giovedì 23 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoLa parte dei Gentili

 (segue da qui)

La parte dei Gentili.

Per quanto questo evangelista sia incline a presentare gli ebrei sotto la peggiore luce possibile, altrettanto si mostra favorevole ai Goyim. Egli fa loro portare la buona novella della salvezza per mezzo del Cristo stesso, la cui missione, cominciata in Giudea e continuata in Galilea, si prosegue fino al «territorio di Tiro e di Sidone». L'accoglienza che gli è fatta qui contrasta singolarmente con quella che ha trovato altrove. Una pagana, «siro-fenicia di origine», gli prega di liberare sua figlia, posseduta da «un demone impuro», simbolo manifesto dello stato di peccato nel quale vive la Gentilità. «Non è bene», fa osservare Gesù, «prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Lei accetta il rimprovero e risponde umilmente che «i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli», e «a causa di quelle parole», lei vince la causa. Poco dopo, «in mezzo al territorio della Decapoli», dove  dominano ancora i gentili, si conduce un «sordomuto», altra figura dei gentili, che non hanno sentito parlare del Salvatore promesso a Israele e non possono quindi pregarlo. Il Cristo tocca le sue orecchie e la sua lingua, pronuncia una parola magica. «Subito le sue orecchie si aprirono e il nodo della sua lingua fu sciolto», immagine trasparente della salvezza procurata ai pagani. Terzo miracolo egualmente simbolico, effettuato in quei giorni e nello stesso contesto: Gesù nutrì una folla numerosa con i suoi sette pani, i cui resti riempirono sette ceste. In precedenza, in terra ebraica, aveva fatto lo stesso con cinque pani, i cui resti avevano riempito dodici ceste. Queste dodici ceste corrispondevano alle dodici tribù di Israele. Le sette del nuovo racconto rappresentano le «nazioni» in mezzo alle quali vivono gli israeliti e che, secondo il Deuteronomio (7:1), sono in numero di sette. Così si trova prefigurata, dopo la propagazione della fede tra gli ebrei, quella che si opera in mezzo ai Goyim.  [76]

La simpatia di Marco nei confronti della Gentilità si afferma con la stessa chiarezza in certi dettagli del racconto della Passione, che portano egualmente il suo marchio di fabbrica. Per quanto incarichi il sommo sacerdote, che prende tre volta la parola, di pronunciare infine contro Gesù, con tutto il Sinedrio, la sentenza di morte, altrettanto si applica a mostrare che il procuratore romano ha fatto di tutto per salvare questo innocente. Pilato è «stupito» del silenzio dell'accusato, che non cerca di discolparsi dalle accuse di cui lo si incolpa. Propone dapprima di liberarlo, all'occasione della Pasqua, ma i sacerdoti, che lo hanno consegnato per odio, vi si oppongono. Domanda in seguito, da uomo ansioso di liberarsi della sua responsabilità, cosa deve fare di lui, e gli si grida di crocifiggerlo. Interviene una terza volta, per sapere quale sia il suo crimine, e le grida si fanno più forti: «crocifiggilo». È solo allora che, «volendo dare soddisfazione alla folla», le consegna la sua vittima.

Un ultimo tratto è caratteristico: giudei comuni, scribi e sacerdoti insultano, sul Calvario, il crocifisso. I suoi Apostoli sono tuttora in fuga. Solo un funzionario romano, un «centurione» che è lì in servizio, gli rende omaggio. Testimone della sua morte, dice: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio». Il suo atto di fede prelude a quello di tutti i pagani che aderiranno al Vangelo. [77]

Con quella preferenza data ai gentili rispetto agli ebrei, Marco si ricollega all'ambiente paolino e a quello dello Pseudo-Barnaba. Egli concorda più precisamente con il Deutero-Paolo nella sua descrizione dell'ultima Cena. Gesù fa qui gli stessi gesti e pronuncia le stesse formule del famoso passo della Prima Epistola ai Corinzi, il cui autore dichiara di aver ricevuto le sue informazioni «dal Signore»: «Avendo preso il pane, avendo detto la benedizione, lo spezzò loro e lo diede loro dicendo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». E avendo preso un calice, avendo reso grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti, e disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti». Qua e là altri dettagli tradiscono la stessa provenienza. Così Marco professa chiaramente che è la fede a salvare, e lo fa dire con insistenza da Gesù. Egli manifesta per contro un grande distacco in quanto riguarda l'osservanza letterale della Legge; ci mostra il Maestro che opera una guarigione un giorno di sabato e i suoi discepoli che strappano le spighe nella stessa occasione, perché «il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato». Ma questo tipo di prestiti non escono minimamente dal contesto delle generalità dottrinali. [78

In sintesi, l'opera di Marco rappresenta il punto di vista comune dei cristiani siriani, che si sono reclutati dapprima e soprattutto tra i proseliti ebrei e che vogliono ben mantenere il giudaismo, ma soltanto nella sua sostanza dogmatica e morale e a condizione di interpretarlo diversamente dai dottori della Legge.  


NOTE DEL CAPITOLO 5

[76] Id. 1:5, 14; 7:24, 25-30, 31-36; 8:1-9; 6:35-44.

[77] Id. 14:60-64; 15:29-32, 39.

[78] Id. 14:22-24; 2:5; 5:34; 6:5-6; 10:52; 2:23, 28; 3:1-5.

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