sabato 10 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZADa servo di Jahvé oppresso a Gesù, Figlio di Dio.



Da servo di Jahvé oppresso a Gesù, Figlio di Dio.

Ora quale era, a questo proposito, il solo argomento che Guignebert opponeva fermamente alla seconda tesi? La crocifissione di Gesù per ordine di Ponzio Pilato costituiva, ai suoi occhi, come a quelli di Loisy, un elemento «che nulla può sostituire», perché la nozione del Messia sofferente, secondo lui, era poco diffusa nello stesso tempo; ma, da allora, l'a diffusione ne è stata stabilita dai Manoscritti del Mar Morto, così come lo ha constatato Dupont-Sommer, [50] ed è possibile che nella formazione del nuovo credo sia penetrato il ricordo del Maestro di Giustizia, ispiratore della setta essena della Nuova Alleanza, forse lapidato e appeso al legno settant'anni prima, e che sarebbe apparso poco dopo la sua morte. [51

D'altra parte tra l'immagine del servo di Dio «oppresso», come era stata illustrata nel Libro di Isaia, capitolo 53, e quella di Gesù, Figlio di Dio, inviato sulla terra, per subire la morte e risorgere, la fusione si mostra da due parole, che ne sono la manifestazione e che, in una larga misura, possono avervi contribuito.

La parola greca pais è costantemente impiegata nella Bibbia dei Settanta, traduzione greca del testo ebraico, con il significato di servo di Dio. Così nel Libro di Isaia 53:11: «Per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, giustificherà i molti, si caricherà delle loro iniquità». Si ritrova nei libri cristiani quell'appellativo, applicato a Gesù: negli Atti degli Apostoli (3:13), Pietro, in un discorso rivolto al popolo israelita («fatto, del resto, con Isaia 52 e 53», osserva Guignebert), [52] dichiara: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri, ha glorificato il suo servo (in greco, all'accusativo: paida) Gesù». Ma gli stessi Atti ci fanno conoscere (9:20): Paolo, «subito» (dopo la sua conversione), «predicò nelle sinagoghe che Gesù era il figlio (in greco: uios) di Dio»

«Non si può minimamente dubitare», scriveva Guignebert, «che gli Atti non dicano pais laddove Paolo diceva uios». L'antica espressione: «Gesù, servo di Dio», fu a poco a poco sostituita da: «Gesù, figlio di Dio»; ma essa si conservò in alcuni testi liturgici. «Non possiamo dubitare», scrive ancora Guignebert, «che le due espressioni si equivalgano, che la più antica sia pais = servo (di Dio), che sia infine giudeo-cristiana, vale a dire impiegata nelle comunità cristiane derivate dal giudaismo. Crederei volentieri che vi abbia già un significato che vada oltre quello di servo, per esempio quello di servo per eccellenza, di Cristo. Quella di Figlio di Dio segna un'altra tappa sicuramente, ma essa deriva dall'antica espressione. Innanzitutto il passaggio dall'una all'altra è favorito dal doppio significato di pais = figlio e servo; uios = figlio prende facilmente il posto di pais. È comprensibile che la prima espressione... si sia mantenuta tra i giudeo-cristiani, che potevano dargli una certa elasticità... Tra i convertiti del mondo pagano, dove era compresa meno chiaramente, essa ha dovuto apparire da subito meno precisa e meno chiara dell'altra, che, però, non era in rapporto ad essa niente più che un controsenso, ma un controsenso molto fruttuoso, ed è proprio questo che ha, senza dubbio, assicurato la sua fortuna». [54]

Questa qui non è affatto un'interpretazione fantasiosa da parte di un autore isolato: Goguel, riferendosi al discorso di Pietro negli Atti, menzionato sopra, rileva, anche lui, che «l'espressione Gesù pais di Dio ha un doppio significato», poiché può significare «servo» o «figlio» di Dio: è nel primo significato che deve essere compresa, e qui vediamo uno dei processi con cui si è introdotta o precisata l'idea della figliolanza divina di Gesù». [55]

L'altra parola che ha forse comportato lo stesso «processo» è che il «servo» obbediente è proprio il nome del profeta che ne avrebbe descritto le sofferenze. Si è vista più sopra l'influenza del capitolo 53 del Libro di Isaia sul racconto della Passione di Gesù nei vangeli, [56] e Loisy ha rilevato che l'immagine dell'agnello condotto al macello, che è prodotta in questo capitolo, «sarà trattenuta dall'Apocalisse di Giovanni». [57] Ora è Loisy stesso che, confrontando (d'altronde con una tutt'altra intenzione) Gesù e Isaia, ha scritto: «È lo stesso nome» (in greco Iesous e Esaias); [58] e si è letto più sopra, a proposito del nome di Gesù, il suo significato: «Jahvé che salva». Senza dubbio, e per delle ragioni facili da comprendere, gli storici non hanno fatto a riguardo di questi due nomi un'analisi analoga a quella che hanno presentato a proposito di pais ed uios (servo e figlio di Dio); ma è lecito pensare che essa sarebbe valida in un caso come nell'altro. [59

Questi sono gli elementi che l'ebraismo, all'inizio dell'era cristiana, portava al «sincretismo» che avrebbe dato vita sul suolo greco ad una nuova credenza; su questo suolo altri elementi non solo esistevano, ma abbondavano, ed è la loro complessità che è imbarazzante.

NOTE

[50] Si veda più sopra, pag. 24-25.

[51] Si veda più sopra, pag. 24-25 e 82-84. L'apparizione del Maestro di Giustizia dopo la sua morte è stata spiegata da DUPONT-SOMMER nel 1951 in un articolo del Vetus Testamentum, I, pag. 200-215, studio utilizzato da lui in Nouveaux aperçus sur les manuscrits de la Mer Morte, 1953, cap. Les Kittim du Commentaire d'Habacuc, pag. 54-61. Quella interpretazione è stata criticata da Millar BURROWS, Les manuscrits de la Mer Morte, 1955, traduzione francese 1957, pag. 182-186, 209-210. Nell'espressione ebraica: «egli apparve», del Commentario di Abacuc, BURROWS dà al verbo apparire un significato non soprannaturale e ritiene che il soggetto sia, non il Maestro di Giustizia, ma il suo nemico, il «sacerdote empio». DUPONT-SOMMER cita di nuovo il suo proprio studio del 1951 nella sua opera, apparsa nel 1957, Le Livre des Hymnes découvert près de la Mer Morte, pag. 17, nota 2, cosa che permette di pensare che egli mantiene il significato che vi aveva dato all'espressione: «egli apparve». Anche DUPONT-SOMMER ha ricordato (Nouveaux aperçus..., pag. 60) che a quest'epoca certe cerchie ebraiche avevano ammesso delle apparizioni di Enoc, di Mosè, di Levi, di Baruc, di Adamo. — Per i rapporti tra l'essenismo e il cristianesimo, si veda anche Walter BRANT, Qui était Jésus? (tradotto dal tedesco, 1958), opera che insiste sulle loro differenze; si veda nello stesso senso il lavoro di BURROWS, menzionato sopra, Les manuscrits de la Mer Morte, e più ancora Lumières nouvelles sur les manuscrits de la Mer Morte, 1957, traduzione francese 1959.

[52] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 321.

[53] Ibid.

[54] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 322-323.

[55] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 118.

[56] Si veda più sopra, pag. 22-24.

[57] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 77, nota 2. Si veda più sopra Appendice 3, pag. 294-295.

[58] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 247. Si ha menzionato più spesso la somiglianza tra Gesù e Giosuè (si veda G. ORY, Noms et titres de Jésus, Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 19, 3° trimestre 1958, pag. 4-7).

[59] Si veda l'importanza del significato molteplice del termine «croce» (in latino crux, in greco stauros): si veda più oltre, pag. 202. Si veda anche più avanti il doppio significato dell'espressione «Fratelli (in greco adelphoi) del Signore», nell'Appendice 2, pag. 262 e seguenti.

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