mercoledì 4 marzo 2020

I Crestiani



I CRESTIANI

Il passo degli Atti, d'altra parte, è impossibile da datare; per tentare di conoscere con qualche probabilità il momento in cui è apparso l'appellativo di «Crestiani», bisogna cercare altrove.

Se Tacito fosse veramente l'autore dell'unico passo dei suoi Annali (15:44) dove si parla del Cristo e dei Crestiani, questa informazione si potrebbe datare dall'anno 116, ma si dovrebbe apportarvi una seria modifica. Sul Manoscritto Mediceus, quello che è la fonte di tutti gli altri, il testo primitivo recava CHRESTIANOS ma la lettera E fu raschiata e sostituita da una I. Inoltre, intorno al 125, Svetonio scriveva CHRESTO nella sua Vita di Claudio (25).

Il nome di CRESTIANO non appare che tre volte solamente nel Nuovo Testamento e unicamente negli Atti (11:26, 26:28) e nella 1° Epistola di Pietro (4:16); in questi tre passi, come li si leggono nel Sinaïticus, è la parola CHRESTIANOI che si riscontra; è peraltro questa forma del nome che è predominante nelle iscrizioni.

Al di fuori del Nuovo Testamento, il nome non appare che intorno al 150 e più tardi tra gli Apologeti (Giustino, Atenagora, Teofilo, Minucio), nella Epistola a Diogneto, in Ignazio, nel Martirio di Policarpo, nella Predicazione di Pietro, nella Lettera delle Chiese di Lione e Vienna, in Ireneo, Tertulliano, Clemente di Alessandria e nell'Insegnamento dei Dodici Apostoli, il che è normale se non sono esistiti testi cristiani prima del 150, o se sono scomparsi perché non erano conformi all'evoluzione che aveva avuto luogo. Per contro, il nome di CRESTIANI è assente negli scritti di Clemente di Roma, di Barnaba, di Ermas, di Policarpo, di Taziano, delle Omelie Clementine, della Cohortatio ad Graecos, cosa che può far dubitare del fatto che i Pagani abbiano utilizzato questo nome molto prima del tempo di quelli autori. I Riconoscimenti pseudo-Clementini così come gli «Atti» cattolici di Pietro e Paolo lo contengono solo in passi di inserzione tardiva. Vale lo stesso per gli scritti gnostici.

Il significato primitivo del nome (CHRESTOS essendo il dio buono) ci sembra convincente. Intorno al 150, Giustino (Apologia 1:4) ritiene che in ragione del loro nome, i Cristiani siano i migliori degli uomini, il che presuppone CHRESTOS. Intorno al 200, Clemente di Alessandria (Stromata 2:4) pensa che coloro che credono in Cristo sono e si definiscono buoni, ancora CHRESTOS

Verso lo stesso tempo, Tertulliano (Apologetico 3) dichiara: «Certo, Christus quanto alla sua traduzione deriva da unzione ma, quando erroneamente (poiché la vostra conoscenza della parola è incerta) voi pronunciate Chrestus, risulta da parola che soavità  o bontà significa». Allo stesso modo, nel 280 circa, Lattanzio — parlando dei pagani — scriveva: «Ignoranti dei nostri affari, essi chiamano Cristo: Cresto (Christum, Chrestum) e i Christiani: Crestiani (Christianos, Chrestianos)».

Queste due testimonianze stabiliscono che il mondo pagano ignorava gli «affari» cristiani e il personaggio da cui ricavavano il loro nome, ma che, per contro, gli ecclesiastici cristiani confondevano i due nomi e volevano imporre il significato di Unto sulla parola greca che significava Buono. La loro teologia comandava che Chrestos diventasse Christus. 

Parallelamente, non manca di interesse apprendere che, anche alla fine del terzo secolo, Romani e Greci continuavano a pronunciare Chrestus e a intendere il «Buono». Da parte loro, i Crestiani paolini celebravano la bontà di Dio (Romani 2:4, 11:22; Tito 3:4), come faranno più tardi i Marcioniti.

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