domenica 12 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoLa nuova Pasqua e il ritorno del Salvatore

 (segue da qui)


La nuova Pasqua e il ritorno del Salvatore.

Da dove viene dunque la credenza in questione? Dalla credenza negli Dèi Salvatori che muoiono ma risorgono. Ricordiamoci le feste popolari che si svolgevano ogni anno in Siria all'inizio della primavera, per celebrare il ritorno alla vita. Era come un'esplosione di gioia rumorosa, accompagnata da canti, da danze, da pasti sacri, da tutto ciò che può piacere alle folle. La Chiesa si appropriò di quella liturgia della Resurrezione come si era appropriata di quella della Passione. Il Crocifisso divino, la cui morte aveva gettato i credenti nel lutto, diede, uscendo dalla tomba, il segnale di una gioia senza pari. La sua immolazione rituale, assimilata allo sgozzamento dell'agnello pasquale, era stata celebrata, del tutto naturalmente, dai primi credenti di Palestina il primo giorno della Pasqua. Dal momento in cui quella assimilazione non era più trattenuta, la data non si imponeva più. La preoccupazione che avevano i Siriani, dopo la grande guerra, di non confondersi con gli ebrei, imponeva a questo proposito una separazione nettissima. Siccome, d'altra parte, l'abitudine si era presa di celebrare con uno splendore particolare quella solennità pasquale che era, per i proseliti come per gli ebrei, l'occasione di grandi gioie, si commemorò questo giorno non l'esodo dei figli d'Israele sfuggiti alla tirannia dell'Egitto, ma quello del Cristo, che era risorto gloriosamente dalla sua tomba per risalire al cielo. Per accentuare meglio la differenza tra i due culti, al posto di fissarla, secondo l'usanza israelita, al quattordicesimo giorno del primo mese, quello di «nisan», cioè al plenilunio dell'equinozio di primavera, la si trasferì al giorno del sole, o domenica, che seguiva. Solo i cristiani giudaizzanti mantennero il computo tradizionale, che da loro si mantenne per qualche tempo in vari luoghi e che doveva scomparire da alcune Chiese solo a seguito di conflitti piuttosto aspri. D'altronde, la data adottata per la resurrezione del Cristo regolò quella della sua morte. Questa fu fissata non tre giorni e tre notti prima, come sarebbe stato necessario se ci si fosse basato sul precedente biblico di Giona, ma soltanto un giorno e due notti prima del ritorno alla vita, come era l'usanza nelle cerimonie commemorative degli dèi salvifici della regione. Così si affermava la continuità della vita religiosa. I cristiani che, il venerdì santo, si lamentavano dinanzi a Gesù in croce e che, il mattino di Pasqua, gridavano gioiosamente: «Cristo è risorto», non facevano altro che riprendere sotto una nuova forma vecchi riti siriani che venivano a loro volta dalle vecchie liturgie del Tammuz babilonese o dell'Osiride di Abido.


All'idea della resurrezione del Cristo si associava un'altra che il Deutero-Paolo mette anche in rilievo, quella del suo avvento prossimo e trionfale. Questo era nella prospettiva generale degli antichi profeti e dello Pseudo-Enoc, che avevano solennemente annunciato la venuta di un grande vendicatore incaricato di rimettere quaggiù ogni cosa in ordine e di rendere a ciascuno secondo le sue opere. Ma era stata relegata in secondo piano tra i primi cristiani dalla credenza in una apparizione recente e più modesta del Figlio di Dio fatto uomo, soggetto come tutti i suoi simili alla sofferenza e alla morte. La parola d'ordine iniziale del cristianesimo non fu «Il Cristo verrà», ma: «Il Cristo è venuto». L'antica prospettiva rimase nondimeno. Essa correggeva opportunamente ciò che l'altra aveva, per certi versi, di deludente. Soprattutto dopo la distruzione di Gerusalemme e quella del Tempio, che si era abituati a considerare la dimora di Dio, i credenti si compiacquero nella speranza di una vendetta divina. È da quella attesa appassionata che scaturì l'Apocalisse giovannea. Ma all'epoca in cui fu scritta, la personalità del Cristo non aveva ancora una consistenza netta per svolgere il grande ruolo del vendicatore supremo. Il dramma degli ultimi tempi fu presentato come una rivoluzione divina compiuta dal ministero degli Angeli. La raccolta degli «Oracoli del Signore», precisando i tratti del Figlio di Dio fatto uomo, lo indicò come il primo attore dell'ultima tragedia, le cui scene grandiose si sarebbero presto svolte.  Essa dovette invocare in questo senso una lunga serie di testimonianze bibliche, che avrebbero orientato il corso del pensiero cristiano. Diverse dichiarazioni del Deutero-Paolo mostrano come ci si rappresentava l'evoluzione della crisi finale da cui doveva sorgere l'ordine nuovo.

«Tutti i morti che appartengono a Cristo», è spiegato ai Corinzi, «rivivranno in lui al momento del suo avvento... Come risorgono e con quale corpo vengono? Il corpo è seminato corruttibile, risorge incorruttibile; è seminato ignobile, risorge glorioso; è seminato debole, risorge pieno di forza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale... La tromba suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili, e noi invece saremo cambiati. Infatti bisogna che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità e che questo mortale rivesta l'immortalità». [38]

Stesse affermazioni nella prima Epistola ai Tessalonicesi: «Se crediamo che Gesù è morto e risorto, così Dio porterà per mezzo di Gesù e con Gesù coloro che sono morti in lui. Ecco infatti ciò che vi dichiariamo, secondo la parola del Signore: «Noi viventi, che restiamo per l'avvento del Signore, non precederemo i morti. Perché egli, il Signore, a un segnale dato, alla voce dell'arcangelo, al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo e i morti in Cristo risorgeranno dapprima. In seguito noi, i viventi che restiamo, saremo rapiti con loro sulle nubi, a incontrare il Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore... Quanto ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che vi si scriva, perché sapete molto bene che il giorno del Signore arriva come un ladro nella notte...». [39]

Ahimè! Il tempo passò, il Cristo non venne. Una seconda missiva ai Tessalonicesi fu emanata per sconfessare la prima e attenuarne l'effetto: «Per ciò che concerne», vi è detto, «l'avvento del Nostro Signore Gesù Cristo e il nostro ricongiungimento con lui, vi preghiamo, fratelli, a non lasciarvi facilmente scuotere dal vostro senno e a non lasciarvi turbare da nessuna ispirazione, da nessuna parola o da nessuna lettera che si dica venire da noi, come se il giorno del Signore fosse già lì. Nessuno vi inganni in alcun modo, perché bisogna che l'apostasia sia arrivata prima e che si abbia visto apparire l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, l'avversario, che si eleva al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio o di ciò che si adora, fino a sedersi nel tempio di Dio, proclamando sé stesso Dio. Non vi ricordate che vi dicevo queste cose quando ero ancora con voi? E ora sapete ciò che lo trattiene affinché non appaia se non al suo tempo. Perché il mistero dell'iniquità agisce già; bisogna solo che colui che lo trattiene ancora sia scomparso. E allora apparirà l'empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca e che annienterà con lo splendore del suo avvento. L'apparizione di questo empio avverrà con la potenza di Satana, con ogni sorta di miracoli, di segni e di prodigi menzogneri, e con tutte le seduzioni dell'iniquità per coloro che periscono perché non hanno ricevuto l'amore della verità per essere salvati». [40]

Così si profilò, con elementi mutuati dalla tradizione apocalittica e particolarmente dal libro di Daniele, [41] la figura di colui che si chiamerà l' «Anticristo» e, con un'alterazione infelice, l'«Ante-Cristo». Egli si ergerà d'ora in poi di fronte al Cristo, come il Diavolo di fronte a Dio, alla maniera di un ribelle, che farà risaltare la sua bellezza superiore. Sarà il terrore dei credenti, l'ultima incarnazione di Satana, e basterà che un despota particolarmente odioso e temibile venga ad emergere perché si creda di veder apparire l'«uomo del peccato, il figlio della perdizione», la cui venuta segna l'avvicinarsi degli ultimi giorni. 


NOTE DEL CAPITOLO 5

[38] 1 Corinzi 15:22, 35, 42, 44, 52, 53.

[39] 1 Tessalonicesi 4:14, 18; 5:1-2.

[40] 2 Tessalonicesi 2:1-10.

[41] Daniele 11:36.

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