mercoledì 14 marzo 2018

Marcione (di Georges Ory) — COMMENTARIO DELL'EVANGELION

(séguita da qui)

COMMENTARIO DEL TESTO ATTRIBUITO A MARCIONE

Ho cercato di scrivere questo commento per penetrare la dottrina di Marcione e persino comprendere il pensiero dei suoi seguaci che, in seguito, se provenivano o meno dall'ebraismo, furono influenzati da certe sette ebraiche eterodosse. E ho cercato di avere, per quanto riguarda il testo presunto dell'Evangelion, la reazione di un marcionita del secondo secolo.

Il compito era delicato e probabilmente non ho avuto successo. Nell'emettere le mie ipotesi, potrei imitare troppi teologi che prendono o propongono come verità storiche semplici ipotesi; mi scuseranno per la mia timida imitazione della loro audacia. Spero di non aver fatto troppi errori durante una ricerca di cui il lettore capirà la difficoltà.

Quello che mi sembra importante in questo lavoro esplorativo è quello di aver sollevato la questione del marcionismo in un modo forse nuovo e di invitare i giovani ricercatori ad andare oltre me. Ho usato per questo commentario il testo dell'Evangelion ricostruito da Couchoud e che somiglia approssimativamente alle ricostruzioni fatte prima di lui in tedesco e in inglese.

GESÙ DISCENDE DAL CIELO A CAFARNAO (Luca 3:1 e 4:31-32)

a) LA VENUTA DI CRISTO

L'Evangelion di Marcione fece scendere Cristo dal cielo sulla terra (Luca 3:1, Tertulliano, Contra Marcionem, 4:7). Questo redentore era un puro spirito  che poteva apparire solo come un fantasma. Essendo un personaggio celeste, Marcione non gli conferì una nascita umana e concordò su questo punto con Marco 1:9 (il primo in ordine di tempo dei nostri vangeli) che mostra un Gesù già adulto ma privo di una nascita, quindi privo di un passato, un figlio di Dio che si manifesta agli uomini nella forma umana.

Secondo Ippolito (Confutazione di tutte le eresie 7:31), è il Logos che, nell'anno 15 del regno di Tiberio, “è disceso dall'alto”; il suo contemporaneo Tertulliano  (Contra Marcionem 3:2) riferisce che per Marcione la nascita di un dio sarebbe stata una cosa vergognosa ed egli grida (1:4) “Il mio Dio è disceso dal terzo cielo”, questo cielo che, per Paolo (2 Corinzi 12:2), era il più alto. Allo stesso modo, il Crisostomo (Omelie sulla Lettera agli Efesini 23:6) afferma che, secondo Marcione, Dio non poteva incarnarsi e rimanere puro. Questo Cristo discese dal cielo del Dio Buono, un cielo increato, superiore a quello del Creatore; egli assunse una somiglianza umana e apparve “non nato da una vergine ma come un uomo di trent'anni” (Origene, Commento alla Lettera a Tito, 5:283).

 Il testo dell'Evangelion — confermato da quei diversi testimoni — si oppose in anticipo a Luca e Matteo i quali, a causa dell'evoluzione della fede, presentarono Gesù come un bambino venuto al mondo in una maniera umana e immaginarono di fornirgli una genealogia; sfortunatamente, il romanzo che scrissero in modo indipendente l'uno dall'altro, sulla nascita e la natività di Gesù, assunse due forme diverse, le cui contraddizioni ne mostrano la vera natura.

Perciò non è sorprendente che Marcione rifiutò dal suo vangelo le storie della natività di Cristo, supponendo che le avesse conosciute. Il suo Cristo apparve in forma umana al pari della maggior parte degli spettri; i nostri tre sinottici lo vedono come un fantasma perché egli cammina sul mare (Matteo 14:26, Marco 6:49 e Giovanni 6:19), perché  appare loro dopo la sua morte (Luca 24:37) e attraversa le porte chiuse. Inoltre, Girolamo ci dice che “quando il sangue di Cristo fu recentemente versato e gli apostoli erano ancora in Giudea, si asserì che il corpo del Signore fosse un fantasma” (Adversus Luciferianos 23).

Gli uomini dell'inizio della nostra era credevano ancora che gli dèi potessero apparire loro e comportarsi come gli uomini. La Bibbia non ci insegna che Jahvè stava camminando nel suo giardino al fresco della sera (Genesi 3:8), che aveva chiuso la porta dell'arca a Noè e alla sua famiglia, che stava mangiando alla tavola di Abramo, eccetera? I vangeli non ci presentano Gesù a bordo di una barca, mentre sale su una montagna, mentre beve, mangia, prega? I greci non credevano che Zeus fosse disceso sulla terra, avesse condiviso il letto di Alcmena e che, da quest'unione, fosse nato Ercole, che doveva mettere fine all'Età del Ferro e inaugurare l'Età dell'Oro?

Da dove provenivano gli dèi, Zeus o Jahvè o Cristo, quando apparvero sulla terra nella forma di un uomo? Naturalmente, dal cielo. È una concezione religiosa davvero antica la discesa di una divinità nelle parti inferiori del Cosmo per liberare alcune anime dall'Ade. Così Ištar discese negli inferi per salvare Tammuz; Orfeo vi si recò per liberare Euridice; lo stesso accadde con Demetra per Persefone, con Dioniso per Semele e Ariadne, con Ercole per Cerbero, con Teseo e Admeto, e così via. Nell'India antica, Ravana salvò i dannati, come fecero Yudhisthira, Visnù, Buddha. Nel tardo giudaismo (Bereshith Rabba), il Messia luminoso giunge alle porte dell'inferno (Gehinnon) e libera i prigionieri dalle tenebre della morte.

b) LA DISLOCAZIONE DI TESTI

L'opera di Marcione cominciava come segue:
Luca 3:1: Nel quindicesimo anno del regno di Cesare Tiberio (nel tempo del governatore Pilato)
(Gesù) Cristo il figlio di Dio discese dal cielo

Luca 4:31: E apparve a Cafarnao di Galilea. Egli insegnò ...

Ora, come indichiamo all'inizio di quei due versi, la prima frase di Marcione fu tagliata in due nel vangelo di Luca e, tra le due sezioni, fu inserito in Luca il lungo brano che va da 3:2 a 4:30, cioè sessantotto versi. La seconda metà del verso 3:1 “discese dal cielo” scomparve a favore di un'altra scrittura “discese a Cafarnao, villaggio di Galilea”.

L'intenzione del manipolatore dei testi è facilmente riconoscibile; egli prima volle cancellare un testo dall'Evangelion che non gli si appropriava. Perché, pensiamo, sarebbe sorprendente che Marcione non abbia dato una storia della discesa sulla terra del Cristo divino mentre gli scritti cristiani tengono traccia di questo mito primitivo.

L'Ascensione di Isaia (capitolo 9) annuncia inoltre che il Signore Cristo scenderà nel mondo e che Dio aveva comandato suo figlio (capitolo 10) di andare e discendere attraverso tutti i cieli. Ippolito di Roma (Confutazione di tutte le eresie) ci trasmise il testo di una preghiera recitata dal Gesù celeste “mandami, Padre (sulla terra) ..., Portando i sigilli io discenderò; ... E trasmetterò i segreti della santa via, che chiamerò Gnosi”. Il Nuovo Testamento stesso testimonia questa conoscenza del mito da parte dei primi cristiani “Il Signore discenderà dal cielo” (1 Tessalonicesi 4:16); “nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo” (Giovanni 3:13, Efesini 4:9-10); “Il Padre mi ha mandato ... voi siete di quaggiù, io sono di lassù” (Giovanni 8:16-19, 23, 42:16-28).

Per fare la sua discesa dal cielo sulla terra, Cristo doveva “spogliare sé stesso, assumere la condizione di schiavo e divenire simile agli uomini” (Filippesi 2:6-8). Il suo corpo era “simile a carne di peccato” (Romani 8:3), ma non aveva bisogno di cibo o di sonno e non lasciava alcun segno sul terreno (Giovanni 4:38 e Atti di Giovanni 43). Il quarto evangelista sapeva (Giovanni 1:13) che “non era nato da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo”, ma un verso 14 fu aggiunto in seguito per negare questa affermazione.

Il manipolatore del testo voleva anche, noi supponiamo, colmare il vuoto lasciato dal passo da lui soppresso per mettere in scena Giovanni il Battista che Marcione non conosceva; il battesimo di Gesù da parte di Giovanni era designato a collocare il movimento cristiano alla dipendenza della setta del Battista, mentre Gesù stesso disse che chi è purificato non ha bisogno di essere lavato perché è completamente puro (Giovanni 13:10), che i suoi discepoli erano stati purificati dal suo insegnamento (Giovanni 15:3), che il Cristo non battezzava nessuno.

Allo stesso tempo, il correttore depositò nella breccia che aveva aperto, una genealogia di Gesù, la sua tentazione nel deserto e la sua presenza a Nazaret.

— Come risultato, i passi sinottici paralleli a quest'interpolazione (che vanno da Luca 3:lb a 4:30) possono apparire sospetti; è Marco da 1:2 a 1:20 e Matteo da 3:2 a 3:22. Il testo di Marcione suggerisce che il vangelo di Marco cominciò in 1:21 al momento in cui Gesù si mostra a Cafarnao; tutto ciò che precede questo verso proviene da un'altra fonte; lo stesso vale per l'inizio di Matteo fino a 4:22 e di Luca fino al verso 4:31c.

c) IL QUINDICESIMO ANNO DEL REGNO DI TIBERIO

Tertulliano non era sicuro di questa data; egli scrisse “perché tale è l'affermazione di Marcione” (Contra Marcionem 4:7), mentre egli aveva conservato in precedenza (Contra Marcionem 1:15) il dodicesimo anno. Si può quindi considerare che questa data (che indica il periodo dal 28 agosto al 29 agosto della nostra epoca) è approssimativa.

Perché Marcione ha posto una data storica all'inizio del suo vangelo? Questa data segna la discesa di Cristo un secolo prima della manifestazione di Marcione che sarebbe localizzata intorno all'anno 129 Era Comune; l'informazione è interessante ma rimane incompleta perché non si comprende come un evento mitico come la discesa di un dio sulla terra, evento senza tempo, possa essere datato, vale a dire diventare storico.

Una spiegazione ci sembra possibile; questo fatto mitologico poteva solo essere stato trasposto in un episodio della Storia quando venne legato all'esistenza di un uomo che, secondo il credo della setta, l'avrebbe testimoniato; la discesa di Cristo non sarebbe stata datata in astratto; la data segnerebbe il momento in cui un santo avrebbe pensato di assistervi, di ricevere così un messaggio divino, di essere il suo testimone privilegiato e diventare il suo autentico missionario. Avremmo la data non di un episodio favoloso, ma dell'illuminazione di un asceta, dell'inizio del suo apostolato, del credo dei suoi fedeli.

Il correttore di Luca afferrò questa data e volle incarnarla con un immaginario contesto storico; egli introdusse nel verso 3:1 i nomi di Ponzio Pilato, di Erode, di Filippo, di Lisania, di Anna e di Caifa, di Giovanni figlio di Zaccaria, dettagli sconosciuti a Marco e Matteo, ma intesi a trasformare un evento mitico in un  fatto della storia ebraica. Questa connessione o corrispondenza tra il mito e la Storia vissuta è sentita comunemente da popoli primitivi, dalla gente semplice o dai mistici.

L'inserimento in Luca soltanto di quei personaggi “storici” doveva preparare la loro entrata in scena più tardi, al momento in cui la Passione venne aggiunta al testo originale.

Inoltre, possiamo sospettare il nostro narratore di aver avuto un ulteriore motivo per sostituire alla discesa di Cristo sulla terra l'ascolto di una voce celeste da parte di Giovanni il Battista. “La parola di Dio scese su Giovanni nel deserto”. Ma che cosa disse quella voce e si riferì veramente a Giovanni? Quello che sappiamo è diverso; la voce celeste pronunciò la famosa frase “Tu sei il mio figlio prediletto” ma essa fu rivolta a Cristo (Luca 3:22).

Il correttore di Marcione fece ricorso ad uno stratagemma per utilizzare a favore di Giovanni il Battista un fenomeno divino che non riguardava questo “precursore” sconosciuto al testo originale.

In ogni caso Marcione non avrebbe ammesso questa trasposizione dell'evento centrale del suo vangelo, e neppure questo cambiamento di personaggi. Se la visita divina che egli stava celebrando fosse accaduta in quella data e fosse stata ricevuta da qualcuno, ciò potrebbe (così sembra) essere stato solo da parte dal grande apostolo Paolo che egli venerava e di cui sappiamo che egli vide e udì Cristo.

San Paolo annunciò di essere stato “scelto fin dal grembo di mia madre e chiamato per la sua grazia, per rivelare in me suo figlio, affinché l'annunziassi fra i gentili” (Galati 1:15); frase che potrebbe ispirare una bella storia della nascita di Paolo! Disse anche: “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Galati 2:20). Nella sua epistola ai Filippesi (1:20) scrisse “come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo”. Confidava allo stesso modo ai suoi seguaci: “Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (...) fu rapito fino al terzo cielo.” (2 Corinzi 12:2), che era proprio il cielo del Dio Buono e del Cristo di Marcione. Come dice Ireneo (3, 13, 1) “solo Paolo conosceva la verità perché il mistero gli era stato rivelato per rivelazione”. Sebbene il racconto degli Atti (22:6,11) sia stato distorto da un correttore giudaizzante (7), esso testimonia una credenza nell'apparizione di Cristo a Paolo sulla strada per Damasco. Non dimentichiamo che, secondo Esnik, Gesù scelse San Paolo come assistente umano, rivelò a lui le condizioni di salvezza e lo inviò a predicare il suo vangelo.

Se mai Marcione, come è possibile, avesse dato i dettagli della discesa di Cristo e della sua apparizione quaggiù, le sue spiegazioni scomparvero e vennero sostituite da una storia circa Giovanni il Battista che Marcione non conosceva. Quello che è certo è che il dio disceso dal cielo non era Jahvè, il dio degli ebrei; lo stesso Tertulliano concorda (Contra Marcionem, 1:15); rivolgendosi a Marcione, egli esclama: “Come succede che il Signore sia stato rivelato dal dodicesimo anno di Tiberio Cesare ...”.

d) L'INSERIMENTO DI GIOVANNI E DI GESÙ NEL TESTO

Il passo da Luca 3:1-22 in cui a Giovanni Battista si attribuisce erroneamente l'adozione divina non è l'unico che ha cercato di far giovare al Battista un ruolo rilevante.

Già il primo capitolo interviene a lungo circa la nascita di Giovanni e la sua predestinazione regale. Tuttavia, Luca è l'unico evangelista a dare la storia che va da 1:1 a 2:40, il che dimostra che questo passo proviene da una fonte sconosciuta agli altri sinottici. Inoltre, analizzandolo, si comprende che in questo testo esistono due storie diverse che sono state legate artificialmente alla nascita di Giovanni e a quella di Gesù. La prima storia che fu aggiunta nel preambolo del vangelo di Luca è quella di Giovanni, mentre la nascita di Gesù è stata inserita in seguito [7]. Marcione ignorava quelle due natività. [8]

L'anno 15 di Tiberio è equivalente all'anno 29 della nostra epoca, dato che Paolo scrive la sua epistola ai Corinzi quattordici anni più tardi, questa epistola potrebbe essere datata all'anno 43 nel suo stato primitivo.

Allo stesso modo, nel prologo del quarto vangelo, Giovanni è interpolato nei versetti 6, 7, 8 e 15.

e) A CAFARNAO

Luca continua in 4:31 la sua frase iniziata e interrotta in 3:1; egli scrive “(Gesù) discese a Cafarnao, un villaggio di Galilea”. Egli mantenne il verbo discendere usato da Marcione per indicare una discesa dal cielo ma egli specifica “villaggio della Galilea” per individuare sulla terra l'evento. Ora, spiegò Tertulliano (Contra Marcionem, 4:7) a significare in realtà (che discese) dal cielo del Creatore da dove era già disceso dal suo”; questa testimonianza involontariamente favorevole alla tesi marcionita è davvero importante.

D'altra parte, Marco corregge o è corretto; il suo Gesù, che egli manda in compagnia di Giacomo e Giovanni, entra a Cafarnao. Matteo non ha un passo corrispondente.

Che cos'è questa città di Cafarnao che appare, e per la prima volta, solo nel Nuovo Testamento? Questo nome è simbolico, designa, come indica più avanti Eracleone (uno gnostico) “le parti inferiori del Cosmo”. Per il correttore, è una vera città che egli pone in Galilea, ma questa Galilea non è simbolica a sua volta e non rappresenterebbe le regioni pagane? Questa precisazione (Galilea) è sconosciuta a Marco, e si trova in  Marcione solo in questo verso.

Cafarnao è ammessa all'unanimità dai sinottici soltanto in un solo passo Marco 1:21; Matteo 4:13b; Luca 4:31. Quando Luca la cita nel verso 4:23, Marcione non lo conosce al pari di Marco e Matteo — Marcione e Marco non conoscono la Cafarnao dei versi di Luca 7:lb e 10:15. Marcione e Luca non contengono la Cafarnao di Marco 2:1, 9:22 e di Matteo 9:1, 17:24.

Tutto accade come se Cafarnao fosse stata aggiunta qua e là (molto presto fin da quando lo gnostico Eracleone studiò il suo significato) oppure, al contrario, come se fosse stata rimossa da certi passi. La prima ipotesi, tuttavia, è la più probabile. Questa città sarebbe stata concepita simbolicamente, a metà strada tra mito e geografia metaforica, per suggerire il luogo dove aveva avuto luogo la discesa di Cristo in una maniera analoga a quella che aveva datato l'evento.

Se torniamo al testo attribuito a Marcione, leggiamo che Gesù insegna nella sinagoga, episodio confermato da Marco. D'altra parte, Luca non sa che la scena si svolge in una sinagoga; egli dichiara solo che è un sabato. Matteo non sa nulla sulla questione. La parola “sinagoga” non poteva essere rimossa dal testo originale di Marco da parte di Luca e Matteo, così sarebbe stata aggiunta a Marco e a Marcione.

f) LA LEGGE E I PROFETI

Nel verso 31, il Gesù marcionita ci insegna che “è venuto ad abolire la Legge e i Profeti”. Capiamo allora perché “tutti erano stupiti dal suo insegnamento” (32); c'era qualcosa. In Marco e Luca, questo passo molto scomodo venne rimosso, ma lo stupore del pubblico fu preservato e spiegato dall'autorità con cui parlava Gesù, che non è una buona giustificazione.

Si potrebbe obiettare che Marco e Luca non conobbero questo passo da Marcione e che questa parte del verso 31 fosse stata aggiunta da un discepolo. Tuttavia, sembra che Luca lo conobbe perché egli espresse la stessa idea con parole meno aggressive in 16:16: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunciato il regno di Dio...”. Ma anche in questa forma moderata, la verità non era buona da dire e un correttore la ammorbidì aggiungendo il verso 17: “però è più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge”.

Anche Matteo (11:13) conosceva  le parole di Marcione e a sua volta rispose che non sarebbe caduto un solo iota o un segno della legge (5:18). Egli assunse l'opposto dell'affermazione marcionita facendo dichiarare a Gesù “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento”.

Ora, non solo le parole di Marcione erano anteriori alla loro negazione da parte dei suoi avversari, ma per combatterle non esitarono a falsificare una frase di Gesù che diceva l'opposto: “Cielo e terra passeranno ma le mie parole non passeranno”.  Questa frase si trova in Marco 13:31, Luca 21:33 e in Matteo stesso (24:35).

È un fatto ben consolidato e ben risaputo che le tre righe di Marcione sull'abolizione della Legge e dei Profeti sono state soppresse dai copisti cattolici. Adamanzio (11:15) lo affermò nel quarto secolo nei seguenti termini: “I giudei scrissero: “Io non sono venuto ad abolire la legge ma a realizzarla”, mentre Cristo non avrebbe potuto dirlo. Egli ha detto “non sono venuto per adempiere la legge, ma per abolirla”. Allo stesso modo, secondo Ireneo (1, 27, 2): “Marcione blasfema contro i Profeti, la Legge e tutto ciò che viene da quel dio che ha fatto il mondo”.

GESÙ GUARISCE UN INDEMONIATO (Luca 4:33-35)

Nell'Evangelion, la storia della guarigione di un indemoniato precede quella che mostra Gesù rifiutato da Nazaret (4:16-30); l'ordine degli episodi è invertito rispetto a quello di Luca, ma è confermato dal vangelo di Marco.

D'altra parte, Matteo riproduce in 13:53-58 la narrazione su Nazaret che seguirà, ma ignora quella relativa all'indemoniato; ma non vediamo per quale ragione l'avrebbe ignorata se l'avesse trovata nel suo Marco.

Per quanto riguarda il racconto di Nazaret nell'Evangelion, esso fu preso dalla parte del testo di Luca (3:2, 4:30), che venne aggiunto come preliminare a questo vangelo e inserito nel testo di Marcione ma in un altro punto, tra i versi 35 e 40.

Marcione racconta la guarigione dell'indemoniato in tre versi mentre Luca ha bisogno di cinque versi (33-37) e Marco sei (1:23-28). Matteo non ha questa storia.

Leggendo quei tre passi, è evidente che Marco e Luca mischiarono i versi. Sembrerebbe anche che la guarigione dell'indemoniato sia un'aggiunta alla narrazione primitiva che parlava solo dell'insegnamento di Gesù. In Marco, il verso 27 sarebbe la naturale continuazione del verso 22 e in Luca il verso 36 quella del verso 32.

Esso recita: “Essi si stupivano del suo insegnamento, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. (...)  e si domandavano tra di loro: «Che cos'è mai questo? È un nuovo insegnamento dato con autorità!”, il verso 27 è davvero molto simile ad una ripetizione del verso 22.

In realtà gli ascoltatori sono sorpresi e spaventati non dall'esorcismo praticato da Gesù ma dal suo insegnamento che rifiuta la Legge e i Profeti; i discorsi o dichiarazioni di Gesù furono cancellati nei tre sinottici e in Marcione e sostituiti da questo goffo resoconto. Come ammettere, in effetti, che Matteo non avrebbe riprodotto questa storia edificante se lui l'avesse trovata in Marco? Come non essere sorpresi dalla presenza di uno spirito impuro in una sinagoga?

Tertulliano porta sostegno alla nostra direzione; scrive: “Come lo spirito malvagio avrebbe potuto sapere che egli era chiamato con un tale nome (Gesù), quando non era mai stata emessa ad alcun momento su di lui una singola profezia da un dio che era sconosciuto (il dio di Marcione). ... Così completamente riconobbe in Gesù il Figlio di quel Dio che era giusto e vendicativo, e (per così dire) severo, e non di colui che era semplicemente buono... E tuttavia come (Gesù) avrebbe potuto essere ammesso nella sinagoga, uno così bruscamente apparso, così sconosciuto; uno, di cui nessuno era stato ancora informato della sua tribù, della sua nazione, della sua famiglia e, infine, della sua iscrizione al censimento di Augusto - quella testimonianza più fedele della natività del Signore, custodita negli archivi di Roma? Certamente avrebbero ricordato, se non sapevano che fosse circonciso, che non doveva essere ammesso nei loro luoghi più sacri. E anche se avesse il diritto generale di entrare nella sinagoga (al pari degli altri ebrei), tuttavia la funzione di dare istruzioni era permessa solo a un uomo che era estremamente noto, esaminato e provato, e per un certo periodo investito del privilegio dopo un'esperienza debitamente attestata altrove” (Contra Marcionem, 4:7).

Così, per Tertulliano, il Cristo del Dio Buono non poteva apparire sui censimenti di Quirino; se egli sapeva i versi 2:1-5 di Luca, egli li applica al Gesù figlio di Davide e servo di Jahvè; egli non crede nella circoncisione di Cristo, una creatura celeste, ed ha ragione dai testi poiché la circoncisione del Gesù ebreo risulta solo da un passo di Luca (2:21-22) la cui interpolazione rimane sconosciuta agli altri sinottici. Siamo ancora d'accordo con Tertulliano sulla presenza di Gesù nelle sinagoghe. Cristo si recò al “tempio” non nelle “sinagoghe”; questa parola è stata aggiunta ad alcuni versi, ad esempio in Marco 1:21; 5:38; Luca 4:20, 28, 38; 7:5; 13:10; Giovanni 12:42, 18:20 — e Matteo la menziona solo al plurale facendo riferimento alle sinagoghe degli ebrei.

Luca cita “la” sinagoga nel verso 38, ma Marcione non lo sa. Incontriamo ancora la parola in 6:6 e 13:10 ma i versi 8:41, 49 e 13:10 che la contengono in Luca non la danno nell'Evangelion.

GESÙ È RESPINTO DA NAZARET (Luca 4:16-30)

L'autore di questa rielaborazione ha disposto il suo testo in un disordine notevole rispetto al seguito dei versi di Luca. La successione di quei versi nell'Evangelion si legge come segue: 31-35, 16, 24-26, 28, 23, 29, 30-40. Dei quindici versi di Luca (16-30), ci sono solo otto in Marcione.

Fortunatamente, i due altri sinottici contengono questo stesso episodio (Marco 16:l-6a, Matteo 13:53-58); è quindi possibile confrontare i testi. Tuttavia, ci rendiamo conto che — a differenza di Marco e Matteo — Luca fu espanso con i versi da 16b a 21, 22b 23 e da 25 a 30.

Marcione non può pertanto essere accusato di aver cancellato i versi da 17 a 21; al contrario, il suo testo fu riempito con i versi 23-26 e 28.

La storia di una vedova di Sarepta visitata da Elia non era di interesse a Marcione, più di quanto lo fosse quella di Naam il Siro per Luca nel passo corrispondente e che preferirebbe piuttosto l'episodio del lebbroso che leggiamo in 5:12-14.

Lo scopo della narrazione interpolata di 17-21 è di mettere Gesù in accordo con le scritture ebraiche, sostenendo che i marcioniti rifiutarono il loro Cristo.

Nel verso 23, Marcione riferisce che gli ebrei dicono a Gesù: “Medico, guarisci te stesso”, mentre secondo Luca è Gesù che esclama: “Certo, voi mi citerete questo proverbio: 'Medico, cura te stesso'. Tuttavia, Marco e Matteo ignorano questo episodio.

Non vediamo più perché gli ebrei vogliono uccidere Gesù; d'altra parte, è chiaro che se egli li sfugge è perché egli è il Cristo spirituale il cui corpo non è materiale.

Nel verso 16, secondo il testo marcionita, Nazaret è il luogo dove Gesù dimorava abitualmente, secondo Luca, il luogo in cui era cresciuto. Ora, in una copia di Efrem il Siro, Nazaret venne sostituita da Betsaida; allo stesso modo, più tardi, nel verso 34, i marcioniti leggevano  Betsaida anziché Nazaret, che Marcione respinse. Sappiamo che Gesù dichiarò di non avere nessuna dimora dove posare il suo capo; non ne aveva bisogno perché il suo corpo era fluido.

Nazaret fu inserito in un testo che non la comprendeva; il fatto è confermato indirettamente dai passi sinottici paralleli a Luca 4:16; né Marco 6:1 né Matteo 13:53 alludono a questa città, essi dicono che Gesù venne nel suo paese. Per il quarto vangelo, era a Cafarnao che Gesù discese. In parecchi punti dei sinottici, Gesù si ritrova sul suo “monte” e vi trascorre anche le sue notti; l'uomo Gesù, diverso dal dio Cristo, sapeva dove “riposare il capo”.

Un'altra nota prova della perturbazione del testo è in 4:23b; la folla dice a Cristo: “Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!”. Oppure, nel testo di Luca, fino ad ora non c'è stato alcun miracolo a Cafarnao e Marcione ignora questa richiesta. D'altra parte, è Cafarnao, non Nazaret, che è la terra di Gesù, la “sua” città (Matteo 9:1). Nazaret è un interpolazione in Marcione.

Nazareth è secondaria nei nostri testi in relazione a Cafarnao. Presto sapremo che Gesù fu respinto da Nazaret. Il quarto vangelo (Giovanni 1:46) ci dice che “non può venire nulla di buono da Nazaret”. Ora Gesù fu chiamato Nazareno, cioè Mandeo, o il Battista.

Va altresì notato che la menzione di Nazaret si trova quasi esclusivamente nei testi preliminari dei vangeli, cioè in quelli che erano collocati successivamente prima dell'inizio dei testi primitivi, cioè, prima di Luca 4:31, di Marco 1:21, Matteo 4:23. Nel testo più antico (quello che inizia con quei versi) le citazioni di Nazaret non sono mai attestate nello stesso versetto dai tre sinottici; e appaiono solo una o due volte, nello stesso verso di due di quei vangeli. Sembra che “il Nazareno” sia un secondo stato del personaggio di Gesù e che la città fosse stata inventata per spiegare il termine il cui significato avevamo dimenticato, oppure la cui origine volevamo nascondere.

Tertulliano, ancora qui, ha un modo molto personale di discutere il testo di Marcione (Contra Marcionem, 4:8). Il Cristo che predica a Nazaret e che è conosciuto ai demoni come Cristo il figlio di Dio è il Cristo del Creatore, Gesù il Nazareno. Il Cristo di Marcione doveva evitare ogni riavvicinamento con le località riguardanti il Cristo del Creatore annunciato dai profeti. Se egli non insegna nulla di nuovo, se viene rifiutato, se viene sequestrato, è perché egli non è un fantasma. Se è sfuggito ai suoi aggressori, è perché la folla lo lasciò passare. Per argomentare contro le tesi marcionita, Tertulliano usa testi che sono stati modificati contro Marcione ed egli oppone al suo Cristo spirituale un Cristo umano ed ebreo.

CHIAMATA DEI PRIMI DISCEPOLI (Luca 5:1-11)

Luca inserisce nel testo che copiò da Marco un sostituto per la chiamata dei discepoli; la sua storia è molto più lunga delle storie parallele di Marco (1:16-20) e di Matteo (4:18-22); esse ignorano i versi da 2 a 9, e Marcione non contiene i versi 5 e 7, che sono ovviamente espansioni del testo. Tuttavia, sebbene la storia della pesca miracolosa sia più sviluppata in Luca che negli altri sinottici, Luca preserva la memoria di un appello rivolto da Cristo al solo Simone; il verso 10a, che cita Giacomo, Giovanni e Zebedeo, venne aggiunto alla fine dell'episodio per “armonizzare” Luca con gli altri sinottici, una correzione rimasta incompleta poiché “il fratello di Andrea Simone” rimane assente dal testo di Luca.

Alcune incongruenze vanno notate in Luca.

Nel verso 3, Gesù sale sulla barca di Simone; gli chiede di allontanarsi dalla riva, poi si siede e parla alla folla; il copista ha presentato erroneamente  il suo testo; Gesù non poteva allontanarsi dalla folla se egli voleva istruirla. In questo verso, la frase “e lo pregò di scostarsi un poco da terra” va cancellata; è giustamente assente da Marcione e duplica il verso 4b: “Prendi il largo”, che stabilisce anche la natura accidentale del verso 4a. Marcione non eliminò nulla; è Luca che aggiunse, in verità, inutilmente. Originariamente il testo riportò che Gesù stava andando in acque profonde per pescare.

Per comprendere meglio il significato di questa pesca miracolosa, è interessante riferirsi al capitolo 21 del vangelo di Giovanni. Secondo questo testo, il miracolo è dovuto all'apparizione del Cristo risorto. Quando essi riconoscono Gesù, i discepoli lo chiamano “Signore”.

Ora, nel racconto di Luca (5:5), Simone che chiama Gesù “Maestro” si inginocchia dopo il miracolo e gli dice: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Simone riconosce il divino Signore che ha negato, il Cristo celeste che gli appare nella forma di un uomo; egli confessa che non è degno di essere onorato da una tale presenza.

La missione del pescatore di uomini è data solo a Simone mentre in Marco si estende anche ad Andrea. I biblisti vedranno naturalmente in questo quadro un ricordo di Geremia (16:16) “Ecco, io invierò numerosi pescatori che li pescheranno (i figli d'Israele). Tuttavia, Tertulliano sospetta qui un'intenzione marcionita; perché, in realtà, Gesù sceglie i suoi apostoli tra i pescatori invece di prenderli tra i contadini, i pastori o i falegnami? Perché Marcione era un armatore, un marinaio e quel Simone potrebbe essere il simbolo di Marcione, il pescatore scelto come apostolo di Cristo. Nel verso 10, in Luca come in Marcione, Giacomo e Giovanni sono stracarichi e Gesù disse a Simone: “Non aver paura” perché egli è un essere soprannaturale di fronte al quale gli uomini si spaventano. Il correttore di Luca la trasformò in una storia della vocazione di Pietro, Giacomo e Giovanni, un resoconto dell'apparizione del Cristo risorto; la loro vocazione non è dovuta ad un uomo santo, ma ad un essere divino.

In sintesi, la storia della pesca — sconosciuta a Marco e Matteo — non ha nulla a che vedere con la chiamata dei primi apostoli; essa racconta di una manifestazione del Cristo celeste; allusa succintamente in Marcione, venne sviluppata in due modi diversi da Luca e Giovanni.

Vale la pena ricordare un'altra concezione di pesca “religiosa”; è quello del vangelo secondo Tommaso. Gesù paragona l'uomo a un pescatore saggio che solleva la sua rete piena di pesci piccoli al cui centro figura un pesce grande e eccellente. Egli rigetta tutti i piccoli pesci in mare e mantiene il pesce grande. [9

GUARIGIONE DI UN LEBBROSO (Luca 5:12-14)

Marcione e i sinottici concordano su quei tre versi ma alcuni dettagli meritano di essere evidenziati.

Il lebbroso, dopo aver visto Gesù, si inginocchiò (Marco 1:40), lo adorò (Matteo 8:2), cadde a faccia in giù (Luca e Marcione) e lo chiamò “Signore”, che dimostra che lo considerava un dio. Dopo averlo guarito, Gesù gli disse di non raccontare a nessuno (14a), ma un copista giudeo-cristiano, senza dubbio un ecclesiastico, non poteva fare a meno di contraddire Gesù dicendo: “va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. Questa goffa correzione compare nei tre sinottici e persino nell'Evangelion. D'altra parte, Marcione e Matteo ignorano i versi che furono aggiunti in  Marco 1:45 e in Luca 5:15-16.

Per tentare di mostrare l'errore di Marcione, Tertulliano chiede: “Come poteva Gesù toccare un lebbroso, poiché non ha un corpo secondo Marcione e che, invece, è vietato dalla legge?” Ma precisamente, le parole “stese la mano e lo toccò” sono forse un'aggiunta intesa a dimostrare che Gesù aveva un corpo di carne. L'argomento di Tertulliano è valido anche contro il verso di Luca 24:40, secondo il quale Gesù risorto presenta ai suoi discepoli le sue mani e i piedi. D'altro canto, il Cristo di Marcione poteva guarire solo attraverso la parola, non tramite mezzi materiali ed egli non doveva rispettare la Legge, al contrario; non poteva essere neppure crocifisso.

Tertulliano, ricordando su questo argomento il passo biblico di 2 Re (5:9-14) (Contra Marcionem 8:4) analizza molto bene il pensiero marcionita che il miracolo nasconde dal momento che Eliseo, profeta del Creatore, purificò solo Naam il Siro ad esclusione dei tanti lebbrosi di Israele ...  bagnandolo sette volte nel Giordano; ora, il Cristo di Marcione non aveva bisogno del Giordano, di alcuna acqua, o di ripetere sette volte l'immersione nell'acqua; egli disse una parola soltanto e la guarigione ebbe luogo.

EGLI PRENDE COME DISCEPOLO UN PESCATORE (Luca 5:27-32)

Questo peccatore, un pubblicano (professione odiata dalla popolazione) è chiamato Levi, figlio di Alfeo secondo Marco (2:14), semplicemente Levi, secondo Luca e Marcione, ma il suo nome è Matteo nel vangelo di Matteo (9:9). È lo stesso uomo a possedere due nomi? Marco (3:18) menziona Matteo e non Levi nella sua lista dei Dodici.

L'episodio ha qualche consistenza? Secondo Matteo (9:10) e Marco (2:15), il pasto si svolge presso Gesù (che avrebbe trovato posto alla fine). D'altra parte, secondo Luca e Marcione, è Levi che organizza a casa sua un banchetto in onore di Gesù.

I nostri testi riportano che gli scribi e i farisei sono scandalizzati al vedere Gesù mangiare e bere con i peccatori; inoltre, non sappiamo da dove provengono quei protestatari, introdotti improvvisamente nella storia. Gesù risponde quindi che il medico dovrebbe trattare solo i malati, una risposta che si congiunge all'allusione al medico già incontrata in Luca 4:23, dove è fuori contesto, ma ora indoviniamo il significato. Quando, in 4:23, gli ebrei pensano che Gesù dovrebbe guarire sé stesso, è perché sono furiosi di vederlo “convertire” i gentili e agire come un pagano. Spieghiamo questo passo.

L'ultimo verso di Luca 5:32 mostra che Gesù venne a esortare i peccatori al pentimento. Ma Marcione, supportato da Marco e Matteo, non allude al pentimento. Gesù venne a chiamare gli uomini, specialmente peccatori, a seguire la sua dottrina, si tratta di una conversione. Quest'ultimo verso illumina l'intero episodio il cui significato venne dimenticato o rifiutato nel tempo degli evangelisti.

Riteniamo, infatti, che questa sia la cena primitiva dei cristiani intesa come banchetto; si svolge nella dimora del culto oppure di un cristiano non ebreo e si crede che il Cristo divino lo presiede. Cristo sta convertendo i gentili, non gli ebrei.

C'era, disse Marcione, una folla di pagani e pubblicani. Marco e Matteo dicono “pubblicani e peccatori”; “questi peccatori dei pagani” specifica l'epistola ai Galati 2:15. I gentili sono chiamati peccatori. A differenza di Marco e Matteo, Luca non dice che i discepoli di Gesù sono là.

La sala di incontro doveva essere grande per tenere tutti. Marco è l'unico a riportare la domanda degli scribi sotto forma di “perché mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?”. Matteo e Luca fanno porre la domanda ai discepoli “perché mangia e beve?” ...  ma ovunque la risposta è attribuita a Gesù. Questo è il pasto mistico presieduto dal Signore che chiama a lui (10) i gentili ed anche alcuni farisei (Luca 7:36, 11:37, 14:1); gli ebrei disgustati accusano Gesù di ingordigia e ubriachezza (Matteo 11:19, Luca 7:34). Lo stesso tipo di critica posta sotto l'autorità di Paolo in 1 Corinzi 11:21.

Né Luca né Marcione menzionano che l'episodio è situato presso la riva del mare e che le moltitudini seguono Gesù che insegna loro; quelle precisazioni sono state aggiunte in Marco (2:13). È solo in Luca e Marcione che Levi abbandona tutto per seguire Gesù; egli risponde in anticipo ciò che Gesù dirà in Luca 14:33 (e in Marcione), ma che gli altri sinottici non sanno.

PRIMI GIORNI (Luca 5:33-35)

Quei tre versi costituiscono un breve episodio che non ha nulla a che fare con quanto precede e quanto segue. Inizia e termina con formule di transizione (“allora gli dissero ...” e “diceva loro anche ...”) il cui unico scopo è quello di collegare episodi originariamente separati.

I nostri tre versi dovevano far parte di un racconto molto più dettagliato e importante del matrimonio mistico richiesto ad alcuni cristiani. Ma il manipolatore di Luca respinse questa storia per ragioni dottrinali, non senza copiare i versi che preservavano una frase del Signore.

Per provocare questa dichiarazione di Gesù, una domanda gli viene posta dagli scribi e dai farisei; Marco aggiunge (2:18) i discepoli di Giovanni; Matteo (9:14) conosce solo i discepoli di Giovanni a cui egli voleva offrire un ruolo; la loro presenza è insolita in questa storia perché, qualunque siano coloro che pongono la domanda, è solo questione di sapere perché — siccome i discepoli di Giovanni e quelli dei farisei digiunano e pregano — quelli di Gesù mangiano e bevono. A prima vista, la domanda è sorprendente perché, se si leggono gli Atti degli Apostoli (13:2-3 e 14:23), si potrebbe pensare che i primi cristiani praticassero il digiuno frequentemente.

Si noterà che l'obiezione rivolta a Gesù richiama due risposte contraddittorie da parte sua:

1) “Verrà il tempo in cui lo sposo gli sarà portato via, allora faranno digiuno” cioè il digiuno avrà luogo dopo la morte di Gesù (verso 34);

2) “E nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi” (verso 37), il che significa che il digiuno è un'istituzione obsoleta, incompatibile con il nuovo regime recato da Cristo. Quelle due risposte non derivano dagli stessi contesti; solo il secondo è marcionita.

Tuttavia, la prima risposta di Gesù ha un significato su uno sfondo gnostico: “Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro?”, che equivale a dire “possiamo digiunare durante un matrimonio?” Apprendiamo che è in occasione di un matrimonio che Gesù è messo in discussione. Ora, nel Vangelo di Tommaso (104), la risposta di Gesù è ancora più sorprendente: “Quale peccato ho commesso, [10] o di quale impurità mi sono macchiato? Piuttosto, quando lo sposo lascia la camera nuziale, allora lasciate che la gente digiuni e preghi!” Una spiegazione diversa da quella trovata nei sinottici e in Marcione (“Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno”).

La spiegazione di questo episodio è fornita dal Vangelo secondo Filippo. Possiamo leggere che il mistero del matrimonio è grande e che dobbiamo considerarlo solo pura amicizia. È solo per gli spiriti impuri che ci sono maschi e femmine (è l'errore degli ebrei e del loro dio); per gli altri, si tratta del compagno e della compagna. Quando Eva era in Adamo, la morte non esisteva; non si manifestò finché Eva si separò da Adamo. “La camera nuziale non è per le bestie, né per gli schiavi, né per le donne già possedute, ma è per gli uomini liberi e per le vergini”. Il battesimo, che comporta la resurrezione, è il riscatto dell'ingresso alla camera nuziale.

Cristo venne a riunire di nuovo Eva con Adamo; era il dio degli ebrei che li separò e consentì così la condanna della fornicazione (1 Corinzi 6:18). La donna unita al marito nella camera nuziale non sarà mai separata, proprio come il Padre era nel Figlio e il Figlio nel Padre; ma è una pura unione spirituale di vergini, e questa unione è celeste, non sulla terra. Questo matrimonio è un mistero; i due esseri uniti diventano una sola anima. Negli Atti di Tommaso, l'inno del banchetto di nozze glorifica l'unione dell'anima e della sapienza.

È molto più lontano di Luca (20:34) che spiegherà questo mistero: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio”. Qui siamo in pieno marcionismo. Si veda anche Marco 12:25. È necessario praticare l'astinenza sulla terra per poter raggiungere in cielo l'anima scelta.

Nel Vangelo di Tommaso, Gesù dice ai suoi discepoli che essi entreranno nel Regno quando hanno fatto uno solo il maschio e la femmina. L'idea è trovata in Giovanni 17:20, 21: “Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola”. Allo stesso modo, in Galati 3:28 “Non c'è né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Citazioni di questo tipo si potrebbero moltiplicare [11].

Anche altri passi nelle scritture cristiane possono dirci su questo mistero del matrimonio mistico. Per esempio, cosa fa Cristo a Cana (Giovanni 2:1)? “Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono»”. Ora comprendiamo il motivo per cui venne invitato il Gesù ebraico. È il marito ebreo per eccellenza, è lo sposo che preservò il buon vino degli ebrei. Dimentichiamo che Cristo è il padrone atteso dalle persone al suo ritorno dal matrimonio (Luca 12:36), lo sposo a cui vengono le vergini (Matteo 25:1), l'amico del marito di cui parla Giovanni in 3:29; è ancora di lui che ci si interroga in Matteo 22:2 Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio, paragone che completa quello già dato in Matteo 25:1.

Cambiando l'acqua in vino, Gesù modifica una tradizione, una dottrina. Trasforma l'eucarestia marcionita la cui acqua diventa un prodotto del vino, questo vino che appartiene (secondo la Didaché) alla setta messianica dei figli di Davide. Al matrimonio mistico delle vergini che si consacrano a Dio, il Gesù terreno oppone a un matrimonio di carne, sangue e buon vino. Siamo lontani dal pensiero marcionita; l'Evangelion probabilmente non si riferiva al vino o alla vigna perché non contiene alcuno dei versi di Luca in cui li si menziona (13:6.7, 20:10, 13, 15, 22:18).

Paolo dichiara in 2 Corinzi 11:2: “vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo”.

Leggiamo negli Atti di Giovanni “Unitevi miei figli in un matrimonio inscindibile, santo e verace, in attesa del solo e incomparabile sposo del cielo, Cristo, sposo eterno”. E Giovanni esclama: “Tu mi hai custodito fino a quest'ora per te, intatto da qualsiasi contatto, con donna, tu mi sei apparso in gioventù, allorché mi volevo sposare, e mi hai detto: «Io ho bisogno di te, Giovanni!», tu precedentemente mi avevi preparato una debolezza corporea; quand'io per la terza volta volevo sposarmi, tu mi hai subito ostacolato e poi all'ora terza del giorno mi hai detto, presso il mare: «Se tu, Giovanni, non fossi mio, ti avrei concesso di sposarti»; tu per due anni mi hai accecato affinché mi rattristassi e ti desiderassi; tu nel terzo anno mi hai aperto gli occhi della mente e mi hai ridato gli occhi visibili; come oggi posso constatare, tu mi hai descritto come qualcosa di ripugnante l'attenta contemplazione di una donna; tu mi hai liberato dalla visione temporale e mi hai condotto alla vita che dura per sempre; tu mi hai separato dalla contaminata follia della carne ... ”.

Negli Atti di Paolo: “Benedici i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio. Beati quelli che custodiscono casta la carne, poiché essi diverranno tempio di Dio. Beati i continenti, perché Dio si intratterrà con essi. Beati quelli che hanno rinunciato a questo mondo, ... poiché essi saranno graditi a Dio”.

In Luca 23:29: “Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato!” Questo verso non si trova nell'Evangelion; è da confrontare con il nostro commento dei versi 11:27-29.

Questi esempi suggeriscono che un episodio marcionita sul matrimonio spirituale è stato ampiamente modificato dal correttore di Luca e dell'Evangelion. Questo permise a Tertulliano di affermare (Contra Marcionem, 11) che in quei versi c'era il suo Cristo umano e non quello di Marcione; egli si stava ingannando pesantemente per quanto riguarda il testo originale.

SCEGLIE DODICI APOSTOLI (Luca 6:12-19)

A questo passo di Luca corrispondono i versi 10:1-4 di Matteo e 3:14-19 di Marco. Abbiamo l'equivalente di questa storia in Marcione, ma non è certo che questa allusione ai “Dodici” provenga da lui, e perfino che sia originale nei vangeli canonici [12].

Gli Apostoli.

Al singolare, il titolo di apostolo era quello di san Paolo. Al plurale, appare solo una dozzina di volte nei vangeli in passi dubbi, mentre il termine “discepolo” appare più di 230 volte. Tutto accade come se gli apostoli fossero venuti a introdursi in testi a conoscenza solo dei discepoli.

Si legge in Luca 6:13 “chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli ...”. Ciò dimostra che l'editore del brano sapeva che c'erano altri apostoli prima di quelli da lui introdotti nel testo. Si noti anche che la parola “apostoli” costituisce un anacronismo in questo punto (Marco la usa in seguito in 6:7, 30), e che fu in uso solo una volta stabilita la Chiesa, cioè al più presto nella seconda metà del secondo secolo.

Matteo menziona gli apostoli solo una volta, che potrebbe sembrare sorprendente; dopo aver parlato dei discepoli (10:1a), egli immediatamente dà i nomi dei dodici apostoli. Nei versi corrispondenti, Marco non conosce i discepoli al pari degli apostoli, ma cita i “Dodici”, una parola che poteva essere utilizzata solo quando diventò consueto usare questo termine per designare gli apostoli costituiti dalla comunità la cui fondazione fu attribuita a Cristo. Marco parla degli apostoli solo una volta, in 6:30.

Nel racconto primitivo Gesù si circondò di discepoli; quei discepoli divennero apostoli sotto la penna degli scribi giudeo-cristiani; allora dodici sono scelti, senza dubbio per ragioni simboliche; quei dodici apostoli divennero “i Dodici”; finalmente, ne offriamo i nomi. Giovanni, che menziona i Dodici, non li elenca.

Esaminando la storia di Marco (3:13-19), H. Pernot si dichiara [13] colpito da “l'irregolarità della sintassi, più evidente in greco che in francese. Quelli sono pezzi messi assieme. Non c'è nessuna scelta dei Dodici nel vangelo di Marco”. Egli osserva, in Matteo (10:1) che “non c'era alcuna menzione di quei Dodici”, e in Luca (6:13-19) che l'elenco dei Dodici costituisce un'“aggiunta”.

Perciò si tratta probabilmente di un'interpolazione nei tre sinottici e in Marcione, un'interpolazione che fu a sua volta ritoccata in seguito, perché Marcione è l'unico a dire che Gesù pregò e che suo Padre lo ascoltò.

Si noterà anche che questo inserimento non è nello stesso punto dei vangeli. In Luca, esse segue l'episodio della mano paralitica e precede il “Sermone nella Pianura”; in Marco, viene dopo un ritiro di Gesù dal lago e prima dell'allusione a Belzebù, che si troverà solo dopo in Luca (11:15); in Matteo, esso sostituisce la storia della guarigione dell'indemoniato e si trova prima di un viaggio di Gesù attraverso la Galilea. La cosa fondamentale per i correttori era quella di mettere la scelta dei Dodici da qualche parte nei vangeli; li mettono ovunque, ma il risultato è ottenuto che essi si trovano là.

Marco, seguendo la scelta dei Dodici (3:14) non contiene le “Beatitudini” che dà Luca, il che suggerisce che le due storie hanno un'origine diversa e furono raccolte in Luca. Dichiarazione confermata da Matteo (5:1 ...). Quando Gesù recita ai suoi discepoli le “Beatitudini”, la scelta degli apostoli non vi è associata; per trovarla si dovranno leggere altri cinque capitoli, cioè raggiungere 10:2.

Ora, se accettiamo di vedere che il verso 6:20 di Luca-Marcione (le Beatitudini) sia la continuazione del verso 13a (chiamata dei discepoli) — situazione che corrisponde esattamente a quella fornita dal testo di Matteo — dobbiamo concludere che 1 versi 13b-19, che includono la scelta degli apostoli e l'arrivo di una folla da Gerusalemme, Tiro e Sidone, erano assenti dal testo originale dell'Evangelion.

ESSERE BUONO (Luca 6:27-38)

L'origine marcionita di quei precetti di bontà è più che probabile; Matteo li modificò leggermente mentre Luca li stava espandendo. Alcune modifiche sono interessanti. Così, i versi 32 e 33 di Luca evocano i peccatori; ora Matteo usa in un caso la parola “pubblicano”, nell'altro la parola “pagani”. Marcione scrive in 32 i “pagani”. (Si veda il nostro commento di cui sopra in Luca 5:27-32.)

L'Evangelion, come Matteo, non conosce il verso 33, ma leggiamo il verso 34, che si riferisce ai gentili (che Luca trasforma in peccatori) e che non è in Matteo. Nel verso 35, i “figli di Dio” sono giudaizzati in Luca; essi diventano “figli dell'Altissimo”. Tuttavia, Matteo sostituirà “perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” con “egli fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni”, in modo da sostituire il creatore dell'universo al dio buono dei marcioniti.

La bontà riservata ai cristiani è simboleggiata dalla gentilezza del latte e del miele che essi ricevono quando si convertono al marcionismo. I versi 27b e 35 ripetono ciascuno la frase “amate i vostri nemici, fate del bene”. Indicano un riutilizzo dopo l'inserimento?

Le esortazioni alla carità (versi 27, 28, 31) sono dati alla seconda persona plurale, l'esortazione alla pazienza alla seconda persona singolare (versi 29, 30); quei versi sembrano essere stati aggiunti ad altre. Secondo Tertulliano, Marcione avrebbe aggiunto dopo il  verso 28 i versi 5:38 e 39 di Matteo che né Luca né Marcione contengono, cioè il ricordo della celebre massima ebraica “occhio per occhio, dente per dente”. È facile vedere che questo aspetto non può provenire da Marcione.

LA FEDE DI UN PAGANO (Luca 7:2-10)

Questa storia dice di Gesù che guarisce un servo del centurione. La scena si situa a Cafarnao, ma il verso che la descrive in Luca è scomparso dall'Evangelion; sopravvisse in Matteo 8:5. Marcione ignora Luca da 3 a 6 al pari di Matteo, e scopriamo così una nuova correzione giudeo-cristiana del testo di Luca. Un manipolatore del testo introdusse in un episodio puramente pagano gli Antichi degli ebrei per farli recitare un ruolo e neutralizzare il verso 9 dove Gesù dichiara di non aver trovato “una fede così grande in Israele”. La critica di Gesù era tanto più grave perché l'esempio scelto non riguardava un qualunque pagano, ma un ufficiale dell'esercito romano.


L'episodio potrebbe aver insegnato qualcos'altro, che spiegherebbe perché era così sovversivo. I versi 8-9 sono una digressione inutile. In ogni caso, tutto è riassunto in quattro versi da Matteo 8:5, 6, 8b, 13.

GESÙ E GIOVANNI BATTISTA (Luca 7:18-28)

Qui abbiamo un interessante esempio della “corruzione” dei testi in Marcione. Costui ignorò o respinse Giovanni il Battista, egli non è certamente l'autore di questo passo.


Matteo non offre i versi 20 e 21 di Luca che sono un'espansione inutile; Marcione nemmeno. Quest'ultimo non contiene il verso 25 di Luca il quale, preceduto e seguito dalle stesse parole (“Che cosa siete andati a vedere?”), è rivelato come un'interpolazione, sia in Matteo che in Luca.

Nel verso 19, Luca manda i discepoli di Giovanni al Signore; secondo Marcione è a Cristo che si rivolgono. In ogni caso, le parole e le azioni di questo Gesù non corrispondono alla figura terribile che Giovanni Battista annuncia in Luca 3:16-17 e Matteo 3:11-12.

Matteo inizia la sua storia (11:2-6) dicendoci che Giovanni era in prigione e aveva sentito parlare dell'attività di Cristo. Luca non dice che Giovanni fosse in prigione, ma sa che egli venne informato dai suoi discepoli sulle opere di Cristo; ma, come abbiamo suggerito altrove, Giovanni è in prigione negli Inferi dove egli sta aspettando la liberazione, invano, senza dubbio, perché Cristo non liberò i profeti dell'Antica Legge.

Nel testo marcionita (che è certamente posteriore e corretto), l'episodio diventò storico; Giovanni è scandalizzato dai miracoli di Cristo [14], senza dubbio perché non riguardano il dio degli ebrei. Secondo Origene (Commento al Vangelo di Giovanni, 1:82), “Giovanni appartiene ad un altro dio, egli è l'uomo del creatore e ignora il nuovo dio”. Possiamo solo trovare logica la risposta di Gesù nel verso 23 “Beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” Gesù indirettamente incolpa Giovanni. D'altra parte, questo verso, seppure modificato, non è comprensibile in Luca e Matteo i quali hanno soppresso l'irritazione del Battista. È pure sorprendente che Giovanni, se lui è indignato, invia i suoi discepoli a Cristo non per rimproverarlo, ma per chiedergli se egli sia il vero Cristo quando egli dovrebbe averlo saputo se lo aveva veramente battezzato. 

Diversi concetti si intrecciano qui: l'opposizione dei discepoli di Giovanni a Cristo, l'attesa febbrile di Giovanni il Battista, l'affermazione dei miracoli — come vedremo — il giudizio di Gesù su Giovanni.

Un altro significato è da notare nel testo marcionita mentre Luca e Matteo scrivono “i lebbrosi vengono sanati, i morti risuscitano”, Marcione fa dire a Gesù “Io sano i loro lebbrosi, io resuscito i loro morti” e non menziona gli storpi, i sordi e i poveri che citano i due sinottici; quelli hanno completato Marcione traendo ispirazione da Isaia, anche se la guarigione dei lebbrosi e la resurrezione dei morti non sono annunciati da questo profeta.

Nel frattempo, va ricordato che nel testo mandeo Ginza, la stessa serie di miracoli, tra cui quelli che i vangeli non copiano da Isaia, sono associati alla venuta del celeste Enos Uthra; potrebbe suggerire che in alcune sette gnostiche la discesa sulla terra dell'atteso essere divino doveva essere accompagnata da miracoli.

In Luca 7:24 inizia la storia che presenta la testimonianza di Gesù su Giovanni il Battista, ma questa testimonianza è piuttosto ambigua. Sebbene presentato più tardi come l'ultimo della linea dei profeti, Giovanni è qui più di un profeta e non c'è nessuno più grande di lui tra gli uomini; però, egli è inferiore nel Regno di Dio al più piccolo degli eletti.

Matteo potrebbe aver aggiunto un verso a suggerire che Giovanni è un'incarnazione di Elia. Noi vediamo due opinioni in lotta sul suo conto. L'aggiunta di Elia nel solo testo di Matteo (11:14-15) suggerisce che i riferimenti al profeta in Luca (1:17, 4:25, 26, 9:8, 30) e in Marcione ( 9/8, 30) non sono originali. Giovanni è ebreo, egli è della terra, Gesù è dal cielo (Genesi 3:31, 8:23, 24). C'è un'incompatibilità tra quei due personaggi nonostante gli sforzi compiuti in seguito per legarli a vicenda.

Marcione ignora come Matteo i versi 7:20, 21, 19, 30 di Luca; ma Matteo possiede i versi 31-35 che sono assenti dal testo di Marcione e Marco e che celebrano Giovanni e il Figlio dell'Uomo.

ASSOLVE UNA PROSTITUTA (Luca 7:36-50)


Questa pericope ha quindici versi in Luca e solo nove in Marcione; quelle due relazioni sono varianti delle storie di Marco 14:3-9, Matteo 26:6 e Giovanni 12:1. La storia è completamente distorta in Luca; contiene due storie: quella del peccatore perdonato, quello dell'unzione. La parabola dei versi 40b:44a appartiene ad uno strato letterario diverso dal resto della storia.


Come detta a noi, la scena non ha alcuna probabilità. L'atteggiamento di questo fariseo che invita Gesù alla sua tavola e trascura i riti dell'ospitalità, il rimprovero di Gesù al suo ospite possono solo sorprendere.

Il testo fu rielaborato perché il senso più profondo dell'episodio non potesse essere più capito. La donna procede con l'unzione perché ama Gesù ed è secondo il suo amore (47a) e la sua fede (50) che lei viene perdonata. Al contrario, nella parabola dei due debitori (40-43), l'amore non è più la condizione del perdono, ma la sua conseguenza; Gesù è amato solo in proporzione alla grazia che dà, il che suggerisce che l'amore della donna sopraggiunge solo dopo il perdono. Questa antitesi è ben marcata dall'opposizione delle due frasi che costituiscono il verso 47.

Marcione sa solo l'idea di amore ricambiato e ignora la sordida interpretazione di 40b.44a (storia di un creditore e del suo debitore) e 471, versi che sono ovviamente un'interpolazione in Luca. Marcione non ammette che si possa dubitare che l'amore sia una riabilitazione del peccatore, e il suo testo non contiene il verso 49 secondo cui le persone possono essere sorprese da una simile remissione dei peccati.

In realtà, la base della narrazione originaria doveva sopportare l'unzione del corpo di Gesù; essa doveva legarsi direttamente all'episodio di Marta e di Maria (Luca 10:38-42) e delle donne alla tomba (Luca 23:35-24). Si veda il nostro commento su Luca 23:50-56. C'è, alla base di questa unzione come di quella di Betania, un modello simile: Gesù è invitato ad un pasto, una donna viene a ungere un profumo, l'ospite fariseo si chiama Simone.

Per Luca, questo Simone è fariseo di Samaria e la donna è “una peccatrice”, ma, per Marco e Matteo, Simone è un lebbroso che vive a Betania. Questa storia non è di origine ebraica. Mentre un greco o un siriano era abituato ad associare donne a certi riti, un ebreo non l'avrebbe tollerato, soprattutto se si fosse trattato di un lebbroso.

Se consultiamo gli altri evangelisti, ci rendiamo conto che — nel corso degli eventi — questo episodio si dovrebbe situare nel testo molto più avanti. La storia descrive la scena dell'unzione del corpo di Gesù in vista della sua resurrezione; la donna piange perché è un morto che unge ed è il dio ritualmente morto ma eternamente vivo che le parla. Matteo (26:12) fa dire a Gesù “versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura”, che Marco conferma in 14:8. Probabilmente è un residuo pagano di un mito di resurrezione. San Paolo conosceva un battesimo dei morti.

La scena è mistica, rituale. Gli evangelisti vollero “storicizzarla”; possiamo, nei nostri testi, seguire questa progressiva trasformazione di un mito in una narrazione storica. Luca non dà né il nome del luogo, né quello della donna che lui semplicemente designa una peccatrice, una parola che può significare “pagana” o “gnostica”, dato che la donna rappresenta una setta religiosa. Tuttavia, Marco (14) e Giovanni (12) credono di poter specificare che la scena si svolge a Betania nella casa di Simone detto il “lebbroso”, probabilmente perché appartiene a una setta “eretica”. Infine, il Quarto Vangelo è in grado di darci il nome della donna; il suo nome è Maria.

Possiamo vedere in questo episodio la memoria del sacerdozio conferito a una profetessa che praticava un rito che i nuovi discepoli di Gesù non capirono oppure non ammisero più?

DONNE DEVOTE A GESÙ (Luca 8:2-3)


Questo passo, isolato, è comune a Marcione e Luca, ma non ha parallelo negli altri vangeli.


Un correttore aggiunse al verso 1 di Luca: “i Dodici”.

Impariamo che donne ricche si uniscono a Cristo; tre nomi sono menzionati ma ci viene detto che c'erano “molte altre”. Non ci si può sorprendere perché nella chiesa marcionita i vescovi erano spesso accompagnati da donne e le prime comunità cristiane comprendevano diaconesse, una tradizione che la Chiesa ha abbandonato.

Una di quelle donne si chiamava Maria Maddalena; lei probabilmente si identifica con quella che abbiamo appena visto praticare “un'estrema unzione” su Gesù e con la gnostica Maria Maddalena che di solito parlava con Gesù.

Il verso 8:2 ci dice che quelle donne che seguirono Gesù “erano state guarite da spiriti maligni e infermità”, cioè erano esorcizzate e convertite al giudeo-cristianesimo. Così Maria Maddalena era stata liberata da sette demoni; non sarebbero essi i “peccati” di cui sarebbe stata gravata attraversando (provenendo dal cielo del dio buono) i cieli del dio creatore per venire sulla terra? L'idea sarebbe gnostica. Maria Maddalena è come Elena, la compagna di Simone “il mago”.

L'allusione alla moglie di un amministratore di Erode non è di Marcione; il suo scopo è solo quello di chiarire un po' più il quadro storico in cui i correttori giudeo-cristiani stanno imprigionando il mito gnostico.


Le donne erano parte integrante delle comunità marcionite. Plinio, nella sua Decima Epistola, parla delle diaconesse delle chiese di Bitinia; Paolo, nella sua epistola ai Romani (16:1), raccomanda Febe, diaconessa della Chiesa di Cencrea; secondo San Giovanni, Gesù parlò alla donna Samaritana, fatto che stupì parecchio i suoi discepoli (Giovanni 4:27); le donne che seguivano Gesù frequentavano gli Apostoli con i loro beni e furono incaricate di alcune missioni, compreso il battesimo, che potrebbe spiegare perché né Cristo né San Paolo e i suoi discepoli battezzavano.

Il ruolo delle donne nei nostri vangeli è particolarmente evidente nella morte e nella resurrezione di Gesù e di Lazzaro; senza dubbio amministravano il battesimo per la resurrezione dei morti di cui parla San Paolo (Romani 6:2-6, 1 Corinzi 15:26-29) e che praticavano i marcioniti e i mandei. Luca allude in 12:49-50 a questo battesimo di morte.

I SOLI PARENTI DI GESÙ (Luca 8:19-21)

Il Cristo di Marcione non aveva né madre né fratelli; scendendo dal cielo, non aveva alcuna relazione terrena; qui egli respinge ciò che si vuole attribuirgli.


Discutendo il passo di Luca, Apelle scrisse: “È per tentare Gesù che essi annunciano la presenza di una madre e fratelli che egli non avrebbe potuto avere”. Ed Efrem “Lo tentarono con quelle parole per sapere se fosse nato o meno”.

Secondo Marco e Matteo, Gesù chiede: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Per lui sua madre e i suoi fratelli sono i suoi discepoli e, inoltre, in Luca (11:28 e 23:29) egli respingerà una nascita umana.

CHI È GESÙ? (Luca 9:7-9)

Questo passo è un'inserzione che interrompe la storia circa la missione dei Dodici.


Luca (come Marco) venne espanso dai versi 8-9 che Matteo non conosce e che mira a rendere Cristo e Giovanni reincarnazioni di Elia. Si veda anche Luca 1:17, 4:25, 9:30.

Marcione non contiene i versi 9-10. Il suo testo non indica Erode come Tetrarca, come fanno Luca e Matteo, ma egli è d'accordo con Marco, che ignora questo titolo.

L'Evangelion è il solo contro i tre sinottici ad insegnarci che tutti chiamavano Gesù “Cristo”, ma il suo goffo correttore ha lasciato la frase “alcuni dicono .. Giovanni altri poi Elia, e altri uno dei profeti” che è impossibile se tutti chiamavano “Cristo” Gesù.

Marcione non poteva concepire la reincarnazione di un profeta in Gesù. Di questo racconto, Matteo e Marco diedero una continuazione piuttosto lunga; i correttori aggiunsero al primo dieci versi e al secondo quindici per raccontare la storia famosa di Erodiade e della testa del Battista portata su un piatto. Marcione e Luca non conoscono questa storia.

MOLTIPLICAZIONE DEI PANI E DEI PESCI (Luca 9:11-17)

Mentre Luca (che aveva appena parlato degli apostoli nel verso 10) manda in scena i “Dodici” nel verso 12, e quelli successivamente passarono nel testo marcionita, Marco e Matteo parlano solo di “discepoli”. Il testo di Luca non è stato corretto nel verso 14a poiché menziona i discepoli e non i Dodici. Allo stesso modo, nel verso 16, Marcione parla dei discepoli, non dei Dodici, che (come già abbiamo visto) costituiscono un contributo secondario al testo primitivo.


Allo stesso tempo, Marco, che parla degli Apostoli in 6:30, li dimentica nei versi 35 e 41 per menzionare i discepoli; in questo episodio, Matteo conosce solo i discepoli.

Tutti sanno che i vangeli di Marco e Matteo offrono due racconti dei pani: un lungo racconto (Marco 6:36-46; Matteo 14:15-23), che prende come punto di partenza il miracolo dei cinque pani, e una breve storia (Marco 8:1-10, Matteo 15:32.39) che menziona sette pani. Un'altra differenza: la prima storia parla di dodici ceste di resti mentre il secondo conta solo sette.

È evidente che quelle due storie sono duplicate; l'una è la copia dell'altra e serve solo a cambiare il numero dei pani che, al pari di quello delle ceste, è  simbolico. La storia di Marco 6 illustra probabilmente la presentazione del vangelo agli ebrei, attraverso i dodici apostoli, quella di Marco 8, l'apparizione della salvezza ai gentili, grazie ai sette diaconi ellenistici.

Sorge inevitabile una domanda: qual è la storia che precedeva cronologicamente l'altra? In altre parole, è il primo redattore colui che riservò agli ebrei questo prototipo della cena cristiana oppure, al contrario, quello che lo destinò ai gentili?

La ripetizione del miracolo è inconcepibile; se fosse già accaduto una volta, i discepoli avrebbero ricordato e non avrebbero posto la domanda “Dove potremmo procurarci, in un luogo deserto, abbastanza pane per sfamare una folla così grande?”. Chi sistemò il miracolo di Marco 8:4 (Matteo 15:33) sembra ignorare il miracolo simile di Marco 6 e Matteo 14.

A prima vista, la raffigurazione di 12 ceste (Marco 6, Matteo 14) opposta a quella delle 7 ceste (Marco 8, Matteo 15) sembra sospetta; corrisponde a quella dei 12 apostoli che, come abbiamo visto, sono intrusi nella narrazione. D'altra parte, l'uso di  parole differenti in greco per designare le ceste alla fine dell'episodio (Marco 6, Matteo 14) ci invita ad ammettere l'esistenza di due autori successivi perché non vediamo il motivo che avrebbe potuto condurre il primo autore a cambiare vocabolario da un capitolo all'altro. Va notato allo stesso tempo che il numero 7 (di pani e ceste) è quello dei diaconi che servono i pasti cristiani secondo Atti 6:3 e che qui è perfettamente giustificato.

Ricorderemo anche che la moltiplicazione dei pani rappresentati sui vecchi monumenti è sempre la seconda con le sue sette ceste, mentre la prima, quella dei dodici, è sconosciuta all'antica arte cristiana. Nelle catacombe di Roma, la rappresentazione del banchetto eucaristico invariabilmente coinvolge sette uomini seduti davanti a pani e pesci.

La priorità in Marco e Matteo della seconda storia (quella dei sette pani) è pertanto molto probabile, dato che allora la storia di Marco 6 e Matteo 14 è da considerarsi un'aggiunta. Ora dobbiamo esaminare come questo episodio si presenta nel vangelo di Luca e nell'Evangelion di Marcione.

La situazione qui è molto chiara: Luca e Marcione ignorano la moltiplicazione di Marco 8:4 e Matteo 15:32 il quale, secondo la nostra ipotesi, è cronologicamente il primo; essi conoscono solo il secondo, cioè la storia di Marco 6 e Matteo 14, che è solo un doppione.

Arriviamo quindi a supporre che il testo di Luca e Marcione fosse stato espanso da questa seconda storia quando essa si svolse in Marco e Matteo che già avevano avuto la prima versione dell'episodio.

In Marcione, i versi 9:7-17 si presentano come una sintesi del testo di Luca; Marcione non è certo l'autore perché egli non ammette Elia, Erode, Giovanni Battista, Pietro, il Figlio dell'Uomo; tutti quei personaggi erano fuori dal suo campo visivo.

Se paragoniamo i versi 16:9 e 10 di Matteo o Marco 8:19 con il testo di Luca, notiamo che quei due evangelisti richiamano in quei passi i due miracoli dei pani mentre Luca non ne dà una parola, che tende a confermare che egli non li conobbe.

Contrariamente all'istituzione dell'ultima cena di pane e di vino, il pasto della regione a base di pane e pesce (un altro prototipo dell'Eucaristia) riguarda una folla e non solo pochi discepoli; non si fa allusione alla morte e alla resurrezione di Cristo. Questo è un rito diverso.

Quali erano gli elementi dell'Eucaristia simboleggiati dal miracolo dei pani? A leggere i testi, dovremmo rispondere “pani e pesci”, ma possiamo seriamente dubitare della presenza dei pesci all'origine di questa comunione?

Essi sono effettivamente inseriti nel testo in modo così goffo che sembrano essere stati aggiunti ad esso. Ad esempio:
- in Matteo 15:34 e 36 quando non appaiono nei versi paralleli di Marco 8:5 e 6; un correttore ha dovuto inserire un verso 7 per menzionarli;
- in Matteo 14:19 e Marco 6:41 dove i pesci, prima menzionati, non sono distribuiti alla folla; solo i pani sono spezzati, ma qui uno scriba ha ritenuto di nuovo necessario modificare il verso di Marco per citare i pesci assenti dal testo originale;
- in Marco 6:38, dove la domanda “Quanti pani avete?” ignora i pesci, che non impedirà loro di essere presenti nella risposta;
- Matteo, Luca e Giovanni scrivono che c'erano sette o dodici ceste di pani; nessun riferimento ai pesci. Un copista rimediò a questa “svista” con l'aggiunta dei pesci nel verso 6:43 di Marco, senza notare che il verso 44 parlò di “coloro che avevano mangiato i pani” e rimaneva silente sui pesci;
- Se possiamo ben vedere Gesù che spezza il pane, possiamo quasi immaginarlo mentre divide il pesce; si potrebbe sostenere che il pesce fosse già preparato, senza spine e perfino fritto, e che il miracolo fosse circa il cibo cotto sommariamente, ma sarebbe equivalente ad andare imprudentemente molto al di là dei nostri testi.

Di conseguenza, riteniamo che l'introduzione del pesce nel miracolo dei pani è quasi certa e anche che sia stata graduale: da un pesce si passò  a pochi pesciolini, e si specificò il numero due. Gli evangelisti non ci dicono quanti il miracolo ne avesse prodotto o quanti ne fosse rimasto nelle ceste.

Possiamo supporre che l'inserimento nella storia del miracolo dei sette pani  potrebbe essere stato una risposta al nuovo resoconto evangelico dell'Ultima Cena apparso in alcuni manoscritti. Il banchetto collettivo servito dai sette diaconi si opponeva quindi al pasto intimo riservato ai dodici apostoli ebrei, il pane celeste al pane celeste collegato alla coppa di vino, una semplice benedizione alle parole della consacrazione, una comunione senza sacrificio al memoriale di una crocifissione. D'altra parte, era risaputo che, secondo la Bibbia ebraica, Eliseo aveva moltiplicato venti pani d'orzo e saziato cento persone; non era attraente e opportuno dimostrare agli ebrei che Cristo aveva fatto molto meglio, poiché con solo cinque pani aveva saziato 5.000 persone? La reazione giudeo-cristiana sarebbe consistita nel comporre un secondo racconto del miracolo [15] (Da confrontare con il nostro commento su Luca 5:1-11, si veda sopra).

COME SEGUIRE GESÙ (Luca 9:23, 24, 26)

Il verso 23 ci porge una rivelazione interessante. Gesù, che è lontano dal pensiero della sua futura Passione, dichiara che, per diventare suo discepolo, bisogna portare quotidianamente la propria croce e seguirla; qui, questa croce non è certamente il simbolo della crocifissione. Luca riproduce il testo, ma Marco e Matteo dimenticano “ogni giorno”, un'espressione che rifiuta qualsiasi idea di una crocifissione storica. Oggi, la maggior parte dei cristiani immagina che il segno della croce commemori la crocifissione di Gesù; essi sono nell'errore più completo; originariamente, la croce era il simbolo della vittoria di Cristo sulle forze del male. Per molti cristiani è rimasta un simbolo e un segno magico. Per Marcione, la croce era certamente un ricordo del Cristo celeste e del suo trionfo sul dio ebraico di questo mondo.



TRANSFIGURAZIONE (Luca 9:28-36)

Il testo marcionita parla di tre discepoli senza dare i loro nomi; i sinottici pensano di conoscerli e di aggiungerli.


I versi 31, 32, 33 mancano dal testo di Marco e Matteo; se Marcione contiene i versi 30, 32, 33, tuttavia, è perché sono stati aggiunti ad esso. Il verso 31 è un'aggiunta successiva nel testo di Luca.

In Luca, l'apostolo Giovanni viene nominato due volte prima di Giacomo (8:51 e 9:28). Marcione non conosce questa storia. D'altra parte, l'ordine tradizionale è seguito negli altri passi 5:20, 6:14, 9:54 di cui il primo non figura in Marcione. In Luca c'è dualità di fonti; Marcione è stato completato solo dalla più antica.

Ci sembra che sia possibile dividere la storia in più episodi:

1° SULLA MONTAGNA:

28/ Gesù va alla sua montagna

34/ Irrompe una voce e i discepoli hanno paura.

35/ Dalla nuvola fuoriesce una voce: “Questo è il mio figlio amato” e Gesù dice “Non abbiate paura!” La voce della nuvola è quella che pronunciò le stesse parole al battesimo d'acqua dato da Giovanni Battista secondo i sinottici; questa scena battesimale è inoltre estranea all'Evangelion il cui testo cominciava in 4:31.

2° LA TRANSFIGURAZIONE:

Questo episodio è ridotto al verso 29 dell'Evangelion, non ha nulla a che fare con ciò che lo precede e ciò che lo segue; non è necessario per la preghiera o per l'apparizione di Mosè e di Elia. Questa trasfigurazione di Cristo appare sorprendentemente simile alla cremazione di un corpo: “il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” specificano Matteo (17:2), Marco (9:3) e Luca (9:29), ma possiamo  vedere nei versi 29 e 34a anche i resti di una storia sull'ascensione al cielo del Gesù gnostico nella sua veste di luce.


3° MOSÈ ED ELIA:

L'apparizione di quei due personaggi è dovuta ad un'interpolazione nei tre sinottici; comprende, in Marcione e Luca, i versi da 30 a 33a. La fine della storia circa Elia trovata in Marco (9:9-13) e Matteo (17:9-13) non esiste nel testo di Luca.


Si osserverà che Luca, nel verso 30, presenta in un primo momento solo due uomini di cui egli parlerà di nuovo nel verso 32. La spiegazione di 30b-31 (“erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”) è una glossa posteriore; originariamente i due personaggi non venivano nominati; erano due angeli (Luca 24:4, 23; Atti 1:10); Marcione ignora il verso 31 relativo a Gerusalemme; Anche Marco e Matteo non lo conoscono.

La seconda epistola di Pietro (1:17), che allude a questo episodio, non sa che Mosè ed Elia sono associati ad esso: “quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte”.

Se, in origine, l'Evangelion non parlava di Mosè e di Elia, l'episodio potrebbe avere, comunque, una origine marcionita posteriore; esso ricorda che il Cristo spirituale abbandonò Mosè e Elia, che non ebbero niente da replicare; insegna che è Gesù che deve essere ascoltato, non i profeti ebrei. E Pietro è ancora preda della sua cecità ebraica quando propone goffamente di “fare una tenda” (= un altare) a Mosè ed Elia, così come a Gesù (9:33); la voce del cielo risponde a questa proposta assurda presentando Gesù come suo Figlio diletto, sottolineando che è solo Cristo che deve essere ascoltato, e facendo scomparire del tutto i profeti ebrei.

Quelle osservazioni ci offrono l'opportunità di ricordare che, nel vangelo di Luca, le menzioni di Elia appaiono in passi interpolati o aggiunti, specialmente in 1:17; 4:25, 26; 9:8. 19, 30, 33. Allo stesso modo, Mosè è inserito in Luca 5:14; 16:29-31 e 24:27 mentre è assente dai versi paralleli di Marco e Matteo, infine in 20:37 quando il testo marcionita non lo include.

L'episodio è seguito in Marco 9:1-9 e Matteo 17:1-9 da un commento ignorato da Luca e Marcione e secondo il quale Giovanni il Battista si identifica con Elia.

IL VILLAGGIO INOSPITALE (Luca 9:52-56)

Si ha l'impressione che il passo dal verso 52 (“mandò messaggeri davanti a sé”) sia l'inizio di un'enclave che si è conclusa in 10:1 sulla stessa espressione (“Li mandò davanti a sé in tutte le città”). Questa impressione è rafforzata dal fatto che i versi 52-56, 61-62 sono sconosciuti agli altri due sinottici, i quali, inoltre, non utilizzano la frase “davanti a sé”.


Questa idiozia è ebraica e denuncia il correttore giudeo-cristiano. Troviamo “la faccia” nel verso 51 di Luca (verso mancante dal testo marcionita) e nel verso 53. Ora, tra gli ebrei, il “volto del Signore” non ha mai designato alcun altro diverso da Dio; è sinonimo della sua presenza; vedere “il volto di Dio sulla terra” deve essere il soggetto di un favore soprannaturale. Il Gesù di quei passi è dunque, per il correttore giudeo-cristiano, l'essere divino disceso sulla terra con l'apparenza di un uomo, non un vero uomo. Egli è  chiamato “Signore” e sappiamo (51) che il tempo della sua ascensione si sta avvicinando e che egli si sta preparando, secondo Luca, ad andare a Gerusalemme; non dobbiamo capire che si tratta della Gerusalemme celeste?

In  Marcione — e in alcuni dei manoscritti di Luca — la frase “Come fece Elia” è un'aggiunta riconosciuta dalla critica cattolica.

L'Evangelion contiene Luca 52-62 ma il suo testo differisce in qualche modo. Esso non menziona i “messaggeri”, è scritto “loro”:
- non dice che essi sono responsabili della preparazione di un alloggio o di cibo (probabilmente perché il suo Cristo spirituale non ne ebbe bisogno)
- non sa che Gesù sembra andare a Gerusalemme. Per contro, esso si riferisce al profeta Elia (54) e al Figlio dell'uomo (56), personaggi di cui Luca non parla qui e sono stati a quanto pare aggiunti al testo marcionita.

Tutto il passo 52-56 è un'inserzione nell'Evangelion. Marcione non avrebbe lanciato una critica contro i soli samaritani di cui egli elogia altrove (10:33) la gentilezza; egli non avrebbe chiesto al suo Dio buono di mandare fuoco dal cielo per far soffrire e consumare gli uomini e — per la precisione — Gesù rimproverò Giacomo e Giovanni per avere un  pensiero simile.

REQUISITI DI VOCAZIONE (Luca 9:57-62)

Tre uomini vogliono seguire Gesù; la narrazione è simbolica, come dice Ireneo (Contro le eresie, 31, 25). Il primo tipo di uomo è materiale secondo la risposta “Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo”; Il secondo (classificato testo nel nostro testo) è psichico secondo la risposta: Nessuno che si volge indietro è adatto per il Regno di Dio”. Il terzo (secondo nel nostro passo) è spirituale secondo le parole lasciate che i morti ... tu va' e annuncia il Regno di Dio”.


Clemente di Alessandria ci dice (Stromata 3:4-25) che era a Filippo che Gesù disse “lascia che i morti ... tu seguimi”. Sarebbero i tre gradi di un'iniziazione cristiana. Ma la storia evangelica in sé sembra un commento da frasi separate attribuite a Gesù. Matteo (8:19-22) conosce solo due frasi e colloca l'episodio durante l'attraversamento della terra dei gadareni, mentre Luca lo mette in connessione con la partenza finale per la Galilea e la missione dei 70. Quanto a Marco egli non riproduce questo episodio.

Questo passo 57-62 fa parte dell'interpolazione che va da 9:52 a 10:1, la ripresa del testo che si svolge sulle parole “mandò avanti a sé” i messaggeri o discepoli.

SETTANTA NUOVI APOSTOLI  (Luca 10:1-20)

Questa missione dei 70 (o 72 secondo alcuni manoscritti) è sconosciuta ad altri vangeli e al resto del Nuovo Testamento; non è di ordine materiale come in 9:52, ma spirituale. Si noterà che in 9:1, Gesù aveva convocato solo i “Dodici” per mandarli a proclamare il Regno di Dio e per guarire; in 9:52, sono messaggeri che egli manda davanti a sé a preparare una dimora e un pasto; in 10:1, egli invia 70 discepoli davanti a sé per servire come precursori spirituali.


L'inventore di quei 70 potrebbe avere in mente la memoria dei 70 membri della famiglia di Giacobbe che vennero in Egitto (Genesi 46:27, Esodo 1:5) oppure i 70 anziani d'Israele che si prostrano davanti a Dio (Esodo 24:1,9 ), ma il numero 7 indica la missione tra i Gentili. Sostituendo 70 con 72, il correttore volle concentrarsi sul numero 12, simbolo delle tribù ebraiche.

Quei 70 sono inviati due a due come gli apostoli di Marco (6:7) ma essi ritornato tutti assieme (10:17) da Gesù, che segna un'incoerenza dell'editore. Inavvertitamente quei messaggeri, incaricati di un'importante missione, ritornano quasi immediatamente senza apprendere i risultati della loro attività, e si uniscono a Gesù nello stesso luogo dove lo lasciarono quando si dipartirono.

Marcione non sapeva in 9:52 dell'invio di quei messaggeri; egli aveva ragione. Ma qui non ci può essere alcuna svista o ignoranza. Un resoconto primitivo della missione tra i pagani potrebbe essere stato soppresso radicalmente.

È il “Signore” che designa gli inviati; questo titolo non si trova in Marco e Matteo come la designazione di Gesù; tuttavia, si trova in Luca 7:13, 19; 10:1; 11:3-9; 12:42; 13:15; 17:5.6; 18:6; 19:8, in storie precedenti la resurrezione. Marcione lo possiede solo in 7:13, 10:1; 13:15. I due sinottici sostituiscono il “Signore” con “Gesù”.

Marcione ignora i versi 2,3,6, 12-15, 17-20.

Matteo li conosce ma in un altro contesto e ignora i versi 7, 8, 9, 11b, 17-20; fatta eccezione per quei ultimi versi, le omissioni o le precisazioni di Marcione-Luca non hanno un significato importante.

Se l'espressione “davanti a sé” trovata in 9:52 e 10:1 segna l'inizio e la fine di un'interpolazione, come abbiamo suggerito, non ci sono più discepoli ma semplici inviati, e non c'è più alcuna questione di Gerusalemme, e neppure di Giacomo e Giovanni.

Un'altra probabile inserzione in Luca è costituita dai versi da 12 a 15 che Marcione non contiene, mentre il suo verso 16 è la naturale continuazione del verso 9, che denuncia come aggiunta in Marcione i versi 9b-11, dato che questo inizia e finisce sulla stessa frase “Il Regno di Dio è vicino”. Il verso di Luca-Marcione 10:16 “chi mi rifiuta, rifiuta anche colui che mi ha mandato” riguarda il Cristo celeste inviato sulla terra da Dio; è incompatibile con le storie della sua nascita e del suo battesimo sulla terra.

Dobbiamo ora esaminare Luca 17-18, che non si trova nell'Evangelion.

In Luca, i discepoli si rallegrano di dominare i demoni nel nome di Gesù; era più di quanto speravano perché erano stati istruiti (in 10:9) solo a guarire i malati e ad annunciare il Regno di Dio. L'esorcismo dei demoni era stato affidato solo ai Dodici (9/lui), ma il correttore pensò che non bastava. I 70 sembrano apprezzare questo dono dell'esorcismo molto più del loro successo nel proclamare il Regno.


Ora gli esorcismi avvenivano in nome di un dio, non di un uomo vivente; è pertanto al Dio Gesù che i discepoli parlano ed egli risponde loro “non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. In Marco 16:15-18, è il Gesù risorto, quindi l'essere celeste, che dà ai dodici apostoli il potere di espellere i demoni e di guarire. Un'altra allusione agli esorcismi venne data da Luca (9: 49-50); è a sua volta ignota a Marcione. E Tertulliano (Contra Marcionem 4:24) ammette che è assurdo supporre che il Cristo di Marcione potesse dare il potere di camminare sugli scorpioni e sui serpenti.

AZIONE DELLA GRAZIA DI GESÙ (Luca 10:21-22)

Due versi non aventi la stessa origine furono uniti. Il primo è un ringraziamento, il secondo un commento. Nel verso 21, è il Padre che rivela; nel verso 22, è il Figlio. Marco ignora questi versi che Matteo riproduce.

Il confronto delle parole tra Marcione e Luca mostra una notevole opposizione delle concezioni di una e dell'altra.

Il primo è rivolto al Signore del Cielo, il secondo al Signore del Cielo e della Terra, cioè al Creatore e non più al Dio buono. Tertulliano (Contra Marcionem, 4:25) lesse semplicemente “Signore del cielo”; parimenti Clemente di Alessandria (Protrettico 1:10, Pedagogo, 20 e 9, Stromati, 8:78). La priorità del testo di Marcione su quella di Luca è certa.

Il Gesù marcionita non salta di gioia sotto l'azione dello Spirito Santo perché egli è lo stesso Spirito; non ha un corpo; in nessun altro posto nel Nuovo Testamento è espressa una tale esultanza, salvo che nel racconto della nascita di Giovanni il Battista (Luca 1:44), una storia che Marcione non sapeva.

L'interesse particolare del correttore per lo Spirito Santo si manifesta non solo nei primi due capitoli di Luca ma anche nel resto del vangelo, dove lo aggiunge più volte agli altri sinottici in 4:1, 14, 18; 10:21; 11:13.

Il verso 22, che serve da commento, è tratto dalla teologia di Giovanni; paragonalo a Giovanni 3:35, 6:46, 8:19, 10:15,30, 14:9, 16:15, 17:6,10.

I versi 21 e 22 di Luca e 11:25-27 di Matteo derivano da una fonte comune.

Lo Spirito menzionato qui è diverso da quello che, in 4:1, ha già portato Gesù nel deserto e che Marcione ignora. Infatti, lo Spirito Santo è stato diviso in molti modi e — in particolare, e secondo Origene (Commento al Vangelo di Giovanni, 12, e Omelie su Geremia, 15:4) nel Vangelo degli Ebrei il Salvatore disse: “mia madre, lo Spirito santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor”, che ci avvicina ai versi di Luca 4:5-15.

LA LEGGE MOSAICA È BUONA (Luca 10:25-28)

Quella non era l'opinione di San Paolo e Marcione. Se l'episodio è di origine marcionita, dovrebbe essere letta in altro modo. Senza dubbio non era una questione della Legge; alcuni indizi (in particolare la storia di 18:18-19) ci consentono di avvicinarci al testo originale.

Non era un esperto della legge o un fariseo o scriba che interrogò Gesù; era “un uomo” o “un notabile” e gli disse: “Maestro buono, cosa devo fare per meritare la vita eterna?” Gesù gli rispose: “Perché mi chiami buono? Dio solo è buono” e non mandò il suo interlocutore a leggere la Bibbia — come indicò Luca nel verso 26 (o come corresse Marcione), fatto che è ignorato da Matteo — rispose “Ama il Signore tuo Dio ... Ama il tuo prossimo ...” Forse, come nel Vangelo di Tommaso (25): “Amate il vostro amico come voi stessi, proteggetelo come la pupilla del vostro occhio”. Il Dio buono enunciò la sua legge d'amore. Più tardi, il testo sarà stato modificato per farlo dipendere dal dio creatore degli ebrei e della legge ebraica.

Su questo passo, Origene dichiarò  (Macarius Chrysocephalus): “Quelle cose sono dette contro i discepoli di Valentino, Basilide e Marcione perché anche loro hanno quei testi nel loro vangelo”. Possiamo immaginarlo.

ESPULSIONE DEI DEMONI DI BELZEBÙ (Luca 11:14-22)

Tutta questa pericope è composita. I versi 17 e 18 sono fuori discussione. Marco, Matteo e Marcione non conoscono il verso 16. Marco ignora i versi 18b fino al 20 e 22. La risposta di Gesù ai versi 19-20 contiene un'interpolazione con una ripresa della frase “io scaccio i demoni”. Cristo riconosce che egli usa Belzebù per espellere i demoni degli ebrei.

Ora chi è questo Belzebù? È certamente necessario vedere in lui il Cosmocratore (o il principe di questo Mondo) di certi Gnostici, il capo del caos; egli viene confuso con Jahvé Sabaoth nei papiri magici. Pistis Sophia lo menziona. Secondo Ippolito, Valentino insegnò che Belzebù era “la forza della sostanza materiale e dei demoni” e che fu aiutato da Sofia.

Si potrebbe pensare che il Gesù gnostico, disceso dal cielo a Cafarnao, vale a dire (come indicò Eracleone) nella parte inferiore del Cosmo (materia o caos), inizia a cacciare i demoni del demiurgo ebraico che vi si installarono. Egli affidò questa cacciata al loro stesso capo Belzebù.

I REALI GENITORI DI GESÙ (Luca 11:27-28)

L'esclamazione “Beato il ventre che ti ha portato” esprime la convinzione che Gesù sia un uomo nato come gli altri, ma il Signore celeste risponde che questa domanda deve essere ignorata e che è meglio ascoltare la parola di Dio.

Questa esclamazione non è marcionita, è assente da Marco 3:34 e da Matteo 12:49. Luca stesso lo ignora in un passo parallelo a questo episodio in 8:19-21. Il pensiero che l'Evangelion doveva esprimere si trova in Luca 23:29: “Beate le sterili, e i seni che non han partorito, e le mammelle che non hanno allattato”. Questo verso fu distrutto in Marcione ma si trova nel Vangelo di Tommaso 79. Questa pericope conferma quella di Luca 8:19-21 (si veda sopra).

MALEDIZIONI (Luca 11:37-52)

Non una riga di questa storia è in Marco. Quanto a Matteo, la dà in un altro contesto; Marcione probabilmente non la conosceva; è un giudeo-cristiano che scrisse questo aneddoto.

Luca scrisse i versi introduttivi 37:38 che l'Evangelion non riproduce, 40-41, 45:46a e 53-54 sconosciuti a Matteo e Marcione e 49-51 che sono assenti dall'Evangelion. Nel verso 49, Luca non dice che i profeti saranno crocifissi e, secondo lui, non è Gesù che parla ma la Sapienza.

L'inserimento di quelle maledizioni nell'Evangelion è più che probabile; non possono venire da un discepolo del dio buono. Nel verso 40, “colui che ha fatto l'interno e l'esterno” è il dio creatore ripudiato da Marcione. Nel verso 49 di Luca, ignorato da Marcione, la sapienza di Dio viene sostituita in Matteo 23:24 da Gesù, e i profeti o gli apostoli si trasformano in saggi e scribi; tuttavia nei versi 49-50 si insiste sui profeti. Nel verso 52, gli esperti della legge di Luca lasciano inutilizzata la chiave della gnosi (verso dell'Evangelion); Matteo, che ignora la gnosi, sa solo di scribi e farisei ipocriti che chiudono il Regno dei Cieli come se ne avessero il potere. Luca aveva già parlato della gnosi in 1:77. Questo passo (37-54) era composto così da gnostici giudeo-cristiani oppure da ebrei successivamente convertiti al marcionismo ma non è certamente marcionita in origine.

L'AMMINISTRATORE VIGILANTE (Luca 12:41-48)

Il verso 41 di Marcione-Luca sembra un'aggiunta intesa a far intervenire Pietro; questo non appare in Marco 13:37. Tutta questa storia proviene probabilmente da uno dei discepoli di Marcione che stava polemizzando contro i Dodici; egli pensava che i versi precedenti si potessero applicare agli apostoli.
“È per noi che dici questa parabola?” chiede Pietro a Cristo e — per suggerirgli una risposta soddisfacente — aggiunge “o per tutti?” Ora il Signore risponde a Pietro: “Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore ha posto (o porrà) a capo della sua servitù?” Che si può intendere così: “A chi altri se non a voi, che pretendete di essere a capo di altre persone, posso rispondere?” E Gesù  incolpa Pietro indirettamente quando egli diffida da ogni amministratore che, mancando di vedere ritornare il suo padrone, coglie l'occasione di perseguitare gli altri servitori di Dio e di ubriacarsi? “Il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli” (46). Gesù sembra rivolgersi ad una setta disorientata, ma la scena si svolge necessariamente molto tempo dopo la sua morte; è ancora il Cristo celeste che interviene per riportare Pietro sulla strada giusta.

D'altra parte, la domanda di Pietro era inutile dal momento che Marco riferì (13:37): “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!” Il testo di Marco è anteriore a Luca 41-47 e, per fortuna, non è stato armonizzato. Se, d'altra parte, l'Evangelion lo contiene, può essere perché proviene da un marcionismo posteriore.

IL REGNO DI DIO E IL GRANELLO DI SENAPE (Luca 13:18-20)

La parabola del granello di senape, originale in Marcione, doveva assumere un'altra forma; i sinottici la copiarono trasponendola dal piano spirituale al piano materiale. Secondo  Ippolito, i Naasseni commentarono così questa parabola: “Lo Spirito — precisano — è là dove è invocato anche il Padre, ed il Figlio è là da questo Padre generato. Questi — per loro — ha molti nomi, mille occhi, è incomprensibile, e di lui ogni natura, ciascuna a suo modo, è bramosa. Questa — per loro — è la parola di Dio, la quale — come dicono — è parola della Rivelazione della Grande Potenza; per questo sarà sigillata, celata, nascosta, posta nella dimora su cui è fondata la radice del Tutto, (espressione già attribuita a Simon Mago) degli Eoni, delle Potenze, dei Pensieri, degli Dei, degli Angeli, degli Spiriti, degli Apostoli, delle cose che sono e che non sono, generate e ingenerate, incomprensibili e comprensibili, anni, mesi, giorni, ore, del punto indiviso, dal quale il minuscolo inizia a crescere una parte dopo l'altra; giacché quel punto che non è nulla e di nulla consiste (essendo indiviso), mediante la riflessione su di sé diventa una qualche grandezza incomprensibile. Questo — secondo loro — significa il «Regno dei cieli», il «granello di senape», cioè il punto indivisibile contenuto nel corpo: non lo conosce — dichiarano — nessuno se non gli spirituali”  (Confutazione di tutte le eresie 5:9)

Questo passo che si trova nei sinottici in tre punti diversi è copiato da loro; l'inserzione in Luca è ovvia grazie alla ripetizione delle stesse parole in 18-19 e in 20.

La parabola sul lievito non si trova in Marco; se è marcionita, è posteriore. Il pensiero che un piccolo lievito dilata la pasta, vale a dire che si può modificare l'ebraismo, appartiene forse ai discepoli di Marcione, ma quest'ultimo probabilmente non lo ebbe. Egli era più esigente; si poteva accedere al Regno del Dio Buono solo rinunciando alla Legge, non cambiandola qua e là.

NON INVITA CHE I POVERI (Luca 14:12,24)

Passo di tendenza marcionita che non ha parallelo in Marco o Matteo. “Alla resurrezione” significa “durante la vostra risurrezione”, cioè “quando l'anima, separata dal tuo corpo, andrà nel cielo del dio buono”. Ma Luca ha modificato l'espressione primitiva; egli scrive “alla resurrezione dei giusti”, che significa qualcosa di diverso: il giudizio finale.

I “ricchi” furono invitati ma essi rifiutarono l'invito a causa delle loro preoccupazioni materiali. Marco non contiene alcun riferimento a questo passo. Matteo pensa che questa cena rappresenta “il matrimonio del figlio del re dei cieli”, che conferma il Vangelo di Tommaso (64): “Acquirenti e mercanti non entreranno nei luoghi del Padre mio”.

Il banchetto in questione è tutto spirituale; deve simboleggiare la festa celeste a cui sono invitate le anime; in senso materiale, esso corrisponde indubbiamente alla «cena del Signore» che assicura la salvezza e i cui elementi sono pane e acqua.

RINUNCIA TOTALE (Luca 14:26-33)

Leggendo 26, 27, 33, ci rendiamo conto ancora una volta che la prima idea della storia venne fraintesa o mascherata. Marcione non poteva consigliare, nemmeno simbolicamente, di odiare padre, madre, moglie, figli per seguire Cristo. Marco ignora questo insegnamento mentre Matteo (10:37) lo presenta in una forma moderata: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me”. È una rinuncia al mondo come esercitata oggi da certi ordini religiosi; questa rinuncia è gnostica. Leggiamo in Pistis Sofia quelle parole di Gesù “... voi che avete abbandonato padre e madre per il mio nome, vi darò tutti i misteri e tutte le conoscenze ...”.

LA DRACMA PERDUTA  (Luca 15:4-10)

Prima osserviamo che la parte relativa alla dracma perduta (versi 8-9) è un'interpolazione nello stesso Luca ; le due suture furono fatte sulla stessa frase in 7 e in 10: “Ci sarà più gioia in Dio per un peccatore che si pente”, ma il correttore di Luca sostituì Dio con cielo (7) e i suoi angeli (10) perché egli aveva in vista il dio creatore, non il dio buono.

I versi 1, 2, 3 di Luca (che mancano in Marcione) suggeriscono — se li confrontiamo con il verso 7 — che l'accoglienza dei peccatori pentiti avveniva in cielo e che la scena fu materializzata e trasferita sulla terra; mai i farisei e gli scribi furono in grado di dialogare con il Cristo celeste.

Anche il racconto della dracma perduta manifesta una preoccupazione materiale distante dalla mentalità religiosa di Marcione; se non fosse posteriore, sarebbe sorprendente che non avesse riuscito a trovare un posto nel vangelo di Matteo o nel vangelo di Marco.

Il parere di Tertulliano (Contra Marcionem, 4:7) su questo brano è curioso; scrive: “Marcione deve aver espulso dal vangelo,  «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele»;  e, «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» — in modo, per ciò stesso, che Cristo non possa sembrare un israelita”. È certo che il tema della pecora perduta si trova nell'Antico Testamento (si veda in particolare Ezechiele 34:16).

Così, al tempo di Tertulliano, i manoscritti di Luca non comprendevano quei due passi; tuttavia, il testo ricostruito dell'Evangelion secondo Tertulliano (Contra Marcionem, 4:32) contiene la storia della pecora perduta, tuttavia la frase relativa al pane dei bambini non appartenne mai a Luca, essa si trova in Matteo 15:26 e Marco 7:27. Ricordiamo anche che la pecora perduta venne aggiunta a Luca-Marcione perché non è trovata nel testo di Marco; essa proviene da Matteo, dove forse non è nemmeno originale.

Tertulliano si contraddisse e non possedeva un buon manoscritto di Luca. Infine aggiungiamo che i versi  da 21 a 32 di questo capitolo 15 di Luca (il figliol prodigo) sono assenti dall'Evangelion.

FEDELTÀ AL DENARO (Luca 16:1-9)

Questa storia, contraria al disprezzo professato dalla scuola marcionita per quanto riguarda il denaro, non si trova né in Marco né in Matteo; essa costituisce un'inserzione in Marcione dove ha nove versi invece dei tre in Luca.

Il testo è stato abbastanza corrotto: non capiamo perché il padrone che è diffidente del suo amministratore disonesto si congratula con quest'ultimo che lo rovina (8), come possiamo consigliare agli uomini di farsi amici con i soldi degli altri, vale a dire ad essere disonesti (9), ciò mentre si avverte loro che colui che gestì male i beni acquisiti non sarà qualificato a disporre dei beni supremi (11).

L'Evangelion non conteneva il verso 8 in cui Luca oppone i “figli della luce” ai figli di questo mondo (che prendono moglie o marito, 20:34), un'idea che, comunque, è marcionita.

IL VANGELO DURERÀ SEMPRE (Luca 16:1 & 17)

Qui abbiamo un ottimo esempio della cura con cui gli scribi giudeo-cristiani manipolarono il testo marcionita. In primo luogo, il verso 16 annuncia che Giovanni il Battista segnò la fine del regno della Legge e dei Profeti, e solo allora fu annunciato il Regno di Dio; alcune persone vollero persino appropriarsene con la violenza (parallelo in Matteo 11:13-12).

Ma Marcione non conosceva Giovanni; questo passo è quindi più tardo. Comunque, l'editore scrisse nel verso seguente: “Cielo e terra passeranno ma le mie parole non passeranno”, predizione che ripeterono Marco (13:31), Matteo (24:35) e persino Luca in 21:33.

Ma un correttore giudeo-cristiano controllò e sostituì Luca 17 e Matteo 5:18 con una dichiarazione contraria e incompatibile col verso 16: “Finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge”. Così, la Scrittura di Dio, quella che doveva durare, non era più il Vangelo di Cristo, era la Legge ebraica.

IL RICCO E LAZZARO (Luca 16:19-31)

Non c'è alcun dubbio che questo episodio non viene da Marcione, e Luca è l'unico evangelista a riportare questa storia famosa.

I personaggi e le nozioni evidenziati sono essenzialmente ebrei: Abramo, Lazzaro, Mosè e Profeti, lo Sheol, l'abisso insormontabile, la risurrezione dei morti. L'autore di questa storia edificante e vendicativa non esitò a inserire la sua prosa rivelatrice in un vangelo dove essa non era veramente al suo posto; alcuni critici hanno osservato che il linguaggio di questo passo non era quello di Luca.

In 22, non si menziona la sepoltura del povero ma il suo trasporto dagli angeli del Regno celeste presso Abramo che siede al banchetto degli eletti. D'altra parte, il ricco è sepolto perché è destinato alla tomba che è sotterranea (Sheol o Gehenna).

Nel verso 23, l'editore crede che nell'Ade (egli usa la parola greca), si veda il luogo dove riposano Abramo, Isacco e Giacobbe, luogo che non deve essere confuso con il Regno dei Cieli. Si noti che il ricco non ha commesso alcun reato, ad eccezione di essere ricco. Questo sentimento di odio contro i ricchi è dovuto senza dubbio ad alcune sette giudeo-cristiane. Nel verso 24, va notato che non è l'acqua viva del quarto vangelo che è richiesta ma un'acqua vicina al luogo dove si trova Abramo. Le risposte di costui (25, 26, 29, 31) sono quelle di un giudice che rimane inflessibile davanti al peccatore pentito.

La teologia di questo racconto differisce dall'antica teologia degli ebrei i quali, mentre attribuivano ai morti una sopravvivenza nello Sheol, non prevedevano né ricompensa né punizione. Tuttavia, va sottolineato che Abramo è nell'Ade e non nel Regno celeste; vi è anche l'uomo ricco perché gli parla.

È sorprendente che Marcione in 16:29 — che nomina Mosè e i Profeti — tace circa Abramo, mentre nello stesso verso di Luca è Abramo che risponde al posto di Gesù. Nel verso 30, dove il ricco(secondo Marcione) dice: “Padre”, Luca corregge in “Padre Abramo”. Il nome di questo patriarca è un'aggiunta in Luca. Allo stesso modo, il verso 31 con il suo “Mosè” non è certamente marcionita. E il verso 27, “Padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre”, rimane incomprensibile.

Secondo Harnack, tutto questo passo fu estratto letteralmente da un'opera anti-marcionita, il Dialogo di Adamanzio.

QUI È IL REGNO DI DIO (Luca 17:20-37)

Nessun parallelo in Marco e Matteo. I versi 21b-22 sono un'interpolazione con le parole “Eccolo qui, o: eccolo là” (23). La frase “Il Regno di Dio è dentro di voi” (21) e l'allusione al Figlio dell'Uomo (22) non sono originali. Vi è anche una contraddizione. Se la venuta del Regno non è osservabile, non possiamo dire che questo Regno sia vicino, né che sia in noi o tra noi, o che dobbiamo correre là o anche (23) non andare là.


Il giorno del Figlio dell'Uomo è interpolato; il verso 23 è legato a 21a. La raccomandazione “non andare” riguarda lo spazio del Regno non la durata di un giorno. Il Figlio dell'Uomo è stato sostituito al posto di Cristo; confronta Marco 8:31, 13/21 e Matteo 16:21, 24:23.

Nel suo primo stato, il testo non doveva parlare del Regno o del Figlio dell'Uomo. “Eccolo qui, o: eccolo là” riguardava Cristo; I cristiani furono ammoniti di diffidare dai  “falsi cristi e falsi profeti che faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti” (Marco 13:21-23, Matteo 24:23-25), una raccomandazione che potrebbe puntare al falso Cristo Gesù ebreo che non smise di fare miracoli.

Luca 25 è considerato un'interpolazione da Loisy; è veramente molto simile a una glossa esplicativa, chiaramente tendenziosa, originata dalla stessa penna di quella che inserì il verso 9:22.

La storia di Luca è composta di almeno due parti 20-25 e 26-37 che non hanno nulla in comune e che sono ispirate dalla Bibbia; si trovano in varie parti di Marco e soprattutto di Matteo (24).

D'altra parte, c'è una contraddizione tra i giorni di Noè e i giorni di Lot: il Figlio dell'Uomo non può al tempo stesso provocare il diluvio e una pioggia di fuoco e di zolfo; c'è una contraddizione perché — ancora una volta — c'è stata interpolazione. L'alterazione si può vedere nei versi 27 e 28 con la ripetizione delle parole “mangiavano, bevevano”.

GUARIGIONE DI UN CIECO (Luca 18:35.43)


Si può dubitare che questo miracolo, più simbolico che reale, si sia svolto a Gerico; esso sarebbe accaduto, secondo Luca e Marco, arrivando a Gerico, secondo Matteo, lasciando la città.


Secondo 9:52, sembra che Gesù stia attraversando la Samaria, ma in 18:35 e 19:1 egli passa per Gerico, che è incompatibile con un percorso diretto attraverso la Samaria.

Un'aggiunta in Marco 10:46 dà anche il nome del mendicante cieco; solo la data manca per farci credere alla storicità dell'episodio. Quanto a Matteo (20:30), egli non esita a raddoppiare la posta; una singola persona cieca non basta al suo interesse per l'edificazione; due ciechi recuperano la vista.

In Luca e Marco, Gesù si definisce “Gesù il Nazareno” (o Nazareno); egli diventa Figlio di Davide in tutti i nostri testi, ma possiamo dare per scontato che Marcione non avrebbe accettato questo personaggio che costituisce un intruso nel suo Evangelion.

Secondo Luca 18:38-39, Marco 10:47-48 e Matteo 20:30-31, i ciechi credono che Gesù sia il Messia Davidico; questa è la seconda volta che questo titolo “Figlio di Davide” appare nell'Evangelion (verso 6:3); verrà inserito una terza volta in 20:41. Questa espressione non è mai trovata nel quarto vangelo. Il resoconto marcionita di certo non presentò mai Cristo come “Figlio di Davide”.

ZACCHEO IL PUBBLICANO (Luca 19:1-10)

Questa storia è ignorata da Marco e Matteo. La narrazione originale è stata così distorta da Luca che è diventata assurda, mentre il testo di Marcione è logico e chiaro.


L'Evangelion non sapeva che Zaccheo fosse piccolo e non conteneva né l'arrampicata del sicomoro né la menzione di Abramo. Fu modificato; un verso 10 fu aggiunto per far spazio al Figlio dell'Uomo, e la sua carità fu ridotta al pari dell'ideale di Cristo. Mentre probabilmente, come esempio, egli dovrebbe dare tutti i suoi beni (“vendi tutto quello che possiedi”), il correttore gliene lasciò metà.

Ricordiamo che Zaccheo è dato come un “uomo” e un pubblicano ricco, come un peccatore che Gesù venne a vedere dichiarando che la salvezza è entrata nella sua casa. Zaccheani (secondo Epifanio, Contro le eresie, 37:1) era il nome di una setta gnostica. Il sicomoro era un albero sacro in Egitto; le anime venivano a posarsi sui suoi rami. Arrampicarsi su un sicomoro significava distaccarsi dalla terra e dalla creazione.

I BUONI SERVITORI (Luca 19:12-26)

Marco non conosce questa storia; Matteo la dà in qualche forma leggermente diversa. Marcione ignora i versi 14, 22, 23, 25, 27, 28-48.


“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto”, tale è l'idea del verso 17; non è necessariamente esatto.

Luca parla di mine, Matteo (25:14) di talenti. La storia è ambigua. Questa durezza del padrone che vuole far crescere i suoi soldi è contraria all'esortazione della povertà o dell'abbandono dei beni materiali predicati dal Cristo di Marcione; non è certamente il dio buono che ispirò questo passo, né — tantomeno — il verso 27 di Luca, dove Gesù vuole uccidere i suoi nemici alla sua presenza, un verso che non è in Marcione e non ha alcuna relazione con la storia delle mine. Vediamo qui all'opera un correttore fanatico e violento.

Nella sua concezione primitiva, la narrazione doveva essere più vicina a quella letta in Luca 16:1-10, ma un correttore risoluto voleva identificare il padrone dei servi col pretendente reale determinato a conquistare con la forza un trono terrestre. Di conseguenza, egli espanse la prima narrazione del verso 14 “I suoi cittadini lo odiavano” — aggiunse nel verso 15 la precisazione “dopo aver ottenuto il titolo di re” —, affermò nel verso 27 che egli volle macellare “i nemici che non volevano farlo re”, ricordò nel 28 che “proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme”, infine (nel verso 45) che egli entrò nel tempio di questa città dove provocò disordini. Capiamo allora perché egli pianse sul fato riservato alla città dopo gli incidenti che provocò, comprendiamo i sacerdoti che gli chiesero con che diritto agì così e la loro voglia di liberarsi di lui.

L'Evangelion non contiene questo passo che va, in Luca, da 19:27 a  19:48 (processione messianica e “purificazione” del tempio). Si osserverà che il verso di Luca 19:47b (“i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di ucciderlo”) è riprodotto testualmente in 22:2; non sarebbe questo il segno di interpolazione? In ogni caso, il passo di Luca sembra riflettere un episodio storico che ricorda la rivolta di Bar-Kochba nel 132. Uno scriba zelante infilò il suo pretendente messianico in una storia di Luca.

L'INSEGNAMENTO DI GESÙ (Luca 20:1-19)

Il resoconto marcionita non contiene i versi da 9 a 18, cioè la parabola dei vignaioli; la storia è confusa. A Gesù viene chiesto con quale diritto egli “insegna” nel tempio e risponde con una domanda.


Il verso 28 è l'unico di tutto l'Evangelion a riferirsi a Gerusalemme e Marcione probabilmente non lo conobbe mai; esso è ignorato anche da Marco e Matteo, ma la sua importanza deve essere grande per alcuni, specialmente per il correttore del Luca originale. Questo correttore desiderò giudaizzare l'Evangelion e riportare tutto a Gerusalemme; fortunatamente, probabilmente egli stava lavorando su un manoscritto già parzialmente armonizzato, ma il suo lavoro non era perfetto.

Poiché il testo di Marcione non conosce i versi 5:17; 6:17; 9:31, 51, 53; 10:30; 13:4, 22, 33; 17:11; 19:11, 28; 21:20, 24; 23:7 e 28; 24:13, 18, 33, 47, 52 di Luca, versi che menzionano Gerusalemme. Marcione è quindi d'accordo con gli altri sinottici, che ignorano tutti quei versi di Luca, tranne uno (6:17) che sembra una transizione scollegata con il precedente “Il battesimo di Giovanni proveniva dal cielo o dagli uomini?”.

Sembrerebbe che, in origine, Cristo (e non l'uomo Gesù) dovesse dire perché egli insegnava e su cosa consisteva la sua predicazione. D'altra parte, Marcione non era interessato a Giovanni il Battista e ignora il verso 6 che fa di Giovanni un profeta.

IL FIGLIO DI DAVIDE (Luca 20:41-44)

Il nostro testo marcionita fa sì che Gesù stesso rifiuti il Figlio di Davide; il Cristo di Marcione era infatti un'emanazione divina che apparve sulla terra. Egli non era nato da una donna e non apparteneva a nessuna discendenza umana.


Inoltre, questo passo dovrebbe includere anche la frase seguente (Marco 12:37) “e tutte le persone ascoltavano con piacere”, oggi assente dal testo.

Né Marcione né Luca menzionano (come Matteo 22:46) che nessuno può rispondere all'obiezione di Gesù al Figlio di Davide e che nessuno osa interrogarlo in proposito; erano censurati?

Nel resto del vangelo di Luca le allusioni a Davide si trovano solo nei passi aggiuntivi, specialmente in 1:27, 32, 69 e 3:31.

IL TITOLO DI MAESTRO (Matteo 23:8-10)

Quei versi sono attribuiti all'Evangelion da Efrem il Siro; non appaiono né in Luca né in Marco; solo, Matteo li conosce.


Tuttavia, Matteo sostituì il primo “maestro” del verso 8 con la parola “rabbì”. Leggiamo che i cristiani non dovrebbero dare il titolo di Maestro o Padre a nessun uomo sulla terra. Se, dunque, chiamano Cristo “Maestro” non sarebbe perché egli non è un uomo, ma un'emanazione divina?

Ciò che riporta Matteo è del tutto coerente con quello che Flavio Giuseppe scrisse nelle sue Antichità Giudaiche (18:2) sulla setta di Giuda di Gamala che rifiutava di dare a un uomo il nome di Signore e Maestro.

LA VENUTA DEL FIGLIO DELL'UOMO (Luca 21:5-34)


Marcione non ha i versi 1, 2, 3, 4, 18, 21-24, 36 di Luca. Marco e Matteo non danno i versi corrispondenti ai versi 11b, 12, 15, 18-20, 22, 24, 26, 28, 34-36 di Luca. D'altra parte, essi contengono versi che non sono in Luca.


Nel testo di Luca, il passo da 12b a 17 appare come un inserimento con una ripresa delle parole “a causa del mio nome”. Questo racconto delle minacce e delle persecuzioni è in contraddizione con Luca 18. Non è Marcione — né Marco né Matteo — che ha abbreviato Luca; è Luca che è stato espanso fortemente; anche Marco e Matteo lo furono, ma in un'altra maniera; ecco come fanno parlare Gesù sul Monte degli Ulivi, un dettaglio ignorato da Luca e Marcione.

In realtà il testo originale — corretto in modo così vario — non doveva menzionare né il Monte degli Ulivi, né Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, né il verso 10 attinto da Isaia 19:2 né l'imposizione delle mani del verso 12, né Gerusalemme assediata (20), né i versi 22, 24, 25b, 26, né il Figlio dell'Uomo (27) che duplica Cristo, né il verso 28 né la parabola dei versi 29-30 che interrompe la narrazione e trova il suo posto altrove, né la parola “amen” contenuta nel verso 32 di Marcione ma che nessuno dei sinottici  conferma, o il verso 35. Il testo originale assunse anche fatti che Luca non riprodusse, in particolare il vangelo predicato in anticipo a tutte le nazioni (Marco 13:10), che era imbarazzante per il revisore giudeo-cristiano perché posticipava Gesù dopo Paolo, come indicato dalle scritture clementine.

Tutto questo passo è un conglomerato di varie predizioni e raccomandazioni in cui Marcione stesso avrebbe potuto riconoscere come sue solo un po' di righe, forse i versi 8, 29-30, 33 o quattro su trenta.

La stessa lunghezza dello sviluppo, la sua mentalità ebraica, la sua tendenza  a datare gli eventi intorno ad una caduta di Gerusalemme, il suo spirito apocalittico e nazionalista, tutto questo argomenta a favore di una rielaborazione ebraica e posteriore, una storia di cui quasi nulla suggerisce che sia mai stato oggetto d'interesse ai marcioniti.

Ricordiamo, comunque, circa il verso 21:29, che nel sistema docetico Dio è il seme dell'albero di fico che contiene immense potenzialità; lo stelo, le foglie e i frutti sono il simbolo dei tre eoni che saranno i principi dello sviluppo dell'universo (Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, 6:9). Questa dottrina si trova nei sistemi di Simone, dei Naasseni, dei Perati, degli Ofiti e dei Setiani. Il correttore di Marcione aggiunse nel verso 29 “tutti gli alberi” per nascondere l'importanza di questo albero di fico eretico.

GESÙ INSEGNA NEL TEMPIO (Luca 21:37-38)

Questo motivo evangelico è dato qui in un passo molto breve che sembra un'aggiunta; perché questo dettaglio aggiuntivo? Se paragoniamo i nostri testi, vediamo che Marco (11:19) dice semplicemente che Gesù uscì dalla città quando venne la sera ed è ulteriormente — nel verso 14:26 — che apprendiamo che Gesù si reca di sera all'Orto degli Ulivi. Quest'allusione è un'inserzione; paragonala al passo parallelo di Luca 19:47 ... 48b dove il Monte degli Ulivi non viene menzionato. Ma questo monte è in diretta relazione con Davide, e se Gesù è Figlio di Davide, è naturale che egli imita il suo antenato.


Luca è l'unico a specificare qui che Gesù trascorse le sue notti, forse perché Davide fece lo stesso (2 Samuele 15:30-32) e così realizzò Zaccaria (14:3-4). Questo passo non è marcionita.

LA PASSIONE

Riconosciamo qui una separazione tra ciò che precede e la storia della Passione che esamineremo perché si presenta un problema davvero serio su questo argomento. Non è questa storia secondaria nei nostri vangeli? Non è un complemento aggiunto dopo il testo originale?


Alcuni critici hanno pensato così. Così, Ch. Guignebert (Jesus, 503-504) scrisse: “Così ovvia è l'influenza sui nostri vangeli di alcune Scritture (l'Antico Testamento), ad esempio quelle del Salmo 22, che ci siamo domandati seriamente se la tradizione primitiva... conoscesse una storia della Passione e della Resurrezione, se tutta questa storia, come appare oggi nei nostri sinottici, non fosse stata composta semplicemente per mezzo di testi dell'Antico Testamento, a prescindere da qualsiasi realtà”.

Un altro critico, Stephen Trocmé, teologo protestante, osserva (La formation de l'Evangile selon Marc) che, quando Gesù annuncia la sua morte, non si fa alcuna allusione alla crocifissione o al processo davanti a Pilato; i capitoli da 14 a 16 di Marco si presentano come una sorta di appendice, paragonabile al capitolo 21 di Giovanni; essi sbilanciano il piano di Marco. E questo critico domanda “Una storia della Passione era necessaria per un autore che trattò la Grande Novella e la sua diffusione e che in ogni caso non sentì mai la necessità di raccontare la resurrezione ... No, la storia della Resurrezione non esiste nemmeno in Marco e la storia della Passione è solo un'appendice disturbante ... I capitoli da 14 a 16 di Marco trasmettono alcune idee teologiche ed ecclesiologiche che non sono compatibili con i sentimenti dell'autore di Marco da 1 a 13”.

Molto prima di questa critica, un altro protestante, Maurice Goguel, aveva scritto (Introduction au Nouveau Testament) sul Vangelo di Marco “Un gruppo coerente di storie è costituito dalla narrazione della Passione. Questa parte del vangelo si apre con una pericope (la cospirazione degli ebrei contro Gesù, 14:1-2) che non si riferisce immediatamente a quanto sopra, ma costituisce un inizio assoluto che potrebbe essere perfettamente sufficiente in sé”.

Chiaramente, lo stesso interrogativo si solleva per gli altri due vangeli sinottici, che riproducono in gran parte il testo di Marco.

Si noterà che gli Atti degli Apostoli, che si presentano come la continuazione del vangelo di Luca, cominciano con la frase seguente: “Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo”.

Così, secondo questo testo, non si parlava in Luca della Passione, né della morte né della resurrezione di Gesù. Il Cristo divino, una volta compiuta la sua missione terrena, salì al cielo da cui era disceso, che è confermato dalla Epistola agli Efesini (4:8-10). “Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli”, così come dal vangelo di Giovanni (3:13) “nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo”.

Il vangelo di Basilide non contiene la crocifissione di Gesù, e il Pastore di Ermas non parlava né della Crocifissione né della morte del Figlio dell'Uomo.

È piuttosto certo che originariamente l'Evangelion non sapeva, non poteva sapere, di un Cristo di carne e sangue, perseguitato, giudicato, immolato e resuscitato. Marcione, che non diede una storia della nascita di Gesù, non dovette presentare una sulla sua morte. Cristo che stava tornando in cielo non era e non era mai stato un uomo; era uno spirito che aveva assunto una forma umana per essere visto e ascoltato, per veicolare un messaggio divino di salvezza all'umanità. Più tardi si pensò che questo fantasma fosse quello di un uomo morto per crocifissione e il romanzo della Passione fu costruito su questa ipotesi semplicistica e popolare. (Si veda anche Atti 1:21 dove la parola “resurrezione” può significare l'ascensione al cielo del “Signore”).

È soprattutto Luca che è stato espanso con questo piccolo romanzo. Egli racconta la Passione in 180 versi mentre Matteo include solo 160, Giovanni 136, Marco 133 e Marcione 88 che, ovviamente, non possono provenire dall'Evangelion primitivo.

Quando leggiamo questa storia, non possiamo fare a meno di notare che si tratta di una combinazione artificiale di testi che a volte non hanno nulla in comune tra loro.

La storia del tradimento di Giuda fornisce la prova e l'esempio perché è suddivisa in diverse parti sparse per tutto il testo.

TRADIMENTO DI GIUDA (Luca 22:1-6)

In primo luogo, esso non è posto negli stessi punti nei sinottici; in Luca segue l'istituzione dell'Eucaristia; in Marco e Matteo lo precede.


In Luca, la storia inizia il 22:3-6; continua in 21-22 saltando più di quindici versi; riprende e termina in 47-48 dopo un'interruzione di ventisei versi. In altre parole, la successione dei fatti è il tradimento di Giuda, la preparazione del pasto pasquale, l'istituzione dell'Eucaristia, l'annuncio del tradimento di Giuda, l'annuncio della negazione di Pietro, la consegna di Gesù da parte di Giuda.

Nel verso 22:3, è il principe del male che usa Giuda per uccidere Gesù — un importante evento ignorato da Marco e Matteo — laddove, secondo 1 Corinzi 2:8, sono gli spiriti del male che provocano la crocifissione.

Marcione, sostenuto da Matteo, non fa riferimento agli Azzimi, a differenza di Marco e Luca; dice come Luca che la festa è vicina mentre Marco la fissa in “due giorni”.

Marcione non dà il verso 2 (sommi sacerdoti e scribi che congiurano contro Gesù), un episodio che solo Matteo deve situare nel Palazzo di Caifa, per rendere più reale la scena; abbiamo già suggerito che il verso 22:2 potrebbe essere la continuazione del verso 19:47.

Nel verso 3, Marcione — confermato da Marco e Matteo — non dice (nonostante Luca) che Satana entrò in Giuda; d'altra parte, il copista gli fa dire, come Luca, che Giuda era uno dei Dodici. Il verso 3 è un'aggiunta nel testo di Luca. Allo stesso modo, il verso 6 viene ignorato dall'Evangelion. Luca non dice come Satana entrò in Giuda, ma il Quarto Vangelo ce lo rivela a causa del pezzo di pane dato da Gesù a Giuda.

Nel 22:3, Luca usa la forma greca del nome di Giuda “Iscariota” mentre in 6:16 usa la forma semitica “Iscarioth”.

D'altra parte, Matteo (26:50) riferisce che Gesù disse a Giuda “Amico, fai pure ciò per cui sei venuto fin qui”. Egli non avrebbe mai ricordato una storia molto diversa da quella che si legge oggi? Troviamo, infatti, nei nostri vangeli e altrove, una concezione completamente diversa — del ruolo di Giuda.

Secondo Giovanni 6:70-71, Gesù scelse i Dodici, compreso Giuda, sapendo che egli era un diavolo e sarebbe stato “consegnato” da lui; Gesù sapeva in anticipo quale ruolo affidò a Giuda nella prospettiva della propria morte, quindi della salvezza degli uomini, e dal suo canto Giuda sapeva di essere lo strumento del dio buono. In questa prospettiva (quella della setta cainita), Giuda era incaricato di “adempiere il mistero della consegna” (Ireneo, Contro le eresie, 1, 31); egli consegnò il “Gesù buono a causa della gnosi celeste ... e dobbiamo lodarlo ... poiché attraverso di lui è stata preparata la salvezza della croce e la rivelazione delle cose dall'alto che hanno seguito” (Epifanio, Contro le eresie, 38).

 Gesù non gli raccomandò, dopo avergli dato il fatale pezzo di pane: “Quello che devi fare, fallo subito”? (Giovanni 13:27). E quando Giuda se ne andò, Gesù non aggiunse (31-32) “Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui ... e lo glorificherà presto”. Ciò mostra la normale esecuzione di un piano predefinito da Dio e accettato da Gesù.

La setta cainita considerava Caino, Esaù, Core e Giuda come campioni di libertà spirituale; essa stava leggendo un Vangelo di Giuda. Da parte sua, Marcione proclamò che solo coloro che erano stati respinti dal Creatore, inclusi Caino e i sodomiti, erano stati liberati da Cristo, mentre Abele e Abramo non furono riscattati. Per molti cristiani originali, Giuda era il vero gnostico che distrusse l'opera del Demiurgo partecipando alla morte di Cristo in accordo con lui. (Vedi anche Teodoreto, Haer. Fab., 1:15 e Pseudo-Tertulliano, Adversus omnes haereses, 1:2).

LA PASQUA (Luca 22:7-34)

Su 28 versi di Luca, il testo marcionita ne conosce solo nove, eppure si dice l'essenziale. Brevità e semplicità figurano dal lato di Marcione. Marco ignora dodici dei versi di Luca, Matteo undici.


I versi mancanti a Marcione sono i seguenti 7:

menzione della giornata degli azzimi dove l'agnello pasquale si deve immolare. Il 14 di Nisan non era, in senso stretto, uno dei “giorni degli azzimi”. Matteo cita la Pasqua ma non parla del sacrificio di sé. Nella narrazione dei fatti immaginati dai giudeo-cristiani, la presunta ultima cena fu un pasto pasquale, ma noi dobbiamo solo leggere questa storia per dare conto dell'errore commesso da loro, volontariamente o no. L'agnello pasquale si doveva consumare del tutto durante la notte; era servito con erbe amare e pane non lievitato; ogni astante beveva quattro calici; ma nessuna di quelli aspetti si trovano nella Cena cristiana.

Al tempo di Gesù, la parola “Pasqua” non designava una festa ma l'agnello pasquale (1 Corinzi 5-7, Giovanni 18:28); è più tardi che questa parola ha indicato la festa degli azzimi. Quei pani senza lievito non appaiono in Matteo 26:2.

9-13: Gesù dà le sue istruzioni ai suoi discepoli (Matteo), a due dei suoi discepoli (Marco), a Pietro e Giovanni (Luca). Possiamo vedere poco a poco la tendenza favorevole a Pietro e Giovanni.

16-18: Confermando Marcione, Marco e Matteo non conoscono quei versi dove si parla di una prima coppa che, senza dubbio, viene colmata nel testo di Luca. Ma quei tre versi costituiscono un resoconto completo di una Pasqua simbolica dove Gesù in anticipo rappresenta l'agnello pasquale. Cosa contiene il piatto, dove i discepoli allungano le loro mani? Certamente non pane poiché Cristo lo spezzerà e distribuirà. Certamente non vino perché è nella coppa. Didaché 9:1-4 ci dice che questa bevanda proviene da “la vigna santa di Davide” e che “il frammento del pane rappresenta la vita e la conoscenza” rivelata da Gesù. Questa Ultima Cena "prima della lettera" consiste quindi semplicemente di pane e succo d'uva; anticipa il banchetto celeste che Gesù offrirà ai suoi eletti ebrei. Facciamo notare che il verso 18 di Luca sarà aggiunto da Marco e Matteo alla conclusione della loro storia che non lo includeva originariamente.

Quei versi 16-18 sono un'interpolazione in Luca; Marcione non la conosceva. Questo racconto della Pasqua e del calice è interrotto in Luca 22:14 ed è abbastanza naturale nel verso 19.

19: L'Evangelion non contiene l'ultima frase di questo verso “Fate questo in memoria di me”. Egli concorda con Marco e Matteo che non conoscono questo memoriale.

I versetti 19b e 20 sono copiati da 1 Corinzi 11:23-25. Il “prodotto della vigna” nel verso 18 di Luca è incompatibile con il “sangue” della coppa del verso 20b:23-32: Secondo Luca, in 23 i discepoli si chiedono chi tradirà. Dal 24 al 27, la storia viene interrotta da un'enclave insignificante che non si trova in Marco e Matteo nei passi corrispondenti, che confermano il testo di Marcione. I versi 28-32 sono ignorati da Marco; come per Matteo, egli comprime i tre versi 28, 29, 30 in uno (19:28) dove egli trova un modo per sostituire il Figlio dell'Uomo al posto di Gesù.

35-38: Quei quattro versi mancano anche in Marco e Matteo. L'acquisto della spada è un'aggiunta in Luca.

I versi comuni a Marcione e Luca sono:

8: Questo verso è un'aggiunta a Marcione-Luca. “Pietro e gli altri” non sono menzionati dagli altri due sinottici.

14: Gesù è a tavola con i dodici apostoli, ma Luca scrive gli apostoli. Marco parla dei Dodici mentre per Matteo figurano “i dodici discepoli”. Vediamo la progressione dei discepoli, degli apostoli e dei Dodici. Marcione non conosceva i Dodici; tuttavia essi furono inseriti nel suo testo, nel verso 14 come lo furono in 9:1, 12. D'altra parte, non appaiono in 6:13; 18:31; 22:47.

Ricordiamo che quei “Dodici” possono provenire da uno gnosticismo posteriore. Secondo la Pistis Sophia, Gesù dichiara ai suoi discepoli: “... allorché mi manifestai al mondo portavo con me, fin dall’inizio, dodici potenze ... che le gettai nel seno di vostra madre ... e oggi sono nel vostro corpo .... affinché voi, che salverete il mondo intero, siate nella condizione di potere resistere alla minaccia degli arconti nel mondo”.“... quando sono venuto al mondo, fin dall'inizio, ho portato con me dodici Potenze ... che ho buttato nel ventre delle tue madri .. sono quelle nei tuoi corpi ... per poter sopportare la minaccia degli arconti del mondo ... Per questo vi dissi, fin dall’inizio, che non siete del mondo... ”.

Quei dodici poteri spirituali furono incarnati in dodici apostoli.


15: Verso assente dalla storia di Marco e Matteo. Un correttore volle introdurre nell'Evangelion la “Pasqua” ebraica, vale a dire la memoria simbolica dell'agnello pasquale. Allo stesso tempo, nel verso 18, la coppa contenente “il frutto della vite” venne inserita nel testo di Luca, ma non si trova in Marcione o negli altri sinottici.

19: Marco e Matteo non dicono “Il mio corpo deve essere consegnato per te”, una frase che è stata aggiunta al testo di Marcione-Luca. D'accordo con Marcione, essi ignorano la frase “Fate questo in memoria di me”. Infine, se in Marcione si diceva che il corpo sarebbe stato “consegnato”, Luca non venne corretto, visto che continua a dire che il corpo fu “dato”. Qui, senza dubbio, c'è un marcionismo degenerato che finì per ammettere l'incarnazione del Cristo spirituale nel corpo di un Gesù umano.

20: Per Marcione, la coppa è - nel testo attribuitogli ingiustamente - “l'alleanza del mio sangue”, per Luca, “la nuova alleanza nel mio sangue”; per Marco e Matteo, “il mio sangue dell'alleanza” — A differenza dei sinottici, Marcione non dice che il sangue è “versato per molti” o “in remissione dei peccati”; egli non avrebbe potuto ammettere che il suo dio celeste versasse vero sangue. È ben noto che il testo dei versi 16-20 è stato trasmesso a noi in cinque o sei forme diverse; la maggior parte menziona, come Marcione, una sola coppa invece delle due coppe di Luca.

Non dimentichiamo che Marcione utilizzava acqua e non vino nell'Eucaristia e che — secondo Ignazio (Lettera agli abitanti di Smirne, 7:1) — “Essi (i marcioniti) si separano dall'eucarestia (cattolica) e dalla preghiera perché non professano che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo ...”. Sappiamo anche che essi non consumavano carne.

21: Questo verso si trova parzialmente in Marco e Matteo, ma questi parlano di un unico piatto; se fosse stato un pasto pasquale, ogni ospite avrebbe avuto il suo proprio piatto.

Ma anche il Figlio dell'uomo — che interrompe il corso della storia — fu aggiunto al testo originale.

33-34: Canto del gallo e annuncio da parte di Gesù di un triplice rinnegamento di Pietro. Quei versi sono ignoti a Marco e Matteo; Probabilmente non provengono da Marcione ma da uno dei suoi discepoli, che voleva indicare che Pietro stava rinnegando il Cristo umano del Dio Creatore e che egli era un apostolo del Cristo celeste.

LA CONSEGNA DI GESÙ (Luca 22:39-48)

Marcione dà solo quattro di quei due versi (39, 41, 47, 48); non contiene Luca 40, 42-46.


Marco e Matteo hanno ricamato su questa storia ma Marcione non la conosceva perché è un'interpolazione il cui inizio e la fine, vale a dire che i due estremi della sutura, sono indicati in Luca 40 e 46 nella stessa frase “Pregate per non cadere in tentazione”. I versi dell'Evangelion sono una sintesi davvero breve della scena intesa ad un'armonizzazione con un Luca corretto.

Il bacio di Giuda si può interpretare in modo diverso da quello che si dice nei versi 47-48; i discepoli ebrei salutarono il loro maestro (rabbino) dandogli un bacio.

Il confronto dei sinottici consente osservazioni importanti.

Così, Batifol ricorda (nel suo Littérature grecque chrétienne, pag. 27) che Biekell scoprì nel 1885 in un papiro del II secolo del Fayum, un frammento di un testo evangelico di sette righe, in greco, corrispondenti a Marco 14:26- 30 e a Matteo 26:30-34, ma “scritti in una forma più breve, più rozza e più originale che nel primo e secondo vangelo”. Ora, ciò che va sottolineato è l'omissione in questo frammento del verso 28 di Marco e 32 di Matteo, che affermava: “Dopo essere resuscitato, vi precederò in Galilea”.

Non c'era nessuna questione, nella tradizione rappresentata da questo frammento, di una resurrezione di Gesù seguita dal suo ritorno in Galilea. Ed è proprio questa tradizione che segue il verso 22:39 di Marcione-Luca; egli non menziona la Resurrezione o la Galilea.

D'altra parte, in 43-44, versi ignorati tanto dagli altri sinottici quanto da Marcione, Luca allude al sudore di sangue provocato dall'angoscia di Gesù. Questo episodio è sconosciuto a molti manoscritti. Certo, Ilario (De trinitate, 10:4) dice che noi tentammo di cancellare questo sudore di sangue,  ma bisogna dire che è vero il contrario. Nello stesso ordine di idee, Epifanio ci dice (Ancoratus 21) che Luca fu spogliato del passo dove Gesù pianse nella sua agonia; esso fu scritto solo per provare contro gli gnostici che Gesù aveva un corpo di carne.

Il verso 48 contiene il “Figlio dell'uomo” che non ha nulla a che fare con questo arresto; è un intruso che, inoltre, non è penetrato negli altri sinottici in questo punto. Marco non commenta il bacio di Giuda; Matteo fa dire a Gesù “amico, fa la tua opera”, parole incompatibili con “tradimento”.

Né la storia dell'orecchio reciso (v. 49-51) né i versi seguenti (52-53) trovarono un posto nell'Evangelion.

RINNEGAMENTO DI PIETRO (Luca 22:54-62)


Indubbiamente, la storia marcionita è la più semplice e la più antica. Dei 9 versi di Luca, Marcione dà solo 4. Luca e Marco non danno il nome del sommo sacerdote; Matteo assicura che era Caifa; Giovanni precisa che Gesù fu portato per la prima volta da Anna, suocero di Caifa. Parlando di Gesù, Marco dice “il Nazareno”, Matteo “il Galileo”, Giovanni “quest'uomo”.


I manipolatori del testo vollero mostrare:

1) che Gesù era un uomo conosciuto da Pietro;

2) che Pietro, sebbene un discepolo di Gesù, lo rinnegò, preservando così le tracce di un Pietro rinnegatore del profeta ebreo di nome Gesù — forse perché egli era in realtà un adepto del Cristo celeste;

3) che l'uomo Gesù sapeva davvero bene in anticipo che egli non sarebbe stato riconosciuto da Pietro. Comprendiamo che questo Pietro più o meno leggendario, che prima si chiamava Simone, fu convertito nei nostri testi in un discepolo più o meno a conoscenza del Gesù terreno, poi in un principe degli apostoli, in attesa di essere proclamato primo papa più tardi.

Nel testo marcionita, nonostante la profezia dei tre rinnegamenti, Pietro rinnega solo una volta Gesù invece di tre come in Luca e negli altri sinottici; l'Evangelion non è stato perfettamente armonizzato su questo punto.

DI FRONTE AL SINEDRIO E DI FRONTE A PILATO (Luca 22:66 - 23:11)


Nei versi 67-68 di Luca, alla domanda “Sei tu il Cristo?” Gesù risponde “Anche se ve lo dico, non mi crederete”; ma nel verso 69 egli è assimilato al Figlio dell'Uomo, che è diverso e fuori contesto, laddove secondo Marco (14:62) egli risponde “Io sono (Cristo) confermando così Marcione nel verso 70. In questo stesso verso, Luca non scrive “il Cristo” ma “il Figlio di Dio”.


Egli rimuove l'accusa di “abolire la legge e i profeti” come egli fece in 4:31.

Si potrebbe pensare che, in questo inizio del processo e probabilmente dopo, Gesù usurpò il posto del Cristo celeste o del Figlio di Dio (interpretato erroneamente come identico al Figlio dell'Uomo). Ci si chiede quindi se l'interrogatorio  subìto da Gesù e condotto da Pilato e dai sommi sacerdoti non fosse stato originariamente quello di Cristo che risale alla sua patria celeste e attraversa i cerchi cosmici sorvegliati dai Principati Planetari o Arconti che gli chiedevano di giustificarsi. Il verso 69, ritoccato a favore del Figlio dell'Uomo, ha mantenuto il ricordo del “Potere Divino” che accoglie (verso 70) il Figlio di Dio oppure il Cristo-Re secondo 23:2.

Ma la frase “Cristo il Re” nel verso 23:2 non aveva senso in greco; era equivalente a Malka Meshiha e non appariva da nessun'altra parte nel Nuovo Testamento.

Marcione, nel verso 23:3, conferma il “Cristo” che Luca, Marco e Matteo sostituiscono con il “Re dei Giudei”.

Il passo  da 22:67k a 23:1 manca dal testo di Marco e Matteo.

La comparsa davanti a Erode (6-12), che era assente da Marco e Matteo, è senza dubbio un inserimento (essa interrompe la storia della comparsa davanti a Pilato), ma contiene un'idea interessante: Luca ha mantenuto il verso 23:11 che l'Evangelion avrebbe accolto e secondo cui Erode rivestì Gesù di un magnifico mantello. Ora, questo è senza dubbio il mantello di luce che viene dato all'anima, specialmente dai Mandei, in modo che vada in paradiso una volta spogliato del suo corpo. [16]

GESÙ È CONSEGNATO AGLI EBREI  (Luca 23:13-25)


Mancanti in Marcione sono i versi 17 e 20-24; tuttavia, contiene i versi 13-16 che Marco e Matteo ignorano.


Inoltre, si vedrà che in Luca i versi 17-22 sono un'interpolazione che inizia dopo la frase “Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò” e termina con una ripetizione della stessa frase nel verso 22.

Il famoso episodio di Barabba non è primitivo in Luca-Marcione; esso interrompe visibilmente il racconto della condanna di Gesù con il verdetto declamatorio della folla. In primo luogo, l'episodio conteneva apparentemente in Luca solo i versi 13-16 e 23-24. Si deve tuttavia ricordare che i versi 13-16 sono sconosciuti agli altri due sinottici ma sono inclusi in Marcione, mentre i versi 23-24, che sono assenti dall'Evangelion, sono più o meno in Marco e Matteo.

Marcione non dice nulla di un'abitudine annuale per quanto riguarda il rilascio di un condannato.

Secondo R.P. Boismard (Les Evangiles synoptiques, t. 2, au Seuil) “Un fatto sembra certo, non ci fu nessun “processo” portato da Pilato a Gesù, né una condanna a morte”.

EGLI MUORE CROCIFISSO TRA DUE MALFATTORI (Luca 23:32-46)


Il testo marcionita ignora i versi da 35 a 43; Marco e Matteo non hanno l'equivalente dei versi 32, 34, 35a, 37, 40-43 e suggeriscono che i versi 35-36, 38-39 di Luca appartenessero ad un altro contesto.


Il famoso verso 34 “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno” è ignorato da buoni testimoni e omesso da altri evangelisti. L'inserzione è più probabile dell'omissione. In Luca, il verso 35 è la continuazione di 33 mentre il verso 34 è un'interruzione; Taziano collocò questo verso in 46.

La morte di Gesù comprende le seguenti parole: — secondo Marcione-Luca, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” — secondo Matteo, “rese il suo spirito”— secondo Marco, “rese il suo spirito”— secondo Giovanni, “rese il suo spirito”.

Gli evangelisti pensavano dunque che lo Spirito, liberato dalla sua prigione carnale, tornasse al Cielo, che era la sua patria d'origine, mentre il corpo era destinato a rimanere sulla terra; l'idea del Cristo-spirito è stata sostituita da quella dell'incarnazione dello spirito in un corpo; essa rimane comunque estranea all'ipotesi della resurrezione del corpo.

Tertulliano, però, pensa che sia necessario discutere contro il Cristo-spirito di Marcione (Contra Marcionem, 4:42) “Infatti, se non fosse carne (sulla croce), ma un fantasma di carne (e un fantasma non è altro che spirito, e così lo spirito restituì sé stesso, e si allontanò mentre lo faceva), senza dubbio il fantasma si dipartì, quando lo spirito che era il fantasma si dipartì: e così il fantasma e lo spirito scomparvero assieme, e non si videro da nessuna parte. Nulla perciò rimase sulla croce, nulla vi era appeso, dopo la dipartita del fantasma; non c'era nulla da chiedere a Pilato, nulla da togliere dalla croce, nulla da avvolgere nel lino, nulla da posare nel nuovo sepolcro. Ancora non c'era nulla che vi fosse là., che è proprio quello che pensavano i marcioniti del suo tempo, e la sepoltura e la resurrezione fisica diventarono impossibili.

Tra i dettagli mancanti dell'Evangelion, alcuni sono molto importanti in vista dell'evento che ci viene detto: il ruolo di Simone di Cirene, la spartizione delle vesti, la presenza della gente, gli oltraggi, l'iscrizione della croce (che varia a seconda dei vangeli), il dialogo tra Gesù e il buon ladrone (dialogo anche sconosciuto ad altri sinottici).

Marcione non conosceva i versi di Luca 23:35-39 dove figurano le parole “se egli è il Cristo di Dio, l'eletto, il re degli ebrei”.

Osserviamo che, per le Costituzioni Apostoliche (5:14), è “il Signore della Gloria” che è inchiodato al legno, cioè  un essere divino.

Per Paolo (1 Corinzi 2:8), questo “Signore della Gloria” (cioè Dio) è crocifisso dai “Principi di questo Mondo” che sono i demoni planetari; quelli arconti erano guidati dal “Principe dell'aria”; la scena era celeste. L'epistola ai Colossesi (2:14) dichiara che Cristo inchiodò la Legge ebraica sulla croce (così non fu permettendo a sé stesso di essere inchiodato), che questa croce era il suo carro trionfale, infine che le “autorità” ( planetarie) furono disarmate ed esposte al ludibrio del mondo. Siamo molto lontani da Pilato e dai sommi sacerdoti.

Luca, verso 42, fa dire ad uno dei malfattori: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”, confermato da Taziano. È senza dubbio il Cristo celeste, non un  Gesù uomo. Sembrerebbe che ci fosse un mito della crocifissione per i marcioniti e che questo mito venisse reinterpretato in seguito come un evento storico. La Didachè ignora la crocifissione di Gesù.

Secondo Origene (Commentario al Vangelo di Luca, Omelia 25) Paolo era assiso alla destra di Dio, Marcione alla sua sinistra. Secondo il Vangelo di Pietro (35-41) due angeli luminosi scesi dal cielo, entrarono nella tomba da cui uscirono sostenendo Gesù e seguiti dalla croce; il loro capo raggiungeva il cielo, ma quello della terza persona arrivava al di là dei cieli.

È il verso 33 di Luca 23, dove Cristo è crocifisso tra due ladroni, una risposta a quelle affermazioni marcionite? E quando, in Matteo 20:23 e Marco 10:35-40, la madre dei figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni chiese al Signore di farli sedere sulla sua destra e sulla sua sinistra nella sua gloria, non lo fanno per voler eclissare Paolo e Marcione? Gesù dice loro che il Padre ha già riservato quei due posti.

Anche Tertulliano, sebbene propenso a spiegazioni confuse, è molto prudente circa la crocifissione; scrive (in Contra Marcionem 3:19): “Io concederò loro che il Creatore non ci ha dato alcun segno della croce del suo Cristo, ma non potranno trarre da questa concessione che chi è stato crocifisso fosse un altro (Cristo), a meno che essi non possano dimostrare che questa morte sia stata predetta come sua proprio dal loro dio, in modo che dalla diversità della previsione si possa concludere ad una diversità di vittime. Ma poiché non esiste alcuna profezia per il Cristo di Marcione, ancora meno della sua crocifissione, è sufficiente per il mio Cristo che ci sia semplicemente una profezia della morte. Perché, poiché il tipo di morte non è specificato, era possibile che la morte sulla croce fosse stata ancora intesa, che allora dovrebbe essere assegnata ad un altro (Cristo) se la profezia fosse legata ad un altro. E se lui (Marcione) dovesse rifiutarsi di ammettere che la morte del mio Cristo fosse prevista, la sua confusione dev'essere più enorme quando annuncia che il suo stesso Cristo morì veramente, se egli nega che avesse avuto una nascita ...” Tertulliano è qui in confusione; deve avere davanti a lui un testo non autentico di Marcione. Quest'ultimo non credeva alla morte del suo Cristo spirituale oppure, se egli aveva adottato il mito della morte di Dio, questa morte era solo apparente e simbolica.

È FINITA (Luca 23:50-56)

Sebbene sintetizzata in Marcione, questa storia non è certo sua.


In 23:54 il testo marcionita ignora il sabato di Luca; lo cita comunque nel verso 56, ma gli altri sinottici non conoscono nessuno di quei due sabati.

Tertulliano ricorda (Contra Marcionem, 4:43) che le donne non trovarono il corpo di Gesù nella tomba e si imbarca in una spiegazione molto imbarazzata: “Ora Marcione era riluttante a cancellare dal suo vangelo alcune affermazioni che furono fatte contro di lui ― io sospetto, deliberatamente, per averlo in suo potere dai passi che egli non eliminò, quando avrebbe potuto farlo, o negare di aver cancellato alcunché, o per giustificare le sue soppressioni, se ne fece... Infatti il Gesù Cristo che appare nel tuo vangelo è mio”. 

Ricordiamo l'ammissione che il Cristo della Passione non è quello di Marcione, ma quello dei giudeo-cristiani e che non è certo che Marcione abbia fatto delle cancellazioni nel suo vangelo. D'altra parte, è facile supporre che Marcione non introdusse nel suo testo fatti che erano contrari alla sua dottrina.


RESURREZIONE (Luca 24:1-11)

Questa resurrezione non è marcionita e la storia originale è stata alterata male.

Il verso 7 riguardante il Figlio dell'Uomo manca in Marco e Matteo; esso interrompe la storia. Qui incontriamo per l'ultima volta questo Figlio dell'Uomo che è già figurato in Luca in diversi versi assenti dall'Evangelion (7:34, 11:30, 18:31, 21:36).

Marcione parla di due angeli luminosi (4), Luca di due uomini in abito brillante, Matteo dell'angelo del Signore, Marco di un giovane in un abito bianco.

La Resurrezione riguarda “Il Vivente” per Marcione e Luca, “Gesù” per Matteo, “Gesù Nazareno” per Marco. Secondo lui, le donne hanno paura e non dicono nulla a nessuno; secondo Matteo e Marcione, esse annunciano la notizia ai discepoli; secondo Luca, agli Undici e tutti gli altri.

I marcioniti non credevano alla resurrezione dei corpi. Ireneo (2:31-32) riferisce che “essi affermano che la risurrezione dai morti è semplicemente una conoscenza di quella verità che proclamano”. E Tertulliano (La Resurrezione della Carne 19) ci spiega quale fosse la loro concezione in merito: “Loro distorcono in qualche senso immaginario anche la dottrina più chiaramente descritta della resurrezione dei morti ... presumendo che perfino la morte stessa debba essere compresa in un senso spirituale. Dicono che ciò che comunemente si suppone sia la morte non è proprio così ― vale a dire, la separazione del corpo e dell'anima: è piuttosto l'ignoranza di Dio, in virtù della quale l'uomo è morto per Dio, e non è meno sepolto nell'errore di quanto lo sarebbe nella tomba. Perciò anche questa deve essere ritenuta la resurrezione, quando un uomo è rianimato dall'accesso alla verità, e avendo disperso la morte dell'ignoranza, ed essendo dotato di nuova vita da Dio, è scaturito dal sepolcro del vecchio uomo”.

Tertulliano non ricorda che gli stessi discepoli non avevano creduto alla resurrezione.

GESÙ APPARE A DUE DISCEPOLI E AGLI UNDICI  (Luca 24:13-43)

Questa storia è sconosciuta agli altri tre evangelisti; i 23 versi di Luca sono ridotti a 16 in Marcione, ma la cosa più sorprendente è che sono là. Il testo originale dell'Evangelion è stato profondamente rielaborato, ma il ritocco giudeo-cristiano è visibile.

Per i due discepoli che vanno a Emmaus, il Gesù morto e crocifisso era un pretendente messianico ebreo, devoto di Jahvé. C'è, in questa storia, una confusione tra il Cristo di Marcione e quello del dio creatore.

Il Cristo in questione è un fantasma, uno spirito che i due discepoli prendono prima per un uomo di carne e ossa. Questo episodio è stato necessariamente spostato poiché lo Spirito di Gesù fa la sua apparizione quando egli è già tornato in cielo presso suo Padre.

Leggiamo in Marcione: “uomini insensibili e duri di cuore che non credono in tutto quello che egli disse...” Ma Luca corregge questo testo e lo sostituisce con “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!” e Luca aggiunge un verso 27: “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”.

Questo verso non è nell'Evangelion e si ipotizza che un correttore volesse, ancora una volta, insistere sul ruolo dei profeti che, comunque, sono qui un elemento aberrante. Egli vi insisterà ancora  — così come alla Legge di Mosè e ai Salmi — nel verso 44 di Luca che Marcione non contiene. Questa insistenza quasi fanatica sulla Legge e sui Profeti, che viene praticata quasi costantemente contro l'insegnamento di Cristo, rivela in quale spirito i primi scritti cristiani venissero rivisti e distorti.

D'altra parte, la storia mira a confermare il rito dello spezzare del pane. Tuttavia, anche se non avevano partecipato all'ultima cena, i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù nell'atto di spezzare il pane, il che suggerisce che questo rito esistette prima dell'ultima cena oppure che fosse molto diffuso al di fuori della cerchia ristretta dei primi apostoli. Questa ipotesi è rafforzata dalla Didachè la quale, ricordando la benedizione del calice e del pane nell'ordine di Luca, oltre alle preghiere, non menziona l'Ultima Cena o la morte di Cristo. La storia dell'Ultima Cena è quella della giustificazione di un rito mediante l'invenzione della sua istituzione.

Questo pane spezzato e distribuito da Gesù che pronuncia una benedizione è un pane sacro. È l'Eucaristia da cui deriva la comunione cristiana. Non è affatto il simbolo del corpo e del sangue di Gesù; è il pane della conoscenza di Cristo, egli apre “gli occhi dei discepoli” e permette loro di riconoscere il salvatore gnostico.

Una continuazione venne data alla storia precedente (Marcione non conosce i versi 32-35).

Gesù appare “in mezzo agli undici e agli altri”; Marcione dice “in mezzo ai discepoli”. A questo spirito un correttore volle dare mani e piedi (e anche ossa ovviamente invisibili) e, giudicando insufficiente e inconcludente questa trasformazione, fece mangiare al suo fantasma  un pezzo di pesce arrostito appena prima che il fantasma avesse spezzato (e senza dubbio consumato) il pane con i due discepoli di Emmaus. Il pesce era il cibo dei marcioniti.

Il nostro manipolatore del testo volle dimostrare, contro Marcione, la resurrezione materiale del corpo, suggerendo che Gesù attraversasse i muri e potesse apparire e scomparire a volontà, cosa che indebolisce considerevolmente la sua tesi.

Nelle apparizioni riportate da Luca (24:30, 35, 37, 39, 43) e da Giovanni (20:14, 16, 20, 21:4, 6, 7), i discepoli non riconoscono immediatamente Gesù, che dimostra che il suo aspetto è cambiato o che non lo hanno conosciuto come Spirito; essi hanno bisogno di un segno o di una parola.

MISSIONE DEGLI APOSTOLI (Luca 24:47-51)

Versi ignorati dagli altri evangelisti. Dei dieci versi (44-53) di Luca, l'Evangelion conosce solo tre (47, 50, 51). Questa è una costruzione realizzata dopo il fatto.

Il testo di Marcione non contiene le formule di collegamento di Luca 44, 45 e 46; ma quei versi sono interessanti, mostrando da un lato di costituire un'aggiunta in Luca, dato che, dopo aver chiesto qualcosa da mangiare (41), Gesù dice: “Queste sono le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi” che è sia impreciso che fuori contesto (44) — dall'altro lato facendo dire a Gesù (sempre secondo Luca soltanto) “si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi...”. Qui abbiamo una ripetizione di ciò che già disse nei versi 24:25, 26, 27, “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano”. Tra i versi 27 e 44, il passo intercalato è parecchio simile a un pezzo rattoppato.

Uno scriba volle, dal verso 47, dare agli apostoli una missione da lui immaginata proveniente da Cristo stesso ma Marcione non conosceva né l'allusione a Gerusalemme, né la missione affidata agli Undici.

Allora Gesù ascende in cielo dove era già asceso una volta; successivamente si pensò che sarebbe stato meglio portarlo giù una seconda volta per giustificare il ruolo che la Chiesa appena costituita si era attribuita. 

Loisy scrisse a questo proposito “La nostra storia sfrutta i comuni dati cristiani del personaggio divino che prende forma umana per trattare con gli uomini senza essere riconosciuto e scompare nel momento in cui la sua identità era manifestata, piuttosto che adattare questo tema a quello del Cristo risorto”.

CONCLUSIONI

Sappiamo da Tertulliano che il suo Cristo non era quello di Marcione e che né quest'ultimo né Tertulliano confusero quei due Cristi: uno era un uomo, un ebreo chiamato Gesù, che doveva essere o dovrebbe essere stato un messia di Israele; l'altro era il dio buono, o la sua emanazione, e il suo regno non era di questo mondo.

Sappiamo anche che il primo vangelo predicato ai cristiani era quello di Paolo, l'apostolo eretico, e che questo vangelo fu raccolto e pubblicato da Marcione. Ireneo confessò come i quattro vangeli canonici vennero a sostituire il vangelo “eretico” modificandolo seriamente, cosa che non gli impedì di accusare senza motivo Marcione di aver corretto e mutilato uno di quei quattro vangeli (quello di Luca); sono quei quattro vangeli secondari — fabbricati dalla Chiesa per sostituire quello di Paolo e Marcione e combattere gli gnostici — che formarono la base primaria per le dichiarazioni dei Padri della Chiesa e sono ancora il terreno privilegiato degli esegeti moderni.

La riunione in un solo libro della Bibbia ebraica, dei nuovi vangeli e delle epistole paoline falsificate costituì il Nuovo Testamento, un'espressione che poteva apparire solo dopo la pubblicazione a Roma del corpus paolino che si opponeva alla Bibbia ebraica, cioè all'Antico Testamento. In precedenza l'espressione non avrebbe avuto alcun senso.

Questa frase “Libri dell'Antico Testamento” viene usata per la prima volta da Melito di Sardi intorno al 180 (Eusebio, Storia Ecclesiastica, 4:26, 12-14). D'altra parte, Tertulliano ha ammesso che era la Chiesa Romana ad aver unito la Legge e i Profeti con i vangeli e gli apostoli, una prova irrefutabile della giudaizzazione di questi da parte di quelli. Questo è anche ovvio dal momento che nessuno dei nostri vangeli canonici è anteriore — qualunque cosa diciamo — all'ultimo terzo del secondo secolo, mentre le epistole paoline risalgono al primo secolo e Marcione le pubblicò tra il 135 e il 140, una generazione prima dei vangeli canonici.

L'iniziativa della Chiesa era intesa ad annullare l'opposizione tra la Bibbia ebraica e il Nuovo Testamento proclamata da Marcione; questa riunione innaturale di due opere inconciliabili fu resa possibile solo dalla distruzione di gran parte degli scritti marcioniti e dalla falsificazione di ciò che fu preservato.

Nonostante quei fatti, Ireneo accusò Marcione di aver copiato il vangelo di Luca e corretto questo testo a suo piacimento; purtroppo, Ireneo è solo un unico testimone, tendenzioso e posteriore, ed è sulla sua sola testimonianza che Tertulliano, Epifanio e tanti altri mantennero contro Marcione una polemica che perdura ancora e che, come qualsiasi controversia, non fu mai oggettiva; nel caso in esame, non si trattava di scoprire la verità (dal momento che si pensava di possederla), era necessario difendere a tutti i costi e con ogni mezzo la causa ortodossa.

Ora, sembra che operando in questo modo gli avversari del marcionismo furono grandemente in torto, in primo luogo perché le loro credenze religiose pose una benda sui loro occhi, in secondo luogo perché essi non avevano i testi autentici di Marcione. Già alla fine del secondo secolo, l'Evangelion —- come Marcione l'aveva pubblicato — non esisteva più come un lavoro indipendente; era stato trasformato nel “vangelo di Luca” dopo aver subito gravi amputazioni e parecchie espansioni. Per questo motivo, quando i critici di Marcione lo accusano di certe incongruenze, non sospettano che in realtà alludono a incompatibilità di idee o di linguaggio tra la dottrina di Marcione e le credenze che i suoi correttori gli hanno impropriamente prestato, inserendole nei testi paolini e marcioniti.

Per darci un'opinione su questo argomento, ci siamo impegnati in un'analisi verso per verso dell'Evangelion e abbiamo appena dato molti esempi delle falsificazioni fatte sui testi marcioniti; il risultato di questo studio è andato ben oltre i nostri timori; non potevamo inizialmente immaginarlo di tale importanza.

Per limitare il nostro confronto a Luca e Marcione, ricordiamo che i versi mancanti a Marcione sono per lo più versi particolari a Luca, e aggiungeremo che Marcione contiene tanti altri testi paralleli alla tradizione sinottica rispetto ai testi specifici di Luca. Quei risultati testimoniano contro l'accusa lanciata superficialmente da Ireneo contro Marcione e ripresa, senza alcun pensiero critico, dai polemisti del terzo secolo.

Allo stesso modo ci rendiamo conto che tutto Marcione è in Luca, ma che solo la metà di Luca è in Marcione. Se Marcione avesse abbreviato Luca, avrebbe avuto molti versi da sopprimere; al contrario, fu davvero semplice per Luca prendere tutto Marcione, per modificare alcune espressioni e per aggiungere storie attinte altrove.

Ricordiamo anche che tutto Marco è in Luca, ma che Luca contiene molti versi che gli sono personali. Limitandoci agli episodi importanti, possiamo considerare che il testo dell'Evangelion originariamente non conteneva certe storie che appaiono oggi nel testo ricostituito di Marcione, cioè nel testo che Tertulliano ed Epifanio avevano davanti ai loro occhi.

Quei racconti non marcioniti sono i seguenti:

Luca, 1, 3, 7 Giovanni il Battista
- 4 L'indemoniato della sinagoga, Gesù rifiutato da Nazaret, Predicazione in Galilea.
- 6 Chiamata dei Dodici, Maledizioni,
- 7 Resurrezione dei figli della vedova di Nain,
- 8 Emorroissa,
- 9 I Dodici in missione, Erode e Gesù, La moltiplicazione dei pani (nel suo testo attuale), Il Figlio dell'Uomo, La Trasfigurazione,
- 10 Missione dei Dodici,
- 11 Cacciata dei demoni,  
-12 Maledizioni, il processo,
-13 Guarigione di Sabato,
- 15 Il gregge e la moneta perduti,
- 16 Fedeltà al denaro, il ricco e Lazzaro,
17 il Regno di Dio, il giorno del Figlio dell'uomo,
18 il giudice e la vedova, farisei e pubblicani,
19 il pubblicano Zaccheo, i servi buoni,
20 l'insegnamento di Gesù
21 la venuta del Figlio dell'Uomo, Gesù al tempio,
- 22
23 La Passione dell'uomo Gesù.
- 24

Così, l'analisi della ricostruzione del testo dell'Evangelion, come vediamo, risulta in un vero disastro; il testo attribuito a Marcione è in gran parte non-marcionita; è stato alterato da correttori giudeo-cristiani. Questo risultato è estremamente deludente per tutti coloro che speravano di possedere finalmente un testo del più grande dei discepoli di San Paolo. Lo stesso è vero, naturalmente, storicamente.

Tuttavia, il nostro stupore scompare quando ricordiamo che gli elementi della ricostruzione sono solo citazioni e critiche degli avversari di Marcione che scrissero più di mezzo secolo dopo di lui. Ci rendiamo conto che quei polemisti non operarono nemmeno su un testo autentico dell'Evangelion; avevano davanti ai loro occhi solo un testo apparentemente di Luca, dove erano inclusi vari elementi, in particolare numerose pericope di Matteo.

Ciò che è paradossale in questa situazione — tra molti altri fatti — è che quelli stessi critici cattolici, che, d'altra parte, ci hanno lasciato un quadro incompleto ma significativo della dottrina di Marcione, non hanno potuto discernere che il vangelo da essi attribuito a Marcione fosse in completa opposizione alla sua dottrina, come loro la conoscevano. Erano incoerenti? Oppure anche la loro opera venne falsificata?

Se il risultato che abbiamo raggiunto è accettato, toccherà ai critici indipendenti completare il presente lavoro che mira solo ad aprire una possibilità di soluzione al problema, troppo trascurato, dell'Evangelion. Lasciare questo problema irrisolto, nel suo stato attuale, equivale a prolungare l'errore volontario commesso nel terzo secolo, un errore che consisteva nel fare di Marcione un giudeo-cristiano che ammise l'uomo Gesù, la sua crocifissione e gli apostoli.

Harnack e Couchoud intrapresero un compito meticoloso e utile elencando tutti i versi attribuiti a Marcione da parte dei suoi avversari e ricostruendo l'Evangelion che essi utilizzarono per la loro critica. Grazie a loro, possiamo realizzare la frode — e la trappola — lasciataci dall'antichità cristiana; sta a noi difendere noi stessi.

D'altra parte, quando i margini delle colonne formate dai versi vengono esaminate nell'Evangelion ricostruito, è ovvio che la maggior parte di quei versi sono attestati solo da un autore, in particolare da Tertulliano. Dei 628 versi nella ricostruzione dell'Evangelion, circa 500 provengono da Tertulliano.

Ciò non ci dà la prova che i versi citati da lui siano conformi a quelli di Marcione e siano collocati nello stesso contesto. Già sappiamo che Tertulliano citò i versi di Matteo come quellli di Marcione, il che getta un sospetto sull'autenticità del manoscritto che stava analizzando.

“Testis unus testis nullus”. Tale testimonianza, se non fosse religiosa, sarebbe oggi respinta dalla dottrina e  giurisprudenza di tutti i paesi civilizzati. Inoltre, dato che Tertulliano è noto per i suoi eccessi, le sue contraddizioni e per l'interesse dogmatico che dettò le sue parole, non è una testimonianza oggettiva. Egli scrisse anche più di sessant'anni dopo l'edizione marcionita del corpus paolino.

Se, perciò, noi rifiutiamo tutti i versi che non sono garantiti da due testimoni, ci sarebbe ben poco dell'Evangelion che gli avversari di Marcione pretendevano di sapere: nessun teologo ci contraddirebbe su questo punto perché altrimenti egli si dovrebbe opporre a Deuteronomio. 19:15: “un solo testimone non sarà sufficiente ...  un fatto sarà stabilito solo sulla deposizione di due o tre testimoni”.

In questa collezione di testi giudeo-cristiani del secondo e terzo secolo, possiamo estrarre solo alcuni passi che possono venire da Marcione o che concordano con la sua dottrina. Queste vestigia dimostrano che esisteva un monumento primitivo i cui occupanti conservarono solo alcune pietre di riutilizzo; si trattava di una comune abitudine cattolica, quante chiese cristiane non furono costruite sulle rovine dei templi pagani, con le pietre e le colonne di quei templi?

Un buon esempio di questo uso tendenzioso di informazioni tratte dall'Evangelion è la presenza, nel vangelo di Luca, dei versi di 3:1a e 4:31, i quali sono separati da una lunga espansione di cui noi abbiamo fatto notare quando originariamente si seguivano tra loro per dirci: “nel 15° anno del principato di Tiberio Cesare, Cristo discese dal cielo e apparve a Cafarnao”.

Un'altra osservazione è evidente. Luca  confessò che lui stesso sistemò in una narrazione continua, in “successione”, le molte storie che aveva a sua disposizione, che è una preziosa indicazione; in effetti, suggerisce che l'Evangelion di Marcione era composto da piccole storie isolate, di vari episodi non correlati. E quello è ciò che constatiamo quando leggiamo l'Evangelion; questo testo può essere suddiviso in 106 episodi, spesso indipendenti l'uno dall'altro.

E si pensa inevitabilmente ai famosi oracoli del Signore, ai Logia, agli Agrapha che erano qua e là, raccolti in varie collezioni dopo essere passati agli iniziati per via orale. Così, per esempio, il Vangelo di Tommaso, — trovato nelle sabbie dell'Egitto intorno al 1945 —, ne contiene centodiciotto che iniziano quasi tutte con la frase “Gesù ha detto”. Gli evangelisti non hanno conosciuto o utilizzato tutti quelli agrapha, che costituiscono solo una piccola parte dell'immensa letteratura esistita nei primi giorni del cristianesimo.

Il vangelo primitivo era la buona novella della salvezza; fu insegnato da Cristo e fu prima confidato in segreto, poi predicato in pubblico. Furono poi fatte delle raccolte di queste frasi “del Signore” e sembra che l'Evangelion di Marcione appartenga a questa famiglia di collezioni.

Dopo di lui, scribi come Luca circondarono ogni frase con un contesto familiare o storico; ogni affermazione di Cristo diventato Gesù dette origine ad un episodio. Quindi i redattori o i copisti raccolsero quelli episodi e, grazie a formule di connessione, fecero di loro una storia continua che non ha nulla delle “buone notizie” annunciate dal suo titolo di vangelo. Non sorprende che originariamente le storie della Natività e della Passione non fossero parte del vangelo; esse sono di altra natura.

Si osserverà anche che i nostri vangeli non hanno sempre gli stessi episodi e non li danno nello stesso ordine.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che i testi comuni a Luca e Matteo, che non hanno alcun parallelo in Marco, comprendono principalmente discorsi di Gesù, cioè Logia o Oracoli. Ciò dimostra che Marco, il primo dei nostri vangeli canonici, non conosceva quei Logia. Probabilmente era lo stesso per Marcione. Infine, notiamo che Tertulliano, il quale citò  ampiamente Luca e Matteo, menziona Marco molto più raramente, solo tre volte, nel suo “Contro Marcione”. Ci si può chiedere se i Logia non siano più tardi di Marcione o di Marco e se la loro presenza in Luca e Matteo non sia dovuta alla riorganizzazione del testo originale di quei vangeli.

Ma il nostro scopo qui non è quello di immaginare la nascita e l'evoluzione dei vangeli canonici; solo l'Evangelion è in gioco; abbiamo cercato di analizzarlo e il risultato del nostro studio è sia deludente che incoraggiante; non possediamo il testo autentico di Marcione, ma vediamo all'opera le persone che lo distrussero e lo deformarono per far trionfare attraverso le loro pie frodi la dottrina giudeo-cristiana della Chiesa.

Avendo fallito di ricostruirlo, si può — con un semplice gioco della mente — immaginare cosa avrebbe potuto contenere l'Evangelion primitivo.

Esso presentava senza dubbio il racconto della discesa del Cristo celeste sulla terra in forma umana, l'insegnamento che lui confidò a Paolo e ai suoi discepoli o apostoli (i Dodici, sappiamo, vengono ignorati), la descrizione di un breve soggiorno negli Inferi, forse una rappresentazione rituale del suo “sacrificio”, cioè per dire del suo soggiorno terreno, infine della sua resurrezione concepita come il ritorno al cielo dell'anima di un essere spirituale e soprannaturale.

L'Evangelion non conosceva né Pietro né Giovanni ili Battista, né la natività, né la Passione, né i personaggi biblici. Se esso avesse avuto storie dell'istituzione del battesimo o della comunione, quelle storie erano molto diverse da quelle che abbiamo su questo argomento, le quali sono ovviamente contraddittorie e troncate.

Abbiamo solo vestigia risparmiate tendenziosamente dalla letteratura primitiva cristiana; se li conoscessimo nella loro interezza, gli inizi del cristianesimo e le fondamenta di questa religione ci apparirebbero in una nuova luce e in modi inaspettati.

Quando si legge, per esempio, Ireneo, si può vedere l'importanza di  documenti o concezioni della cui conoscenza siamo privati.

* * *

Nell'analisi dell'Evangelion di Marcione, nel ricordare succintamente la sua dottrina, noi abbiamo toccato solo su uno dei problemi posti dagli scritti cristiani; forse non è inutile cercare di capire meglio come l'opera di Marcione si situa in tutta la letteratura “cristiana”.

Le più antiche testimonianze cristiane provengono da Paolo le cui epistole sono più vecchie di almeno mezzo secolo rispetto all'apparizione di un vangelo scritto di qualsiasi tipo. Quelle epistole, liberate dalle loro interpolazioni, vale a dire dalle loro contraddizioni, ci insegnano che Paolo sapeva solo di un Cristo celeste, non di un uomo Gesù e che egli non sa nulla di un “messia” o di un “Figlio dell'Uomo”, che sarebbe morto crocifisso — di un Gesù che sarebbe nato da una Maria o da un Giuseppe o da uno Spirito Santo, di un Pilato o di sommi sacerdoti che l'hanno condannato a morte.

Dopo quelle epistole, il più antico libro del Nuovo Testamento è, almeno in parte, l'“Apocalisse” attribuita a San Giovanni. Quest'opera, scritta nel 95 circa, ed in origine ebraica, fu cristianizzata intorno agli anni 130-140 e diffusa in alcuni ambienti cristiani intorno al 155. Ora, ciò che è straordinario in questo lavoro composito è che i cristiani che lo completarono in modo da adattarlo alle loro credenze erano ignoranti dell'uomo Gesù Cristo, e assimilarono il loro Cristo  ad un agnello celeste oppure ad un cavaliere soprannaturale, in groppa ad cavallo bianco, oppure perfino a un bambino divino che scampò al drago.

Un altro scritto, l'epistola agli Ebrei, contemporanea all'Apocalisse, proveniente  da una setta ebraica, a sua volta cristianizzata, venne inserita nella collezione del Nuovo Testamento. Questa epistola sa di un Figlio di Dio che colloca al di sopra degli angeli, un Gesù eterno sommo sacerdote, senza genealogia ed essa ignora l'uomo che sarebbe stato il fondatore del cristianesimo e che avrebbe eseguito miracoli e sofferto  una Passione.

Un'altra epistola, attribuita a Barnaba, risale alla metà del secondo secolo; spesso cita l'Antico Testamento, oltre che opere apocrife, ma non menziona mai i nostri vangeli. Il suo autore parla ottocento volte di un “Signore”; spesso si riferisce alla sua vita, ma non menziona la sua crocifissione; la croce che cita non è uno strumento di tortura. Egli paragona il suo Gesù a due capre del giorno della Pasqua (una sacrificata sull'altare e consumata dai sacerdoti, l'altra cacciata nel deserto) e la giovenca rossa macellata e bruciata, paragoni che non concordano con i nostri dati evangelici.

Giustino, nato nell'anno 100 circa, convertito al cristianesimo intorno ai 150 anni, morì intorno al 167;egli scrisse la sua prima Apologia nel 150, un'opera che fu preservata in un solo manoscritto del quattordicesimo secolo. Giustino citò copiosamente l'Antico Testamento e trasse le sue informazioni da un testo chiamato Memorie degli Apostoli (o Memorie) che non conosciamo. Le sue citazioni delle scritture si differenziano più o meno dai brani corrispondenti dei nostri vangeli e menziona fatti o eventi che li contraddicono. Certamente Giustino non conosceva  i nostri vangeli nello stato in cui noi li abbiamo.

D'altra parte, egli conosceva il marcionismo; era lui che scrisse la prima confutazione, molto breve in effetti (Apologia 1, 26 e 58). Egli enumerò Marcione tra i maghi viventi al suo tempo e che insegnavano un altro dio rispetto al Creatore; secondo lui, Marcione affermò che il Cristo previsto dai profeti non fosse il Padre del vero Cristo ed egli ottenne l'adesione di “molte persone di ogni nazione” (questo è ciò che ripeterà Tertulliano). I fedeli di Marcione erano cristiani. Nel capitolo 7 dello stesso libro, Giustino scrisse che alcuni dei filosofi greci del suo tempo erano cristiani. Si noti che egli citò Luca, ma talvolta offrì brani che non erano nel vangelo di Marcione.

Taziano fu forse allievo di Giustino a Roma, ma quando morì (nel 167?), Si unì alla setta degli Encratiti, cioè asceti che (secondo Ireneo) erano allora i discepoli di Saturnilo e Marcione. Nemico della materia e del matrimonio, del vino e della carne, egli avrebbe composto intorno al 180 un vangelo chiamato Diatessaron che era, apparentemente, un'“Armonia” dei nostri quattro vangeli. Quest'opera non conosceva nessuna genealogia di Cristo e cominciava con la frase “In principio era la Parola”; era diffuso in Siria dove rimase l'unica forma di vangelo nota fino al quinto secolo.

L'epistola attribuita a Clemente Romano — e che può essere datata agli anni 150 — è ispirata principalmente dall'Antico Testamento; evoca però “il Nostro Signore Gesù Cristo” e il suo sangue, mentre manca di parlare della sua Passione e di citare i vangeli; il suo Cristo è presentato come il Figlio del Creatore dell'universo.

Per la Didachè (scoperta nel 1873), la Scrittura è l'Antico Testamento; parla del vangelo, il che suggerisce che non  conosceva né i nostri quattro canonici né i vangeli apocrifi. Si presenta come un'opera pre-cristiana nata in un ambiente ebraico intorno al 90, più tardi modificata da una setta ebraica convertita al cristianesimo, e contraddice i nostri quattro vangeli su molti punti.

Le lettere di Ignazio di Antiochia furono scritte intorno al 120-130 da un vescovo marcionita della Siria (Antiochia) e rielaborate profondamente tra il 190 e il 210 da un correttore cattolico. Se le interpolazioni di quest'opera si appellano a favore di un Cristo della carne, non si può ignorare che il testo originale menzionava solo un Cristo spirituale.

Il Pastore di Ermas si potrebbe datare al periodo 140-155. Questo lavoro fu citato come scrittura dai Padri e ritenuto di ispirazione divina; veniva letto pubblicamente nelle chiese ma non trovò un posto nel canone; il suo Figlio di Dio è anteriore alla creazione e non è chiamato Gesù o Cristo; non conosce i nostri vangeli e non rivela alcuna traccia di ebraismo. Esso riflette un cristianesimo privo di Gesù e privo di un Messia.

Si potrebbe affermare che non esiste alcuna traccia definite di un utilizzo di uno dei nostri vangeli canonici durante il primo secolo della nostra epoca e la prima metà del secondo.

Dobbiamo anche andare oltre e dimostrare che nel terzo secolo i nostri vangeli, così come il ritratto che diedero di Cristo, rimasero ignoti ad un certo numero di scrittori cristiani o di sette cristiane. Daremo come esempio solo l'Ottavio di Minucio Felice (terzo secolo).

Nella sua Histoire de la littérature latine chrétienne, Pierre de Labriolle, analizzando l'opera di Minucio Felice, evoca (pag.157, 158) “l'indiretta, ambigua e quasi equivoca maniera con cui Ottavio si riferisce a Cristo: “Quanto poi a ciò che voi attribuite alla nostra religione: il culto di un malfattore e crocefisso, siete lontanissimi dal vero, se ritenere che un malfattore abbia potuto meritare di esser ritenuto Dio e potesse esserlo una terrestre creatura. È da compassionare colui che ripone ogni propria speranza in un essere mortale; giacché ogni aiuto finisce per lui con la morte di quell'essere ...”  e l'autore cita Boissier il quale scrisse ''Come può essere che, in un'apologia del cristianesimo, lui (Minucio Felice) non volle pronunciare il nome di Cristo?”  Labriolle nota che “questo è davvero sorprendente” e ricorda che tra gli apologeti del secondo secolo, Aristide, Giustino e Tertulliano sono gli unici che pronunciarono il nome di Gesù Cristo.

In effetti, molti apocrifi respinti dal Canone della Chiesa erano di ispirazione gnostica e anteriori ai nostri vangeli canonici. Ireneo, che li conosceva, ci dice nel suo trattato “Contro gli eretici” che secondo quei cristiani dissidenti:

— i dodici apostoli erano solo l'allegoria del gruppo di dodici eoni creati da Anthropos ed Ecclesia,

— Cristo fu  battezzato a trenta anni perché nel Pleroma (Contro le eresie, 22) esistono trenta eoni,

— egli soffrì il dodicesimo mese dopo il suo battesimo (avendo predicato così solo un anno), che potrebbe suggerire che morì a trentun anni, a cui Ireneo rispose che Gesù morì a cinquant'anni,

— Cristo discese dai sette cieli, rivestì la sorella Sofia con la sua luce (lo sposo e la sposa ovvero lo sposo e la sposa del vangelo); l'unione di quei due esseri spirituali fu incorporata in Gesù (figlio della Vergine Maria e di un uomo) che creò il personaggio di Gesù Cristo (30:12).

— durante la crocifissione, l'uomo Gesù morì, ma l'incorruttibile Sofia-Cristo tornò al Regno di Dio (30:12).

— l'uomo crocifisso sarebbe stato Simone di Cirene e non Cristo,

— la maggior parte dei discepoli non era stata avvertita di questa discesa di Cristo in Gesù; quando fu annunciato loro, essi credettero che l'uomo Gesù fosse risorto sulla terra e che vi rimase  diciotto mesi, dopodiché salì al cielo alla destra di suo padre Ialdabaot (30:14),

— Dio Padre era sconosciuto prima della discesa di Gesù (20).

* * *

Ovviamente, queste credenze “eretiche” furono combattute dagli Apologeti dalla fine del III secolo. Ma la stessa ortodossia non esisteva ancora. La Chiesa giudeo-cristiana stava cominciando a imporsi, e il testo del Nuovo Testamento stava avanzando. Esso era lo stesso ovunque.

Ancora oggi, stiamo parlando di 250.000 varianti in questo testo, un numero che supera quello delle parole del Nuovo Testamento. Le divergenze sono spesso insignificanti ma tendenziose, a volte considerevoli nell'ambito e negli eventi a cui si applicano. Secondo la critica unanime su questo punto, non c'è un solo testimone che abbia conservato fedelmente in tutti i suoi dettagli il testo originale del Nuovo Testamento. Se ci fosse stato uno, cioè se diversi testi rivali non fossero comparsi contemporaneamente. Nonostante l'enorme e utile lavoro degli studiosi, si può vedere che la critica testuale del Nuovo Testamento sia a malapena abbozzata e che può essere solo il lavoro di numerose squadre indipendenti dai dogmi ricevuti e dotati di potenti mezzi materiali, condizioni che non potrebbero mai essere soddisfatte.

Un'altra difficoltà: la Chiesa non aveva, innanzitutto, un testo ufficiale del suo Nuovo Testamento e regnava il più grande disaccordo  tra i manoscritti esistenti. Ecco perché il vescovo di Roma Damaso — che Valentiniano aveva appena promosso come giudice degli altri vescovi (369) — commissionò a Girolamo la realizzazione di una nuova traduzione latina del Nuovo Testamento. Questa versione, completata nel 383, è nota come la Vulgata; è quel che viene utilizzata nella pratica quotidiana e nella liturgia ufficiale della Chiesa, anche quando viene ritradotta in una lingua moderna.

I sostenitori delle numerose versioni latine già esistenti quando Girolamo si mise all'opera lo criticarono violentemente; lo rimproverarono di disprezzo della tradizione, di rifiutare ciò era  ammesso da tutti, di osare correggere perfino le parole di Gesù Cristo; Rufino lo definisce eretico e falsario.

Così attaccato nel suo lavoro, Girolamo scrisse a Damaso: “Se loro (i miei nemici) sostengono che noi dobbiamo seguire gli esempi latini, io sono pronto ad obbedire loro, ma prima mi lascino conoscere quelli che noi dobbiamo seguire. La grande fonte di errore nei nostri manoscritti deriva dal fatto che essi hanno completato le storie degli evangelisti l'uno dall'altro, e deriva dal fatto che le interpretazioni sono così numerose come i manoscritti. Considerando il tipo di storia di un evangelista come loro modello, essi vollero ricondurre a lui le narrazioni parallele, e ne deriva che tutto nei nostri cuori è offuscato: Marco si è arricchito di quello che appartiene a Matteo e Luca, egli ha invaso il terreno di Giovanni e Marco e così via gli altri”. Questa testimonianza risale a sedici secoli fa.

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Parallelamente alle antiche versioni latine del Nuovo Testamento — e probabilmente prima di loro — esisteva una traduzione latina delle scritture marcionite. Anche Harnack dimostrò che Tertulliano aveva davanti a sé una versione latina dell'opera di Marcione quando si impegnava a combattere la sua dottrina.

Alcuni critici cattolici si sono chiesti se i testi (greci) di Marcione non abbiano influenzato i testi greci del Nuovo Testamento. Così, nell'articolo Critique textuelle dovuto a M. J. Vogels (Sup. Dicl. Bible, Col. 272-272), leggiamo le seguenti parole: “... per quanto strano sia il fatto, è fuor di dubbio che la Bibbia marcionita influenzò il testo cattolico di San Paolo ... troviamo nel testo di Marcione una buona parte delle varianti del testo occidentale ... Questa influenza di Marcione si incontra anche nel vangelo e, nello stesso gruppo di testimoni, precisamente i testimoni occidentali ... Nessun manoscritto è più vicino al testo marcionita dell'antico manoscritto latino, il che prova una certa influenza di Marcione”. A nostro parere, l'autore cristiano che scrisse quelle righe non poteva andare oltre; gli fu proibito scrivere che l'Apostolikon e l'Evangelion pubblicato da Marcione anticiparono il Nuovo Testamento cattolico.

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Riassumiamo. Marcione era — dopo Paolo — il testimone e l'apostolo di un  cristianesimo anteriore a quello che conosciamo. La sua dottrina e la sua Chiesa furono cancellate dalla storia delle religioni dal cattolicesimo, ma lasciarono tracce nel Nuovo Testamento e influenzarono i dogmi cristiani per almeno tre secoli. Con i vari gnosticismi e certe religioni del Medio Oriente, il marcionismo contribuì alla creazione di una religione che è molto più un sincretismo che un sistema coerente. Il cristianesimo divenne originale solo nella misura in cui essa dimenticò e distorse i credi iniziali dei cristiani che precedettero la creazione della Chiesa romana, tra i quali figurano i marcioniti.

Infine, e non possiamo insistere abbastanza su questo punto, una critica indipendente deve cambiare il suo metodo se vuole comprendere veramente le origini cristiane. Invece di ricalcare le orme dei teologi e di spiegare Paolo attraverso i vangeli, vale a dire l'inizio da ciò che segue dopo, dovrà trattare prima le epistole del grande apostolo e chiedersi come la religione predicata da Paolo ai gentili possa essere diventata il giudeo-cristianesimo di oggi. Esaminare come Paolo, convertito di recente ad un ebraismo marginale, potesse e volesse trasformare in pochi anni la religione da lui adottata, costituisce un'assurdità e un falso problema. È la domanda opposta che ci si deve chiedere: come e perché la Chiesa riunì le epistole di Paolo nel suo “Nuovo Testamento” e assorbì parte dell'Evangelion di Marcione nei vangeli dopo averne snaturato il significato?

NOTE

[7] Si veda la nostra dimostrazione in Ernest-Renan Cahier numero 50 dell'aprile 1966, pagine 61-63.

[8] In particolare dandogli il nome ebraico di Saul che Paolo non conosceva.

[9] Si veda in Cahier Renan numero 71 (maggio-giugno 1971) l'articolo “Des pains, des poissons et des hommes”.

[10] Secondo il Vangelo degli Ebrei, Gesù aveva fatto la stessa risposta a coloro che volevano che venisse battezzato da Giovanni per la remissione dei peccati “In che cosa ho peccato per essere battezzato da lui?” (Girolamo, Contro i pelagiani 3.2).
[11] A volte la moglie ideale dei fedeli era la Chiesa o la Comunità; era lei la «signora eletta» o la «signora sovrana» della seconda epistola attribuita a san Giovanni.

[12] Si veda Cahier Renan numero 15/16.


[13] H. Pernot, Les quatre évangiles, 1943, Gallimard, pag. 337.

[14] Si veda Bulletin Ernest-Renan Circle numero 85 bis, pag. 24.


[15] Si veda l'articolo “Du pain, des poissons et des hommes” in Cahier Ernest-Renan numero 71, maggio-giugno 1971.


[16] Si veda G. Ory, Christ and Jesus, Ed. Pavillon, pag. 138-139, 245.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Buongiorno, seguo con grande interesse le sue pubblicazioni, complimenti per l’assiduo lavoro di informazione che svolge. Credo che davvero sia sulla buona strada sulla comprensione della verità storica di Gesù. Io non sono un esperto ma da vari anni ormai leggo molto sull’argomento, per pura curiosità storica.
Vorrei fare una domanda: Se accettiamo l’ipotesi che il primo vangelo originario fosse gnostico e precedente a quello di Marcione, di Marco ed al vangelo degli Ebrei, come si pone nei confronti del Vangelo di Tommaso? Anche quest’ultimo è gnostico e sembra molto antico, come suggerisce il fatto che sia scritto in loghia. Che rapporti potrebbero esserci tra il Vangelo di Tommaso ed il Vangelo originario? Grazie.

Giuseppe Ferri ha detto...

Grazie del complimento, ma io non sono un esperto (possiedo solo una laurea magistrale in una materia scientifica) se non di studiosi (loro sì, esperti) miticisti.

Su Tommaso apprezzo e ritengo definitivo l'importante lavoro di Mark Goodacre, Thomas and the Gospels: The making of an apocryphal text. Egli colloca questa collezione di detti al tempo di Bar-Kochba, in virtù del detto 68:


Gesù disse:
«Beati voi, quando vi odieranno e vi perseguiteranno, e non troveranno un luogo nel luogo dove vi hanno perseguitato».



...il “luogo” dove ci fu una “persecuzione” ebraica anti-cristiana (leggi: dove semplicemente la predicazione di un Cristo crocifisso, e non dove fu crocifisso un Cristo, fu una “pietra di scandalo” per gli ebrei, si veda Romani 9:32-33) fu Gerusalemme. Così se gli ebrei non vi trovano posto a Gerusalemme è perchè non poterono più dimorarvi per espresso decreto imperiale (Adriano), ossia dopo il 135 E.C.

Che si tratti del 135 e non del 70 è provato dal detto 71:

Gesù disse:
«Io distruggerò questa casa e nessuno potrà ricostruirla…».


La certezza dogmatica di questo Gesù di carta sul fatto che “nessuno potrà ricostruire” il tempio è rivelatrice della certezza, radicatasi solo dopo il 135, che il tempio non sarebbe mai stato più ricostruito: una speranza ancora viva dopo il 70, visto che il Gesù di carta di Marco 11:14 poteva al più soltanto augurarsi che il tempio (allegorizzato dal fico sterile) non venisse più ricostruito:

E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti».

...ma questo augurio è ben diverso dall'esplicita negazione di una ricostruzione del tempio per l'intera eternità, visto che tradisce ancora la possibilità di una ricostruzione del tempio nel breve periodo, perfino se contro il volere del Gesù di carta in questione.

Così: io non penso proprio che il vangelo di Tommaso sia di qualche utilità per le Origini del Mito (leggi: epistole), tantomeno per la diffusione della leggenda (leggi: vangeli). Al contrario, conferma che una collezione di detti attribuita a Gesù (con tanto di formula: “Gesù ha detto”) non costituisce una prova della sua esistenza, non più di quanto la confermerebbe un'ipotetica fonte Q (alla quale io non credo affatto). E conferma come gli stessi gnostici, perfino se alcuni di loro fossero stati gli autori di proto-Marco (una semplice, concreta possibilità, a mio avviso, non qualcosa che ho “provato”), finirono col partecipare alla medesima orgia storicista dei loro rivali proto-cattolici, colle medesime pretese, coi medesimi effetti piuttosto grotteschi, ancora ai nostri giorni.