sabato 12 agosto 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (II)

(continua da qui)

I. LE MOLTE IMMAGINI DI CRISTO

Cristo l'Uomo-e-Dio (il Parere della Chiesa)

C'è una vasta letteratura teologica dedicata al soggetto dell'immagine di Cristo, e vi possiamo trovare la interpretazioni più disparate di questa immagine che spesso si contraddicono l'un l'altra. L'unico punto su cui essi concordano è sul fatto che Cristo esistette e fu il fondatore del cristianesimo e della Chiesa cristiana.

Secondo la tradizione del Nuovo Testamento, Cristo riunì attorno a lui un gruppo di apostoli e discepoli che dopo la sua morte recarono la nuova dottrina tramite un'opera missionaria nelle regioni del Mediterraneo. E da lì il cristianesimo si diffuse in tutta Europa. Secondo il vangelo di Matteo, Cristo designò l'apostolo Pietro come suo successore, che doveva guidare la Chiesa da lui fondata.

Per comprendere l'interpretazione ecclesiastica della persona di Cristo, volgiamoci al principale documento ufficiale sulla dottrina cristiana, il Credo, così come ad alcune delle risoluzioni adottate dai concili ecumenici. Questi ultimi sono anche documenti ufficiali della Chiesa e sono considerati da essa verità assoluta.
 
Dovrebbe essere detto, non per scopi di critica, ma come materia di fatto, che la dottrina ecclesiastica su Cristo è piuttosto vaga, ed è difficile descriverla in un modo logico e coerente. Gli stessi teologi cristiani non negano questo. Nei loro scritti si riferiscono ad alcuni aspetti del dogma cristiano riguardante il fondatore del cristianesimo come aspetti misteriosi, insondabili. In questi casi, di solito, si avvalgono della formula accettata dalla Chiesa: ciò che non può essere appreso dalla mente dev'essere creduto come la suprema, ultima verità. Esaminiano la dottrina su Cristo che la Chiesa tiene per vera.

In primo luogo, il Credo. Il Credo fu adottato in due concili ecumenici: il Consiglio di Nicea (325 E.C.) e il Concilio di Costantinopoli (381 E.C.). Il Concilio di Nicea approvò i primi sette articoli del Credo, e il Concilio di Costantinopoli adottò ancora altri cinque articoli. Questi dodici articoli sono rimasti intatti nonostante i numerosi appassionati dibattiti  su di loro che durarono diversi secoli e scossero il dogma cristiano e la teologia alle radici. E proprio a questo stesso giorno essi sono le fondamenta del cristianesimo su cui nessuna delle chiese principali ha mai espresso dubbi.

Che cosa dice il Credo circa Gesù Cristo?

In questo documento basilare del dogma cristiano Gesù Cristo occupa un posto centrale: dei dodici articoli sei (dal secondo al settimo) sono dedicati a lui. Il Credo dice che dobbiamo credere “in un solo Signore, Gesù Cristo”, che è “l'unico Figlio di Dio, eternamente generato del Padre”. Qui siamo immediatamente affrontati da certe difficoltà. Se Gesù Cristo fu generato, anche se da Dio, questo deve avvenire in un momento specifico e perciò non “eternamente”; e se “eternamente”, allora lui era sempre esistito e non poteva essere stato generato.

Questa contraddizione fu notata da Ario (336 E.C. circa). Egli sostenne che dal momento che Gesù fu generato, ciò significò che Gesù emerse dal nulla, cioè, egli fu creato. Ario concluse, perciò, che Cristo non è eterno.  In altre parole, non è Dio ma fu creato da Dio, anche se era il più perfetto delle creature di Dio. Le opinioni di Ario furono condannate dalla Chiesa come eresia.
 
Il secondo articolo dice anche che Gesù è “Luce da Da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa Sostanza del Padre”. In altre parole, Gesù è Dio, è generato da Dio Padre e allo stesso tempo forma una sostanza con il Padre. E Gesù fu anche un essere umano, come ci dicono i prossimi articoli. “Per noi uomini e per la nostra salvezza” Gesù discese dal cielo e si “incarnò” dallo spirito santo e dalla Vergine Maria, e “si è fatto uomo”. Così, Cristo il Dio temporaneamente assunse forma umana e apparve sulla terra come l'uomo Gesù. Fece così per salvare l'umanità sofferente che aveva deviato.

Cristo realizzò la sua missione sacrificando sé stesso: “Per noi è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato; morì e fu sepolto”. Nel morire Cristo espiò per i peccati dell'umanità. Tuttavia, soffrì e morì non come Dio, ma come un uomo nel quale Dio si incarnò. Il quinto articolo del Credo dice che il terzo giorno dopo la sua morte, Gesù resuscitò di nuovo “secondo le Scritture”. Allora, il sesto articolo ci dice che “è salito al cielo e siede alla destra del Padre”. Qualche volta in futuro, dice il settimo articolo, egli verrà di nuovo “nella gloria per giudicare i vivi e i morti” e questa volta “il suo regno non avrà fine”.

Così, dal punto di vista della Chiesa, Cristo è sia Dio che uomo ed incarna sia una natura divina che una natura umana. Come Dio, Cristo è la seconda persona della Trinità; il suo significato risiede al di fuori del tempo, è eterno. Ma come uomo, Gesù esistette nel tempo; egli visse circa trenta anni sulla terra. Ma ecco ancora un'altra complicazione.

La Chiesa considera eterna la natura umana in Gesù, proprio come la sua natura divina, anche se questa contraddice l'idea che egli nacque, cioè, “fu fatto uomo” in un momento specifico. È vero, in futuro Gesù tornerà ad apparire sulla terra, questa volta “nella gloria”, che suggerisce che non apparirà come Gesù l'uomo, ma come Cristo il Dio. Tuttavia, la Chiesa assume la posizione che le due nature di Cristo sono indissolubilmente unite in lui. Tuttavia, inspiegabilmente, la Chiesa ritiene che queste due nature, pur indissolubilmente e inseparabilmente unite, non fossero “fuse” insieme. 

Come arrivò la Chiesa a questo logico impasse? Fece così nel corso della sua lotta contro “eresie” che emersero nei suoi concili ecumenici.
 
Nel primo di questi concili, il Concilio di Nicea (325 E.C.), le opinioni di Ario furono dichiarate eretiche. Nel terzo consiglio, il Concilio di Efeso (431 E.C.), Nestorio, patriarca di Costantinopoli, fu accusato di eresia per aver affermato che Gesù non fu Dio, ma solo il messaggero di Dio e che Dio abitò nel corpo di Gesù come abiterebbe in un tempio. Al successivo, il Concilio di Calcedonia(451 E.C.), un punto di vista opposto a quello di Nestorio fu fortemente condannato. Questo è noto come l'eresia monofisita. Fu esposta da Eutiche che mantenne che Cristo possiede solo una natura divina in cui la sua natura umana è completamente immersa. Successivamente, il monofisismo apparve in una forma compromessa nota come dottrina monofiletica secondo cui Cristo esiste in due nature (una umana e una divina), ma ha solo una volontà divina. 

I tre successivi concili continuarono ad essere occupati con questa domanda e tentarono di trovare una soluzione che non corrispondesse al nestorianesimo, al monofisismo o al monofiletismo. Questa controversia su astratti punti teologici probabilmente rifletteva non tanto una ricerca di verità quanto il rapporto reale che esisteva fra gli interessi di raggruppamenti rivali. Per l'élite dominante fu importante che il suo punto di vista dovesse essere sostenuto tutte le volte in modo da apparire infallibile. Veri e propri interessi politici e materiali dipendevano da questo. Così, in opposizione ai gruppi la cui bandiera ideologica fu il nestorianesimo fu detto che in Cristo due nature, una umana e una divina, erano indissolubilmente e inseparabilmente unite. Allo stesso tempo fu necessario opporsi ai monofisiti insistendo che queste due nature non erano “fuse” assieme. Alla fine, non si ebbe altra scelta se non di accettare la “misteriosa” discrepanza. 

Nel complesso, il cristianesimo ha mantenuto il dogma che ci sono due “nature” e due “volontà” in Cristo. Senza indugiare su questo argomento piuttosto incomprensibile, noi prenderemo semplicemente nota di esso e procederemo agli altri punti nella dottrina della Chiesa su Cristo. 

Come è detto nel Credo, Cristo è in cielo ed è assiso da quasi duemila anni alla destra di Dio il Padre, aspettando il momento in cui tornerà sulla terra per giudicare i vivi e i morti. Egli morì sulla terra come uomo debole, povero e umile, ma verrà “nella gloria” come l'Onnipotente e il sovrano dell'universo. 

Quale missione realizzò Cristo durante la sua vita sulla terra? Secondo gli insegnamenti della Chiesa, la missione fu triplice: Cristo fu profeta, sommo sacerdote e re. 

La prima di quelle funzioni è abbastanza chiara. Cristo il Dio-e-l'uomo predisse l'inevitabile fine del mondo e la sua seconda venuta. Insegnò alla gente la verità della religione da lui fondata. 

Le cose sono più complicate per quanto riguarda le altre due funzioni. 

Il dovere principale del sommo sacerdote fu di offrire sacrifici a Dio per i peccati degli uomini. Gesù in quanto il sommo sacerdote realizzò questo dovere in una maniera completamente nuova. Come un sacrificio, che fu offerto in nome di tutta l'umanità, egli offrì la sua stessa vita. Così facendo egli espiò il peccato di Adamo ed Eva e riconciliò gli uomini a Dio il quale era in uno stato di conflitto con loro sin dalla Caduta. 

Anche su questo punto la dottrina cristiana è marcata da certe ambiguità. Il sacrificio di Cristo espia soltanto il peccato di Adamo ed Eva oppure tutti i peccati che l'umanità ha commesso dopo la Caduta? Gli scritti teologici di solito evadono questa domanda. Se assumiamo che la corruzione dell'uomo si originò nel peccato di Adamo ed Eva, allora la sua espiazione mediante il sacrificio di Cristo avrebbe tolto la peccaminosità generale dell'uomo che ne è una conseguenza. Ma in quel caso, perché il male non è scomparso dalla terra? La risposta della Chiesa a questa domanda è alquanto vaga: il sacrificio di Cristo ha rimosso solo la maledizione dalla terra e dalle creature di Dio, mentre la salvezza avrà luogo solo dopo la seconda venuta. 

È difficile anche capire il ruolo di Cristo come re, l'ultima delle tre funzioni che svolse sulla terra. Se questo si riferisce ai suoi doveri universali come seconda persona della Trinità, allora non sorge nessuna particolare difficoltà: Dio è il re dell'universo. Ma qui sono le azioni di Cristo sulla terra, le azioni che svolse come uomo, ad essere intese. Così sembrerebbe  che in questa vita, Cristo, anche se era povero e perseguitato, fu nondimeno un re e non solo un “re ebraico”, come è detto nei vangeli (i teologi cristiani non posero nessuna enfasi particolare sulla natura “ebraica” del regno di Cristo), ma un re di tutti gli uomini. 

Questo è il modo in cui il teologo autorevole, il metropolita Macario, descrive “le principali azioni in cui è stata rivelata la regalità di Gesù Cristo”: in primo luogo i miracoli con cui Cristo mostrò il suo potere su tutta la natura, nello specifico, sull'inferno e sulla morte; in secondo luogo, la sua discesa e trionfo nell'inferno; terzo, la sua resurrezione e il trionfo sulla morte; e quarto, la sua ascensione....”.  [1]

Apparentemente solo la discesa nell'inferno ha bisogno di qualche spiegazione, dal momento che si potrebbe assumere che il lettore sia più o meno familiare con gli altri atti eseguiti da Cristo come re. Questo elemento del dogma cristiano è basato sul testo seguente della Prima Epistola di Pietro: “...anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati ... per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (3:18-19).
 
Nella letteratura teologica un'intera storia è sorta attorno a questo testo. È detto che durante i tre giorni prima della sua resurrezione, mentre il suo corpo giaceva nella tomba, Cristo, o meglio la sua anima, si recò all'inferno. Egli conquistò il diavolo e condusse fuori dall'inferno tutti i pii uomini dell'Antico Testamento. In questo modo mostrò la sua potenza e potere come re.
 
Così, negli insegnamenti della Chiesa l'immagine del sofferente crocifisso si intreccia con l'immagine del re celeste o anche terreno. Da un lato, Cristo verrà “a giudicare i vivi e i morti”; egli è il dominatore del mondo e ci tiene in soggezione per la sua grandezza e potenza. Dal momento che la Chiesa è rappresentante di Cristo sulla terra e in quanto “il mistico corpo di Cristo” opera e insegna nel suo nome, essa deve sottolineare quelli aspetti che testimoniano il potere e la grandezza di Cristo.
 
Questa tendenza si riflette chiaramente nel dogma e nella pratica della Chiesa cattolica. I pontefici cattolici romani si chiamano “vicarius Christi”, o vicari di Cristo. Per loro, ovviamente, è importante sottolineare i tratti della personalità di Cristo in cui egli appare non come un predicatore itinerante che soffrì e fu umile e pieno di misericordia, ma come il sovrano non solo dei cuori e delle menti delle persone, ma anche del loro fato terreno, un principio di forza e potere che è superiore a tutti i poteri terreni. Come vicari di Cristo sulla terra i pontefici pretesero di possedere questa forza e potere sovrumani. 

Ci sono stati momenti in cui i pontefici non solo pretesero di avere il potere di “re” sul mondo intero, ma vennero vicini a possedere questo potere. Nel Medioevo i pontefici spesso tennero i monarchi dell'Europa occidentale in uno stato di subordinazione. Oggi, naturalmente, non esiste il problema del controllo del Vaticano su qualche paese, perfino se la maggioranza della popolazione di quel paese fosse cattolica. Tuttavia, la pretesa allo status di un “regno” non è abbandonata: il Vaticano esiste come uno stato indipendente guidato dal Papa. La giustificazione ideologica di questo è che Gesù, che fondò la Chiesa romana tramite l'apostolo Pietro, non fu solo un re celeste, ma anche un re sulla terra.
 
Nella Chiesa ortodossa — in primo luogo la chiesa bizantina e poi la Chiesa ortodossa russa — la situazione fu alquanto diversa. Le circostanze storiche non permisero alla Chiesa ortodossa di rivendicare una supremazia sulle autorità secolari. Infatti, per molti secoli la chiesa fu subordinata agli imperatori bizantini e agli zar russi e diede la sua benedizione a quest'ultimi come l'incarnazione del re celeste. Il ruolo stesso del sovrano celeste appartenne ancora a Gesù Cristo.
 
Nelle icone del Medioevo il Cristo è ritratto non solo come un povero che subì il martirio, come descritto nei vangeli, ma anche come un re che indossa una corona e che brandisce uno scettro. Il comportamento degli apostoli e degli altri attorno a lui si conformavano all'elaborata etichetta della corte bizantina. In molte icone Cristo viene presentato assieme ad un imperatore, come il “re dei re” che benedice il reale re o pone una corona sul suo capo. Il titolo degli imperatori bizantini e più tardi degli imperatori russi comprendeva l'espressione “l'unto”, che è “Messia” in antico ebraico e “Christos” in greco.

C'è poco del Cristo pietoso e gentile dei vangeli nella rappresentazione della Chiesa di lui. Nel suo ruolo di dominatrice potente e terribile, il sostegno e a volte la rivale degli imperatori, la padrona di milioni di servi nel medioevo e la carnefice di chi la pensava diversamente da lei  e osò mostrare perfino il minimo segno di resistenza (è sufficiente rammentare l'Inquisizione), la Chiesa aveva agito nel nome di Cristo. Di conseguenza, non fu sempre vantaggioso per la Chiesa parlare della misericordia di Cristo, tantomeno della non-resistenza al male. I funzionari della Chiesa si riferivano a questo solo quando gli oppressi e gli sfruttati diventavano irrequieti ed era necessario pacificarli.

L'immagine di Gesù come un uomo comune e un martire, un povero, compassionevole e indifferente ai beni mondani, è trattenuta dalla Chiesa, comunque. È parte della sua corazza ideologica. A volte la Chiesa enfatizza anche quest'immagine quando le circostanze lo richiedono. Ma questo avviene raramente, laddove Cristo il sovrano, il re dei re, sovrano più temuto, occupò da tempo un posto centrale nell'ideologia e negli insegnamenti della Chiesa.
 
Questa trasformazione di Cristo nella pratica e nell'ideologia della Chiesa fu trovata inaccettabile da molti credenti nel passato, come è ancora inaccettabile a molti credenti oggi. Nei quasi duemila anni di cristianesimo, molti movimenti sociali contro la Chiesa sono stati lanciati sotto l'esortazione ad un ritorno al Cristo dei vangeli, povero, umile, dolce e compassionevole. Quest'esortazione ha mantenuto il suo fascino ancora oggi.

Nel secolo scorso gli insegnamenti della Chiesa su Cristo furono opposti
su questioni riguardanti la vita spirituale dell'uomo da figure titaniche come i grandi scrittori russi Fedor Dostoevskij e Lev Tolstoj. 

NOTE

[1] Metropolita Makarius, Teologia Dogmatica Ortodossa, San Pietroburgo, 1906, pag. 187 (in russo).

Nessun commento: