venerdì 2 marzo 2018

Marcione (di Georges Ory) — Il suo apostolo

(séguita da qui)



Il suo apostolo:

È stato detto della dottrina di Marcione che fosse un paolinismo esagerato; per poter condividere quest'opinione, dovremmo essere ben familiari col paolinismo, e ignorare che le epistole di Paolo a nostra disposizione ci presentano solo un paolinismo mutilato.

Ad ogni modo, Marcione fu e volle essere un discepolo di Paolo; egli considerò la proclamazione di quest'ultimo come la sola che fosse degna, che equivale a dire, identica a quella di Cristo. Ci si potrebbe chiedere, comunque, se le sette paoline non si fossero evolute tra la morte di Paolo (nel 64 circa) e il momento (nel 134 circa) quando Marcione intraprese le sue missioni di evangelizzazione.
Forse fu perché parte delle comunità giudeo-cristiane respinsero Paolo che Marcione si sollevò contro i giudaizzanti e rivendicò Paolo a suprema salvaguardia della verità evangelica.

Le lettere di Paolo erano state preservate nelle comunità che lo rivendicarono, il che spiega la documentazione di Marcione e i successi da lui ottenuti. Tertulliano sapeva questo fin troppo bene dal momento che egli chiamò Paolo “l'apostolo degli eretici”, il che costituisce indirettamente l'ammissione che quelli “eretici” trovarono le loro dottrine giustificate nelle epistole di Paolo, le quali, per giunta, non contenevano nessun'opinione o credenza contraria alle loro, che equivale a dire, nessun'opinione giudeo-cristiana. Perciò non è non necessario, in quelle condizioni, prima di specificare gli articoli di fede di Marcione, indagare cosa fosse l'insegnamento “eretico” di Paolo.

Paolo fu il primo autore conosciuto di lettere cristiane alle chiese al tempo quando la letteratura epistolare prevaleva sui testi; la carriera letteraria di Paolo terminò probabilmente tra il 58 e il 64. La prima collezione delle sue epistole è quella pubblicata da Marcione. 

Ciò che appare straordinario è che i vangeli, Giustino, Egesippo, Papia, Policrate di Efeso, sono silenti su Paolo; d'altra parte, gli Atti parlano per lungo tempo dell'apostolo, ma omettono qualsiasi riferimento alle sue lettere e al loro autore spingendosi fino all'audacia di affermare che i Dodici scrissero una lettera ai Siriani, Cilici, Galati (sullo stesso tema della lettera di Paolo ai Galati) e che essi la consegnarono tramite Paolo.

Era un credo abbastanza diffuso verso la fine del secondo secolo che il vangelo di Paolo fosse quello di Luca; ora, Paolo conosceva solo il vangelo di Cristo, ed egli era ignaro di quattro vangeli correnti; se, d'altra parte, Luca fosse veramente un compagno di Paolo, non si capisce perché egli non avrebbe parlato di costui. 

Quando si leggono le epistole di Paolo come sono giunte fino a noi, emergono contraddizioni così gravi nel pensiero di Paolo che siamo indotti a concludere che essi sono il frutto dell'opera di due autori,  il secondo dei quali giudaizzò i testi del primo. Noi non accettiamo due tesi opposte allo stesso tempo; tu hai da scegliere. Dato che è ampiamente risaputa la tesi ortodossa e tradizionale, noi adotteremo per la nostra ricerca quella che oppone la Legge e i Profeti, che una religione è giunta a recare agli uomini di ogni razza gli strumenti per assicurare la loro salvezza.

Chi era Paolo? Di certo non Saulo; mai, e da nessun'altra parte se non in alcuni versi davvero sospetti degli Atti, Paolo fu chiamato Saulo e si chiamò con quel nome. [2] Il soprannome romano Paolo, utilizzato specialmente tra la gente d'Emilia, era chiaramente diffuso in Siria e Asia Minore; esso si concilia perfettamente con la qualifica di cittadino romano rivendicata dall'apostolo dei gentili. 

Fu egli di origine ebraica? Si potrebbe dubitarne quando lo sentiamo criticare la circoncisione (Galati 5:2, 12), il Sabato (2:16-17), e quando si apprese che stava allontanando da Mosè  tutti gli ebrei che vivevano tra i gentili (Atti 21-22). Certamente egli non fu un persecutore della Chiesa di Cristo; i passi che gli attribuiscono questo ruolo sono contraddetti da Galati 1:22 “Non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo”.


In generale, la posizione di Paolo, che fu in gran parte quella di Marcione, può essere riassunta come segue:

L'apostolo ricevette la rivelazione della salvezza recata da Cristo mediante l'illuminazione, attraverso la visione, piuttosto che tramite l'iniziazione. Senza dubbio questo era un credo antico preservato segretamente in certe sette, poiché Paolo dichiara questo “mistero nascosto fin dall'inizio, ma ora rivelato da Dio” e decise di rivelare a sua volta agli uomini “la misteriosa sapienza di Dio, che è rimasta nascosta prima dei secoli”.

Nessuno può affermare seriamente che Paolo avesse potuto alludere, in quei termini mistici,  ad un evento storico che avrebbe avuto luogo a Gerusalemme qualche tempo prima. Poiché Paolo non sapeva nulla dell'esistenza del Gesù evangelico, della sua relazione con Erode o Pilato, della sua morte e resurrezione. Egli conosceva solo la discesa soprannaturale del Cristo celeste e il suo rivestimento provvisorio come uomo per comunicare con gli uomini. Non usò mai la famosa espressione “Figlio dell'uomo”.

“Pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; egli fu “trovato nell'aspetto esterno come uomo” (Filippesi 2:7), ma il Cristo di Paolo non era affatto un uomo; esisteva prima di tutto (Colossesi 1:16-17) — era il grande dio dei cristiani e il loro Salvatore (Tito 2:13-14 e 3:6). Era a lui che veniva dedicato il loro culto e le loro preghiere; il culto comprendeva salmi, inni, canti spirituali (Colossesi 3:16), ma la lettura delle scritture non ne era parte. Quando, più tardi, Plinio parla di Cristo come oggetto del culto dei cristiani, egli non alluderà a una lettura delle scritture. (Naturalmente, Paolo non conosceva la Messa, istituita dalla Chiesa molto tempo dopo).

Per Paolo, Cristo è l'immagine del dio invisibile; egli lo chiama Kyrios (Signore), una parola che nella traduzione greca della Septuaginta designa Jahvè; egli dichiara che “la pienezza della divinità” risiede in lui (Colossesi 2:9) e che è per mezzo di lui che Dio ha creato gli eoni, e che tutti gli angeli devono adorarlo.

Paolo era un monoteista? In alcuni punti parla del “dio solo” (1 Corinzi 8:4); ma sa che ci sono “molti dèi e molti signori” (1 Corinzi 8:5), un principe delle potenze dell'aria” (Efesini 2:2), “un dio creatore dell'universo” che ignora [3] “dall'inizio dei secoli, il contenuto del mistero di Cristo” (Efesini 3:9), infine “principati e potenze celesti” (3:10). In realtà, solo il dio supremo, sconosciuto e distante, contava per lui, le altre divinità erano d'ordine secondario e appartenevano al cosmo.

Nonostante la rielaborazione delle epistole, si può realizzare che Paolo conosceva solo Cristo, mentre i vangeli arrivarono a celebrare Gesù. È esclusivamente negli scritti di Paolo che appaiono le espressioni “per Cristo”, “in Cristo”, “Cristo”, “con Cristo”, “il corpo di Cristo”, ”il Vangelo di Cristo”, “Cristo è morto” ecc. Paolo mai scrisse “Gesù disse”, “Gesù nacque”, “Gesù rispose”, “Gesù di Nazaret (o Betlemme)”, “Il vangelo di Gesù”, “Gesù è morto”.

D'altra parte, “Gesù” si incontra su quasi ogni riga dei vangeli, mentre “Cristo” appare solo sei volte in Marco e dieci o dodici volte in Matteo e Luca. La confusione tra Cristo e Gesù avrebbe potuto riuscire solo dopo l'inserzione nelle lettere paoline del nome di Gesù in una forma attenuata di “Cristo Gesù” in primo luogo, di “Gesù Cristo” in seguito. Comunque, questo nome composto per i bisogni della causa è quasi sconosciuto nel Nuovo Testamento al di fuori delle epistole.

È davvero probabile che attraverso questa confusione deliberatamente creata tra Cristo e Gesù, attraverso questa identificazione fraudolenta, quella parte del mito di Cristo potrebbe essere stata mescolata nei nostri vangeli con la storia più o meno leggendaria di un Gesù umano. In particolare, mentre il personaggio centrale della religione paolina è Cristo, e di conseguenza Cristo dovrebbe figurare prevalentemente nei vangeli (specialmente in quello di Marcione-Luca), il contrario è vero. “Gesù” appare più di cento volte, “Cristo” una dozzina. Gli scribi giudeo-cristiani hanno eliminato  quasi completamente  il nome di Cristo a favore di quello di Gesù. L'espressione “corpo di Gesù” si trova solo nei vangeli.

Inoltre, mentre la parola Chrestos designava il dio come un dio buono, questa parola fu gradualmente sostituita nella lingua popolare dalla parola Christus, che significa “unto”, che ha permesso a Tertulliano di riportare un facile trionfo su Marcione, sottolineando che un uomo unto è necessariamente un uomo (Contra Marcionem 3:15, 16; 4:39), la qual cosa non è sempre vera; statue e pietre sacre venivano unte ed era possibile credere in un'unzione mistica effettuata in cielo.

Abbiamo visto che esisteva “un mistero di Cristo” e che Paolo ne era il dispensatore (Romani 11:25, 16:25, 1 Corinzi 15:51, Efesini 3:3, 9, 27) tra i gentili. [4] Egli intendeva rivelare al volgo i segreti della sua iniziazione? Non avrebbe egli, al contrario, concesso la sua rivelazione secondo il grado di conoscenza o sapienza (gnosi) a cui erano giunti i suoi ascoltatori? Senza dubbio egli si recò a predicare i punti principali della sua dottrina nelle piazze pubbliche delle città pagane, ma questo non gli impedì di classificare i suoi fedeli in parecchi gruppi e di riservare il suo insegnamento più segreto agli “spirituali” o “perfetti” (1 Corinzi 3:1, 2:6, 3:2).

Uno dei punti essenziali della sua dottrina fu la crocifissione, ma una crocifissione nello stesso tempo celeste, mitologica e simbolica, che egli rappresentò di fronte ai galati (Galati 3:1). E questo spettacolo non dovette essere funebre, dal momento che Paolo si gloria in quella croce di Cristo tramite cui il mondo è crocifisso (Galati 6:14). Inoltre, Paolo afferma (Colossesi 2:15) che Cristo abolì la Legge inchiodandola sulla croce; siamo davvero lontani dall'insegna recante le parole “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”; siamo in un altro mondo, e Paolo aggiunge: “Ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. [5] Quelle dichiarazioni sono assolutamente incompatibili col racconto evangelico della Passione.

Se per molto tempo Paolo fu ignorato dai giudeo-cristiani, non era perché egli operava nelle regioni pagane? Gli scrittori dei vangeli non lo conoscono. San Ireneo nel 185 circa è il primo autore a citare le epistole di Paolo come pure gli Atti che parlano di lui.

Si fermi qui il riassunto del pensiero di Paolo e chiediamo come esso potrebbe essere stato soffocato e distorto.

Secondo Renan, gli avversari di Paolo vollero, dopo la sua morte, privarlo della sua propria opera, la conversione dei gentili. Così, la chiesa di Corinto fondata da lui, e solo da lui, fu descritta come una chiesa che doveva la sua origine a Pietro e a Paolo. Sembra che ad Antiochia due sette “cristiane”, quella dei circoncisi da un lato e quella  dei non-circoncisi dall'altra, si scontrarono e iniziarono una lotta che durò almeno un secolo prima di concludere nel fallace compromesso dei nostri vangeli.

Il risentimento dei circoncisi di Antiochia contro il loro avversario Paolo fu espresso un secolo dopo negli scritti del partito giudeo-cristiano come le Omelie Pseudo-Clementine (17:19) e la Lettera di Pietro a Giacomo collocata all'inizio di quelle omelie. In seguito agli eventi di Antiochia, Paolo diventò per questa fazione ebraica della Chiesa l'eretico più pericoloso, un falso ebreo, un falso apostolo, un falso profeta, un nuovo Balaam, un Gezabele, un criminale che preludeva alla distruzione del Tempio, un Simon Mago; il suo vangelo (quello che Marcione stava per pubblicare) fu dichiarato un falso vangelo e le sue chiese furono chiamate sinagoghe di Satana.

Secondo Renan, “la memoria di Paolo dopo la sua morte sembra aver subito una sorta di eclisse per cento anni, fu solo quando si stabilì l'idea di un canone di nuovi testi sacri che Paolo riaffiorerà, che le sue Lettere emergeranno in qualche modo dagli archivi della Chiesa per divenire la base della teologia cristiana”. Renan non pensò che questa diffusione delle epistole di Paolo fosse dovuta a Marcione.

Se, per molto tempo, Paolo fu ignorato dai giudeo-cristiani fu perché essi non lo conoscevano, oppure non ancora; egli operò nelle regioni pagane. Due diversi “cristianesimi” coesistettero senza separazione, e quando si incontrarono, ci fu un conflitto.

L'apice di questa lotta per l'influenza fu l'apparizione di Marcione e la sua edizione delle epistole di Paolo. Fu il marcionismo che costrinse i giudeo-cristiani ad adottare Paolo, ma essi potevano ammetterlo solo truccando seriamente  le sue epistole e modificandole in una maniera che oggi definiremmo fraudolenta. Al tempo, quest'operazione era abbastanza naturale, perfino meritoria.

NOTE

[2] Si veda in Cahier Ernest-Renan numero 100 (Giugno-Agosto 1979) il nostro articolo sulla presunta conversione di Paolo-Saulo. 

[3] In Efesini 3:9, il mistero nascosto dall'inizio dei secoli al dio creatore è stato modificato nel modo seguente: mistero nascosto ... in dio creatore .... Questo è proprio il contrario (si veda Premiers écrits du christianisme, l'articolo su “la première édition de saint Paul”, pag. 18, di P.-L. Couchoud, Ed. Rieder, 1930).

[4] Si veda Cahier Ernest-Renan numero 44 su “Le Christianisme et les mystères” (quarto trimestre 1964).

[5] Questa frase è difficile da capire; la parola resa con “croce” è un pronome che potrebbe riferirsi alla Legge, ma il significato generale rimane lo stesso poiché la Legge è inchiodata alla croce.

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