(segue da qui)
II
LA FORMAZIONE RELIGIOSA
Si è a lungo supposto che gli uomini avessero cominciato a farsi un'immagine degli dèi, e che praticassero i riti conformemente a queste nozioni. I miti sarebbero stati all'origine della formazione religiosa. Come si conoscono i santi, li si onora, dice un proverbio; come si sarebbero conosciuti gli dèi, si sarebbe esercitato il loro culto.
Questo considerevole errore è stato rovinato, nella seconda metà del secolo scorso, dalla scuola antropologica inglese e dall'illustre Robertson Smith, i cui studi sulla religione dei semiti [1] segnano una data capitale nella storia del pensiero umano.
Robertson Smith ha stabilito che i riti precedono e producono i miti, che i miti nascono dai riti, non i riti dai miti. La via era aperta, e gli studiosi hanno potuto in seguito stabilire, con la stessa certezza, che i riti stessi derivavano la loro origine dalla credenza nei poteri misteriosi ed essenzialmente vaghi la cui realtà si sarebbe esercitata al di sopra dell'umanità. E non dubito che questo processo sia facilmente comprensibile in un'epoca in cui il ruolo dell'inconscio è stato messo in valore.
Cosa vediamo attorno a noi?
L'uomo porta in fondo a sé stesso un certo numero di idee di cui non si rende conto che approssimativamente, ma che governano la sua condotta, principi universalmente ammessi e che non si sogna nemmeno, non solo di discutere, ma di analizzare, e conformemente ai quali agisce quasi istintivamente. Dopo aver agito, cerca di rappresentarsi le ragioni che lo hanno fatto agire.
Tale è l'immagine che è permesso di proporre della formazione religiosa.
L'uomo ha creduto dapprima in poteri indeterminati ma reali, in forze misteriose e imprecise. Secondariamente, egli ha esercitato, per agire su queste forze, le pratiche di cui è stato capace; e questo è ciò che si chiamano i riti. In terzo luogo, si è sforzato di immaginare concretamente queste forze e di giustificarsi le pratiche che aveva esercitato: questi sono i miti.
Alla base delle religioni, c'è dunque ciò che la scienza delle religioni chiama la nozione di «poteri», e che esprime la parola melanesiana molto alla moda di «mana». A dire il vero, quella nozione ha essa stessa la sua origine in quella della parentela (della parentela mistica e non della parentela naturale) che ha creato il gruppo sociale ed è stato il dato primitivo da cui e per cui è nata la società; ma questa è una questione che si avrà luogo di approcciare solo più tardi; e, sia come sia, la credenza in potenze misteriose e indeterminate resta all'origine delle religioni. La personificazione di queste potenze vaghe in dèi definiti sarà giustamente l'opera dei riti e dei miti.
I riti e il sacrificio. — I riti sono gli atti mediante i quali l'uomo realizza i suoi rapporti con le potenze mistiche nelle quali crede. In ciò, si potrebbe dire che essi sono l'essenza delle religioni. Si comprende difficilmente il disprezzo degli studiosi che, studiando le religioni, hanno voluto ignorare i riti o li hanno trattati come trascurabili superstizioni; questi, Gaston Boissier, Jean Réville, Renouvier, e, recentemente, il signor Julien Benda in un articolo dato nel novembre 1925 alla Nouvelle Revue Française, sostituiscono le loro preoccupazioni personali ai seimila anni di storia che possiamo conoscere o congetturare. La religione puramente morale, contemplativa o filosofica che certi intendono oggi, non è che il sole nascente, porpora e oro, della religione.
In origine, i riti hanno degli scopi e dei più precisi. Assicurano l'esistenza sociale, agendo in un modo magico sulle potenze misteriose alle quali gli uomini credono. E il fatto stesso di pretendere di agire su queste potenze misteriose a poco a poco porta l'uomo a concepirle come individualità. Non appena è così, vale a dire non appena esistono degli dèi (non mi soffermo qui sugli intermediari), i riti si precisano come mezzi per agire sugli dèi, per quanto sommari siano questi.
Esistono un gran numero di riti di tutti i tipi. Il principale, e che interessa particolarmente questi studi, è il sacrificio. Parleremo molto del sacrificio. Bisogna che sia inteso fin dall'inizio che si tratterà sempre e solo del sacrificio in senso proprio, e mai di sacrificio in senso simbolico, o a fortiori in senso figurato moderno.
Il sacrificio in senso proprio consiste (il più sovente) nell'immolazione rituale di una vittima viva. L'accezione simbolica è quella che dà a una morte non rituale il valore di un sacrificio propriamente rituale; così, secondo le critiche razionaliste, l'esecuzione giudiziaria di Gesù ordinata da un procuratore romano avrebbe preso per San Paolo il valore di un autentico sacrificio, vale a dire sarebbe stato assimilato ad un autentico sacrificio che non sarebbe stato in alcun modo. L'accezione figurata comune è quella in cui si dice di qualcuno che ha fatto «il sacrificio» della sua vita; Gesù, accettando la morte come conseguenza della sua opera, avrebbe così sacrificato la sua vita.
Il solo sacrificio a cui mireremo qui, il sacrificio in senso proprio, è quello alla maniera antica, come è descritto, per esempio, nell'Iliade, nei tragici greci, in Tito Livio, nella Bibbia. Agamennone fa avanzare un bue senza macchia che è sgozzato; oppure è la sua stessa figlia che offre ad Artemide; Mosè sacrifica all'Eterno armenti interi.
La nozione del sacrificio, uccidere un animale o a volte un uomo per conciliarsi la divinità, è oggi qualcosa di quasi impensabile, se non per le fortunate persone che sanno risparmiarsi lo sforzo di una riflessione; che una tale pratica abbia potuto persistere durante tanti secoli, ciò non si potrebbe spiegarsi però solamente con la stupidità dei nostri antenati e la nostra superiorità. Per comprendere il significato e la portata del sacrificio, non bisogna arrestarsi alla nozione classica di un'offerta fatta agli dèi, che è tardiva e nettamente razionalizzata, ma riportarsi alle concezioni primitive. Il sacrificio prende, in effetti, il massimo del suo significato quando è quello del dio stesso, quando, al posto di immolare al dio una vittima, il dio è lui stesso la vittima che si immola.
Si è creduto a lungo che il sacrificio del dio fosse il sublime privilegio del cristianesimo; è bastato aprire gli occhi sulla storia delle religioni per accorgersi che, tutt'al contrario, il cristianesimo in ciò è stato una volta di più un caso tra gli altri. Infatti, il sacrificio del dio figura in tutte le pagine della storia delle religioni. Per parlare più esattamente, è l'elemento più importante delle religioni primitive, che, dopo esser quasi scomparso nelle religioni cittadine e nelle religioni nazionali dell'antichità, doveva presto risalire alla superficie con le religioni misteriche.
La forma più facilmente comprensibile del sacrificio del dio è forse il sacrificio della Comunione. Immolando e mangiando il dio, i fedeli se ne assimilano le virtù; Robertson Smith insegnava che essi ricostituiscono in loro la parentela divina; in una parola, si re-divinizzano. L'eucarestia cristiana non ha altro significato.
Si ritrovano egualmente nel cristianesimo le forme elementari del sacrificio espiatorio.
Innanzitutto, il sacrificio di Eliminazione, di cui il sacrificio del Capro Espiatorio è un esempio, e che San Paolo ha ripreso dal più selvaggio primitivismo. I peccati della comunità sono magicamente raccolti nella persona del dio; immolando il dio, si distruggono i peccati; il dio risorge liberato dai peccati. Sotto l'apparato barbarico, appare una delle idee più profonde che abbia potuto consolidare tra gli uomini il legame sociale; Sir James Frazer si è guardato bene dal pensarci; la società, di cui il dio è l'ipostasi, si fa carico dei crimini dei suoi membri e rinasce rinnovata dall'essere passata per la morte.
Il sacrificio di Purificazione si ritrova nell'epistola agli Ebrei. I fedeli si purificano nel sangue del loro dio. I membri della società si rigenerano nell'anima sociale.
Il sacrificio di Riscatto è quello che hanno conservato i vangeli. Il dio è sacrificato a titolo di riscatto per i peccati dei suoi fedeli. Sostituzione di vittima, posteriore all'Eliminazione, ma che conserva la stessa grandezza morale: la società prende , sotto la personificazione del suo dio, il posto del suo popolo per l'espiazione di giustizia e si immola in suo favore.
Ai riti di Eliminazione, di Purificazione e di Riscatto si unisce più spesso il rito di Iniziazione. L'iniziato deve passare per dove è passato il dio; nello stesso tempo in cui il dio è immolato e risorto, l'iniziato muore alla sua vecchia vita e risorge ad una nuova. San Paolo ha sublimato l'antica idea: il sacrificio di Gesù è il mezzo per i suoi fedeli di morire con lui alla carne (alla materialità) e di risorgere con lui nello spirito (nella vita spirituale). Il battesimo è esso stesso un rito di iniziazione. Nella pratica, d'altronde, le diverse forme rituali sono frequentemente combinate e intrecciate.
E una questione arresterà qui il lettore non specialista.
Il sacrificio di un bue o di un montone offerto a Jahvé o a Giove, ciascuno se ne rappresenta lo spettacolo: un sacerdote che immola con accompagnamento cerimoniale il montone e il bue; ma il sacrificio di un dio? Il sacrificio del dio si è operato originariamente nel modo più intelligibile, quando il dio era concepito sotto la forma di un animale, mediante l'immolazione di questo animale; e la sua resurrezione era implicita nella continuità della specie. Ma quando il dio ha cessato di essere l'animale che si poteva sacrificare, come si è compiuto il sacrificio?... Arriviamo alla questione della Sostituzione, di cui diremo qualche parola un po' più oltre, in occasione del dramma sacro, dove essa si realizza pienamente.
Il sacrificio, infine, non si limitava all'immolazione del dio; dei riti accessori vi erano frequentemente aggiunti, che prendevano un'importanza capitale. Così, lo smembramento del dio, praticato nell'antica Grecia; Salomon Reinach ha mostrato che lo smembramento di Orfeo o di Penteo dalle Baccanti era un rito sacrificale. Così, lo scorticamento; il mito di Marsia scorticato da Apollo traduce un rito sacrificale. Così ancora, la crocifissione; il Prometeo crocifisso di certe leggende è un dio sacrificato e messo in croce, e sin da qui il lettore si domanderà se la leggenda di Gesù crocifisso non ricopra un antico rito di crocifissione sacrificale...
Il sacrificio era in decadenza, nel primo secolo, nei culti ufficiali, disprezzato dalla educata società greco-romana, rovinato dal razionalismo degli intellettuali. Tutt'al contrario, le religioni misteriche vi erano immerse; a dire il vero, avevano ripreso dalle religioni primitive il loro carattere essenziale, ma, adattandosi alle necessità nuove, erano diventate religioni di salvezza, offrendo ai loro fedeli la loro rigenerazione. Alcune tra loro avevano preservato tracce dell'antica ferocia, per esempio nel Taurobolo; ma la maggior parte si erano modernizzate. Così si sarebbe sviluppato il cristianesimo; ma alla sua base resterà sempre il figlio di Dio, dio lui stesso, immolato in sacrificio, nello stesso tempo in cui persevererà l'opera preistorica del sacrificio di comunione.
I miti. — I riti, ha detto la teologia indù, sono creatori di dèi. Nessuna divinazione poteva essere più profonda e più scientificamente esatta. Con i riti, abbiamo visto che le potenze misteriose, che sono il dato primitivo delle religioni, si sono determinate dal fatto stesso dell'azione che si faceva subire loro; ma di esse si conosce ancora solo la loro funzione e la maniera di promuoverle; esse non hanno ancora una figura; quella figura, i miti gliele hanno data. Gli dèi sono nati nei riti, si sono configurati nei miti. [2]
Ognuno sa che i miti sono leggende [3] che raccontano le avventure avvenute agli dèi, le loro nascite, i loro avatar, le loro morti e le loro resurrezioni, soprattutto le loro morti e le loro resurrezioni.
I miti sono derivati dalla legge, fondamentale nella mente umana, che si può chiamare la legge della Figurazione: necessità per l'uomo di rappresentarsi le cose sotto una forma sensibile, vale a dire di figurarle. Ma quella figura, cos'è che la determinerà ? Se fu necessario per l'uomo rappresentarsi i suoi dèi, non gli fu meno necessario rappresentarseli così come erano recitati dai riti.
Non si deve dire che il mito ha per scopo di spiegare il rito, esso esprime solamente i caratteri che il rito implica.
Supponiamo un gruppo dove si pratica il rito dello smembramento del corpo del dio; quale sarà la caratteristica di questo dio tra gli altri dèi? precisamente ciò, essere smembrato. Sarà quindi sociologicamente impossibile figurare il dio altrimenti che come un essere a cui capita l'avventura di essere smembrato. Il punto capitale, per l'intelligenza della storia delle religioni, è comprendere che non si pratica il rito dello smembramento perché si crede che il dio sia stato smembrato, ma che si crede che il dio sia stato smembrato perché si pratica il rito dello smembramento.
Di nuovo si scorge la conclusione verso la quale procediamo. Si immagini una religione dove si pratica il rito della crocifissione del dio; il dio sarà per ciò stesso rappresentato come un dio al quale è capitato di essere crocifisso. Ma è il rito che avrà creato il mito, e non il mito che avrà creato il rito.
Ogni mito proviene dunque da una realtà; ma quella realtà non è un evento storico; è una realtà cultuale.
Se però il mito è la conseguenza del rito, esso ne è la conseguenza obbligatoria; intendiamo che, appena vi è un rito, l'arrivo del mito è annunciato. In verità, il rito si completa nello stesso tempo in cui esso si figura nel mito. Ma esso stesso, il mito, non si formulerà pienamente che combinandosi con il rito sotto le specie del dramma sacro.
La legge della Figurazione è solo la prima della serie di leggi che presiedono alla formazione mitica, e studieremo le altre (in particolare il gioco dei temi leggendari che gli uomini si passano gli uni agli altri), quando ricercheremo, nei successivi volumi, come si è costituita la leggenda di Gesù. È, per contro, impossibile non dire una parola sin d'ora sul dramma sacro, e non segnalare un fatto che è stato ancora solo insufficientemente messo in valore, e che governa lo studio delle origini cristiane.
Sotto quale forma si deve immaginare il rito? La risposta è ovvia: un atto. Sotto quale forma immaginare il mito? Si sarà tentati di rispondere senza più esitazione: un racconto. E questo è l'errore, almeno quanto allo stadio primitivo. Nello stadio primitivo, il mito ha la forma di un dramma.
Il dramma sacro. — Si può immaginare il dramma sacro primitivo come una cerimonia che ingloba i riti e ne dà la figurazione mitica; vale a dire, intorno al sacrificio centrale, un insieme di operazioni cultuali, che comportano canti, danze, processioni, scene mimate, che si svolgono davanti a un pubblico di fedeli, con la collaborazione di questi.
Il più sovente, intorno al primo secolo, i riti e i miti delle religioni misteriche hanno per soggetto le morti e le resurrezioni divine; così, i drammi sacri assumono, per la maggior parte, la forma delle Passioni. «Passione» è il termine tecnico, in alcun modo speciale al cristianesimo, e che si ritrova in tutte le religioni sorelle. Accanto alla Passione di Gesù, ognuno ha inteso parlare, per esempio, della Passione di Osiride, e l'opera dei misteri è proprio quella di far rivivere queste passioni.
Non si comprenderebbe nulla però del dramma sacro, se si dimenticasse un istante che esso è rito allo stesso tempo che mito. I misteri del Medioevo possono dare solo un'idea molto incompleta. Le Passioni divine non sono mai, in effetti, semplici spettacoli; sono un «ufficio» nel senso liturgico della parola; a dire il vero, esse non figurano, esse riproducono l'evento. Ogni paragone con le cose del teatro porta ad un controsenso; il dramma sacro non rappresenta, è esso stesso l'evento; e li suo scopo, essenzialmente, è riprodurne gli effetti.
Dopo e come le religioni primitive, le religioni misteriche e il cristianesimo stesso ignorano gli atti semplicemente commemorativi o simbolici. Il grande errore del razionalismo e del protestantesimo liberale è di aver a lungo attribuito alla celebrazione del mistero cristiano il senso di una commemorazione. La dottrina cattolica del sacrificio della Messa, al contrario, è conforme alla più pura tradizione cristiana.
Il dramma sacro si svolge intorno ad un sacrificio. La Passione di un dio è il sacrificio espiatorio nel quale il dio è messo a morte, in mezzo ad un insieme di cerimonie che esprimono i dati del mito, e con lo scopo di produrre, a vantaggio dei fedeli, gli effetti risultanti da questo sacrificio.
Quanto al racconto mitico, questo sarà il dramma raccontato. Si vedono oggi dei drammaturghi ricavare da un romanzo un pezzo teatrale; si vedono qualche volta anche dei romanzieri costruire secondo un pezzo teatrale un romanzo. Questo secondo processo è quello generalmente seguito dalla storia delle religioni, ed espressamente seguito dal cristianesimo primitivo.
Ogni Passione divina è stata recitata prima di essere raccontata. Chi lo ha compreso, avrà compreso le origini del cristianesimo: un dramma sacro della crocifissione «recitato» ritualmente nell'anno 27, e raccontato mezzo secolo più tardi dal più antico dei vangeli.
Il mito, nato dal rito, ritorna dunque al rito, e tutti e due si mescolano nel dramma sacro, prima di esprimersi finalmente attraverso la leggenda, vale a dire tramite il racconto. E così è permesso dare a ciascuna delle due parole un senso definito: il mito è originariamente la leggenda rappresentata; la leggenda è il mito in seguito raccontato. La leggenda evangelica è un mito drammatico divenuto racconto.
Allo stesso modo in cui nelle religioni ufficiali del primo secolo il sacrificio era in declino, gli antichi miti e gli antichi drammi sacri erano appassiti, le leggende non avevano più credenti. Sarebbe infantile immaginare che qualcuno credesse ancora, in epoca greco-romana, alle avventure di Giove. Tutt'al contrario, i miti orientali avevano ferventi settari, ed era tramite i culti orientali che doveva operarsi il rinnovamento religioso che monopolizzò il cristianesimo.
La sostituzione. — Una questione è rimasta sospesa. Sotto quali specie poteva effettuarsi il sacrificio del dio, tanto nei riti primitivi, quanto nei drammi sacri che ne sono scaturiti?
Nessuna difficoltà ad immaginarlo, abbiamo notato, nelle epoche primitive quando il dio era concepito sotto la forma di un animale; bastava immolare questo animale. Immolando una volpe, si immolava il dio volpe.
In una fase posteriore, quando il re o il sacerdote è lui stesso il dio, la questione, per un certo tempo, resta semplice; immolare il re o immolare il sacerdote equivale a immolare il dio.
Il giorno in cui i re o i sacerdoti decisero di allontanare da loro quella parte onorifica ma dolorosa della loro funzione, due soluzioni furono possibili. Una: si fa loro, sul braccio per esempio, una piccola ferita; così si vedono i rappresentanti di Adone, di Attis, di Osiride subire una parvenza di sacrificio. L'altra: delegano uno dei loro figli, poi un terzo, generalmente un condannato, che recita il loro ruolo ed è immolato al loro posto.
In certe circostanze, la cerimonia resta il sacrificio mistico del dio, grave qui, frenetico là, ma conservando la sua grandezza tragica. In altre, si trasforma in buffonata; perché è proprio dell'uomo mescolare la farsa alla tragedia; e non c'è un angolo della terra dove non sfilano, attraverso i secoli, questi patetici re da farsa che rappresentano i re-dèi o piuttosto sono fatti re-dèi per i pochi giorni che si termineranno con la loro messa a morte rituale. Abbiamo segnalato sopra, a proposito dell'ipotesi frazieriana, e avremo l'occasione di segnalare ancora tutto ciò che ha in comune con queste strane cerimonie la Passione di Gesù come la raccontano i vangeli.
Ma, a poco a poco, l'uomo si era disgustato del sacrificio umano, e aveva cominciato a praticare sia il sacrificio per simulazione, vale a dire che, come da noi a teatro, si simulava lo sgozzamento; sia il sacrificio in effigie, vale a dire che si fingeva di immolare questa volta un manichino. A volte era un animale, che non era più l'animale-dio delle origini, ma solo il sostituto del dio. A volte, infine, era un oggetto, senza forma umana o animale, per esempio un covone di grano, per esempio un pezzo di pane.
... Come tali credenze, come tali pratiche si spiegano?
NOTE
[1] The Religion of the Semites, prima edizione, Londra, 1889; seconda edizione (postuma), 1894; non tradotto in francese, il che è uno scandalo.
[2] È inteso che, per la rapidità dell'esposizione, si trascurano qui gli intermediari che vanno dalle potenze indeterminate agli dèi.
[3] Il senso che conviene dare alle due parole mito e leggenda sarà precisato tra poco.
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