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I MITI RIVOLUZIONARI
Completeremo qui l'esegesi rivoluzionaria dell'instaurazione del cristianesimo che abbiamo proseguito nel corso del presente volume. Tra le rivoluzioni di stampo religioso (come quella che è stata l'instaurazione del cristianesimo) e le rivoluzioni di stampo laico (come quella del 1789, quella del 1917), abbiamo ricercato ciò che in principio c'è in comune, quali che siano le modalità che impongono l'epoca e il luogo, vale a dire la situazione politica, economica e culturale. Per riassumere schematicamente i principali punti della nostra tesi, esse si rassomigliano nel fatto che similmente hanno per programma la distruzione di una società e l'instaurazione di un'altra; [1]
nel fatto che attendono similmente dai mezzi della sola violenza quella distruzione delle società che hanno condannato; [2]
nel fatto che l'essere soprannaturale sul quale gli uomini che preparano una rivoluzione religiosa contano per realizzarla, essendo, dal punto di vista sociologico, solo il simbolo sotto il quale essi si concepiscono, ne devono esserne loro stessi gli agenti, così come gli altri lo sono delle rivoluzioni laiche; [3]
nel fatto che, l'aldilà per il quale lavorano essendo egualmente, dallo stesso punto di vista, solo il simbolo della società nuova, il loro obiettivo è in realtà lo stesso di quello delle rivoluzioni laiche. [4]
Esse si rassomigliano ancora nel fatto che principi di propagazione simili, regole di vita simili e morali simili si impongono agli uomini che preparano le une e le altre. [5]
Si rassomigliano infine nel fatto che i loro programmi, altrettanto bene quelli a stampo laico che quelli a stampo religioso, si esprimono similmente in termini di simboli; si differenziano in quanto differiscono questi simboli stessi; diciamolo meglio, si differenziano per i miti di cui si rivestono.
Un mito, secondo l'accezione in cui impieghiamo qui il termine, è qualcosa di simile ad un simbolo che è un motivo d'azione, precisiamo: una formula che esprime sotto un'immagine simbolica le necessità sociali che fanno agire gli uomini. Un mito rivoluzionario sarà specialmente la formula che esprimerà simbolicamente le necessità che fanno sì che gli uomini distruggano la società dove vivono e ne promuovano un'altra. Nelle società che sono restate, se non religiose, almeno sotto il segno della religione (come la società giudaico-greco-romana), la formula sarà religiosa; nelle società in cui lo spirito laico regna o quantomeno domina (come le epoche moderne), essa sarà laica.
Si riconosce in effetti oggi (non lo si riconosceva in passato; dobbiamo questo progresso a Georges Sorel) che le formule delle rivoluzioni politiche sono miti come pure quelle delle rivoluzioni religiose. Allo stesso modo in cui la formula del dio che muore e risorge è il mito secondo il quale si è fatta la rivoluzione cristiana, la dottrina del Contratto Sociale è il mito che ha ispirato la rivoluzione del 1789; e altrettanto bene la dottrina marxista è il mito che ha fatto quella del 1917, e altrettanto bene la dottrina maurassiana del sovrano ereditario quello che pretendeva di rigenerare la società, e altrettanto bene la dottrina razzista quello a cui si è data l'attuale Germania. Detto altrimenti, allo stesso modo in cui il marxismo è stato il simbolo nel quale si sono espressi i motivi che hanno permesso ai bolscevichi di fare la loro rivoluzione, similmente il dio sacrificato è stato quello che il cristianesimo ha proposto al mondo per rinnovarsi. Ma qualunque sia l'epoca e qualunque sia il luogo, e qualunque siano, ripetiamolo, le modalità che impone la situazione politica, economica e culturale, il mito, per il fatto stesso che è il simbolo che rivestono le necessità sociali, nascerà sempre dalla collettività, vale a dire nello Spirito.
E questo è ciò che importa intendere.
Nessun mito è mai spuntato nel campo ristretto e deludente dell'esperienza e della Ragione. La Ragione, nata per servire gli interessi individuali, ha fin troppa difficoltà a liberarsi per servire gli interessi sociali e, quando vi si sforza, è una guida troppo incerta. La Ragione è impotente a concepire, a intraprendere, a coordinare imprese che la oltrepassino. Il disegno può nascere solo nell'inconscio collettivo. Solo l'anima collettiva, l'immenso serbatoio dove confluiscono tutte le anime particolari che dai tempi preistorici costituiscono il Sociale, ha il potere di liberare l'uomo dall'individuo. Il mito è la formula di cui si serve questo inconscio collettivo per farsi intendere. Il mito è ciò che viene dal profondo. Il mito è l'opera della collettività, che elaboreranno e che formuleranno gli uomini di genio che sono usciti da quest'ultima, talvolta dando una sfida alla Ragione, alla logica, persino al buon senso.
Ma fate attenzione, gente ragionevole! questa sfida al buon senso che è il Sacrificio di Eliminazione e la Comunione teofagica, quell'insulto alla Storia che sarebbe il Materialismo storico integrale, quell'altro insulto alla Storia che è stato l'uomo naturale di Jean-Jacques, queste sono le formule secondo le quali si sono elaborate le più grandi cose dell'uomo, e basta tradurre la teologia delle epistole paoline in linguaggio sociologico, per comprendere come quest'ultima sia stata per alcuni secoli la grande verità che ha governato il mondo... mentre il buon senso, la sana logica e il bell'ordine, quando esprimono solo le piccole verità della piccola ragione del giorno, sono polvere nata da polvere e che ritorna alla polvere. Le grandi religioni e le grandi rivoluzioni nascono nell'irrazionale.
Prima conseguenza: una grande e ineluttabile illusione. È impossibile credere in un mito se si ammette che è ciò, un mito. Intendo che il mito conserva il suo potere d'azione solo se è considerato non come ciò che è, vale a dire come un simbolo, ma come una realtà.
San Paolo riconosce che le cose che insegna gli sono state rivelate (o sono state rivelate ai compagni) senza intervento della Ragione, ma crede nella loro verità oggettiva. Lutero crede nell'accuratezza storica oltre che spirituale della sua comprensione delle Scritture. Lenin crede nel materialismo storico. Robespierre nei principi di Jean-Jacques. Il signor Maurras nella Storia che ha costruito dei Capetingi... E non poteva essere altrimenti: nessuno di loro poteva discostarsi dalla sua certezza senza rovinare la sua azione. San Paolo avrebbe lasciato dire a Seneca, se mai entrambi si fossero incontrati, che il Signore non fosse disceso dal cielo in carne e ossa (o in rassomiglianza di carne ed ossa) per morire sulla croce e per risorgere? Tentate di dimostrare a un marxista che il materialismo storico non basta a spiegare l'evoluzione dell'umanità! Quale errore fu quello dei modernisti che tentarono di far confessare alla Chiesa che i suoi dogmi avevano solo un valore simbolico! Solo gli uomini che, avendo per oggetto solo la conoscenza, si collocano al di fuori dell'azione, sono capaci di obiettività.
Seconda conseguenza seconda illusione, non meno ineluttabile. Credere in un mito equivale a credere nella possibilità di realizzarne il programma. Ora nessuno dei programmi che hanno comportato i grandi miti rivoluzionari è mai stato realizzato come si voleva che lo sia, come si credeva che lo sarebbe.
Sappiamo che i primi cristiani attendevano dal Signore che venisse a stabilire il regno di Dio sulle rovine del mondo pagano. Cosa ne è venuto? La distruzione del mondo pagano, sì. L'avvento del regno di Dio? Esso si è realizzato sotto una forma di cui si può dire che avrebbe straordinariamente impressionato San Paolo: — la Chiesa e il medioevo cristiano. La società nuova che ha creato la Rivoluzione Francese è quella che hanno voluto i membri della Convenzione? Quanto all'opera del bolscevismo, una distruzione ancora, ma chi pretenderà che, secondo le parole famose di Lenin, essa abbia davvero «edificato il socialismo»?
Fallimento, allora, sconfortante fallimento delle rivoluzioni, come del cristianesimo? Per nulla. San Paolo, Robespierre, Lenin hanno compiuto egregiamente l'opera stessa che è quella di ogni rivoluzione: innescare la catastrofe per cui a un mondo condannato subentra un mondo nuovo, ma un mondo nuovo che non sarà quello che si voleva e che si attendeva, un mondo che sarà, semplicemente, un mondo rinnovato.
E non si immagini che la società futura abbia sulla antica società un'altra superiorità rispetto a quella del giovane uomo sull'anziano. Questa è la terza illusione dei miti rivoluzionari, lasciar credere che una rivoluzione e altrettanto bene una grande riforma (Robespierre e Lenin, e altrettanto bene Lutero, e altrettanto bene San Paolo) instaurerà un mondo che, una volta completata l'opera, sarà un mondo, se non definitivamente perfetto, almeno definitivamente migliore. Migliore, evidentemente, in quanto il Sociale sarà stato reintegrato, in quanto la parentela collettiva sarà stata ricostituita, — fino al giorno in cui comincerà la disintegrazione, in cui la parentela si indebolirà di nuovo, in cui una nuova rivoluzione sarà necessaria.
Così ritroviamo, sotto la triplice illusione, la legge che ci è apparsa come una delle leggi fondamentali della Storia: gli uomini che aprono cammini nuovi lavorano, come regola generale, per un tutt'altro obiettivo rispetto a quello per il quale essi vogliono o si immaginano lavorare. I motivi per i quali si immaginano di agire spesso non hanno alcuna relazione reale con i loro atti; le forze che li spingono sfuggono alla loro intelligenza; lo spirito che li anima è un dio che non dà le sue ragioni, ed è abbastanza che soffi.
Lo storico, il filosofo, il sociologo e, se si vuole, il poeta che ha rinunciato a piacere ai suoi contemporanei, non avrà dunque più illusione sulle speranze che il mito marxista offre ai marxisti rispetto a quelle che il cristianesimo ha offerto ai credenti novecento anni fa, e troverà altrove motivi di fiducia e di ammirazione. Dei due articoli che compongono il programma di una rivoluzione: distruggere e ricostruire, il primo solo è nelle mani dei lavoratori; il secondo è nelle mani inafferrabili della Storia.
Affermiamo quella verità infinitamente sgradevole. Senza dubbio è necessario credere ad un mito; si agirebbe, se non ci si credesse? Ma questo mito è per definizione un miraggio nel deserto delle età, il miraggio che fa marciare la carovana; soltanto, quando si tratta dei grandi miti rivoluzionari, il miraggio la fa marciare nel cammino dello Spirito.
E tale sarà il nostro conforto.
Promettono una società migliore, avvento del regno di Dio o edificazione del socialismo, e non mantengono la loro promessa. Essi realizzano, almeno per un tempo, una reintegrazione del Sociale, una ricostituzione della parentela spirituale; e, se quella reintegrazione del Sociale, se quella ricostituzione della parentela tra gli uomini è incompleta e in ogni caso effimera, essi avranno soprattutto realizzato questo: durante il tempo dell'azione rivoluzionaria e di quello più divino ancora della preparazione, i loro artefici avranno vissuto il raggio di virtù eroiche che sono la giustificazione dell'uomo. E, come la palma che il dio dei cristiani porgeva ai suoi martiri, alcuni avranno ricevuto, in aggiunta, la grandezza.
Il mito del dio morto e risorto, derivato dal luogo più remoto della preistoria, ritrovato ed elaborato dai Galilei e da san Paolo, e formulato da quest'ultimo, è un momento del Ritorno eterno.
Ringraziamo gli dèi che hanno permesso che tra i quattro grandi santi che furono le colonne del cristianesimo primitivo, ve ne fosse uno per formulare il mito ritrovato ed elaborato in comune.
NOTE
[1] Sopra, capitolo 5 della 2° parte.
[2] Capitolo 2 (5° sezione) della 3° Parte.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Capitoli 2, 3 e 4 della 4° Parte.
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