potete tutti profetizzare in successione, affinché tutti siano istruiti e tutti siano esortati. Gli spiriti dei profeti sono soggetti ai profeti, perché Dio non è per il disordine ma per la pace».

Da queste constatazioni e da queste riflessioni risulta con chiarezza che sono i profeti a recitare i primi ruoli. È su di loro che deve regolarsi l'assemblea dei fedeli. Senza dubbio essi vengono solo dopo gli apostoli. Ecco perché il Deutero-Paolo, che si è fatto il sosia del grande missionario della Gentilità, legifera risolutamente su di loro. Ma questo caso è eccezionale e in qualche modo fuori luogo. Da regola generale, gli apostoli non fanno che passare. Ma i profeti restano. Sono loro che normalmente danno il tono. Gli altri ministri della comunità vengono solo dopo di loro. Essi si regolano sulla loro ispirazione. Loro stessi, d'altronde, escono dai ranghi e sono investiti di una funzione specifica solo perché partecipano in qualche misura allo Spirito di Dio, che vive nel Cristo, che rivive nella Chiesa: «Vi sono diversità di doni, ma questo è lo stesso Spirito; diversità di ministeri, ma lo stesso Signore; diversità di operazioni, ma lo stesso Dio che opera in tutti. E a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l'utilità comune. Infatti, a uno è data dallo Spirito una parola di sapienza, all'altro una parola di conoscenza secondo lo stesso Spirito, a un altro il dono di guarigione tramite l'unico Spirito, a un altro il discernimento degli spiriti, a un altro la diversità delle lingue. Uno stesso Spirito opera tutte le cose, attribuendole a ciascuno come vuole». [45]

NOTE DEL CAPITOLO 5

[42] 1 Corinzi 12:12, 27-28.

[43] 1 Corinzi 13:1.

[44] 1 Corinzi 14:1-4, 6, 23-25, 26-33.

[45] 1 Corinzi 12:4-12.

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