giovedì 10 agosto 2017

Sui vangeli sataniciPaolo & Maometto a confronto

È facile placare gli angeli; trasformali in strumenti e suoneranno con le loro arpe i motivi che tu vorrai.
(Salman Rushdie, I versi satanici)
“APOSTLE PAUL” (2017) Hugh Jackman

Non sono io libero? Non sono io apostolo? Non ho visto Gesù, il nostro Signore?
(Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 9:1)

Maometto vede in allucinazione l'arcangelo Gabriele.


Non ho mai capito Salman Rushdie. O almeno, non sono mai riuscito a leggere per intero il suo voluminoso I versi satanici, nonostante tutto il clamore che se ne è fatto a tempo debito (e che non occorre ripetere) e nonostante non ci voglia molto a riconoscere che c'è del genio nella sua prosa agile, veloce, scorrevole. A questo proposito, basti solo dire che per l'ateo e miticista Michel Onfray, nel suo grandioso Décadence, la data simbolica della fine della civiltà giudeo-cristiana è il 14 febbraio 1989, proprio il giorno della “fatwa” di Khomeini contro Salman Rushdie.

Perchè citare Salman Rushdie in questo blog sul mito di Cristo? Perchè lo studioso serio e competente Richard Carrier ha più volte sollevato la seguente “Divina” analogia per spiegare la migliore teoria del mito di Gesù:
Islam: Maometto “allucina” conversazioni con l'angelo Gabriele e il Corano riporta i detti insegnamenti di Gabriele.

Mormonismo: Joseph Smith “allucina” conversazioni con l'angelo Moroni e la visione di parole su tavole magiche, e il Libro di Mormon riporta cosa dissero quest'ultime.

Gesù fu originariamente un'entità celeste simile a Gabriele o a Moroni, e insegnò ai suoi seguaci nello stesso modo.

(tratto e tradotto da Richard Carrier, So... if Jesus Didn't Exist, Where Did He Come from Then?)

Naturalmente l'analogia può funzionare se Maometto è esistito storicamente (quesito a cui lo stesso dr. Carrier non sa rispondere) e solo se beninteso si riconosce a Pietro, il fondatore del culto cristiano, lo stesso potere che dopo di lui avrebbe avuto un Paolo e cioè di farsi avvicinare dall'arcangelo celeste Gesù Cristo in persona (e meritare per ciò stesso il titolo di “apostolo”) tramite estasi, sogni, visioni, rivelazioni. In una parola: allucinazioni di tipo schizotipo.
Tutti gli studiosi, perfino i folli apologeti cristiani, riconoscono a Pietro quel potere, mentre solo ipotizzando una totale alterità del cristianesimo di Pietro rispetto a quello di Paolo — magari sostenendo à la Eisenman che il primo era un sedizioso antiromano e come tale probabilmente immune da allucinazioni di tipo schizotipo, tantomeno da ogni relazione con Paolo — si può mettere in dubbio che il cristianesimo si fosse originato da una mera visione dell'arcangelo celeste Gesù risorto.

Perciò l'analogia regge piuttosto bene. E a questo punto entra in gioco Salman Rushdie. 


Sulla falsariga di un paragrafo del suo romanzo I versi satanici, facendo in sostanza una sorta di “midrash” su questo particolare interessante paragrafo, io ho inteso tentare un analogo attacco satirico e volutamente blasfemo alla schifosa religione cristiana, semplicemente mutando contesto, attori e protagonisti.
Ciò che segue immediatamente di seguito è questa mia tutta personale rielaborazione delle parole di Rushdie in senso stavolta anti-cristiano e non anti-islamico, seguito a ruota, laddove debitamente indicato, dalle parole originali di Rushdie tratte dal suo libro I versi satanici.






I VANGELI SATANICI

di Giuseppe Ferri

E Gesù sognò questo:  
Nella comunità di Gerusalemme i seguaci della nuova fede del Messia si trovarono a non possedere terra, e quindi erano poveri. Per molti anni si finanziarono con atti di elemosina, persuadendo i ricchi ebrei della Diaspora o gentili “timorati di Dio” che andavano e venivano da Gerusalemme. Paolo non aveva tempo per gli scrupoli, raccontò il piccolo Marco a Matteo, né perplessità sui fini e i mezzi. I fedeli vivevano di elemosina, ma in quegli anni a Paolo — o bisognerebbe dire all'arcangelo Gesù Cristo? — bisognerebbe dire ad YHWH? — era venuta l'ossessione della libertà dalla Legge. Nel bagliore di una visione Gesù apparve all'apostolo e cominciò a declamare libertà, libertà, libertà, al punto che i fratelli non sopportavano più la prospettiva di altre rivelazioni, disse il piccolo Marco; libertà su qualsiasi cosa, se un uomo scorreggia, che volga il viso verso il vento, libertà sulla mano da usare per pulirsi il sedere. Come se si volesse lasciare sregolato, libero, qualunque aspetto dell'esistenza umana. La rivelazione — il vangelo — diceva ai fratelli quanto dovevano essere liberi nel mangiare, quanto dovevano essere liberi nella profondità del loro sonno e come ogni posizione sessuale riscuoteva l'approvazione divina, ed essi appresero che la sodomia e la “posizione del missionario” erano consentite dall'arcangelo, come lo erano tutte quelle con la femmina sopra. Gesù elencò inoltre gli argomenti di conversazione permessi e vietati ed enumerò le parti del corpo che bisognava grattare qualora ne fosse insopportabile il prurito. Permise di consumare carne di porco, quelle bizzarre creature di un altra dieta che nessuno dei fratelli aveva mai mangiato, e impose di uccidere gli animali velocemente,  sgozzandoli,  perchè compiendo alla svelta l'esperienza della morte, potessero arrivare a capire il significato della propria vita: infatti è solo nel momento in cui muoiono che le creature viventi capiscono che la vita non è stata realtà, ma solo una specie di sogno. E Gesù, l'arcangelo, specificò come un uomo doveva essere circonciso e come dovevano essere divisi i suoi beni, e Marco il gentile comincò a domandarsi che razza di Dio fosse questo che parlava come un uomo d'affari. Fu allora che gli venne l'idea che distrusse la sua fede, perché ricordò che Paolo era stato un uomo d'affari fabbricatore di tende, e anche di grande successo, una persona per la quale l'organizzazione e le regole erano cose normali, e quindi gli faceva sin troppo comodo tirar fuori questo efficientissimo arcangelo, che comunicava le decisioni di un Dio estremamente corporate se non corporeo.  
Poi il piccolo Marco cominciò a notare quanto erano utili e tempestive le rivelazioni dell'angelo; quando per esempio i fratelli contestavano le opinioni di Paolo su un argomento qualsiasi, dalla possibilità di circoncidersi o meno alla permanenza delle osservanze ebraiche, arrivava l'angelo con una risposta, e appoggiava sempre Paolo affermando, senza la minima possibilità di dubbio, che era impossibile che un uomo dovesse per forza essere circonciso per essere salvato, ed essendo altrettanto permissivo sul carattere transitorio della dannazione: anche il peggior malfattore sarebbe stato prima o poi purificato dal fuoco dell'inferno e avrebbe ricevuto una visita dall'apostolo, a Corinto come a Tessalonica. Sarebbe stato differente, si lamentò il piccolo Marco con Matteo, se Paolo avesse preso le sue posizioni dopo aver avuto la rivelazione da Gesù; e invece no, lui stabiliva la legge e poi l'angelo la confermava; cominciai allora a sentire puzza di marcio, e pensai, deve essere l'odore di quelle fetide e pagane creature impure, come accidenti si chiamano, maiali.  
L'odor di porco stava ormai ossessionando il piccolo Marco, che degli intimi di Paolo era il più istruito, per la superiorità del sistema scolastico allora vigente a Roma. Per questo motivo il piccolo Marco era diventato l'interprete ufficiale di Paolo, e toccava a lui mettere per iscritto i detti del Signore, che continuavano a proliferare all'infinito. Tante rivelazioni e tutte così vantaggiose, disse a Matteo, e quanto più facevo questo lavoro, tanto più la situazione si aggravava. — Per un po' tuttavia dovette accantonare i propri sospetti, perché alcuni fratelli venuti da Gerusalemme partirono per Antiochia, fermamente decisi a cacciare quei falsi fratelli che   molestavano le comunità e intralciavano l'osservanza completa della Torà. Ciò che avvenne dopo è notissimo, non ho bisogno di ripeterlo, disse il piccolo Marco, ma poi la sua immodestia esplose, costringendolo a raccontare a Matteo che aveva salvato personalmente i fratelli gentili di Antiochia da una sicura espulsione, insieme con la reputazione di Paolo, avvisando quest'ultimo in anticipo dell'arrivo dei suoi nemici. Il piccolo Marco aveva cioè convinto l'Apostolo a far bandire un'enorme banchetto per la comunità di Antiochia, che ospitava anche un sacco di gentili, e a farlo troppo largo perché i ricchi gentili convertiti dalla celeberrima predicazione di Paolo potessero parteciparvi accanto ai fratelli ebrei. Un banchetto: con carne di maiale servita alla fine. Quando i giudaizzanti videro questo osceno cibo per niente ortodosso, il senso della Torà e della tradizione li obbligò a comportarsi come se il banchetto non esistesse, e a distanziare al massimo i loro piatti e le loro pietanze da quelle impure dei gentili. Il fior fiore degli apostoli di Gerusalemme, Pietro oltre a quelli inviati da Giacomo, finirono così isolati e facilmente riconoscibili dai fratelli ebrei che invece, obbedendo a Paolo, rimasero a condividere il desco coi gentili: conta su un gentile perchè non giochi rispettando le regole. — E dopo l'incidente di Antiochia? Il piccolo Marco si lamentò con Matteo: Tu penserai che mi abbiano trattato come un eroe, io non sono un vanitoso, ma dov'erano gli onori pubblici, dov'era la gratitudine di Paolo, perché l'arcangelo non nominava mai me nei suoi bollettini? Niente, neanche una sillaba, come se anche per i fratelli gentili la mia idea del banchetto fosse stata uno sporco trucco, una trovata grossolana, disonorevole, scorretta: come se la loro cristianità ne fosse stata danneggiata, come se li avessi offesi nell'orgoglio salvando loro la reputazione. Io tenni la bocca chiusa e non dissi niente, ma da allora persi una quantità d'amici, la gente, credimi, detesta chi le rende un buon servizio. Nonostante la pubblica umiliazione di Pietro ad Antiochia, i fratelli persero molti seguaci nella rivalità con Gerusalemme. E nelle loro tensioni persero tanti proseliti quanti ne guadagnarono.  E appena finisce l'incontro-scontro, ecco che subito l'arcangelo Gesù ordina ai fratelli ebrei superstiti di sposare le vedove gentili, per evitare che, rimaritandosi fuori della fede, vadano perdute per il Messia. Che angelo pratico, sogghignò il piccolo Marco a Matteo. A questo punto aveva estratto dalle pieghe del mantello una bottiglia di vino di Galilea e i due uomini stavano bevendo in continuazione nella luce  sempre più fioca. A mano a mano che calava il liquido rosso nella bottiglia, il piccolo Marco diventava sempre più loquace; Matteo non ricordava di aver mai sentito nessuno parlare tanto.  Oh, quelle assennate rivelazioni, gridò il piccolo Marco, ci fu persino detto che non aveva importanza se eravamo già circoncisi o se mangiassimo carne di porco, potevano fare anche i fratelli ebrei a meno della circoncisione, oppure rimpinzarsi di carne di porco o di cibo offerto agli idoli, se eravamo in condizione di permettercelo senza aver grane di sorta coi piccoli, e be', come puoi immaginare, i fratelli gentili erano già molto favorevoli. Che cosa indusse finalmente il piccolo Marco a chiudere con Paolo: la questione delle donne, e quella dei vangeli satanici. Senti, io non sono un pettegolo, confidò il piccolo Marco, ormai ubriaco, ma dopo lo scisma dei seguaci di Apollo a Corinto, Paolo non fu per niente un angelo, non so se mi spiego. A Corinto però rischiò di trovare pane per i suoi denti. I fratelli di lassù: gli fecero venire la barba quasi bianca nel giro di un anno. Il fatto, mio caro Matteo, è che al nostro Apostolo non garbava che i suoi fratelli lo rimbeccassero, lui aveva un debole per le vedove e i bambini, pensa alla sua prima benefattrice e poi a me stesso: una troppo vecchia, l'altro troppo giovane, i suoi due amori. Non gli andava di scegliere una della sua età. A Corinto però le stesse sorelle sono diverse, non puoi neanche immaginare quanto, qui a Gerusalemme siete abituati a tiranneggiare le vostre sorelle, quelle invece non lo sopporterebbero. Quando un gentile si fa battezzare va subito a predicare il Cristo per conto suo, fregandosene perfino di Paolo! Pensa! Scandaloso, no? E fin quando dura la sua rivelazione personale, conserva la sua riottosa indipendenza. Se vogliono sbarazzarsi di Paolo, basta  loro voltarsi nella direzione opposta, così quando lui arriva a Corinto trova tela dove dovrebbe esserci la porta, e il gioco è fatto, lui è fuori, scomunicato, e non può farci niente. Be', le nostre sorelle cominciavano ad apprezzare questo stato di cose e si stavano ficcando in testa chissà che razza di idee; e allora tutt'a un tratto, bang, salta fuori il regolamento, l'angelo comincia a sfornare regole su ciò che le sorelle e i fratelli del Signore non devono fare, imponendo loro di tornare a quella docilità di comportamento che l'Apostolo preferisce; docili, al di là se ispirati o meno dallo spirito santo, devono camminare sulle orme di Paolo oppure — il che è lo stesso — limitarsi a farfugliare in lingue sconosciute, non prima di aver sganciato qualche moneta all'apostolo, naturalmente a beneficio dei poveri. Come risero dei fratelli gli eretici gnostici di Corinto, ma quell'uomo è un MAGO, nessuno poteva resistere alla sua predicazione; le sorelle e i fratelli del Signore fecero ciò che lui aveva ordinato. Si sottomisero; dopo tutto, lui offriva loro un posto nel mondo a venire.   «Comunque», disse il piccolo Marco, arrivato quasi al fondo della bottiglia, «decisi finalmente di metterlo alla prova.»
Una notte l'interprete gentile sognò di trovarsi sospeso sopra la figura di Paolo, nel deserto dell'Apostolo in Siria. Sulle prime pensò che fosse soltanto una fantasia nostalgica sui vecchi tempi di Gerusalemme, ma poi s'accorse all'improvviso che, nel sogno, il suo punto di vista era stato quello dell'arcangelo, e allora gli tornò in mente l'episodio dei vangeli satanici, vivido come se fosse avvenuto il giorno prima.  «Forse non mi ero sognato nei panni di Gesù» raccontò il piccolo Marco. «Forse ero Satana travestito da angelo di luce.» Il rendersi conto di questa possibilità gli suggerì un'idea diabolica. Da allora, quando sedeva ai piedi dell'Apostolo a mettere per iscritto detti del Signore detti del Signore detti del Signore, cominciò furtivamente a fare qualche cambiamento. «Cose piccole, all'inizio. Se Paolo recitava un detto del Signore in cui Gesù si definiva il Cristo di YHWH, io scrivevo, il Cristo di un altro Dio. Il punto è questo: Paolo non s'accorgeva delle modifiche. Di fatto ero io che scrivevo il Vangelo, o almeno lo riscrivevo, contaminando la parola di Dio col mio linguaggio profano. Ma, santo cielo, se non era possibile distinguere le mie povere parole dal Vangelo del Cristo di Dio, che cosa significava? Che cosa indicava della qualità della rivelazione divina? Ti giuro che ero sconvolto sin nel profondo dell'anima. Un conto è essere un tipo furbo e avere il vago sospetto che ci sia qualcosa di poco pulito, e un altro è scoprire di aver ragione. Ascolta: io per quell'uomo e il suo angelo cambiai la mia vita. Lasciai il mio paese, attraversai il mondo, mi stabilii tra persone che mi consideravano un viscido straniero codardo perché avevo salvato loro la reputazione, che non apprezzarono mai quello che io... ma tutto questo pazienza. La verità  è che ciò che mi aspettavo quando feci quel primo piccolo cambiamento, il Cristo di un altro Dio, al posto di il Cristo di YHWH — quello che volevo — era che, quando lo avessi riletto all'Apostolo, lui dicesse: Ma che ti succede, piccolo Marco? Stai diventando sordo? E io avrei detto: Ops, Oh Dio, che svista, come ho potuto, e avrei subito corretto. Ma questo non accadde; e adesso stavo scrivendo io il Vangelo, e nessuno se ne accorgeva, e io non avevo il coraggio di confessarlo. Ero spaventato a morte, t'assicuro. Ed ero anche triste come non lo ero mai stato. Dovetti quindi insistere. Forse, pensai, quella volta se l'è lasciato sfuggire, capita a tutti di sbagliare. Così, la volta dopo, feci un cambiamento più grosso, dalle conseguenze inimmaginabili. Lui disse Gesù Cristo e io scrissi Gesù DETTO Cristo. Questo l'avrebbe sicuramente notato; come poteva non accorgersene? Ma  quando gli lessi il capitolo, annuì  e mi ringraziò con la solita cortesia, e io uscii dalla sua tenda con gli occhi pieni di lacrime. Da allora seppi che i miei giorni a Corinto erano contati, ma dovevo continuare. Dovevo. Non c'è amarezza paragonabile a quella di chi scopre di aver creduto in un fantasma. Sapevo che sarei caduto, ma lui sarebbe caduto con me. Proseguii dunque con le mie diavolerie, cioè modificando gli oracoli del Signore, finchè un giorno, mentre glieli leggevo, lo vidi accigliarsi e scuotere il capo come per schiarirsi la mente, e poi annuire lentamente, ma con un'ombra di dubbio. Ero arrivato al limite, e sapevo che la prossima volta che avessi riscritto il Vangelo, avrebbe capito tutto. Quella notte rimasi sveglio, soppesando nelle mie mani il suo destino insieme col mio. Se mi fossi lasciato distruggere, avrei distrutto anche lui. Dovetti scegliere, in quella notte terribile, se preferivo morire vendicandomi o vivere senza niente. Scelsi, come vedi, la vita. Prima dell'alba, lasciai Corinto sulla mia nave, e, dopo aver patito numerose disavventure che non ho voglia di raccontare, riuscii a tornare a casa, a Sinope nel Ponto. E adesso che Paolo è morto e qualcun altro nel suo nome sta arrivando trionfante, perderò egualmente la vita. Il loro potere è ormai troppo grande, perché io possa abbatterlo.»  
Matteo domandò: «Perché sei così sicuro che questi nuovi cristiani ti ammazzeranno?».
Il piccolo Marco rispose: «Sono i loro Vangeli contro il mio e quello di Paolo».
Matteo estrasse il pugnale e gli tagliò la gola.
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Un'avvertenza prima della lettura del brano originale di Salman Rushdie: “Mahound” sta per “Maometto”, mentre “Gibreel” sta per l'arcangelo “Gabriele”.


I VERSI SATANICI

di Salman Rushdie


 E Gibreel sognò questo:  
Nell'oasi di Yathrib i seguaci della nuova fede della Sottomissione si trovarono a non possedere terra, e quindi erano poveri. Per molti anni si finanziarono con atti di brigantaggio, assalendo le ricche carovane di cammelli che andavano e venivano da Jahilia. Mahound non aveva tempo per gli scrupoli, raccontò Salman a Baal, né perplessità sui fini e i mezzi. I fedeli vivevano di azioni illegali, ma in quegli anni a Mahound — o bisognerebbe dire all'arcangelo Gibreel? — bisognerebbe dire ad Allah? — era venuta l'ossessione della legge. Tra   le palme dell'oasi Gibreel apparve al profeta e cominciò a declamare regole, regole, regole, al punto che i fedeli non sopportavano più la prospettiva di altre rivelazioni, disse Salman; regole su qualsiasi cosa, se un uomo scorreggia, che volga il viso verso il vento, regola sulla mano da usare per pulirsi il sedere. Come se non si volesse lasciare sregolato, libero, neppure un aspetto dell'esistenza umana. La rivelazione — la recitazione — diceva ai fedeli quanto dovevano mangiare, quanto doveva essere profondo il loro sonno e quali posizioni  sessuali riscuotevano l'approvazione divina, ed essi   appresero che la sodomia e la “posizione del missionario” erano consentite dall'arcangelo, mentre proibite erano tutte quelle con la femmina sopra. Gibreel elencò inoltre gli argomenti di conversazione permessi e vietati ed enumerò le parti del corpo che non bisognava grattare per quanto insopportabile fosse il prurito.  Vietò di   consumare gamberetti, quelle bizzarre creature di un altro mondo che nessuno dei fedeli aveva mai visto, e impose di uccidere gli animali lentamente,  dissanguandoli,  perchè compiendo sino in fondo   l'esperienza della morte, potessero arrivare a capire il significato della propria vita: infatti è solo nel momento in cui muoiono che le creature viventi capiscono che la vita è stata realtà, e non una specie di sogno. E Gibreel, l'arcangelo, specificò come un uomo doveva essere sepolto e come dovevano essere divisi i suoi beni, e Salman il persiano comincò a domandarsi che razza di Dio fosse questo che parlava come un uomo d'affari. Fu allora che gli venne l'idea che distrusse la sua fede, perché ricordò che Mahound era stato un uomo   d'affari, e anche di grande successo, una persona per la quale l'organizzazione e le regole erano cose normali, e quindi gli faceva sin troppo comodo tirar fuori questo efficientissimo arcangelo, che comunicava le decisioni di un Dio estremamente corporate se non corporeo.  
Poi Salman cominciò a notare quanto erano utili e tempestive le rivelazioni dell'angelo; quando per esempio i fedeli contestavano le opinioni di Mahound su un argomento qualsiasi, dalla possibilità di viaggiare nello spazio alla permanenza dell'inferno, arrivava l'angelo   con una risposta, e appoggiava sempre Mahound affermando, senza la minima possibilità di dubbio, che era impossibile che un uomo potesse un giorno camminare sulla luna, ed essendo altrettanto categorico sul carattere transitorio della dannazione: anche il peggior malfattore sarebbe stato prima o poi purificato dal fuoco dell'inferno e avrebbe avuto accesso ai giardini profumati, Gulistan e Bostan. Sarebbe stato differente, si lamentò Salman con Baal, se Mahound avesse preso le sue posizioni dopo aver avuto la rivelazione da Gibreel; e invece no, lui stabiliva la legge e poi l'angelo la confermava; cominciai allora a sentire puzza di marcio, e pensai, deve essere l'odore di quelle favolose e leggendarie creature impure, come accidenti si chiamano, gamberetti.  
L'odor di pesce stava ormai ossessionando Salman, che degli intimi di Mahound era il più istruito, per la superiorità del sistema scolastico allora vigente in Persia. Per questo motivo Salman era diventato lo scriba ufficiale di Mahound, e toccava a lui mettere per iscritto le   regole, che continuavano a proliferare all'infinito. Tante rivelazioni e tutte così vantaggiose, disse a Baal, e quanto più facevo questo lavoro, tanto più la situazione si aggravava. — Per un po' tuttavia dovette accantonare i propri sospetti, perch‚ l'esercito di Jahilia marciò su Yathrib, fermamente deciso a schiacciare le mosche che   molestavano le carovane e intralciavano gli affari. Ciò che avvenne dopo è notissimo, non ho bisogno di ripeterlo, disse Salman, ma poi la sua immodestia esplose, costringendolo a raccontare a Baal che aveva salvato personalmente Yathrib da sicura distruzione, insieme con la pelle di Mahound, grazie all'idea del fossato. Salman aveva cioè convinto il Profeta a far scavare un'enorme trincea tutt'attorno all'oasi, che non era difesa da mura, e a farla troppo larga perché i favolosi  cavalli  arabi della celeberrima cavalleria jahiliana potessero saltarla. Un fossato: con pali acuminati sul fondo. Quando i jahiliani videro questo osceno scavo per niente signorile, il senso   della cavalleria e dell'onore li obbligò a comportarsi come se la trincea non esistesse, e a spingere al massimo i loro cavalli in quella direzione, il fior fiore dell'esercito di Jahilia, umano oltre che equino, fin così infilzato sui pali appuntiti della tortuosità persiana  di  Salman: conta su un emigrante perché non giochi rispettando le regole. — E dopo la disfatta di Jahilia? Salman si lamentò con Baal: Tu penserai che mi abbiano trattato come un eroe, io non sono un vanitoso, ma dov'erano gli onori pubblici, dov'era la gratitudine di Mahound, perché l'arcangelo non nominava mai me nei suoi bollettini? Niente, neanche una sillaba, come se anche per i fedeli il mio fossato fosse stato uno sporco trucco, una trovata   grossolana, disonorevole, scorretta: come se la loro virilità ne fosse stata danneggiata, come se li avessi offesi nell'orgoglio salvando loro la pelle. Io tenni la bocca chiusa e non dissi niente, ma da allora persi una quantità d'amici, la gente, credimi, detesta chi le rende un buon servizio. Nonostante il fossato di Yathrib, i fedeli persero molti uomini nella guerra con Jahilia. E nelle loro scorrerie persero tante vite quante ne soppressero.  E appena finisce la guerra, ecco che subito l'arcangelo Gibreel ordina ai maschi superstiti di sposare le vedove, per evitare che, rimaritandosi fuori della fede, vadano perdute per la Sottomissione. Che angelo pratico, sogghignò Salman a Baal. A questo punto aveva estratto dalle pieghe del mantello una bottiglia di vino di palma e i due uomini stavano bevendo in continuazione nella luce  sempre più fioca. A mano a mano che calava il liquido giallo nella bottiglia, Salman diventava sempre più loquace; Baal non ricordava di aver mai sentito nessuno parlare tanto.  Oh,  quelle assennate rivelazioni, gridò Salman,  ci fu persino detto che non aveva   importanza se eravamo già sposati, potevamo fare anche quattro matrimoni, se eravamo in condizione di permettercelo, e be', come puoi immaginare, i ragazzi erano molto favorevoli. Che cosa indusse finalmente Salman a chiudere con Mahound: la questione delle donne, e quella dei versetti satanici. Senti, io non sono un pettegolo, confidò Salman, ormai ubriaco, ma dopo la morte di sua moglie Mahound non fu per niente un angelo, non so se mi spiego. A Yathrib però rischiò di trovare pane per i suoi denti. Le donne di lassù: gli fecero venire la barba quasi bianca nel giro di un anno. Il fatto, mio caro Baal, è che al nostro Profeta non garbava che le sue donne lo rimbeccassero, lui aveva un debole per le madri e le figlie, pensa alla sua prima moglie e poi ad Ayesha: una troppo vecchia, l'altra troppo giovane, i suoi due amori. Non gli andava di scegliere una della sua età. A Yathrib però le donne sono diverse, non puoi   neanche immaginare quanto, qui a Jahilia siete abituati a   tiranneggiare le vostre femmine, quelle invece non lo sopporterebbero. Quando un uomo si sposa va a vivere con la famiglia della moglie! Pensa! Scandaloso, no? E fin quando dura il matrimonio, la donna conserva la propria tenda. Se vuole sbarazzarsi del marito, le basta voltarla nella direzione opposta, così quando lui arriva trova tela   dove dovrebbe esserci la porta, e il gioco è fatto, lui è fuori, divorziato,  e non può farci niente. Be', le nostre ragazze cominciavano ad apprezzare questo stato di cose e si stavano ficcando in testa chissà che razza di idee; e allora tutt'a un tratto, bang, salta fuori il regolamento, l'angelo comincia a sfornare regole su ciò   che le donne non devono fare, imponendo loro di tornare a quella docilità di comportamento che il Profeta preferisce; docili, oppure materne, devono camminare tre passi indietro o starsene a casa ed essere savie e ingrassare. Come risero dei fedeli le donne di Yathrib,   ma quell'uomo è un mago, nessuno poteva resistere al suo fascino; le fedeli fecero ciò che lui aveva ordinato. Si sottomisero; dopo tutto, lui offriva loro il paradiso.   «Comunque», disse Salman, arrivato quasi al fondo della bottiglia,   «decisi finalmente di metterlo alla prova.»
Una notte lo scriba persiano sognò di trovarsi sospeso sopra la figura di Mahound, nella grotta del Profeta sul monte Cone. Sulle prime pensò che fosse soltanto una fantasia nostalgica sui vecchi tempi di Jahilia, ma poi s'accorse all'improvviso che, nel sogno, il suo punto di vista era stato quello dell'arcangelo, e allora gli tornò in mente l'episodio dei versetti satanici, vivido come se fosse avvenuto il giorno prima.  «Forse non mi ero sognato nei panni di Gibreel» raccontò   Salman. «Forse ero Shaitan.» Il rendersi conto di questa possibilità gli suggerì un'idea diabolica. Da allora, quando sedeva ai piedi del Profeta a mettere per iscritto regole regole regole, cominciò furtivamente a fare qualche cambiamento. «Cose piccole, all'inizio. Se Mahound recitava un versetto in cui Dio era definito chi tutto ode, chi tutto sa, io scrivevo, chi tutto sa, chi tutto capisce. Il punto è questo: Mahound non s'accorgeva delle modifiche. Di fatto ero io che scrivevo il Libro, o almeno lo riscrivevo, contaminando la parola di Dio col mio linguaggio profano. Ma, santo cielo, se non era possibile distinguere le mie povere parole dalla Rivelazione del Messaggero di Dio, che cosa significava? Che cosa indicava della qualità della poesia divina? Ti giuro che ero sconvolto sin nel profondo dell'anima. Un conto è essere un tipo furbo e avere il vago sospetto che ci sia qualcosa di poco pulito, e un altro è scoprire di aver ragione. Ascolta: io per quell'uomo cambiai la mia vita. Lasciai il mio paese, attraversai il mondo, mi stabilii tra persone che mi consideravano un viscido straniero codardo perché avevo salvato loro la vita, che non apprezzarono mai quello che io... ma tutto questo pazienza. La verità  è che ciò che mi aspettavo quando feci quel primo piccolo cambiamento, chi tutto capisce, al posto di chi tutto ode — quello che volevo — era che, quando lo avessi riletto al Profeta, lui dicesse: Ma che ti   succede, Salman? Stai diventando sordo? E io avrei detto: Ops, Oh Dio, che svista, come ho potuto, e avrei subito corretto. Ma questo non accadde; e adesso stavo scrivendo io la Rivelazione, e nessuno se ne accorgeva, e io non avevo il coraggio di confessarlo. Ero spaventato a morte, t'assicuro. Ed ero anche triste come non lo ero mai stato. Dovetti quindi insistere. Forse, pensai, quella volta se l'è lasciato sfuggire, capita a tutti di sbagliare. Così, la volta dopo, feci un cambiamento più grosso. Lui disse cristiano e io scrissi ebreo. Questo l'avrebbe sicuramente notato; come poteva non accorgersene? Ma quando gli lessi il capitolo, annuì e mi ringraziò con la solita  cortesia, e io uscii dalla sua tenda con gli occhi pieni di lacrime. Da allora seppi che i miei giorni a Yathrib erano contati, ma dovevo continuare. Dovevo. Non c'è amarezza paragonabile a quella di chi scopre di aver creduto in un fantasma. Sapevo che sarei caduto, ma lui sarebbe caduto con me. Proseguii dunque con le mie diavolerie, cioè modificando i versetti, finchè un giorno, mentre glieli leggevo, lo vidi accigliarsi e scuotere il capo come per schiarirsi la mente, e poi annuire lentamente, ma con un'ombra di dubbio. Ero arrivato al limite, e sapevo che la prossima volta che avessi riscritto il Libro, avrebbe capito tutto. Quella notte rimasi sveglio, soppesando nelle mie mani il suo destino insieme col mio. Se mi fossi lasciato distruggere, avrei distrutto anche lui. Dovetti scegliere, in quella notte terribile, se preferivo morire vendicandomi o vivere senza niente. Scelsi, come vedi, la vita. Prima dell'alba, lasciai Yathrib sul mio cammello, e, dopo aver patito numerose disavventure che non ho voglia di raccontare, riuscii a tornare a Jahilia. E adesso che Mahound sta arrivando trionfante, perderò egualmente la vita. Il suo potere è ormai troppo grande, perché io possa abbatterlo.»  
Baal domandò: «Perché sei così sicuro che t'ammazzerà?».
Salman il persiano rispose: «È la sua Parola contro la mia».
(Salman Rushdie, I versi satanici, Arnoldo Mondadori Editore, 1989, pag. 387-393)



Il lettore attento e perspicace non mancherà di constatare quattro fatti:

1) Come in fondo in fondo le due principali religioni monoteistiche che infestano il potere siano molto simili nella loro vera origine e...
2) come proprio in virtù del punto 1, quelle due principali religioni monoteiste mondiali che inquinano il Pianeta meriterebbero entrambe di venire derise, sbeffeggiate e satireggiate alla più fedele Charlie Hebdo maniera.
3) Come la reazione fondamentalista musulmana (la famosa “fatwa” o come cazzo si chiama) contro Rushdie non sia poi così dissimile dalla reazione demenzialmente indignata dei folli apologeti cristiani all'udire che la tesi che Gesù non è mai esistito storicamente ha passato ufficialmente la peer-review con la pubblicazione di On the Historicity of Jesus, o che il 40% dei cittadini di Sua Maestà non crede affatto all'esistenza storica di Gesù
4) Come c'è della sottile ironia da parte mia quando faccio parlare in prima persona al posto del persiano Salman di Rushdie un “piccolo Marco” — in greco: Μαρκίων — con un “Matteo” (ma per apprezzare quest'ultimo punto occorre leggere davvero attentamente il mio pezzo).

APPENDICE

Non posso trattenermi dall'apprezzare particolarmente le seguenti parti del libro I versi satanici, a loro volta così potenzialmente reminiscenti della rivelazione di un altro arcangelo
non Gabriele, ma Gesù ad un altro profeta/apostolo non Maometto, ma Paolo.

 E mentre si sta addormentando, o mentre si sta svegliando, Gibreel Farishta è spesso pieno di risentimento per la mancata apparizione, nelle visioni che lo perseguitano, dell'Uno che dovrebbe avere le risposte. Egli non compare mai, quello che non si è fatto vedere quando io stavo morendo, quando io avevo bisogno bisogno di lui.   Quello che è tutto, Allah Ishvar Dio. Non c'è mai, e noi ci contorciamo e soffriamo in suo nome.  
L'Essere Supremo non si fa vedere; ciò che continua a tornare in questa scena è il Profeta in trance, l'estrusione, il cordone di luce, e poi Gibreel nel suo duplice ruolo di chi guarda-dall'alto e di chi osserva-dal-basso. Ed entrambi con una paura del diavolo per la trascendenza della cosa. Gibreel si sente paralizzato dalla presenza del Profeta, dalla sua grandezza, pensa non posso emettere neanche un  suono avrei l'aria di un maledetto idiota. Il consiglio di Hamza: non mostrare mai la tua paura; gli arcangeli ne hanno bisogno quanto i portatori d'acqua. Un arcangelo deve mostrarsi calmo, cosa penserebbe il Profeta se l'Elevato da Dio si mettesse a farfugliare perchè ha  paura del pubblico?  
Accade: rivelazione. In questo modo: Mahound, ancora nel nonsonno, si  irrigidisce, le vene del suo collo si gonfiano, si stringe forte lo stomaco. No, no, non ha niente a che vedere con una crisi epilettica, non si può dare una spiegazione così semplice; quale crisi epilettica   ha mai provocato la trasformazione del giorno in notte, o un ammassamento di nubi in cielo, o l'addensarsi dell'aria come brodo mentre un angelo incombe, terrorizzato, in cielo sopra il sofferente, tenuto su come un aquilone da un filo d'oro? Di nuovo qualcosa che tira e tira e ora il miracolo comincia nelle mie stesse viscere, egli si sta forzando con tutte le proprie energie per ottenere qualcosa, sta premendo per qualcosa, e Gibreel comincia a sentire quella forza, quel vigore, eccola nella mia mascella e agisce su di essa, apre chiude; e il potere, nato all'interno di Mahound, arriva alle mie corde vocali e ne esce la voce.
Non la mia voce io non ho mai saputo queste parole non sono uno che parla con classe non lo sono mai stato non lo sarò mai ma questa non è la mia voce è una Voce. 
Gli occhi di Mahound si spalancano, sta guardando una sorta di  visione, la contempla, oh, è così, Gibreel si ricorda, me. Sta vedendo me. Le mie labbra si muovono, sono mosse da. Chi, Che cosa? Non lo so, non posso dirlo. Eppure sono qui, escono dalla mia bocca, salgono alla mia gola, passano per i miei denti: le Parole.  
Essere il postino di Dio non è divertente, yaar.  
Mamama: Dio non c'è in questa immagine.  
Dio sa di chi sono stato il postino.

(Salman Rushdie, I versi satanici, Arnoldo Mondadori Editore, 1989, pag. 122-123)

Gibreel, quando è stanco, vorrebbe ammazzare sua madre per avergli  dato un nomignolo così maledettamente cretino, angelo, e prega chi? che cosa? perché gli sia risparmiata la città di sogno degli sgretolati castelli di sabbia e dei leoni con tre file di denti, basta con i lavaggi del cuore dei profeti, o con le istruzioni su cosa recitare o con le promesse di paradiso, smettiamola con le rivelazioni, finito, khattam-shud. Ciò che desidera: un sonno nero, senza sogni. Fottutissimi sogni, causa di tutti i guai della specie umana, film  compresi, se  io fossi Dio, toglierei subito l'immaginazione alla gente e allora forse quei poveracci come me potrebbero godersi una bella notte di riposo. Lottando col sonno, si sforza di tenere gli occhi aperti, di non battere le palpebre, finchè la porpora visiva non si stacca dalle retine e non lo acceca, ma lui è solo un essere umano, e alla fine casca nella tana del coniglio, ed eccolo di nuovo lì, nel Paese delle Meraviglie, sulla montagna, e l'uomo d'affari si sta svegliando, e ancora una volta le sue richieste, i suoi bisogni, entra in azione, stavolta non sulle mie mascelle e la mia voce, ma sull'intero mio corpo; mi riduce alle sue dimensioni e mi risucchia in sé, il suo campo gravitazionale è incredibile, potente come una maledetta megastella... e ora Gibreel e  il Profeta stanno lottando, nudi tutti e due, rotolano abbracciati, nella grotta di fine sabbia bianca che si leva intorno a loro come un pozzo. Come se mi stesse imparando, esplorando, come se fossi io a sottopormi a un test.  
In una grotta centocinquanta metri sotto la vetta del monte Cone, Mahound lotta con l'arcangelo, scaraventandolo da una parte all'altra, e permettetemi di dirvi che arriva dappertutto, la sua lingua nelle mie orecchie il suo pugno intorno alle mie spalle, non ci fu mai persona con tanta rabbia dentro, lui deve sapere deve SAPERE e io non  ho niente da dirgli, è due volte fisicamente più in forma di me e  quattro volte piùintelligente, come minimo, può darsi che entrambi   abbiamo imparato qualcosa ascoltando molto ma è chiaro come il sole che come ascoltatore lui è anche meglio di me; così rotoliamo scalciamo graffiamo, e lui è piuttosto contuso mentre la mia pelle naturalmente è ancora liscia come quella di un neonato, un angelo non s'impiglia in un roveto, non s'ammacca su una roccia. E hanno un pubblico, ci sono ginn e afrit e fantasmi d'ogni genere che assistono alla lotta seduti sui macigni, e in cielo ci sono tre creature alate, che sembrano aironi o cigni o semplicemente donne, a seconda della luce...   Mahound pone fine alla lotta. Si dà per vinto.  
Dopo essersi battuti per ore, o anche per settimane, Mahound è adesso immobilizzato sotto l'angelo, è quello che voleva, era suo desiderio impegnarmi a fondo e darmi la forza per metterlo a terra, perchè gli arcangeli non possono perdere queste lotte, non sarebbe giusto, sono solo i diavoli che escono sconfitti da queste arene, e cos nel momento stesso in cui gli fui sopra si mise a piangere di gioia e poi rifece il vecchio trucco obbligando la mia bocca ad aprirsi e facendo di nuovo uscire da me la voce, la Voce, costringendola a rovesciarsi su di lui, come vomito.

Al termine del suo incontro di lotta con l'arcangelo Gibreel, il Profeta Mahound piomba nel consueto sonno esausto post-rivelazione, ma stavolta si sveglia più in fretta del solito. Quando riprende i sensi in quel luogo alto e selvaggio, non si vede più nessuno, non ci sono più creature alate accovacciate sulle rocce, e lui balza in piedi, eccitato dal nuovo messaggio. «Era il diavolo» dice ad alta voce all'aria vuota, facendo vera la cosa con l'esprimerla in parole. «L'altra volta era Shaitan.» Questo è ciò che udì nel suo ascoltare, che era stato imbrogliato, che gli si era presentato il diavolo travestito da arcangelo, e di conseguenza i versetti che aveva imparato a memoria, quelli che aveva recitato nella tenda della   poesia, non erano la verità ma il suo diabolico contrario, non erano divini ma satanici. Torna in città il più in fretta possibile, per cancellare gli abominevoli versetti che puzzano di zolfo, per eliminarli per sempre dal libro, in modo che sopravvivano soltanto in un paio di inattendibili raccolte di tradizioni antiche e che gli interpreti ortodossi cerchino di sopprimere la storia, ma Gibreel, che guarda sospeso dal suo alto angolo di campo, conosce un piccolo particolare, una cosetta soltanto che qui è un po' un problema, e precisamente che ero io tutte due le volte, baba, io la prima e ancora io la seconda. Dalla mia bocca sia l'affermazione sia il suo   ripudio, i versetti e i controversetti, gli universi e i viceversa, tutto quanto, e sappiamo già come la mia bocca fu messa in movimento.
«Prima era il diavolo» mormora Mahound correndo verso Jahilia. «Ma stavolta l'angelo, non ci sono dubbi. Ha lottato con me sul terreno.»

(Salman Rushdie, I versi satanici, Arnoldo Mondadori Editore, 1989, pag. 132-134)

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