sabato 12 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIIl contesto sociale

 (segue da qui)

3° Il contesto sociale 

In quale contesto sociale si reclutano i personaggi evangelici? La domanda non è priva di interesse, perfino se si ammette che la maggior parte dei personaggi sono leggendari: essi rappresentano nondimeno l'ambiente nel quale si sarebbe sviluppato il cristianesimo, o nel quale si rappresentava nel II° secolo che aveva preso nascita.

Sulla base di numerosi passi in cui i ricchi sono messi in accusa, e secondo una tradizione già conosciuta da Paolo, si ammette che la «buona novella» fu annunciata ai poveri. «Fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili. Ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti. Dio ha scelto gli esseri deboli del mondo per svergognare i forti. Dio ha scelto gli esseri ignobili del mondo e gli esseri disprezzati, anzi gli esseri che non sono, per ridurre al niente quelli che sono». [39] Il brano ha un accento rivoluzionario, e molti lo hanno preso alla lettera: si farà di Gesù il «primo sanculotto», ed Engels scriverà che il cristianesimo nascente fu la religione «degli schiavi e degli oppressi».

Questa è la tesi generalmente accettata dagli scrittori marxisti: «La religione cristiana... apparsa nei paesi d'Oriente conquistati e oppressi dall'impero romano, si è diffusa tra gli schiavi ferocemente sfruttati, tra i contadini rovinati e miseri, tra i poveri sempre affamati e senza lavoro». [40

«Gli adepti della nuova religione si reclutavano quasi interamente negli strati inferiori della società... Malgrado le tendenze concilianti del cristianesimo, era allora tra le altre religioni quella che protestava nella maniera più violenta contro lo schiavismo». [41]

Questa non è del tutto l'impressione che emerge da una lettura dei vangeli: il loro insegnamento non è per nulla orientato verso la rivoluzione sociale, ma verso l'avvento del regno di Dio, cioè la fine del mondo, annunciata come imminente. A che pro riformare un mondo che perirà? 

Tuttavia, siccome il mondo non è perito con la generazione che doveva vederne la fine, siccome il Gesù dei vangeli si è sbagliato almeno su questo punto, non è inutile ricercare se i vangeli siano veramente destinati agli «esseri ignobili e disprezzati» di Paolo, agli «schiavi e oppressi» di Engels, e se essi protestano «nella maniera più violenta» contro l'ordine schiavista.

Una prima osservazione, importantissima: in tutti i vangeli non si trova alcuno schiavo, non si fa menzione una sola volta della schiavitù. Era tuttavia, all'epoca, il grande problema morale e sociale del mondo romano: grandi menti, come Cicerone e Seneca, hanno messo in dubbio la legittimità della schiavitù. Si vorrebbe trovare nei vangeli per la causa cristiana frasi come questa: «Bisogna osservare la giustizia anche verso gli infimi. Certamente la condizione e la sorte più umile è quella degli schiavi». [42] Non è affatto così. Non è Gesù, è Seneca che afferma che lo schiavo e l'uomo libero sono formati dallo stesso seme umano, [43] è Giovenale che li definisce formati dalla stessa materia e dagli stessi elementi. [44] È ancora Seneca, e non Gesù, che parla per primo della fratellanza tra lo schiavo e l'uomo libero. [45] Questa era anche la dottrina segreta dei misteri. [46] Gesù, invece, ignora il problema della schiavitù: non una parola su questo argomento.

L'apostolo Paolo, per contro, ne parla, ma lo fa per enunciare la dottrina che sarà, nel corso della storia, quella della Chiesa: la schiavitù è legittima e voluta da Dio, bisogna quindi che ciascuno si rassegni al suo stato. [47] È permesso ai cristiani possedere schiavi. [48] E siccome alcuni, per carità, pensavano di dover riscattare gli schiavi cristiani, una lettera di Ignazio di Antiochia glielo sconsiglia. [49]

In alcune parabole evangeliche si vede senza dubbio apparire servi che sono probabilmente degli schiavi: come i servi inutili in Luca, [50] o i dieci servi nella parabola delle mine o dei talenti. [51] Ma non vi sono mai considerati in funzione della loro servitù. Tutt'al più Luca dice, come se fosse ovvio, che il servo disobbediente sarà «battuto di molti colpi». [52] I vangeli auspicano l'obbedienza del subordinato, ben lungi dal raffigurarci un «brillante ritratto della vita nella società schiavista», [53] e ancor più dal promuoverne la riforma. Se il cristianesimo primitivo attira gli schiavi, non è per la speranza o la promessa di una libertà in questo mondo. 

Sappiamo d'altronde quanto rapidamente e fruttuosamente la Chiesa abbia stretto alleanza con i ricchi e i potenti. Senza dubbio quella alleanza non sarà sigillata che sotto Costantino, ma perché sia stata possibile, bisogna pure che i vangeli l'abbiano permessa. Di fatto, tutti i papi fino ai nostri giorni, affidandosi ai vangeli, hanno dichiarato conforme alle volontà divine (e ai loro interessi) che vi siano ricchi e poveri, e che i poveri siano sottomessi e rassegnati. Queste encicliche sarebbero contrarie all'insegnamento dei vangeli? Certamente no! Ai poveri, la «buona novella» promette una ricompensa nell'altra vita, se sono stati saggi quaggiù; non predica loro per nulla la rivolta, non promette loro nemmeno un miglioramento della loro sorte. Ai ricchi insegna soltanto la difficoltà di ottenere la propria salvezza nel benessere, e raccomanda loro la pratica dell'elemosina. [54]

Ben più, i vangeli insegnano a ben investire il proprio denaro presso i banchieri, per ricavarne un interesse e farlo fruttificare. [55] Questa non è che una parabola, ma come si prende cura di sottolineare che il padrone è di alto lignaggio, [56] che i buoni servi hanno raddoppiato il capitale, e che colui che non ha saputo fare un buon investimento sarà punito! E per concludere, quella singolare morale: «A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». [57] Questo è proprio l'insegnamento di un cuore duro, il comportamento di un avaro senza pietà. Meravigliatevi, dunque, che la Chiesa abbia tanto lusingato i ricchi e disprezzato i poveri! Si trova anche, nelle parole che gli evangelisti hanno trascurato: «Siate buoni banchieri». Questo insegnamento non è andato perduto per la Chiesa.

Se consideriamo dal punto di vista sociale i personaggi evangelici, non vediamo per nulla che si trattano di esseri vili e disprezzati. Una ricerca istruttiva è stata fatta su questo argomento: [58] se si trovano alcuni mendicanti privilegiati con miracoli, i primi ruoli non sono per nulla tenuti dai miseri. Giuseppe è carpentiere, che è un buon mestiere; parecchi apostoli sono pescatori sul lago di Tiberiade e il loro padre Zebedeo impiega lavoratori a giornata, è quindi proprietario. Matteo (o Levi) è un funzionario del fisco, e per celebrare la sua conversione offre un grande banchetto. [59] Le pie donne sembrano disporre di una grande ricchezza, e solo l'avaro Giuda rimprovererà lo spreco di denaro per i profumi. Se usciamo dai Vangeli, troviamo Paolo fabbricante di tende, Barnaba proprietario di un campo... Trascurando anche il ricco Giuseppe di Arimatea, si può concludere che i personaggi evangelici sono costituiti da «gente comune che dispone di mezzi modesti, artigiani, contadini, pescatori, commercianti, piccoli funzionari... gente del popolo per più di un aspetto, ma non così miseri». [60] Quando i discepoli sentono la parabola sul cammello e sulla cruna dell'ago, la loro reazione è molto diversa da quella dei poveri mendicanti: allora, chi sarà salvato? (sottinteso: nemmeno loro!).

Che le comunità cristiane abbiano dapprima attirato soprattutto i poveri, come l'assicura Paolo, è probabile: in un'epoca in cui le distinzioni sociali erano molto più nette, ciò vuol dire che esse non potevano minimamente attrarre i ricchi o i potenti, trattati da avversari nei vangeli. Ma è certamente sbagliato fare dei personaggi evangelici o dei primi cristiani un mucchio di mendicanti, di schiavi o di oppressi. Vediamo persino che, nei testi cristiani primitivi, ci si sforza di riabilitare il lavoro manuale. [61]

Dopo aver denunciato quell'errore comune, non cadiamo nell'eccesso opposto. È certo che i vangeli contengono parole durissime contro i ricchi, [62] soprattutto contro i ricchi egoisti. Ma di cosa li minacciamo? Entreranno difficilmente nel regno, o in paradiso. Nell'inferno, il ricco vedrà il povero Lazzaro «nel seno di Abramo». [63] Non si parla da nessuna parte di modificare in questo mondo la distribuzione delle ricchezze, ancor meno quella dei mezzi di produzione.

Non dimentichiamo che in quel tempo le differenze di ricchezza erano molto più nette di quanto lo siano oggi, e che accanto ai grandi proprietari, quello che si può chiamare il popolo era composto da gente comune, che viveva modestamente. Era così anche a Roma, che aveva inoltre il privilegio di avere una plebe numerosa che viveva di distribuzioni pubbliche; nulla del genere esisteva, per quanto ne sappiamo, nelle città di provincia. Non è per quella plebe miserabile che i vangeli furono scritti, ma per i piccoli artigiani, agricoltori e altri lavoratori manuali: la prova potrebbe essere data dall'abbondanza di immagini tratte dalla vita rurale o dai mestieri, ma anche dall'espressione: chi non lavora non mangi, chi non vuole lavorare non ha diritto al cibo. [64]

Renan ha notato come Gesù, quando parla dei potenti o della vita di palazzo, se ne fa un'idea ingenua: «La corte dei re gli appare come un luogo dove la gente ha bei vestiti. [65] Le affascinanti impossibilità che abbondano nelle sue parole quando mette in scena i re e i potenti [66] provano che egli non concepì mai la società aristocratica se non come un giovane villico che vede il mondo attraverso il prisma della sua ingenuità». [67]

Quella ignoranza, che Renan attribuisce a Gesù, si può trovarla anche tra gli scrittori dei vangeli. Ma la classe dirigente era poco numerosa; nella classe lavoratrice si viveva modestamente, non miseramente. Gesù non si rifiuta di prendere parte ai banchetti, [68] è invitato alle nozze di Cana e vi trasforma in eccellente vino sei grandi giare d'acqua; [69] l'immagine della festa nuziale servirà più tardi da parabola. [70] Da nessuna parte vediamo che il problema del cibo sia in primo piano nelle preoccupazioni della piccola comunità. Ben più, vediamo che ognuno dispone liberamente della propria persona e del proprio tempo. 

Tuttavia, nuova contraddizione, si è potuto ricavare da molti passi dei vangeli la descrizione di una vita totalmente ascetica, — come se, anche per mantenere un esercito di asceti mendicanti, non occorressero lavoratori!

I vangeli raccomandano persino a volte una regola di vita assolutamente irrealizzabile. Quando Gesù consiglia al giovane ricco di vendere tutti i suoi beni e di distribuire il ricavato ai poveri, [71] quando raccomanda di non preoccuparsi dei problemi materiali, neppure del cibo, perché Dio vi provvederà, [72] chi potrebbe prendere queste direttive alla lettera? Se tutti i cristiani avessero seguito questi consigli, la società antica sarebbe stata distrutta. Matteo corregge del resto solo l'espressione: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai...». [73] Come più tardi tra i Catari, c'erano certamente pochissimi «Perfetti». Non si tratta, come spiegherò più avanti, che di una regola propria della comunità essena, riservata ad un piccolo gruppo organizzato. Nessuno poteva vedervi un programma sociale.

In definitiva, su questi punti come su tutti gli altri, si trovano nei vangeli espressioni contraddittorie, a causa della diversa provenienza degli elementi che vi sono stati sovrapposti.

LA RIVINCITA DELLA POVERTÀ — Il cristianesimo non è quindi nato da un movimento di riforme sociali. Ma, come tutti gli altri culti misterici, cerca di rispondere alle aspirazioni della classe modesta dei lavoratori, di trovare una compensazione per la miseria. La «buona novella» è annunciata agli umili, secondo le parole di Isaia, [74] ma quella buona novella non è la promessa di un miglioramento temporale, è quella dell'accesso alla salvezza, all'immortalità. Per mezzo del suo sacrificio, il dio salvatore ha aperto il regno agli umili, ma un regno che non è di questo mondo: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno». [75] Là, «quelli che ora hanno fame, saranno saziati», [76] ma... dopo la loro morte. Ai ricchi si dice solamente che hanno già ricevuto la loro ricompensa, [77] si consiglia di non accumulare tesori su questa terra, ma di accumulare tesori nel cielo. [78] Quella morale è esattamente conforme a quella dell'Essenismo, interamente orientata alla vita spirituale e disinteressata ai problemi di questo mondo. Sulla terra, tutto ciò che si raccomanda agli sfortunati è la rassegnazione, nell'attesa della vendetta in un mondo migliore. 

Che quella vendetta, promessa al povero Lazzaro contro il ricco malvagio, si sforza di rispondere ad uno squilibrio sociale, è fuor di dubbio. In questo senso, è vero dire che esistono origini sociali del cristianesimo. Ma la soluzione del problema sociale non è nemmeno intravista, è al contrario respinta: la sola minaccia rivolta al ricco è quella di una morte improvvisa, che lo priverebbe brutalmente dei tesori accumulati invano: «Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua anima». [79] Fino ad allora, non gli si domanda nulla.

Si dirà senza dubbio che non è compito di una religione modificare l'organizzazione sociale, e il cristianesimo sarà fin troppo rispettoso del potere stabilito. Ma tutto si tiene: i Romani avevano concepito una religione fortemente legata alla vita civile, e di cui il culto dell'imperatore non sarà che il logico coronamento; ciò che le autorità romane non tarderanno a rimproverare ai cristiani è il loro disprezzo dei doveri civici, il loro rifiuto delle cariche pubbliche e militari. Occorrerà attendere Costantino e il concilio di Arles per riconciliare con l'autorità coloro che prendevano troppo alla lettera le espressioni evangeliche sul disprezzo per questa vita e dei poteri desiderosi di organizzarla. In questo senso, è vero che il cristianesimo, alle sue origini, fu antisociale.

Si dirà anche, e con ragione, che non esisteva, nell'ambiente in cui fu diffuso il cristianesimo, coscienza di classe, nemmeno coscienza di una comunanza di aspirazioni. Ma in una concezione marxista della storia, si dovrebbero individuare le cause economiche che hanno determinato, in quel momento preciso della storia, l'espansione del cristianesimo e dei culti misterici. Bisogna proprio ammettere che questo è molto difficile, perché sappiamo poco delle condizioni di vita nel Medio Oriente sottomesso a Roma, dove la povertà doveva essere piuttosto generale, ma dove gli uomini avevano appreso da tempo ad accontentarsi di poco ed avevano pochi bisogni. Ingenuamente, gli evangelisti credono che si possa vivere senza preoccuparsi di come si mangerà il giorno dopo: quella disinvoltura, oziosa e fatalista, non è così distante dalla mentalità orientale, né dalle abitudini di un mondo dove la fame faceva parte delle condizioni comune dell'esistenza. Così sembra difficilmente concepibile che i cristiani abbiano pensato di risolvere questo problema: il paradiso, il giardino dagli abbondanti frutti naturali, non è questa terra che il libro di Enoc indica con un termine significativo: il deserto.

È probabile che le esigenze del fisco romano, le rapine dei governatori, abbiano aggravato una situazione economica già precaria. Non lasciamoci però ingannare dal caso di Verre, che estorceva d'altro canto soprattutto i ricchi. Nonostante i suoi rigori, non sono sicuro che l'occupazione romana abbia aggravato in Oriente la condizione materiale dei lavoratori, che furono sempre sottoposti a padroni esigenti. Pur effettuando prelievi nelle province annesse, Roma vi offriva sbocchi per i prodotti dell'artigianato, una stabilità derivante dalla pace, le agevolazioni per il commercio. Non è per nulla dimostrato che la conquista romana abbia creato le condizioni economiche e il clima sociale da cui doveva necessariamente emergere, in quell'epoca, una religione dei poveri e degli oppressi. 

NOTE

[39] 1 Corinzi 1:26-28.

[40] KRIVELEV, Du sens des Evangiles, pag. 50.

[41] LENZMAN, L'origine du christianisme, Mosca 1961, pag. 166 e 206.

[42] CICERONE, De officiis 13:41.

[43] Lettere a Lucilio 5:47 (ex isdem seminibus).

[44] Giovenale 14:16-18.

[45] Lettere a Lucilio 5:47: questo schiavo forse nell'animo è libero (fortasse liber animo).

[46] Si veda G. FAU, L'esclavage, Cahier Rationaliste, giugno 1965.

[47] 1 Corinzi 7:20-24; Efesini 6:5.

[48] Epistola a Filemone: «Egli ti appartiene secondo il mondo e secondo il Signore» (Filemone 16).

[49] Lettera a Policarpo.

[50] Luca 17:7-10.

[51] Matteo 25:14-30, Luca 19:11-27.

[52] Luca 12:47.

[53] KRYVELEV, op. cit., pag. 70.

[54] Matteo 6:1-4.

[55] Matteo 25:14-29, Luca 19:12-26.

[56] Luca 19:12.

[57] È caratteristico che Matteo abbia ripreso giustamente qui quella espressione (25:29), già data nelle parabole (13:12), che Marco (4:25) e Luca (8:18) citano solo a proposito dell'insegnamento morale: essa fu dunque presa alla lettera in ciò che concerne i beni materiali.

[58] J. MASSIN, Le conditionnement social des premiers chrétiens, rivista Janus, maggio 1964.

[59] Matteo 9:10.

[60] J. MASSIN, ibid.

[61] 2 Tessalonicesi 3:8-10. Confronta Didaché 12:3-5.

[62] Marco 10:23-25, Matteo 19:23-24, Luca 18:24-25. Confronta l'epistola di Giacomo 5:1-6, Didaché 5:2.

[63] Luca 16:23.

[64] 2 Tessalonicesi 3:10.

[65] Si veda Matteo 11:8.

[66] Si veda Matteo 22:2 e seguenti.

[67] Vita di Gesù, capitolo 3.

[68] Marco 2:15, Matteo 9:10, Luca 5:29.

[69] Giovanni 2:1-11.

[70] Matteo 22:1-10, Luca 14:16-24.

[71] Marco 10:21, Matteo 19:21, Luca 18:22.

[72] Marco 6:25-34, Luca 12:22-32.

[73] Matteo 19:21.

[74] Isaia 61:1; si veda Michea 6:8.

[75] Luca 6:20.

[76] Luca 6:21.

[77] Luca 6:24.

[78] Matteo 6:19-20, Luca 12:21 e 12:33.  

[79] Luca 12:13-21.

Nessun commento: