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5° La vita di Gesù
Se i vangeli fossero stati scritti secondo i ricordi dei suoi discepoli, si deve convenire che questi avrebbero avuto una pessima memoria. Nella disposizione artificiale dei testi è impossibile trovare gli elementi coerenti di una biografia, per quanto breve; e tutti coloro che hanno tentato di scrivere una vita di Gesù, secondo il contenuto dei vangeli, hanno dovuto ammettere che non vi trovavano i materiali necessari. Ad una lettura superficiale, si può avere l'impressione di una certa presenza; ma appena si esaminano le cose più da vicino, tutto si risolve in leggende di edificazione.
Come spiegare, ad esempio, l'impotenza di tutti gli autori ad evocare la persona di Gesù attraverso i testi? Ciascuno ci mette quello che voleva trovarci: per i bisogni della dimostrazione se ne è fatto un malato o un folle, [200] oppure un genio, [201] ma è impossibile trovarvi un uomo.
Nessun ritratto fisico: basandosi su testi estranei al problema, si sosterrà che era «il più bello dei figli degli uomini», [202] o al contrario che era brutto, fisicamente sgraziato; [203] ciascuna di queste tesi tende a una dimostrazione morale, non alla ricerca di un fatto.
Quanti anni aveva all'inizio della sua carriera pubblica? Circa 30 anni, ci dice Luca, [204] che dimentica che lo ha fatto nascere nell'anno 7, ossia 22 anni prima. Se fosse nato sotto Erode, come lo vuole Matteo, avrebbe avuto almeno 35 anni. Ma Giovanni gli presta quasi 50 anni, [205] e Ireneo pretende di aver ricavato dagli apostoli che egli sarebbe morto a più di 50 anni.
I sinottici concordano nel dare alla vita pubblica una durata molto breve. Eppure è difficile riempirla con i magri episodi che riportano. Giovanni, al contrario, attribuisce a questo ministero una durata di circa tre anni, poiché fa salire tre volte Gesù a Gerusalemme per la Pasqua; ma questi tre anni sono molto vuoti, e l'autore ne ha coscienza, poiché termina la sua opera con questa ingenua ammissione di ignoranza: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere». [206]
Quella esistenza, di durata così incerta, è impossibile da ricostruire. Gli itinerari sono fantasiosi, il più delle volte non sappiamo nemmeno dove l'azione si svolge. L'impressione che danno i testi è quella di una vita errante; dopo un breve insediamento a Cafarnao, [207] Gesù sembra non avere né domicilio né un punto di ritrovo. «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo hanno dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo», gli fanno dire Matteo e Luca. [208] Marco dice che si teneva «in luoghi deserti», [209] e infatti lo vediamo a volte apparire, scendendo dal monte, [210] come se avesse dormito fuori.
Come Giove sull'Olimpo, Gesù vive e siede su un monte: è là che, secondo Matteo, pronuncia un grande discorso morale; [211] è là che si ritira per pregare, [212] o per nascondersi quando si vuole farlo re; [213] è là che fa salire anche gli storpi, gli zoppi e i ciechi per guarirli; [214] è là che, secondo Marco, istituisce dodici apostoli; [215] è là, beninteso, che si trasfigura. [216] È abitudine degli dèi risiedere sui luoghi elevati, e Giovanni lo sa bene, poiché fa dire alla Samaritana: «I nostri padri hanno adorato su questo monte». [217] Ma non è là che risiede normalmente un uomo.
Di cosa vive con il suo gruppo di fedeli? Nessuno lavora, e il maestro esorta a non preoccuparsi del domani: «Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?... Non affannatevi per il domani». [218] Questo quadro idilliaco viene talvolta corretto da qualche esortazione, mediante il ricorso all'ospitalità orientale: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». [219] All'occasione, vediamo i discepoli strappare di passaggio delle spighe di grano per mangiarle, [220] ma l'episodio è là solo per introdurre una lezione sul sabato.
Il gruppo sembra sprovvisto di denaro, poiché in due occasioni, quando si tratterà del pagamento del tributo, non si troverà in esso nemmeno una moneta. [221] Tuttavia, i discepoli vanno a comprare le provviste nella città. [222] Tutto sembra miracoloso, ma Giovanni converrà infine che è Giuda che detiene la «borsa», [223] cosa che gli altri ignorano.
Si vuole ben ammettere che quella esistenza di un mendicante non sia improbabile in questo paese. Ancora bisognerebbe poter assicurare che si tratta di ricordi reali. Ma le istruzioni ai discepoli fanno piuttosto pensare che si sono ricordati i missionari esseni, che potevano permettersi di viaggiare senza denaro nella loro cintura perché erano sicuri di trovare ospitalità in ogni comunità, dove un fratello era preposto alla loro accoglienza. [224] Bisognerebbe poter assicurare anche che questo quadro di una vita umile non sia un semplice adattamento del testo di Isaia, che è servito a costruire la leggenda di Gesù: «Essi pascoleranno lungo le strade e su tutte le alture desolate... Non avranno fame né sete... perché Colui che ha pietà di loro li guiderà». [225]
Nel corso dei suoi spostamenti, Gesù predica e fa dei miracoli. Quale ne è il risultato? Vediamo spesso, attorno a lui, folle numerose, e ci vengono ripetute spesso espressioni di questo genere: «Tutti si stupivano e glorificavano Dio, dicendo: una cosa così non l'abbiamo mai vista». [226] A Gerusalemme fa un'entrata gloriosa, la folla lo acclama come il Messia. E nonostante tutto ciò, la missione fallisce, e i nostri autori lo ammettono: «Sebbene avesse fatto tanti segni miracolosi in loro presenza, non credevano in lui». [227] Questo sarà uno degli argomenti di Celso: Gesù, in vita sua, non avrebbe potuto «persuadere nessuno, nemmeno i suoi stessi discepoli», [228] poiché questi lo rinnegheranno. Ci verrà spiegata quella contraddizione ? Ci si limita a dirci che ciò era stato predetto, e a rinviarci ancora a Isaia. [229] Ma, se Dio ha volontariamente accecato gli spettatori e gli ascoltatori, a che pro quella produzione di «segni»?
Coloro che credono che i vangeli contengano almeno il ricordo di eventi reali dicono che i loro autori si sono sforzati — molto male — di mascherare il fallimento di Gesù: «Confessione veritiera e dolorosa tra tutte, perché l'incredulità di coloro che hanno visto e sentito Gesù sarà per lungo tempo l'argomentazione più potente degli avversari del cristianesimo. Ma non resta su questo punto il minimo dubbio». [230] Ma resta allora da spiegare l'espansione del cristianesimo. Al tempo della stesura dei vangeli, il successo della nuova religione è già sufficiente perché non si possa più parlare del fallimento del fondatore. Allora?
La spiegazione discende dai testi: coloro che non hanno voluto credere in Gesù sono gli ebrei. Non siamo in presenza di ricordi autentici, ma in piena polemica del II° secolo; si tratta di dimostrare che Dio ha respinto il suo popolo e riserva ora i suoi favori ai beneficiari della «Nuova Alleanza». Allo stesso spirito si ispirano numerosi episodi, come la fede del centurione: «In nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande». [231]
La contraddizione è deliberata: da una parte, gli ebrei sono stati testimoni del clamoroso successo di Gesù presso le folle, dei suoi miracoli; d'altra parte, essi non si sono convertiti, e si è perfino esagerata la loro opposizione, dimenticando coloro che sono stati favorevoli come Nicodemo: sono tutti gli ebrei, non soltanto quelli di Gerusalemme e di Palestina, ma anche quelli della diaspora, che si vuol rendere colpevoli di aver respinto Gesù. Il cristianesimo si libera dalla legge ebraica, come aveva voluto Marcione; ma siccome ha bisogno di testi ebraici per sostenere la biografia immaginaria del suo dio, annette i testi e condanna gli uomini senza compromessi e senza distinzione.
Quanto all'abbandono dei discepoli al momento della morte (e alla strana scomparsa di così tanti miracolati), non si tratta neanche di un ricordo spiacevole: occorreva che il supplizio rispondesse esattamente a quel che aveva descritto Isaia. Noi siamo in un'altra prospettiva, il sacrificio salvifico del Dio deve essere totale. Che importa allora che sembrasse improbabile veder le folle di Gerusalemme rinnegare colui che acclamavano qualche giorno prima, e reclamare la liberazione di un brigante ? Senza dubbio le folle sono instabili, ma a chi si farà credere che, tra numerosi spettatori o beneficiari di così tanti miracoli, non resta nessuno all'ultimo momento?
Resta nondimeno il fatto che, se dovessimo prendere i vangeli alla lettera, Gesù non avrebbe in realtà convertito nessuno: alla sua morte, non vi era ancora un solo cristiano, tutto il lavoro restava da fare! Quella evidenza ha condotto numerosi autori, che accettano il fatto della morte di Gesù, a negare che egli sia il fondatore del cristianesimo.
Ma i pretesi successi popolari sono tanto improbabili quanto l'abbandono finale: come ammettere che le autorità abbiano potuto disinteressarsi di un predicatore che attirò folle di 5.000 persone, [232] che provocò uno scandalo nel Tempio, per non parlare delle guarigioni e delle resurrezioni? Ne è lo stesso dell'ingresso trionfale a Gerusalemme come di tutto ciò che Gesù è ritenuto aver fatto; tutto è passato inosservato, nessun autore contemporaneo lo ha segnalato. In quel periodo travagliato, in cui gli agitatori messianici si levano da ogni lato, e preoccupano l'autorità romana, solo Gesù non avrebbe suscitato alcuna attenzione, malgrado tutto quel che gli si presta?
È, si dirà, perché, a differenza degli altri, egli non predicava che la mitezza, non suscitava disturbi all'ordine pubblico, e le stesse autorità sono state favorevoli a colui che raccomandava di pagare il tributo a Cesare. Ma allora perché Flavio Giuseppe, che raccomandava l'accettazione della disfatta ebraica sul modello dei Galli e dei Greci, che nondimeno non esita, in un'opera che si sforzava di compiacere i Romani, a menzionare così tanti agitatori ostili e briganti, non non si è nemmeno sognato di dire che un certo Gesù (la cui setta doveva cominciare ad essere conosciuta quando egli scriveva) consigliava di pagare il tributo, questo segno detestato della servitù?
Vi sono, tra quella ignoranza generale e i trionfi che gli prestano i vangeli, tra tanti miracoli e la solitudine finale, contraddizioni che non possono essere eliminate in un racconto di storia. Ma questi trionfi sono immaginari, come il fallimento finale in ambiente ebraico, e i nostri autori non si preoccupano mai di conciliare le contraddizioni delle loro fonti.
NOTE
[200] Tesi ripresa spesso, con argomentazioni mediche. Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 197 e seguenti.
[201] Renan lo definisce volentieri «divino».
[202] Salmo 45:3. È la tesi di Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Girolamo, ecc.
[203] Giustino, Dialogo 85:1; Ireneo, Haer. 4:33:12; Clemente di Alessandria; Celso, § 84, ecc.
[204] Luca 3:23.
[205] Giovanni 8:57.
[206] Giovanni 21:25.
[207] Matteo 4:13.
[208] Matteo 8:20; Luca 9:58.
[209] Marco 1:45.
[210] Matteo 8:1.
[211] Matteo 5:1.
[212] Matteo 14:23.
[213] Giovanni 6:15.
[214] Matteo 15:29-30.
[215] Marco 3:13-14.
[216] Matteo 17:1, Marco 9:1, Luca 9:28.
[217] Giovanni 4:20.
[218] Matteo 6:31-34; Luca 12:29-31.
[219] Matteo 10:8.
[220] Marco 2:23-28, Matteo 12:1-8, Luca 6:1-5.
[221] Matteo 17:24-27 e 22:19.
[222] Giovanni 4:8.
[223] Giovanni 13:29.
[224] È quel che suggeriscono Marco 6:8-11, Matteo 10:9-14, Luca 9:3-5 e 10:4-8.
[225] Isaia 49:9-10.
[226] Marco 2:12.
[227] Giovanni 12:37.
[228] Discorso vero, § 24.
[229] Matteo 13:15, Giovanni 12:40.
[230] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 254.
[231] Matteo 8:10, Luca 7:9.
[232] Marco 6:44.
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