martedì 4 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXVII)

(per il capitolo precedente)


XXVI
Questo porta alla mente altri tratti disumani a volte attribuiti a Gesù stesso dagli scrittori dei vangeli . . . la sua solenne predicazione dei tormenti eterni degli ingiusti, per esempio, e la durezza che a volte ostenta senza una chiara ragione perfino contro la sua propria madre. Fu questo stato d'animo che si manifestò in seguito nella barbarica intolleranza della Chiesa, e che, nei tempi antichi, trovò la sua espressione più disgustosa nell'omicidio di Ipàzia, nell'anno 415.  Gli evangelisti non sentirono che tali tratti resero contradditoria e incoerente la figura di Gesù da loro presentata.  Un momento fanno dire al Salvatore: “Non giudicate”. In un altro momento egli si mostra fin troppo incline a giudicare.
Un momento egli è tutto gentilezza, considerazione, pieno di tolleranza e tenerezza. E poi diventa più impietoso rispetto a chiunque altro. Questo elemento di autocontrollo cresce in modo estremamente marcato a volte. In Luca 22:36, egli dice ai suoi discepoli:
Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. E poi comprano due spade. Ma quando Pietro taglia l'orecchio destro del servo del sommo sacerdote, che è uno di quelli che vengono ad arrestare Gesù, quest'ultimo tocca l'orecchio dell'uomo e lo guarisce. In Matteo 26:52, egli condanna proprio l'uso di una spada: “Perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. E si potrebbe ricordare che nel Discorso della Montagna egli ha detto: A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra.
In un unico punto del Nuovo Testamento, Giacomo 5:11, l'esempio di Giobbe è raccomandato ai primi cristiani. Questo è come dovrebbe essere, poichè evidentemente la figura di Giobbe è stata una di quelle usate per costruire la concezione di un redentore sofferente, ma infine vittorioso.  Le corrispondenze non sono poche. Naturalmente è stato detto che Giobbe non fosse un israelita, ma appartenesse ai Bnei Kedem, o Figli dell'Est, che più tardi divennero noti come Saraceni e come tali combatterono nelle crociate sotto Saladino. Egli apparteneva alla stirpe di Edom, e il popolo di Teman era famoso per i suoi sapienti, riferimenti ai quali capitano di frequente nella Bibbia.
Tutto questo non fa alcuna differenza, però, e non è apparente nel Libro di Giobbe se non tramite l'assenza del nome di Jahve nel dialogo. Esso appare sullo sfondo, che evidentemente è di una data posteriore. Sia Giobbe che Gesù sono creduti di un nobile lignaggio. Entrambi sono tentati da Satana, ed entrambi rimangono fermi nella loro resistenza. Entrambi sono esposti alla sofferenza e al disprezzo. Entrambi sono minacciati di morte. Entrambi arrivano alla fine a posizioni di alto onore. Entrambi sono del tipo redentore. Le somiglianze diventano particolarmente marcate quando leggiamo i detti di Giobbe nel capitolo 29, versi 12-17: “Io soccorrevo il povero che chiedeva aiuto, l'orfano che ne era privo. La benedizione del morente scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia. Mi ero rivestito di giustizia . . . Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto; rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda”.

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