lunedì 9 luglio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Il Vangelo Primitivo (VIII) — La Madre e i Fratelli

(segue da qui)
CAPITOLO VIII


IL VANGELO PRIMITIVO

 6. LA MADRE E I FRATELLI

Nel secondo secolo, quando la Chiesa cattolica nel suo conflitto col docetismo aveva irresistibili ragioni per enfatizzare la reale umanità di Gesù, lo rifornì di fratelli, ma nel Vangelo Primitivo, come si conveniva per il Figlio di Dio, egli era senza genitori. Giuseppe non è mai nominato in Marco il padre di Gesù, e il verso solitario in cui Maria è definita sua madre è manifestamente un'interpolazione. In 15:40-41 leggiamo, “Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea”. Ovviamente questa Maria non era la madre di Gesù. Nel capitolo successivo (16:1) è detto che “Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici”. Non può esserci nessun dubbio, sia dalla sequenza di eventi che dall'associazione a Salome, che questa sia la stessa Maria che, se lei fosse stata la madre di Gesù, certamente sarebbe stata descritta così. In un altro passo dove si menziona Maria la madre di Ioses è evidente dal contesto che lei non era la madre di Gesù. Così in tutti e tre i passi è implicito che Maria la madre di Giacomo e Joses non fosse la madre di Gesù. Ora, in 6:3, si solleva l'interrogativo: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo e di Ioses?”. C'erano allora due Marie, entrambe le quali avevano figli chiamati Giacomo e Joses? Possibile, senza dubbio, tuttavia molto improbabile. Considera inoltre i nomi dei fratelli menzionati nello stesso verso, Giacomo e Giuda e Simone. Ecco un'altra notevole coincidenza. Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche 20, 5, 2) dice che Giacomo e Simone, i figli di Giuda il Galileo, furono crocifissi. La doppia coincidenza deve creare nella mente di ogni persona priva di pregiudizi un'impressione fortissima di artificialità. E l'impressione è approfondita decisamente da una considerazione del verso nella sua totalità. Quale motivo provocò quest'elenco di nomi? Gesù, è implicato, era molto ben noto al popolo a cui si era rivolto. Essersi riferito a lui come il figlio di Maria sarebbe stato sufficiente e più che sufficiente. Non è più ragionevole supporre che il verso fu inserito per la confutazione degli gnostici che negavano la reale umanità di Gesù e la sua nascita umana, e che gli interrogativi erano mirati a loro? [21] Inoltre, Origene nella sua opera contro Celso dice che Gesù non è chiamato un falegname in ogni vangelo corrente nelle chiese, da cui concludiamo che il passo non era nella sua copia di Marco.
Nello stimare la probabilità dell'autenticità di questo verso, dovremmo prendere in considerazione la natura del vangelo nella sua totalità, specialmente l'assenza della storia di una nascita e la maniera in cui comincia. Ogni ragione di sorta per sospettare dell'autenticità del verso rafforza, ed è rafforzata da, l'ipotesi ragionevole che la rapida apparizione del Figlio di Dio in Galilea fu intesa dallo scrittore a indicare la sua discesa dal Cielo. L'esistenza di quel credo tra i cristiani gnostici è provata da Filippesi 2:6-8.
Una considerazione accurata della pericope conduce alla conclusione che essa è tanto svuotata di “realtà” quanto quella esaminata in precedenza. È detto che “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria”. Ma come materia di fatto il problema non è semplicemente quello di onorare un profeta; è principalmente quello della fede nel potere di Gesù di fare “prodigi”; e secondo il verso 2 quella fede esisteva. È credibile che la gente malata della “sua patria”, e i loro amici e parenti, avendo udito delle cure meravigliose effettuate da Gesù altrove e credendo, come ci viene detto che fecero, nel suo potere di fare prodigi, si fossero rifiutati di approfittarne? Un medico che ha acquistato una grande reputazione non perderà pazienti tra la gente del suo paese. Lo scrittore di questo vangelo non era stupido. Egli era davvero intelligente. Che cos'è di nuovo la spiegazione della contraddizione apparente tra la dichiarazione che Gesù non poteva fare prodigi e quella che guarì alcune persone malate? Se aveva guarito qualcuno possiamo star certi che il resto sarebbe accorso da lui. A parere di alcuni la seconda delle due dichiarazioni costituisce un'aggiunta più tarda. Ma forse se comprendessimo il significato dello scrittore la contraddizione apparente scomparirebbe. In ogni caso il problema non è importante. Il punto principale del passo è l'incapacità di Gesù di fare prodigi nella “sua patria”. Ma se egli le aveva fatti altrove egli avrebbe potuto farli là. Dobbiamo guardare oltre la moderna visione “storica” di Gesù verso l'intenzione dello scrittore, il cui Gesù era prima di tutto un operatore di miracoli e, più di questo, uno il cui potere, se avesse scelto di esercitarlo, assumendo che i miracoli di guarigione fossero fisici, non avrebbe potuto essere limitato dalla perdita di fede negli altri.
Sono state date ragioni per concludere che Marco fu un allegorista. La conclusione è confermata dalla dichiarazione in questa pericope che Gesù in certe circostanze “non poteva” offrire prodigi. Noi ora dobbiamo considerare, non il Gesù della moderna teologia liberale, ma il Gesù di Marco, il Figlio di Dio, che con la sua semplice parola era in grado di placare una tempesta. Se i prodigi fossero stati fisici, quel Gesù, che non era il guaritore immaginato da alcuni teologi, avrebbe potuto guarire chiunque desiderasse guarire. E non è detto che egli “avrebbe, ma che egli “non poteva”. Ne deriva che se prendiamo questa guarigione per la guarigione letterale di malattie fisiche noi dobbiamo fallire completamente di afferrare il significato e lo scopo della storia. I critici tentano di spiegare questo episodio con un vago discorso circa “un rattoppo infruttuoso a Nazaret”. Ma quando investighiamo che cosa intendono con questo, diventa evidente che essi stanno semplicemente mettendo da parte il racconto dell'evangelista e sostituendovi uno che sia coerente con la loro propria presupposizione quanto alla natura di Gesù e alla sua opera — una mera ridicolizzazione del problema. Ciò che dobbiamo fare è trovare qualche spiegazione ragionevole che sia in accordo con la natura del vangelo.
“La sua patria” è stata presa di solito a significare Nazaret. Ma è molto dubbio se nel primo secolo ci fosse un villaggio galileo di nome Nazaret. Cheyne [22] sostenne che Nazaret era un altro nome per la Galilea. Il nome capita solamente una volta in Marco [1:9], e siccome è assente dal verso corrispondente di Matteo [3:13], ottimi critici hanno concluso che si tratta di un'interpolazione. [23] Inoltre, la parola greca patris significa propriamente, come si traduce nel Nuovo Testamento inglese, patria. Città nativa sarebbe patris polis. Una spiegazione soddisfacente del passo in questione dovrebbe tener conto di questo termine. È già stato illustrato che nel Vangelo Primitivo la guarigione di malattie e la cacciata di demoni simboleggiava la conversione di ebrei e pagani al cristianesimo. Dato che Gesù il Figlio di Dio era un prodotto della speculazione teosofica degli ebrei, gli ebrei potevano essere etichettati simbolicamente i suoi parenti, e la Palestina, o Giudea, “la sua patria”. La scena dell'episodio non è chiamata Nazaret in Marco. Ebrei che fossero afflitti da malattie fisiche non avrebbero potuto avere alcuna obiezione a sottomettersi ad un ebreo che avesse provato la sua capacità di guarire; ma nella visione dello scrittore cristiano le malattie degli ebrei erano malattie spirituali che si potevano curare solo tramite la “fede” — che equivale a dire, col credere nel potere redentivo del Figlio di Dio cristiano. La fede, in quel senso, era naturalmente un prerequisito al loro venir guariti. Ma il Gesù “storico” non poteva aver richiesto quel genere di fede. È implicata la sua divinità. Presupponendo, come dobbiamo, le concezioni personali dello scrittore su Gesù, è solo così che possiamo trovare una spiegazione ragionevole dell'incapacità di Gesù di fare “un prodigio” tra “la sua gente”. “Un prodigio” sarebbe in ogni caso un'espressione stravagante per la guarigione letterale dei malati in un'epoca quando le leggi della fisiologia erano poco conosciute e la gente era molto pronta a credere nella possibilità di meraviglie di gran lunga maggiori. La conversione dei pagani al cristianesimo era spiritualmente di importanza  sufficiente per venir chiamata un prodigio; ma naturalmente essa fu eseguita dal Figlio di Dio spirituale che agiva attraverso la comunità cristiana, non da Gesù in persona. [24]
Quando Marco 6:3 è stato escluso dal vangelo, vi rimane un passo soltanto in cui si menzionano la madre e i fratelli di Gesù (3:31-35), e ciò in una maniera davvero particolare. È detto che la madre e i fratelli si erano “fermati fuori”, e Gesù praticamente li disonora. È impossibile vedere in questo episodio il mite e umile Gesù della fantasia popolare. In effetti è solo quando viene interpretato come allegoria che l'episodio cessa di essere offensivo. In un uomo una condotta simile non è ammirevole. Se, come si suppone di solito, la madre e i fratelli sono i parenti (οἱ παρ' αὐτοῦ) menzionati nel verso 21, l'implicazione è che Gesù rinunciò pubblicamente a sua madre perché lei non credette in lui. Marcione brandì il passo (32-35) come una prova del fatto che il Gesù di Marco fosse senza madre; [25] e di certo, specialmente in congiunzione con un'altra prova dello stesso valore, può essere interpretato così. Alcuni antichi scrittori cristiani possedevano in certe misure un miglior apprezzamento della natura della narrazione evangelica di quanto ne abbiano commentatori moderni. Girolamo concluse che la madre di Gesù nel quarto vangelo è un simbolo della Chiesa giudeo-cristiana, la quale, a suo avviso, era la chiesa madre delle comunità cristiane, e che i fratelli di Gesù simboleggiano i capi di quella Chiesa. L'interpretazione si adatta benissimo al passo di Marco, a meno forse di non dover ritenere invece che la madre in questo passo rappresenta la religione ebraica. Tertulliano capì il passo in questo senso; poiché scrisse:

Ma c'è anche un'altra visione del caso: nella madre abiurata c'è un'allegoria della sinagoga, così come degli ebrei nei fratelli non credenti. Nella loro persona Israele rimase fuori, mentre i nuovi discepoli che si tennero dentro vicino a Cristo, ascoltando e credendo, simboleggiano la Chiesa. [26]
Nelle Odi di Salomone la congregazione dei santi è chiamata il Regno di Dio; e in Marco il Regno delle parabole è evidentemente la comunità cristiana, che si sviluppa da un principio oscuro e minuscolo in un'organizzazione vasta e diffusa, crescendo “senza che si sappia come” e già quando le parabole furono composte “tra voi”. [27] Ovviamente Gesù stesso non poteva aver descritto così il Regno. Potremmo ricavare, come fece Tertulliano, che la moltitudine che si riunì attorno a Gesù in Marco 3:32, sono i membri della comunità, i componenti del Regno. È perfettamente naturale, allora, che l'autore gnostico del Vangelo Primitivo, oppure l'autore ellenista di Marco, dovesse rappresentare la madre e i fratelli mentre stanno fuori e dovesse dichiarare tramite la bocca di Gesù che il suo Cristo non rivendicò nessuna relazione spirituale particolare con gli ebrei oppure coi capi della Chiesa giudeo-cristiana.
Appare esserci un'intimo legame tra i versi 20, 21 e 32 che è spezzato dall'episodio irrilevante contenuto nel passo intermedio, del quale si potrebbe concludere coerentemente che non aveva fatto parte del Vangelo Primitivo.  È creduto da alcuni critici che esso sia stato nella fonte Q. Se così esso non è originale in Marco. La ricostruzione di Q è, comunque, molto ipotetica. Un passo comune a Matteo, Marco e Luca poteva essere stato trasferito dal primo in entrambi i secondi. Matteo 23 è assegnato dal reverendo J. M. C. Crum [28] alla fonte Q; ma alcuni commentatori meglio familiari col fariseismo dei primi due secoli di quanto lui sembra essere hanno concluso che la denuncia dei farisei fu scritta nel secondo secolo. il capitolo si trova dislocato e modificato in Luca, con qualche omissione. Potremmo concludere che Matteo fu la sua fonte. Ora tre versi (Matteo 23:5-7), e tre soltanto, si trovano in Marco [12:38-39]; e dal momento che essi figurano in Marco nel punto corrispondente a quello che è occupato dall'intero capitolo di Matteo, difficilmente è possibile dubitare che essi fossero presi dal vangelo. Essi furono certamente copiati, perché nei tre versi di Matteo non c'è nessun indizio delle persone contro cui si fecero le accuse; cosicché il copista dovette introdurre la parola “scribi”, presumibilmente da Matteo 23:2. Egli ha anche alterato, oppure omesso, espressioni nei tre versi che sarebbero stati comprensibili solamente a lettori ebrei.
Perciò è piuttosto possibile che Marco 3:22-30 fosse stato introdotto da Matteo. W. B. Smith sottolineò che il termine “Spirito Santo” (ὸ πνεῦμα τὸ ἂγιον) è raro in Marco, occorrendo soltanto in questo passo (3:29) e in 12:36 e 13:11. Gli ultimi due versi sono trascorsi da Gesù a Gerusalemme nel racconto della passione, il quale, ad opinione di alcuni ottimi critici, non era contenuto nel Vangelo Primitivo. Il capitolo 13 è certamente posteriore. Non c'è nessuna ragione per credere che sia storico l'episodio ricordato in 3:22-30. Gli stessi ebrei praticavano l'esorcismo. Nessun ebreo avrebbe potuto avere qualche motivo per dire che un altro ebreo che faceva la stessa cosa stesse cacciando i demoni per mezzo del principe dei demoni, a meno di non usare nella sua formula di esorcismo il nome di un demone. In Matteo Gesù fa la replica pertinente: “Per l'aiuto di chi li cacciano i vostri figli?”. Il rimprovero degli scribi sembra riflettere la coscienza di un tempo in cui era sorta ostilità tra cristiani ed ebrei e in cui si potevano rappresentare gli ebrei mentre attribuivano alla responsabilità di Belzebù il progresso di una religione da loro creduta fondata su una menzogna. Se, comunque, il paragrafo fu scritto nel secondo secolo esso potrebbe riprodurre un'asserzione fatta veramente da ebrei acritici e creduloni che credevano che l'esorcismo fosse stato praticato con successo da un Gesù operatore di miracoli. I cristiani furono abbastanza creduloni da credere che Simon Mago fosse stato un operatore di miracoli e si convinsero coerentemente che egli fosse un mago.
Non è necessario ripetere qui gli argomenti mediante i quali è stata dimostrata l'improbabilità dell'applicazione a Giacomo del titolo “Fratelli del Signore” in un senso letterale. È sufficiente osservare che se in qualche epistola genuinamente antica Giacomo fosse stato chiamato il fratello di Gesù, ci sarebbe stata una prova della parentela. Ma vedendo che il titolo “il Signore” sarebbe stato dato nel primo secolo solamente ad un essere divino di cui non si poteva supporre che avesse avuto fratelli nella carne, è di gran lunga più probabile che i “Fratelli del Signore” fossero un minuscolo gruppo di uomini di pietà eccezionale in una delle comunità — presumibilmente, giudeo-cristiane.

NOTE

[21Nominare Maria coll'ignorare Giuseppe sembra veicolare un'implicazione dogmatica che punta ad un autore cristiano, non agli abitanti di un villaggio galileo.

[22Encyc. Bibl., Art. Nazaret.

[23Si è sottolineato in precedenza che la prima apparizione di Gesù nel Vangelo Primitivo è preservato in Marco 1:14.

[24Loisy (Le Quatr. Ev., pag. 239) scrisse: “Lo scarso successo di Cristo nella sua stessa regione non simboleggia lo scarso successo della predicazione cristiana tra gli ebrei?”. Viene così rovesciato uno dei “pilastri” di Schmiedel da parte di un grande critico cristiano.

[25Raschke (opera citata, pag. 173 seq.) ha sostenuto che il verso 31, che Marcione sembra non aver avuto, è un'interpolazione.

[26De Carne Chr., 7.

[27La traduzione “dentro di voi” favorita da alcuni teologi liberali è impossibile, dal momento che le parole erano rivolte ai farisei. La traduzione non è coerente con la descrizione del Regno nelle parabole, e la forma “tra voi” è confermata dal siriaco sinaitico in cui appare senza alcuna ambiguità. L'idea che il Regno di Dio potesse essere “dentro di voi” è tutta moderna e non poteva essersi presentata a qualcuno del primo secolo.

[28The Original Jerusalem Gospel, pag. 96 seq.

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