(segue da qui)
VII. — GIOVANNI BATTISTA E GESÙ
Nel cristianesimo attuale, Giovanni Battista, consapevole del modesto ruolo di precursore che gli è affidato, acconsente liberamente a eclissarsi quando sale all'orizzonte l'astro radioso di Gesù. Il successo di Gesù lo riempie di una gioia pura di ogni sentimento di gelosia. Egli dice ai suoi discepoli: «Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello sposo: questa gioia, che è la mia, è ora completa. Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca» (Giovanni 3:29s.).
I rapporti tra Giovanni il Battista e Gesù non erano sempre stati ispirati da sentimenti così idilliaci. All'epoca in cui egli era ancora solo il rivelatore della Gnosi mandea, Giovanni vedeva in Gesù solo un falso Messia, un inviato dei poteri delle Tenebre. Più tardi, quando diventerà profeta e visionario ebreo, Giovanni scaglierà gli anatemi del primo opuscolo anticristiano, i Sette Messaggi dell'Apocalisse. Gesù peraltro gli ricambiava il favore. Nel corso di un dialogo con il suo discepolo prediletto Giovanni, Gesù dichiara:
E Satana, il principe di questo mondo, sapeva che io venivo per cercare e salvare coloro che erano perduti. Ed egli inviò il suo angelo Elia il profeta che battezza con l'acqua, e che è chiamato Giovanni il Battista. Ora, Elia domandò al principe di questo mondo: Come posso conoscerlo? Ed egli gli disse: «Su chi vedrai discendere lo Spirito simile ad una colomba e dimorare su di lui, è lui che battezza in Spirito santo per il perdono dei peccati; è lui che potrà perdere o salvare. E io, Giovanni, [1] interrogai di nuovo il Signore: Un uomo può essere salvato dal battesimo di Giovanni senza il tuo battesimo da te? E il Signore rispose: «Se io non ho battezzato con il perdono dei peccati, con il battesimo di acqua nessuno può vedere il Regno dei cieli...
E io interrogai il Signore: Perché tutti ricevono il battesimo di Giovanni, ma non tutti ricevono il tuo battesimo? E il Signore rispose: Perché le loro opere sono malvagie ed essi non vengono alla Luce. I discepoli di Giovanni si sposano, ma i miei discepoli non si sposano affatto, perché loro sono come gli angeli di Dio nel cielo.
Questi brani sono citati da un testo cataro del XII° secolo, pubblicato dal frate domenicano F. BENOIST nella sua Histoire des Albigeois et des Vaudois o Barbets, Parigi 1691, I, pag. 283, con l'indicazione: «ricavato dall'Inquisizione di Carcassonne». È stato riprodotto e studiato da REITZENSTEIN nella sua Prèhistoire du baptême chrétien. [2] Questo testo risale al XII° secolo, ma il suo nucleo è molto più antico; esso risale allo gnosticismo della Chiesa primitiva.
Allo stesso modo, secondo i Catari, è per incitare gli ebrei a ucciderlo che Giovanni aveva battezzato Gesù e lo aveva indicato come l'agnello di Dio, ossia come una vittima che deve essere immolata a Dio. [3]
Per l'intermediazione dei Catari, risaliamo così ad una fase del cristianesimo primitivo dove Giovanni non era ancora stato accaparrato e assimilato dai cristiani, dove non si aveva ancora fatto di lui il precursore di Gesù. Giovanni è ancora considerato dai cristiani una specie di spia inviata da Satana, con la missione di rintracciare Gesù e di incitare gli ebrei ad ucciderlo.
Giovanni e Gesù erano all'origine due figure violentemente antagoniste.
Nei più antichi scritti del cristianesimo, le Epistole paoline, il nome di Giovanni il Battista non è mai pronunciato. Non si si fa ancora alcuna allusione al suo ministero né al suo battesimo. Da quanto si può dedurre da questo silenzio, sembra che all'epoca in cui furono scritte quelle epistole, Giovanni non era ancora divenuto il precursore di Gesù.
I Vangeli di Giovanni e di Marcione ignorano ancora il battesimo di Gesù da parte di Giovanni.
Come mai, nei testi cattolici, Giovanni ha potuto divenire colui che, per mezzo del suo battesimo, dà a Gesù la sua consacrazione come Messia?
A dire il vero, Giovanni non ha fatto che occupare un posto vacante, da lungo tempo preparato, nel messianismo ebraico, accanto alla figura del Messia.
Tutti sanno che gli ebrei attendevano un re-Messia, il che significa, tradotto letteralmente, un re unto, e questa speranza comportava necessariamente anche l'attesa di un secondo personaggio messianico, sacerdote o profeta, che avrebbe avuto la missione di ungere il Messia. Così, i re Saul e Davide erano stati scelti, unti e proclamati dal profeta e sacerdote Samuele.
Dopo l'esilio, durante la restaurazione della regalità di Davide e del culto del Tempio, il profeta Zaccaria, in una visione, vide i due uomini incaricati di questa doppia missione: Giosuè, il sommo sacerdote, e Zorobabele, figlio di Davide, colui che ungerà e colui che sarà unto. Questi due «figli dell'olio che stanno presso il Signore di tutta la terra», egli li vide sotto l'immagine di due olivi — allusione all'olio di cui sono i figli — ai lati del candelabro a sette braccia.
Sotto il Messia Bar-Kokhba, le monete recano, accanto al nome del capo secolare Bar-Kokhba, quello di «Eleazaro il sacerdote».
Il re, anche il re-Messia, non sarà necessariamente lui stesso profeta. Non è direttamente Dio che gli rivelerà la sua volontà, ma per l'intermediazione di un altro uomo che possiederà la grazia della profezia.
Questa distinzione tra il dominio secolare e il dominio religioso nell'attesa messianica degli ebrei è attestata anche nella tradizione dei rabbini. Nel passo «Manda la tua luce e la tua verità» (Salmo 43:3), i rabbini vedono una profezia messianica e ne danno questa interpretazione: «La tua luce» è il profeta Elia della casa di Aronne, il candelabro a sette braccia. — «La tua verità», è il Messia figlio di Davide. [4]
Quella doppia attesa messianica ha trovato un'interessante espressione in un passo dell'Apocalisse dove il visionario intravede due testimoni: Apocalisse 11:3-12. Questi due testimoni sono chiamati «i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra». L'allusione al testo di Zaccaria che abbiamo appena citato è chiara, tanto più che il passo che precede (Apocalisse 11:1-2) ha egualmente il suo parallelo in Zaccaria (11:1 s.). I due testimoni hanno dunque per tipi i due personaggi di cui parla Zaccaria: il re Zorobabele e il sommo sacerdote Giosuè: quello che sarà unto, e colui che avrà per missione di ungerlo. Uno è Zorobabele redivivus e l'altro Giosuè redivus.
Rileggiamo questo testo per domandargli cosa può insegnarci sui due testimoni. Seguo essenzialmente la traduzione di P.-L. COUCHOUD: [5]
E io lascerò i miei due testimoni
profetizzare per milleduecentosessanta giorni,
vestiti di sacco.
Questi sono i due olivi e i due candelabri
che stanno davanti al Signore della terra.
Se qualcuno vorrà far loro del male,
un fuoco uscirà dalla loro bocca
e divorerà i loro nemici.
Essi hanno il potere di chiudere il cielo
affinché non cada pioggia, durante i giorni della loro profezia.
Hanno pure il potere di mutare l'acqua in sangue
e di percuotere la terra con qualsiasi flagello,
quante volte vorranno.
Quando avranno terminato la loro testimonianza,
la bestia che sale dall'abisso farà guerra contro di loro,
li vincerà e li ucciderà.
E i loro cadaveri... sulla piazza della grande città,
che si chiama in spirito Sodoma ed Egitto
[dove anche il loro Signore fu crocifisso].
Gli uomini dei vari popoli e tribù e lingue e nazioni vedranno
i loro cadaveri per tre giorni e mezzo .
Non lasceranno che siano posti in sepolcri.
Gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa.
Si manderanno regali gli uni agli altri,
perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra.
Dopo tre giorni e mezzo
uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro.
Essi si alzarono in piedi
e grande spavento cadde su quelli che li videro.
Ed essi udirono una voce potente dal cielo
che diceva loro: Salite quassù!
Essi salirono al cielo in una nube
e i loro nemici li videro.
La frase «e i loro cadaveri... sulla piazza della grande città», è lacunosa. Non ha verbo. Abbiamo segnato la lacuna con dei punti di sospensione.
Ma una nota interpolata da un glossatore cristiano ci permetterà di ristabilire il verbo scomparso. Questa glossa, allegata alla menzione della grande città, dice:
dove anche il loro Signore fu crocifisso.
L'interpolatore cristiano, per cui la grande città era Gerusalemme, ha creduto opportuno ricordare che anche Gesù vi fu crocifisso. Questa glossa ha senso solo se, al posto della lacuna attuale, l'interpolatore leggeva: «furono crocifissi». Si comprende facilmente che questo verbo disturbava i cristiani e che in seguito lo hanno soppresso.
I due testimoni sono stati quindi messi a morte e i loro cadaveri crocifissi. Si tratta di una crocifissione secondo la legge ebraica, che prescrive che un condannato a morte sarà lapidato, e il suo cadavere esposto sospeso a un albero o a un palo.
Siamo quindi in presenza di un testo arcaico, antecedente al cristianesimo, che descrive due personaggi messianici la cui missione sarà di rendere testimonianza, ovvero, secondo l'accezione ebraica del termine, di annunciare i castighi divini; essi saranno crocifissi, risorgeranno dopo tre giorni e mezzo e saliranno al cielo in una nube.
Il loro ministero sarà durato 1260 giorni, ossia tre anni e mezzo, l'anno essendo contato a 360 giorni. Questa è esattamente la durata del ministero di Gesù nel Vangelo di Giovanni.
Uno dei due testimoni reca effettivamente il nome di Gesù, infatti i nomi di Giosuè e di Gesù sono identici in greco: Jêsous.
Vi è là un piccolo embrione di vangelo. Più tardi, quando i cristiani faranno del loro Dio Gesù un rivelatore disceso dal cielo sulla terra secondo il modello del rivelatore Giovanni dei Mandei, non dovranno far altro, per fabbricargli una biografia, che sviluppare questo germe, mettendo il duale al singolare. La crocifissione ebraica che era ignorata dai proseliti diventerà una crocifissione romana, senza lapidazione preliminare. La parola greca stauros, che designa sia una croce che un palo, faciliterà questa trasposizione. E il nome di Gesù, che nel nostro testo appartiene a colui che doveva ungere il Messia, diventerà quello del Messia stesso, lo spirituale prevalendo sul temporale.
Riducendo a uno solo i due personaggi messianici crocifissi, accumulando su uno solo le attribuzioni del re e quelle del sacerdote e profeta, i cristiani avevano soppresso il secondo personaggio, quello la cui missione sarebbe stata di ungere il Messia. Il suo posto restava vacante, e la lacuna era imbarazzante. Per essere validamente il Messia — l'Unto — annunciato dai profeti, Gesù aveva bisogno di una consacrazione ufficiale, e di qualcuno che gli procurasse quella consacrazione.
Nel frattempo, il cristianesimo sosteneva l'aspra lotta competitiva contro il rivelatore Giovanni dei Mandei, raddoppiato da un profeta e visionario Giovanni degli Ebrei. Dall'esito di quella lotta doveva dipendere il dominio sul pensiero d'Occidente.
Ma non vi è forse più vantaggio nell'asservire il proprio avversario che nel distruggerlo? I cristiani avevano l'esempio degli ebrei, che già avevano accaparrato il rivelatore Giovanni dei Mandei, lo avevano assimilato, travestito in un profeta e visionario alla loro maniera. Perché i cristiani a loro volta non dovrebbero far entrare Giovanni nel loro sistema, subordinandolo a Gesù?
Il posto di colui che doveva consacrare il Messia era vacante. Perché non darlo a Giovanni?
Più volte, nei Vangeli e negli Atti, il battesimo d'acqua dato da Giovanni Battista è opposto al battesimo in spirito dato da Gesù. Sembra paradossale che si sia giunti, negli stessi scritti, ad un battesimo in spirito che Giovanni il Battista conferisce a Gesù.
L'operazione non si è fatta in un solo colpo. Abbiamo ricordato che nei Vangeli di Giovanni e di Marcione Gesù non è battezzato da Giovanni Battista. In alcune sette cristiane come quella dei catari, Giovanni Battista resterà l'inviato di Satana, l'implacabile avversario di Gesù. Il paradosso del battesimo di Gesù da parte di Giovanni è ancora sentito da Matteo, che cerca di mitigarlo introducendo un breve dialogo in cui Gesù obietta a Giovanni (3:14): «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» — Si percepisce anche quasi un'eco dei due approcci opposti che il cristianesimo ha successivamente osservato nei confronti di Giovanni in quell'apprezzamento ambivalente che Gesù porta sul suo ex avversario: «In verità io vi dico, che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista. Eppure il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui» (Matteo 11:11; si veda Luca 7:28).
Un passo dell'Antico Testamento doveva facilitare l'operazione. Il profeta Isaia, in una visione in cui vedeva i figli di Israele scampati dall'esilio di Babilonia ritornare alla Città Santa mentre attraversavano il deserto, aveva cantato (Isaia 40:3 s.):
Una voce grida: Nel deserto preparate
la via al Signore!
Appianate nella steppa
la strada per il nostro Dio!
Ogni valle sia colmata,
ogni monte e colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in pianura!
Ma gli antichi manoscritti erano privi di punteggiatura. Si era quindi liberi di tagliare la frase come si voleva, e si lesse:
Una voce grida nel deserto: preparate
la via al Signore!
È sotto questa forma che il testo di Isaia è citato nei Vangeli (Matteo 3:3; Marco 1:3; Luca 3:4). Si credette di vedervi una profezia che si applicava a Giovanni il Battista nel deserto.
Così, dopo essere stato il rivelatore dei Mandei, in seguito, tra gli ebrei, un profeta e visionario che scagliava gli anatemi contro i primi cristiani, Giovanni divenne tra i cristiani, per la grazia di un errore di punteggiatura in un testo di Isaia, «la voce che grida nel deserto», per preparare il ministero di Gesù.
NOTE
[1] Il discepolo prediletto.
[2] Die Vorgeschichte der christlichen Taufe, Leipzig (Teubner) 1929. — È stato egualmente pubblicato da THILO alla fine del suo Codex apocryphus e da I. V. DOELLINGER in Beitraege zur Ketzergeschichte des Mittelalters, 2, pag. 85. Ne esistono due recensioni: il testo di Benoist e il manoscritto di Vienna (Austria).
[3] Reitzenstein, op. cit., pag. 74.
[4] ROBERT EISLER, Jésous basileus ou basileusas, 1929, dove si troveranno i riferimenti ai due personaggi messianici.
[5] L'Apocalypse, traduction du poème avec une introduction, bois de A. F. COSYNS, Parigi Bossard 1922.
Nessun commento:
Posta un commento