venerdì 28 settembre 2018

Il Mito di Cristo — IL GESÙ PRECRISTIANO (VII): Simboli del Messia. L'Agnello e la Croce.

IL GESÙ PRECRISTIANO

VII

SIMBOLI DEL MESSIA: L'AGNELLO E LA CROCE

Di un gran numero di modi di espressione ed immagini nel Nuovo Testamento sappiamo che si originarono dal repertorio comune dei linguaggi delle sette segrete dell'Oriente, avendo la loro fonte soprattutto nel mandeismo e nella religione mitraica. Così “la roccia”, “l'acqua”, “il pane”, “il libro”, oppure “la luce della vita”, [1] “la seconda morte”, “la vite”, “il buon pastore”, ecc., sono semplicemente espressioni che in parte sono note anche tramite i Rigveda e là  appartengono alle idee raggruppate attorno ad Agni, il Dio del Fuoco, della Vita, e dei Pastori. Pure di quest'ultimo, come di Gesù, è detto che non perde una singola pecora del gregge affidato alle sue cure, [2] poichè Pushan, a cui l'inno è rivolto in questa relazione, è solo una forma di Agni. Nei suoi simboli anche il cristianesimo più antico coincide col pensiero indiano in una maniera così impressionante che a malapena si può spiegare come coincidenza. Così il cavallo, [3] la lepre e il pavone che recitano una parte così grande nelle raffigurazioni simboliche delle catacombe, puntano ad un'origine in ultima istanza vedica, dove stanno in relazione con la natura di Agni. Di nuovo, il Pesce doveva già trovarsi nel Culto indiano del Fuoco e sembra aver qui rappresentato in origine Agni che nuota nelle acque delle nubi, l'oceano del cielo. [4] Nell'inno dei Rigveda lo stesso Agni è invocato spesso come “il Toro”. Questo era probabilmente in origine un semplice simbolo della natura, il Toro come l'immagine della forza del Dio; poi il Dio del Fuoco e il Dio del Sole, nella sua capacità di preparatore del calice di Soma, venne identificato con la luna (Manu), le cui semilune vennero prese per le corna di un toro. Successivamente, comunque, l'immagine del Toro fu assimilata a quella dell'Ariete. Già nei Rigveda c'è una menzione frequente dello “stendardo di fumo” del Dio. Così egli era solito venire rappresentato mentre conduce un ariete con uno stendardo nella sua mano oppure semplicemente con uno stendardo nella sua mano con la raffigurazione di un ariete su di esso, proprio come Cristo è raffigurato sotto la forma di un ariete oppure di un agnello che porta una bandiera simile ad una croce.
Intorno all'anno 800 A.E.C. il sole, l'Agni celeste, che era stato finora al principio della primavera nella costellazione del Toro, entrava (come una conseguenza dell'avanzamento dell'eguaglianza tra il giorno e la notte) in quella dell'Ariete. Così diventava, secondo i modi di pensiero astrologici, esso stesso un ariete. [5] Mentre aveva inaugurato in precedenza, nella forma di un toro, la primavera e aveva liberato il mondo dal potere dell'inverno — un'immagine che si tratteneva ancora nel Culto di Mitra — quelle funzioni erano ora trasferite all'ariete, e questo diventò un simbolo del Dio e la bestia offerta nei sacrifici espiatori. Ora la costellazione dell'Ariete era descritta dai persiani in una parola che poteva anche significare agnello. In altri casi anche l'agnello assumeva spesso il posto dell'ariete nel culto sacrificale del Medioriente; per esempio, tra gli ebrei, i quali erano soliti consumare l'agnello pasquale al principio dell'anno in primavera. Questa è la spiegazione dell'agnello mistico nell'Apocalisse di Giovanni (che è a malapena un'opera cristiana originale, ma mostra segni di un Culto pre-cristiano di Gesù [6]), essendo raffigurato con sette corna o raggi in una maniera che implica piuttosto l'idea di un ariete.
Il quinto capitolo dell'Apocalisse descrive l'agnello nella sua qualità di vittima celeste di espiazione. Nessuno può aprire il libro con i sette sigilli, che Dio tiene nella sua mano destra, in cui sembra essere scritto il fato del mondo, ma solo l'agnello ha successo nel fare così — “Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra»”. [7]
La scena richiama alla mente il sacrificio di sé di Agni nel mezzo degli Dèi, dei Sacerdoti, e delle vittime, e l'ascensione del Dio che poi prendeva luogo. Proprio come il sacrificio dell'agnello in Apocalisse è un riferimento all'ingresso del sole nella costellazione dell'Ariete, e alla vittoria della luce sull'oscurità invernale e all'inizio di una nuova vita che preannuncia, così pure lo erano sacrifici mistici di tori e di arieti negli altri Culti del Sole del Medioriente, specialmente in quelli di Attis e di Mitra, davvero consueti per scopi di espiazione o di nuova nascita.  In quelle occasioni la bestia veniva immolata mentre adagiata, e il sangue che si riversava a fiotti dalla vittima era considerato un mezzo di purificazione e di offerta di vita. In ogni caso, per tutta l'Apocalisse l'agnello recita la parte del fuoco celeste che rivela la natura luminosa di Dio, nel dispiegare la sua sapienza e nell'illuminare il mondo. Come è detto della Gerusalemme celeste: “La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello”. [8]
Di nuovo, nella Chiesa del primo secolo, a Pasqua, un agnello veniva solennemente sgozzato su un altare e il suo sangue raccolto in un calice. [9] Coerentemente nei primi giorni del cristianesimo il paragone di Cristo con la luce e l'agnello era un paragone davvero favorito. Come era già stato fatto nel Culto vedico di Agni, anche qui era identificata con Cristo la parola creativa di Dio che era esistita prima del mondo — la vita, la luce, e l'agnello. Ed egli era chiamato anche “la luce del mondo” che è venuto a illuminare le tenebre che governavano sulla terra, come pure “l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. [10] E in effetti l'espressione latina per agnello (agnus) esprime a sua volta la relazione con l'antico Dio del Fuoco e la sua santità come animale sacrificale. Poichè la sua radice è legata a ignis (in sanscrito agni, il fuoco purificatore, e yagna, vittima), e anche, secondo Festo Pompeio, al greco “hagnos”, puro, consacrato, e ad “hagnistes”, l'espiatore. [11] In questo senso “Agnus Dei”, l'Agnello di Dio, come Cristo è chiamato molto frequentemente, è in realtà nient'altro che “Agni Deus”, dal momento che Agnus sta in una certa misura per la traduzione latina di Agni. [12] Ma in India alla cosiddetta festa di Holi, all'equinozio di primavera, un ariete (agnello) soleva essere bruciato solennemente come la vittima espiatoria rappresentante Agni. La “crocifissione” di Gesù, come apparirà parimenti, è in un certo senso solo il simbolo dell'offerta dell'agnello divino, che con la sua morte redime l'uomo dal peccato. In entrambi i casi l'agnello si riferisce all'agnello dello Zodiaco, la costellazione dell'Ariete, in cui il sole penetra al momento dell'equinozio di primavera, e con cui di conseguenza, in accordo alla maniera astrologica di guardare alle cose, è legato, un agnello che è come se fosse bruciato dal sole. Così venivano completate la vittoria del Fuoco del Sole (Agni) sulla notte dell'inverno e la resurrezione della natura ad una nuova vita, con questo processo cosmico che trova il suo riflesso nel sacrificio sulla terra di un agnello (agnus).
Durante il primo secolo dopo Cristo l'agnello in associazione alla luce e al fuoco era tra le immagini più popolari nel linguaggio e nel simbolismo ecclesiastici. I pagani romani solevano appendere “bullae” come amuleti attorno al collo dei loro figli. I cristiani utilizzano agnelli di cera consacrati, che erano fabbricati a partire dai resti delle candele pasquali dell'anno precedente e distribuiti durante la settimana di Pasqua. Il credo poi si legò a quello “dell'Agnus Dei”, secondo il quale se venivano preservati in una case davano protezione contro il fulmine e l'incendio. Soprattutto le lampade offrivano una opportunità conveniente per simboleggiare Cristo come una luce, e facendo così uso dell'immagine dell'agnello. [13] Il motivo dell'agnello con la croce si trova davvero frequentemente anche nell'antica arte cristiana su ciotole di vetro, sarcofagi, e articoli di uso di ogni genere. E in effetti in questi casi la croce si trova a volte sulla testa o sulle spalle, a volte al fianco dell'agnello o anche dietro di lui, mentre un'aureola nella forma di un disco di luce solare circonda il suo capo e punta alla natura “luminosa” dell'agnello. Anche l'aureola è un antico simbolo indiano, e indica così che l'intera concezione era copiata dal circolo di idee indiane. Successivamente l'agnello si trova anche sulla croce stessa, e in effetti al punto di intersezione delle due braccia circondato dal disco di luce solare. Questo sembra puntare alla morte del Salvatore sulla croce, dato che la croce qui sembra essere compresa come il patibolo. Ma è realmente certo che la croce nel mondo del pensiero cristiano possedeva questo significato dal principio come lo strumento per mezzo del quale venne messo a morte Gesù?
In tutta la cristianità passa per un fatto stabilito che Gesù “morì sulla croce”; ma questo ha la forma, come di solito si rappresenta tra artisti, della cosiddetta croce latina, in cui il pezzo orizzontale della croce è più corto della trave verticale. Su cosa allora si basa l'opinione che la croce sia il patibolo? Gli stessi evangelisti non ci danno nessuna informazione su questo punto. Gli ebrei descrivevano lo strumento di cui facevano uso nelle condanne a morte con l'espressione “legno” o “albero”. Sotto questa descrizione capita spesso nella traduzione greca dell'Antico Testamento, in cui il patibolo è reso da xúlon, la stessa espressione che si trova anche nei vangeli. Di solito, comunque, il patibolo è descritto come staurós (ossia, palo), a tal punto che staurós e xúlon passano per sinonimi. La traduzione latina di entrambe quelle parole è crux. Con questo i romani intendevano ogni apparato per la condanna a morte di uomini in generale, senza pensare, comunque, di regola a nient'altro che ad un palo o ad una forca (patibulum, stipes) su cui, come ci racconta Livio, il criminale era legato con catene o corde e consegnato così alla morte. [14] Che il metodo di condanna a morte in Palestina differisse in qualche maniera da questo non è mostrato in alcun modo. Anche tra gli ebrei il condannato soleva essere appeso su un semplice palo o trave, ed esposto ad una morte d'agonia per il caldo, per la fame e per la sete, come pure per la tensione naturale dei suoi muscoli. Di conseguenza “Inchiodare alla croce” (stauroun, afigere cruci) non significa né in Oriente e neppure in Occidente crocifiggere nel nostro senso, ma innanzitutto semplicemente “torturare” o “martirizzare”, e successivamente “appendere ad un palo o ad una forca”. E in questa relazione sembra che il trafiggere le mani e i piedi con chiodi, almento al tempo in cui si suppose che fosse accaduta la condanna a morte di Gesù, era qualcosa di abbastanza insolito, sempre se fosse stata impiegata. Le espressioni prospassaleuein e proséloun, inoltre, significano di solito solo “fissare”, “appendere ad un chiodo”, ma per nulla affatto “inchiodare” nel senso speciale richiesto. [15
Non c'è allora la minima possibilità per assumere che secondo le visioni cristiane originali venisse fatta un'eccezione a questo modo di procedere durante la condanna a morte di Gesù. Il solo punto nei vangeli dove c'è qualche menzione del “segno dei chiodi” (cioè, Giovanni 20:25) appartiene, al pari dell'intero vangelo, ad un tempo relativamente più tardo, e sembra, come così tanto in Giovanni, una mera forzatura ed un'esagerazione della storia originale. Per esempio, Luca 24:39, su cui si basa Giovanni, non parla affatto di segni dei chiodi, ma semplicemente dei segni delle ferite che il condannato deve naturalmente aver ricevuto come conseguenza del venir fissato al palo. Coerentemente l'idea che Cristo fosse “inchiodato” alla croce non era affatto nel cristianesimo più antico l'idea dominante. Ambrogio, per esempio, parla solo delle “corde” della “croce” e delle “legature della passione” (“usque ad crucis laqueos ac retia passionis”), [16] e di conseguenza non sapeva nulla di chiodi che erano stati utilizzati in questo caso. [17]. Se consideriamo che la “crocifissione” di Gesù corrisponde all'impiccagione di Attis, di Osiride, e così via, e che l'idea degli dèi suppliziati del Medioriente provocò e fissò la visione cristiana; se ricordiamo che Aman, il prototipo di Gesù alla festa di Purim, fu a sua volta appeso alla forca, [18] allora diventa doppiamente improbabile che le nostre idee attuali sulla materia corrispondano alle concezioni dei primi cristiani. Infatti sebbene non abbiamo nessuna raffigurazione diretta dell'impiccagione di quei Dèi, tuttavia possediamo rappresentazioni della condanna a morte di Marsia da parte di Apollo, in cui il Dio ha il suo rivale issato su un albero dalle corde attorno ai suoi polsi, che sono state legate assieme. [19] Ma Marsia, l'inventore del flauto, l'amico e la guida di Cibele nella ricerca del perduto Attis, è nient'altro che quest'ultimo stesso, oppure ad ogni caso una personalità molto simile ad Attis. [20] Non è difficile concludere che anche Attis, oppure l'uomo che lo rappresentava nei riti, venne appeso nella stessa maniera al palo o al tronco d'albero e così messo a morte. Così sembra che originariamente la maniera della morte del Messia ebraico era immaginato nello stesso modo, e così pure i pagani chiamavano con dispresso il nuovo Dio “l'Appeso”.    
Come, allora, venne in esistenza l'idea che Gesù non morì su una semplice forca, ma invece su un legno che aveva la forma ben nota della croce? Sorse a partire da un equivoco, dal considerare la stessa idea e dal confondere due idee che erano originariamente distinte ma descritte dalla stessa parola legno, albero, xúlon, lignum, arbor. Questa parola significa, come abbiamo già detto, da una parte effettivamente il palo o la forca (staurós, crux) su cui veniva condannato a morte il criminale; ma la stessa parola, corrispondendo al testo ebraico dell'Antico Testamento, si riferiva anche al “legno”, “l'albero della vita”, che si immaginava stesse in Paradiso. Secondo l'Apocalisse di Giovanni doveva servire come cibo per i santi nel nuovo Paradiso a venire, [21] ed era onorato dai cristiani come il “sigillo” e la garanzia della loro salvezza sotto la forma della croce mistica o Tau.  
In tutte le associazioni religiose private e i culti segreti della tarda antichità i membri facevano uso di un segno segreto di riconoscimento o di unione. Questo lo manifestavano nella forma, in alcuni casi, di amuleti di legno, di bronzo o di argento appesi attorno al collo oppure celati sotto le vesti, in altri casi legati ai loro mantelli, oppure tatuati sulla fronte, sul collo, sul petto, sulle mani, ecc. Tra quei segni c'era la croce, ed era di solito descritta sotto il nome “Tau”, secondo la lettera dell'antico alfabeto fenicio. Un'applicazione del genere della croce per scopi mistici o religiosi risale indietro alla antichità più remota. Da tempi ancestrali la croce era in uso nel culto degli Dèi egiziani, specialmente di Iside e di Horus. Si trovava anche tra gli Assiri e i Persiani, fungendo in parte, come mostrano le raffigurazioni, da segno e ornamento di personaggi distinti come per esempio sacerdoti e sovrani, in parte anche da attributo religioso nelle mani degli Dèi e dei loro adoratori. Secondo alcuni era il segno che Jahvè ordinò agli israeliti di disegnare sulle porte col sangue dell'agnello quando egli inviò l'angelo della morte per distruggere i primogeniti dei loro oppressori egiziani. Recitava una parte simile anche in Isaia [22] e in Ezechiele, [23] quando si trattava di separare gli israeliti timorati di Dio dalla folla degli altri uomini che Jahvé intendeva distruggere. Quando gli israeliti erano minacciati in battaglia dagli amaleciti è detto che Mosè era stato aiutato da Aronne e da Ur a stendere le sue braccia nella forma di quel segno magico, e aveva reso così possibile una vittoria per il suo popolo sui suoi nemici. [24] Anche tra le altre nazioni dell'antichità — i greci, i traci, i druidi della Gallia, e così via — il Tau si applicava in una maniera simile a scopi rituali e mistici. Appare come un ornamento sulle immagini delle divinità e degli eroi più diversi — ad esempio, Apollo, Dioniso, Demetra, Diana (la fenicia Astarte). Si trovava anche su innumerevoli monete greche, romane, egiziane, e fenicie, su vasi, dipinti, gioielli, ecc. Ad Alessandria i cristiani lo trovarono cesellato sulla roccia quando il tempio di Serapide venne distrutto, nel 391. In questo tempio lo stesso Serapide era rappresentato di dimensione sovrumana, con braccia distese nella forma di una croce, come se abbracciasse l'universo. A Roma le vergini vestali recavano la croce su un nastro attorno al collo. In effetti, serviva perfino da ornamento sulle armi delle legioni romane e sugli stendardi della cavalleria assai prima che Costantino, con la sua ben nota “visione”, fornisse l'occasione alla sua esplicita introduzione, nell'esercito come un segno militare, sotto la forma del cosiddetto “Monogramma di Cristo”. [25] Ma anche nel Nord troviamo la croce, non solo nella forma della croce uncinata e della croce a tre braccia (Triskele), ma anche nella forma del martello di Thor, su rune, rocce, armi, utensili, ornamenti, amuleti, ecc. E quando i pagani del Nord, come ci informa Snorre, si segnavano al momento della morte con una lancia, essi tatuavano sui loro corpi uno dei segni sacri che è stato menzionato, nel fare il quale si consacravano a Dio. [26]
Che qui abbiamo a che fare con un simbolo solare è riconosciuto facilmente dovunque la semplice croce con braccia eguali appare duplicata con una croce obliqua avente lo stesso suo punto di intersezione,

oppure dove possiede la forma di un segmento perpendicolare che è tagliato simmetricamente da due altre linee che si incrociano l'un l'altra, 
E come materia di fatto questo simbolo di un sole che versa i suoi raggi si trova su innumerevoli monete e illustrazioni, in cui è ovvio che è inteso un riferimento al sole — ad esempio, sulle monete dei Tolomei egiziani, degli Dèi della città di Roma, di Augusto e dei Cesari flavianei. Qui il segno del Sole sembra essere stato adottato come conseguenza della fusione del Culto del Sole della tarda antichità con il culto dell'Imperatore. Molto più frequente, comunque, è il semplice Tau, a volte, in effetti, in una forma con arti uguali (croce greca), 

a volte con il braccio inferiore allungato (croce latina), 

a volte verticale, a volte obliqua (croce di Sant'Andrea), 


a volte, di nuovo, simile alla lettera greca Tau, T, a volte nella forma del cosiddetto specchio di Venere, , in cui l'anello allude chiaramente al sole, a volte in quella della Svastica, o croce uncinata

a volte con, a volte senza un cerchio, e così via. Una combinazione formata dalla croce obliqua e dalla croce ad anello degli egiziani (cosiddetta Chiave del Nilo) è   la croce nota sotto la descrizione del “Monogramma di Cristo”, . Secondo la leggenda fu impiegata per prima da Costantino a motivo della sua “visione”; e gli scrittori ecclesiastici, specialmente di parte cattolica, cercano perfino oggi di sostenere questa opinione, a dispetto di tutti i fatti. Poichè anche questa forma della croce è chiaramente di origine pre-cristiana, e aveva il suo prototipo nell'antica croce del labaro battriano, come si trova, per esempio, sulle monete del sovrano battriano Ippostrato (130 A.E.C. circa), degli egiziani Tolomei, di Mitridate, sul tetradracma attico, ecc. [27]
Dopo le investigazioni accurate su questo soggetto che sono state intraprese specialmente da eruditi francesi, non può esserci nessun dubbio del fatto che abbiamo dinanzi a noi in questo cosiddetto “sigillo” degli Dèi e delle personalità religiose un simbolo della forza creativa della natura, della resurrezione e della nuova vita, una garanzia di protezione divina in questo mondo e di beatitudine eterna dopo. Come tale appare su sarcofagi pagani e lapidi; e per questo motivo in alcuni casi la loro natura cristiana è assunta fin troppo rapidamente. Inoltre, la croce è stata presentata nella notazione musicale odierna come il segno dell'elevazione di una nota, [28] mentre il suo uso nei Misteri e nelle associazioni di culti privati rappresenta la prova a favore della tesi che precisamente in quelle associazioni il concetto di una nuova nascita e di una resurrezione in compagnia dell'eroe dell'associazione oppure del Dio dell'unione figurava come un punto centrale della fede. Si comprende la dolorosa sensazione dei cristiani dinanzi al fatto che il segno privato utilizzato da loro e i loro sacramenti speciali fossero in uso tra tutti i culti segreti dell'antichità. Essi potevano spiegare questo a sé stessi solo come l'opera di demoni dispettosi e di una imitazione diabolica di costumi cristiani da parte dei pagani. [29] In realtà il simbolo della croce è assai più antico del cristianesimo; e, in effetti, il segno della croce si trova associato in una maniera speciale al culto di divinità della natura o della vita con le sue alternanze di nascita, fioritura, e decadenza, rappresentanti della fertilità e della forza creativa della natura, gli Dèi della Luce e gli Dèi del Sole soggetti alla morte e trionfanti vittoriosamente su di essa. È solo come tali, come Dèi che muoiono e risorgono, che essi erano divinità dell'anima e così appartenenti ai Misteri e alle pie fratellanze. L'idea dell'anima, tuttavia, si trova dovunque nella religione della natura considerata come una religione che è legata al calore della vita e al fuoco, proprio come il sole era onorato come la divinità più alta e, così per dire, come la manifestazione visibile dell'anima del mondo solamente in base alla sua natura ardente. Il simbolo della vita, allora, che nella sua forma evoluta allude chiaramente al sole, non dovrebbe allora nella sua forma più semplice ed originale puntare al fuoco, a questo “fenomento più antico” di tutta l'adorazione religiosa?
Naturalmente, in effetti, si psossono tenere visioni diverse riguardo a cosa indicano le varie forme della croce. Così, per esempio, secondo Burnouf, Schliemann, ed altri, la Svastica rappresenta the “culla del fuoco”, ossia, l'essenza del legno, da cui nei tempi più antichi nel punto di intersezione delle due braccia veniva prodotto il fuoco roteando attorno ad un bastone fissato. [30] D'altra parte, secondo la visione più diffusa al giorno presente, essa simboleggia semplicemente il movimento rotatorio tramite cui si produce il fuoco, e su questo, anche, si basa la sua applicazione come simbolo del corso del sole. [31] Hochart considera la croce nella forma del Tau greco come il bastone fissato (pramantha) dei sacerdoti vedici. [32] Molto probabilmente, comunque, questa forma sorse semplicemente per l'identità del suono tra la lettera greca e la lettera fenicia, dato che i greci avevano scambiato la lettera straniera dal suono simile con il loro proprio Tau. Che la croce generalmente parlando, comunque, sia legata al Culto del Fuoco, e che entrambe le parti del segno contenessero originariamente un riferimento ai pezzi di legno (aranî) di cui nei tempi più antichi si faceva uso per produrre il fuoco,  è stato dimostrato al di là di ogni dubbio dalle investigazioni nella materia. Questo è confermato inter alia dall'uso del simbolo nella adorazione delle Vestali, le sacerdotesse romane del fuoco. Questa è la spiegazione dell'ampia diffusione del simbolo della croce. Non solo tra i popoli dell'antichità e in Europa, ma anche in Asia tra gli indiani e i cinesi, è in uso da tempi antichi. Pure in America, tra gli Aztechi e gli Incas,  recitò una parte nel culto molto tempo prima dell'arrivo degli europei. Nella stessa maniera si spiega il legame stretto di quel simbolo con l'ufficio sacerdotale e la dignità regale, che era a sua volta legata spesso con quell'ufficio; in modo simile si spiegano le relazioni intime tra il segno della croce e gli Dèi della Fertilità, della Vegetazione, e delle Stagioni. Infatti tutte quelle erano, come rappresentanti del calore della vita e del soffio dell'anima, nella loro natura più profonda, aspetti speciali degli Dèi del Fuoco, caratterizzazioni e legami più strette di quella sola divinità, di cui la forma più antica a noi nota è nell'Agni vedico, e al cui servizio i sacerdoti di tutti i popoli e tempi crebbero alla loro forza soverchiante. [33] Così Giulio Firmico Materno aveva piuttosto ragione quando dichiarò che Mitra, i cui seguaci recavano il segno della croce sulla loro fronte e avevano la croce impressa sul pane sacro al loro pasto comunitario, dinanzi ai loro occhi, era un antico Dio del Fuoco. [34] Ma se la croce è il simbolo del fuoco e anche del Dio Mediatore, che porta in connessione la terra e il cielo, allora si può trovare la ragione del perché Platone nel “Timeo” rende l'Anima del Mondo nella forma di un Chi, ossia, una croce obliqua, distesa tra il cielo e la terra. [35] Allora, in effetti, non è strano che i cristiani del primo secolo considerassero un'ispirazione del diavolo la dottrina di Platone della funzione mediatrice dell'Anima del Mondo “dalla doppia natura”, la quale, secondo quel filosofo, era formata da un miscuglio di materia ideale e sensibile. Non è strano che un Giustino, “il più folle dei padri cristiani” (Robertson), avesse potuto veramente affermare che Platone copiò l'idea,  al pari di quella di una conflagrazione del mondo, da: Mosè. [36
Anche nell'Antico Testamento, come si è mostrato sopra, incontriamo la croce. Qui è servita come un segno di riconoscimento e di distinzione degli israeliti timorati di Dio dai pagani, e come un segno magico. Con un significato particolare la incontriamo nuovamente nel Nuovo Testamento. Nell'Apocalisse di Giovanni appare come “il sigillo (sphragis) del Dio vivente”. Tramite esso anche qui gli eletti di Israele sono separati dal resto del genere umano che il giudizio ha condannato. Allo stesso tempo, è detto che questo segno è impresso sulla fronte degli abitanti della vera Gerusalemme. [37] Nelle epistole ai Galati e agli Efesini è detto dei credenti in Cristo che essi erano “segnati” dinanzi a Dio mediante il segno mistico sulla loro fronte, le loro mani, o i loro piedi. Il segno serve così a loro come una promessa di redenzione. [38] Di nuovo, nella Epistola di Barnaba 9:8, la croce contenuta nella lettera T è interpretata espressamente come (charis) “grazia”. Sotto la forma del Tau greco la croce appare durante il primo secolo dell'era cristiana, specialmente tra i cristiani di Egitto, e secondo molti era un simbolo di Adone o Tammuz. [39] Ora dal momento che le espressioni xúlon e staurós, lignum e crux, erano dal duplice significato e indicavano entrambe il “segno” della salvezza religiosa e del patibolo, è possibile che i due diversi significati diventarono da sé identici nella mente dei fedeli. [40] Questo era possibile a tal punto più facilmente dal momento che il racconto biblico collocava a fianco dell'“albero della vita” nel Paradiso un “albero della morte”, the fatale “albero della conoscenza del bene e del male”, che si supponeva fosse stato responsabile della causa della morte di Adamo e così dell'intero genere umano, e come tale rese possibile il paragone con il legno su cui morì Gesù. Incontriamo di nuovo una forma speciale della croce nel cosiddetto antico “mistico albero del mistero” assiro o babilonese, che era anche un simbolo della vita. Tra i Persiani sembra aver avuto qualche riferimento al sacro albero di Haoma; e qui, anche, così come in India, dove era legato all'albero di Bodhi, sotto cui Sakyamuni per la sua devota umiltà si elevò per essere un Buddha, era rappresentato nella forma artificiale di una croce dalle molte braccia. [41]
Una e la stessa parola, allora (xúlon, crux), indica sia il patibolo che la promessa di vita. Cristo stesso appare come il vero “Albero della Vita”, come l'originale di quell'albero miracoloso il cui avvistamento diede vita al primo uomo nel Paradiso, che sarà il cibo dei benedetti nel mondo a venire, ed è rappresentato simbolicamente dalla croce mistica. Era facile unire le idee legate con quelle espressioni, guardare al “segno” di Cristo (to semeion tou staurou, signum crucis) come alla croce sulla quale egli soffrì, e vice versa, e attribuire al “legno” su cui si suppooe che Gesù fosse morto, la forma del segno mistico, il Tau, o croce. I pagani erano stati abituati a considerare il palo su cui i loro Dèi erano appesi sia come il rappresentante del Dio in questione che come il simbolo della vita e della fertilità. Per esempio, il palo provvisto di quattro bastoni obliqui (simile ad un post telegrafico) che passava sotto il nome del tatu, tat, dad, o ded e veniva piantato alla festa di Osiride in Egitto, spesso aveva un ritratto approssimato del Dio raffigurato su di esso, come anche il tronco di albero di pino di Attis, nella cui relazione recitava la sua parte l'idea che il seme contenuto nei coni del pino aveva servito da tempi ancestrali agli uomini come cibo, mentre la linfa trovata in loro era preparata in una bevanda inebriante (Soma). [42] Ci si rammenta anche della pratica germanica della piantagione dell'albero di maggio. Questo non era solo un simbolo del Dio della Primavera, ma rappresentava anche la vita conferita da lui. Nella stessa maniera la croce non apparve ai cristiani originariamente come la forma del patibolo su cui moriva il Dio, ma come “l'albero della vita”, il simbolo della nuova nascita e redenzione. Dal momento che, comunque, la parola per il segno mistico era identica all'espressione per il patibolo, il doppio significato condusse al considerare il patibolo di Gesù il simbolo dellla vita e della redenzione, e l'idea del patibolo venne confusa con quella della croce, dato che la forma di quest'ultima venne immaginata per il primo. Come ci informa Giustino nella sua conversazione con l'ebreo Trifone, gli ebrei solevano eseguire un taglio rettilineo per tutto il corpo dell'agnello pasquale e un altro a forma a croce per il suo petto, durante cui i piedi anteriori erano fissati, cosicchè i due tagli producevano la forma di una croce. Questa era ovviamente per loro non un simbolo di condanna a morte ma piuttosto il segno di riconciliazione con Jahvè e della nuova vita dipendente da ciò. Per i cristiani, comunque, che paragonavano il loro Salvatore all'agnello pasquale, questo potrebbe essere stata una causa aggiuntiva per la fusione di idee sopra menzionata, e questo potrebbe averli rafforzati nella concezione che il loro Dio fosse morto sulla “croce”. I Frigi, inoltre, secondo Firmico Materno, alla Festa di Primavera di Attis, solevano fissare un ariete o un agnello ai piedi del tronco dell'albero di fico su cui veniva appeso l'immagine del loro Dio. [43]   
In accordo con questa visione è il fatto che le rappresentazioni più antiche di Cristo in relazione con la croce avevano per loro soggetto non il sofferente e crocifisso, ma il miracoloso Salvatore trionfante sulla malattia e sulla morte. Egli apparve come un Dio giovane con il Libro della Legge, il Vangelo, nella sua mnao, l'agnello ai suoi piedi, la croce sulla sua fronte oppure nella sua mano destra, proprio come gli Dèi pagani, un Giove, oppure qualche sovrano incoronato, solevano essere raffigurati con uno scettro a forma di croce. Oppure il capo di Gesù era collocato di fronte alla croce, e questo nell'orbita del sole — ed esattamente al punto di intersezione delle braccia della croce, così presso il punto dove altrimenti si trova l'agnello. Perfino la Chiesa, probabilmente con una giusta percezione dell'identità di Agnus e Agni, e pur di rimuovere l'associazione di idee ivi contenute, nell'anno 692, col Concilio Quinisesto (a Trullo), proibì le raffigurazioni dell'agnello e richiese che la rappresentazione fosse della forma umana del Signore. A dispetto di questo perfino allora non rappresentarono “il Crocifisso” nel senso odierno della parola, ma raffigurarono Cristo nella forma di uno che sta di fronte alla croce mentre prega con le braccia distese. Oppure egli era mostrato risorto dalla tomba, oppure mentre stava sui vangeli ai piedi della croce, a partire da cui sorse successivamente il sostegno per i piedi nelle sue raffigurazioni da crocifisso. Qui era rappresentato con occhi aperti, con il suo capo circondao dall'orbita del sole. Coerentemente in tutte quelle diverse rappresentazioni solo la croce recava di nuovo dinanzi agli occhi in forma simbolica ciò che era espresso allo stesso tempo dalla figura di Cristo in piedi presso la croce, proprio come durante le feste di Osiride o di Attis il Dio era raffigurato in duplice maniera, sia nella sua vera forma (come immagine o idolo) che nella forma simbolica dello Jatu o tronco di albero di pino. Questo modo di raffigurare Cristo perdurò per un lungo tempo, anche se già nel quinto o sesto secolo si fa una menzione della crocifissione, e in un'interpretazione arbitraria del Salmo 22:17 egli era raffigurato con i segni dei chiodi. Infatti, come è stato detto, la “crux” indica sia il patibollo che il segno mistico, e i segni dei chiodi servivano a simboleggiare il trionfo del Salvatore sulla pena e sul dolore. Un piatto di avorio nel British Museum di Londra, menzionato e copiato da Kraus, [44] è considerato la rappresentazione più antica di una crocifissione nel nostro significato odierno. È detto che è originaria del quinto secolo. Quest'assegnazione della data è, comunque, proprio tanto incerta quanto l'altra, secondo la quale la miniatura dal manoscritto siriano del vangelo del monaco Rabula del monastero di Zagba in Mesopotamia, che a sua volta ha la crocifissione per soggetto e si deve trovare nella Bibliotheca Laurenziana di Firenze, è assegnata all'anno 586. In ogni caso, come una regola generale fino all'undicesimo secolo era non il Cristo morto ma il Cristo vivente che veniva dipinto di fronte oppure sulla croce. Di conseguenza un'illustrazione nella Bibliotheca Laurenziana di circa la data 1060 è considerata il primo esempio certo di un Cristo crocifisso morto. [45]
La concezione della messa a morte di Cristo sulla croce è, parlando in termini comparativi, una concezione posteriore. Il legame di Cristo con la croce non era originariamente una riproduzione della maniera della sua morte. Simboleggia invece, come nei Misteri antichi, precisamente il contrario — la vittoria del Dio del Culto cristiano sulla morte — l'idea della resurrezione e della vita. Da qui è ovvio che la sovrapposizione sopra menzionata della croce e dell'agnello deve avere espresso la stessa idea. Anche qui la croce era originariamente solo il simbolo del fuoco e della vita. L'agnello circondato dall'orbita del sole allude all'offerta cerimoniale dell'agnello durante l'equinozio di primavera come un sacrificio espiatorio e come una promessa di una nuova vita. Sembra essere più chiaramente una figura di Agni (Agnus), dal momento che è collocato di solito esattamente al punto di intersezione delle due braccia — cioè, al punto da dove la scintilla divina scaturiva per prima all'accensione del fuoco, con i due aranî. [46]      

NOTE

[1] Si veda Jeremias, “Babyl. im N.T.”, pag. 69-80.


[2] Rigveda, 6:54.


[3] Si veda, “The Hymns to Dadhika”, 4:38-40.


[4] Si veda Burnouf, op. cit., 196. Il legame tra il Dio del Fuoco e l'acqua è di estrema antichità. Come è ben risaputo, nell'Edda Loki cerca di sfuggire alla persecuzione degli Dèi nella forma di un salmone; anche Efesto, dopo essere stato gettato dal cielo rimane nascosto nel mare finché Dioniso non lo riporta fuori; a Roma il 22 di Agosto si soleva sacrificare un pesce del Tevere a Vulcano, col gettarlo vivo nel fuoco come rappresentazione delle anime degli uomini (Preller, “Röm. Mythol.”, 2:151). È incerto se o a che misura le relazioni del sole con la costellazione dei Pesci abbiano influenzato quelle immagini. Per quanto riguarda Babilonia, dove l'astrologia subì lo sviluppo più accurato, questo si può considerare certo. Qui Ea (Oannes), il Dio dell'Acqua e della Vita, il padre del Dio Redentore Marduk, era rappresentato sotto la forma di un pesce. Di nuovo, non era solo al palestinese Dagon che erano consacrati il pesce come pure le colombe (si veda sopra, pag. 118), ma anche alla siriana Atargatis, dato che quest'ultima aveva recato, com'era detto, l'“Ichthus”, o pesce, e dato che il culto del pesce era legato alla sua adorazione (Robertson Smith, “Religion of the Semites”, 174 seq.). In Egitto Horus era il “pesce divino”, essendo rappresentato con una coda di pesce e in possesso di una croce nella mano. Ma il Giosuè dell'Antico Testamento, in cui crediamo di vedere l'originale israelita del Salvatore cristiano, era chiamato anche un “Figlio del Pesce” (Nun, Nino, una forma di Marduk, la cui sposa o diletta, Semiramide, è a sua volta una Divinità Pesce ed è la stessa Derketo (Atargatis), la Deà Madre siriana. I rabbinisti chiamarono il Messia figlio di Giuseppe (si veda sopra, pag. 80 seq.), Dag (Dagon) il Pesce, e lo fecero nato da un pesce; cioè, aspettavano la sua nascita sotto la costellazione dei Pesci, motivo per il quale gli ebrei erano soliti per lungo tempo immolare un pesce durante le feste di espiazione. Infine, il pesce è a sua volta simbolo di Visnù, nel cui culto il battesimo di acqua assume un posto importante. Di nuovo, è detto che il Dio nella forma di un pesce sia venuto per la liberazione del pio Manu, il solo uomo giusto del suo tempo, l'indiano Noè, e che aveva guidato l'Arca attraverso il diluvio, assicurando così al genere umano la sua continuazione. Non è difficile supporre che quest'idea influenzò altrettanto bene i simboli del cristianesimo tramite canali mandei (gnostici). Ad ogni caso, non si può ammettere affatto che il simbolo del pesce sorse per prima da un semplice gioco di lettere nella misura in cui la formula “Jesous Christos Theou Huios Soter” rappresenta in cinque parole la quintessenza della fede cristiana (si veda van den Bergh van Eysinga, “Ztschr. d. Deutchen Morgenländ. Gesellschaft B.”, 9, 1906, 210 seq.).


[5] Si veda Giamblico, “De Symbol. Aegyptiorum”, 2:17.


[6] Gunkel, op. cit, 32 seq.; Robertson, “Pagan Christs”, pag. 135 seq.


[7] Op. cit., 5:6 seq.


[8] Apocalisse 21:23.


[9] Hatch, “The Influence of Greek Ideas and Usages upon the Christian Church”, Hibbert Lectures, 1888, pag. 300.


[10] Giovanni 1:7, 12; 9:5; 12:36, 46.


[11] Sepp., 1:358.


[12] Burnouf, op. cit., pag. 186 seq.


[13] Si veda, per esempio, F. X. Kraus, “Geschichte d. christl. Kunst”, 1:105.


[14] “Hist. Rom.”, 1:26.


[15] Si veda Zöckler, “Das Kreuz Christi”, 1875, 62 seq.; Hochart, “Etudes d'histoire religieuse”, 1890, capitolo 10, “La crucifix”.


[16] Aringhi, “Roma subterranea”, 6, cap. 23, “De Cervo”.


[17] Si veda d'altra parte Giustino, “Apol.”, 1:35

[18] Ester 5:14, 7:10.

[19] Si veda la raffigurazione di Marsia impiccato ad un tronco d'albero nella collezione di antichità a Karlsruhe; anche le illustrazioni in P. Schmidt, “Die Geschichte Jesu, erläutert”, 1904.


[20] Movers, op. cit., 687; Nork, “Reallexikon”, 2, 122 seq.; Frazer, “Adonis, Attis, Osiris”, 185 seq.


[21] Apocalisse 2:7, 22:2.


[22] 66:19.


[23] 9:3,4.


[24] Esodo 17:10 seq.


[25] Per particolari si veda Zöckler, op. cit., 7 seq.; anche Hochart, op. cit., cap, 8., “Le symbole de la croix”; G. de Mortillet, “Le signe de la croix avant le christianisme”, 1866; Mourant Brock, “La croix payenne et chrétienne”, 1881 ; Goblet d'Alviella, “La migration des symboles”, 1891.


[26] Henry Petersen, “Über den Gottesdienst u. den Götterglauben des Nordens während der Heidenzeit”, 1882, pag. 39 seq., pag. 95 seq.


[27] Zöckler, op. cit., pag. 21 seq.


[28] Winckler, “Die babyl. Geisteskultur”, 82.


[29] Tertulliano, “Contra Haereses”, 40.


[30] Burnouf, op. cit., pag. 240.


[31] Goblet d'Alviella, op. cit, pag. 61. seq. Si veda anche Ludw. Müller, “Det saakaldte Hagekors Anvendelse og Betydning i Oldtiden”, 1877.


[32] Op. cit., pag. 296.


[33] Ci si sente rammentare le parole di Apocalisse citate sopra: “e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra”.


[34] “De errore profanae religionis”, 1:5.


[35] Op. cit., § 48.


[36] “Apolog.”, 1, cap. 60.


[37] 3:12, 7:3 seq., 9:4, 14:1, 20:4, 22:4.


[38] Galati 6:17; Efesini 1:13 seq.


[39] Mourant Brock, op. cit., pag. 177 seq., pag. 178 seq.


[40] Così anche in Tertulliano quando, con riferimento al passo di Ezechiele sopra citato (9:5), egli descrive la lettera greca Tau come “il nostro [dei cristiani] tipo di croce” (nostra species crucis), non perché possedeva la forma del patibolo su cui si suppose che Gesù fosse morto, ma perché rappresentava il sigillo o segno sugli abitanti della Nuova Gerusalemme (“Contra Marcionem” 3:22). E quando nella stessa opera (3:18) egli spiega le corna dell'“unicorno” (il bue?) menzionato nella Benedizione di Mosè (Deuteronomio 33:17) come le due braccia della croce, questo accade solo per la ragione che il segno di unione e di conforto e il patibolo diventarono mescolati nella sua fantasia nell'unica e medesima forma (si veda anche “Adv. Judaeos”, 10, e Giustino, “Dial.”, 91; anche Hochart, op. cit., 365-369).


[41] Zöckler, op. cit., 14 seq.


[42] Frazer, “Adonis, Attis, Osiris”, 174 seq., 276 seq.


[43] Si veda sull'intera materia Hochart, op. cit., 359 seq.; P. Schmidt, “Gesch. Jesu”, 386-394. A dispetto di tutti gli sforzi Zöckler non è riuscito a provare che Gesù fu inchiodato ad un pezzo di legno avente la forma di una croce a quattro braccia. L'affermazione che questa forma di patibolo era copiata da parte dei romani dai cartaginesi, ed era la forma consueta nei tardi giorni pre-cristiani, è semplicemente un frutto dell'immaginazione. Tutti i passi avanzati di solito a supporto di questa visione tradizionale o non provano nulla, come il ricorso a Luca 24:39, Giovanni 20:20 e 25, oppure si riferiscono al simbolo, non al patibolo della croce, e di conseguenza non possono servire da supporto alla visione consueta della materia (Zöckler, op. cit., specialmente pag. 78; 431 seq.).


[44] “Geschichte der christlichen Kunst”, pag. 174.


[45] Si veda Detzel, “Christl. Ikonographie”, 1894, pag. 392 seq.; Hochart, op. cit., pag. 378 seq.


[46] Inoltre, il cosiddetto Flabello, il ventaglio, che nei primi dipinti cristiani della nascita di Cristo un servo tiene di fronte al bambino, mostra il legame del Culto di Cristo con quello di Agni. Questo ventaglio, che era in uso nel servizio divino della Chiesa occidentale fino al quattordicesimo secolo, non può essere per la cacciata degli insetti oppure per scopi di raffreddamento, come è considerato solitamente, poiché questo sarebbe ovviamente in contraddizione alla nascita “invernale” del Salvatore. Si riferisce allo sventolare della scintilla divina nell'antico culto indiano del fuoco. In questo senso è stato preservato fino al giorno presente nei riti greci e armeni, nei quali durante la Messa il ventaglio ondeggia avanti e indietro sull'altare. Una sintesi dei fatti e delle illustrazioni relativi alla materia si deve trovare in “Wissenschaft und Religion” di A. Malvert, 1904.

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