martedì 31 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Messia sofferente»

(segue da qui)

Il Messia sofferente

La concezione di un Messia che ristabilisce una regalità terrena è necessariamente svanita, dopo la repressione della rivolta. Un'altra idea del Messia si è allora imposta, e ha permeato il cristianesimo. Ma quest'altra concezione non era ignorata dagli ebrei, almeno da alcuni ebrei: poco attraente, non poteva sognarsi di prevalere sulle attrazioni della prima, ma sarebbe sbagliato credere che tutti gli ebrei sognassero l'impero del mondo. Alcuni avevano già sostenuto il disprezzo delle ricchezze, il disprezzo del potere temporale, ed elaborato il concetto di un primato puramente spirituale. Quando la disfatta militare ridusse gli altri al silenzio (o allo sterminio), come non avrebbero offerto al popolo represso e indifeso il conforto della loro rivelazione, della loro speranza?

Ora, questi spregiatori del potere avevano meditato su un testo sorprendente di Isaia:

«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi... Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori...»

«Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca, era come agnello condotto al macello... Fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del suo popolo fu percosso a morte...» (Isaia 53:2-12).

Questo testo (e altri dello stesso genere) permettevano di fabbricare l'immagine di un Messia pacifico e umiliato, che si sacrifica per redimere gli uomini: è evidentemente questa nozione che è passata nei vangeli, quasi letteralmente. Dal momento che questa immagine si oppone alla precedente, dal momento che quelle due concezioni del Messia sono inconciliabili, non si dovrebbe concludere che la seconda sia di origine cristiana: scritta in Isaia, essa esisteva prima del cristianesimo. È soltanto la disfatta del 70 che le ha permesso di imporsi, che ne ha fatto la speranza suprema di un popolo abbattuto e il solo modo di conciliare le profezie con gli eventi. Ma essa esisteva prima di allora; soltanto, gli ebrei che l'avevano elaborata non erano gli stessi ardenti patrioti della grande guerra. 

Se noi ci domandiamo in quale ambiente aveva potuto nascere l'immagine di un Messia «non violento», umiliato, allontanatosi dalle attrattive di questo mondo ma che salvava gli uomini con il suo sacrificio, la nostra attenzione sarà presto attirata dalla setta degli Esseni. Ed è abbastanza sorprendente che non vi si sia pensato prima. 

Guignebert respingeva l'ipotesi, col pretesto che nulla permetteva di attribuire al secondo Isaia una natura profetica. Tuttavia, l'uso che ne è stato fatto nei vangeli avrebbe dovuto bastare a provare che, almeno in certi ambienti ebraici, gli si attribuiva quella qualità. Altrimenti, perché i cristiani sarebbero andati a riesumare questo testo? Ma il problema è oggi risolto, dopo le scoperte del mar Morto: sappiamo ora che la comunità di Qumran (e probabilmente altre comunità essene) considerava profetico il libro di Isaia. 

«È ormai certo — e questa è una delle più enormi rivelazioni dei ritrovamenti del mar Morto —, che l'ebraismo, nel I° secolo PRIMA di Gesù Cristo, ha visto fiorire, attorno alla persona del Maestro di Giustizia, un'intera teologia del Messia sofferente, del Messia redentore del mondo». [5]

Ma parleremo più avanti degli Esseni.

NOTE

[5] DUPONT-SOMMER: «Aperçus préliminaires sur les manuscrits de la Mer Morte», pag. 116.

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