martedì 4 aprile 2017

Sull'originaria cristologia angelomorfica degli ebioniti

Il pensiero della non esistenza di Dio non ha mai spaventato nessuno, ma è terrorizzante invece pensare che ne esista uno come quello che mi hanno descritto.
(Denis Diderot)


Molte volte mi sono ritrovato a leggere ciò che avevano da dire i folli apologeti cristiani - comunemente detti “Padri della Chiesa” — a proposito delle varie sette eretiche cristiane, “eretiche” per il solo torto di non far parte della “Grande Chiesa”, quella che alla fine avrebbe fagocitato tutte le altre. Nella prosa monotona di Ireneo, di Origene, di Epifanio, di Ippolito, di Giustino, tutte le “verità” sembravano fermamente ancorate, quietamente al loro posto — e presenti con estrema evidenza alla vista del lettore. In quel tempo costellato da parecchie eresie più o meno conformi al cattolicesimo nascente — o destinate a diventarlo prima o poi — tutti i cristiani erano accomunati dalla (oramai) fortissima convinzione che Gesù era esistito per davvero sulla Terra, sotto Ponzio Pilato, senza lasciare apparentemente il benchè minimo spazio a qualsivoglia dubbio volesse ancora insinuarsi intorno alla sua presunta esistenza storica.

Ma altre credenze decisamente più antiche e come tali più imbarazzanti avevano la capacità di far sentire costantemente la loro presenza, aleggiando quasi non viste come un mondo di pallidi spettri dietro la nebbia. I folli apologeti cristiani
— i dementi “Padri della Chiesa” — erano assediati da numerosi eretici che si rifiutavano di palesare la loro esatta natura o il contesto (ebraico o gentile?) a cui propriamente appartenevano. E presto le “verità” cattoliche ben ancorate al loro posto rivelavano di essere, nei fatti, situate ai margini di un mondo ostile dove ciò che appariva chiaro e riconoscibile in senso “cattolico” era invece splendidamente oscurato nelle profondità di un linguaggio per soli iniziati. In una particolare occasione ho seguito le tracce degli eretici giudeocristiani, in particolare di quelli noti come ebioniti ed elcasaiti.

Si prenda il caso degli ebioniti. Così li descriveva il folle apologeta proto-cattolico “Ippolito”:
Gli Ebioniti riconoscono che il mondo è stato creato dal vero Dio, ma farfugliano favole riguardo a Cristo esattamente come Cerinto e Carpocrate. Vivono con costumi giudaici, dicendo che si è giustificati secondo la Legge e dicendo che pure Gesù è stato giustificato adempiendo la Legge: perciò dicono che egli è stato chiamato il Messia di Dio e Gesù, dato che nessun altro avrebbe dato compimento alla Legge: se infatti un altro avesse compiuto quanto ordinato dalla Legge, sarebbe stato lui il Messia. Sostengono che parimenti loro stessi, comportandosi allo stesso modo, potrebbero diventare dei Cristi, giacchè secondo loro anche lui era un uomo come tutti.
(“Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, VII, 34)

Certamente nessuno sano di mente crederebbe alla storicità di “Ebione” come fondatore degli “ebioniti”: solo un'etichetta di stampo cattolico per deridere i seguaci del “Povero” (il significato di “Ebione”, appunto). Ma in un certo senso avevano ragione i dementi proto-cattolici a chiamarli “ebioniti”. L'“Uomo Povero” di cui erano seguaci rappresentava il marchio infallibile della loro originaria cristologia, per nulla affatto bassissima al contrario di ciò che sembra riferire “Ippolito”, a giudicare da quanto scriveva Paolo (che pure non era affatto un precursore degli ebioniti):

Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. (2 Corinzi 8:9)

Il senso qui è il medesimo dell'Inno ai Filippesi, non a caso pre-paolino e perciò probabilmente fabbricato dagli stessi apostoli che precedettero Paolo, vale a dire i Pilastri: Pietro, Giacomo e Giovanni. Erano loro ad essere chiamati “poveri” da Paolo:
Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.
(Galati 2:10)
Ed erano sempre loro, in quanto “Poveri”, ad essere, per ciò stesso, anche “Santi”:
Riguardo poi alla colletta in favore dei santi, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia.
(1 Corinzi 16:1)
La loro “povertà” non era materiale (nonostante la prevedibile esistenza faticosa propria di fanatici predicatori apocalittici) ma era il riflesso santo e veritiero della loro appartenenza a Cristo, una “povertà” della carne preludio infallibile alla loro futura ricchezza dello spirito. Paolo si prese il lusso di criticare propriò ciò di cui andavano fieramente orgogliosi, quei santi “poveri di Gerusalemme”. Rimanendo ancora fanatici osservanti della Torah, loro, i “poveri”, rischiavano di essere tali per sempre. Anche Gesù Cristo infatti, nella nota allegoria di Paolo, era “nato da donna, nato sotto la Legge” (Galati 4:4):
Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar - il Sinai è un monte dell'Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli.
(Galati 4:24-25)

La “donna” in questione da cui Cristo è nato era la schiava “Agar”, simbolo della Legge. Ma Gesù non poteva indossare per sempre un corpo di “carne”, un corpo di umanoide allegoricamente creato tramite quella donna. Gesù doveva rimanere nel dominio della “carne” fintantochè avrebbe espiato il sacro dramma sulla croce, martoriato fino alla morte dai crudeli “arconti di questo eone”. Dopodichè sarebbe rinato dalla “donna libera”, “Sara”, e come tale, come al tempo stesso liberato e liberatore dalla Legge, avrebbe ereditato il regno su tutte le cose, novello “Isacco”, “primogenito tra molti fratelli” (Romani 8:29), a loro volta destinati alla rinascita dalla “donna libera”, in un prossimo, incombente futuro.
Ma se i cristiani paolini costituivano il “corpo di Cristo”
un corpo titanico quanto a proporzioni! gli esclusi da quel corpo avrebbero rappresentato non “Israele”, secondo l'allegoria proposta da Paolo, ma il diseredato “Ismaele”.
Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.
(Galati 4:30-31)
 Paolo si prese così sottilmente gioco dei Pilastri e dei loro seguaci: se desideravano così tanto gloriarsi della loro “povertà”, a scapito di tutti gli altri “fratelli del Signore” tra i nuovi proseliti gentili, avrebbero fatto la fine di “Ismaele”, povero illegittimo erede diseredato dei doni della promessa. Sarebbero rimasti figli della “donna schiava” per tutto il tempo in cui avrebbero soggiaciuto alla Legge.

La Storia con la S maiuscola avrebbe dato sicuramente ragione all'allegoria di Paolo e al processo che la sua reazione ai Pilastri innescò drammaticamente all'interno del cristianesimo antico, se non fosse che, per uno di quei curiosi capovolgimenti ironici di un cieco destino, proprio laddove il giudeo-cristianesimo riuscì a trovarsi una via di sopravvivenza
fuori dai confini dell'Impero romano quell'“Ismaele” diseredato da Paolo trovò la sua concreta nemesi storica in coloro che dai Pilastri e dai seguaci dei Pilastri dagli ebioniti in primis ne raccolsero l'eredità, trasformandola con successo in un'unica titanica lancia scagliata dritta al cuore dell'Occidente: gli arabi del “Profeta Maometto” (a sua volta, se devo credere al prof. Sven Kalisch, una pura invenzione umana).

Si tratta certamente di un'altra storia e di un altro mito fondativo ma intanto non posso che concordare col prof Goulder quando scrive:
“Così la cristologia ‘ebionita’, che abbiamo trovato descritta per primo nel Ireneo intorno al 180 non è l'invenzione del tardo del II secolo. Eera il credo della chiesa di Gerusalemme dai primi tempi. Sta alla base del più antico vangelo paolino, Marco, ed è evidenziato dagli anni 50 nella prima lettera di Paolo a Corinto, dove le persone a volte maledirono Gesù nella chiesa.... I Paolini divennero la chiesa, e nel tempo chiamarono la missione di Gerusalemme col nome di Ebioniti, e li resero un'eresia.”
(Michael Goulder, St. Paul versus St. Peter: A Tale of Two Missions, Westminster/John Knox Press, 1995, pag. 134, mia libera traduzione)

Parole sante! È impossibile negare l'esistenza di un diretto legame storico tra i “poveri di Gerusalemme” e i “seguaci del Povero” aka “ebioniti”. Quella negazione comporterebbe la necessità fin troppo onerosa di una duplice spiegazione per la diversa genesi della medesima designazione (“i poveri”/“i seguaci del Povero”) ed Occam vieta.

Ma è a questo punto che lo spirito critico di professori storicisti del calibro di Goulder (che pure rispetto) si arresta. Alla domanda se la cristologia degli ebioniti fosse “alta” o “bassa”. Ne avevo già parlato qui e riprendo in parte la citazione, confrontandola con un altra sempre da Epifanio:
 Essi negano che egli sia stato generato da Dio Padre, dicendo che è stato creato come uno degli arcangeli... e governa sugli angeli e su tutte le cose create dall'Onnipotente e che è venuto e ha dichiarato... di essere venuto per porre fine ai sacrifici, «e se voi non cessate di compiere sacrifici l'ira [di Dio] non cesserà contro di voi».
(Epifanio, Panarion, I, 16)
E neppure si vergognano di accusare Paolo qui con certe fabbricazioni della loro scelleratezza e impostura di falsi apostoli. Dicono che fosse di Tarso—che egli stesso lo ammetta e non lo neghi. E suppongono che fosse di discendenza greca, prendendo l'occasione  dallo (stesso) passo a causa della sua franca dichiarazione, 'Io sono un uomo di Tarso, cittadino di quella non oscura città'.
Poi sostengono che fosse greco e il figlio di una madre greca e di un padre greco, ma che si fosse recato a Gerusalemme, per rimanervi per un pò, desiderando sposare una figlia del sommo sacerdote, e doveva quindi diventare un proselita e venir circonciso. Ma dal momento che ancora non poteva sposare quel tipo di ragazza si adirò e scrisse contro la circoncisione, e contro il Sabato e la legge.
Ma sta facendo un'accusa completamente falsa, questo orribile serpente con la sua povertà di comprensione. Poichè 'Ebione,' tradotto dall'ebraico al greco, significa 'povero'. In verità egli è povero, nella comprensione, speranza e realtà, poichè considera Cristo come un semplice uomo, e quindi è venuto a sperare in lui con povertà di fede.

(Epifanio, Panarion, I, 16-17)

Come si vede, una contraddizione evidente sorge:
ora siamo detti che il Cristo degli ebioniti era “un mero uomo”, ora invece siamo detti che il Cristo degli ebioniti era “uno degli arcangeli”. Piuttosto spesso, per eludere quest'apparente contraddizione, gli studiosi teorizzano l'esistenza di ben due (!) gruppi di ebioniti: l'uno caratterizzato dalla cristologia bassa e l'altro dalla cristologia alta. Eppure lo stesso problema si ripresenta tale e quale se diamo uno scorcio ad un'altra setta giudeocristiana (ancor più degli ebioniti, una setta che fiorì in anticipo oltre i confini dell'Impero romano e quindi di gran lunga più immune all'odiosa tendenza cattolicizzante che avrebbe operato entro quei confini): gli elcasaiti. Anche loro infatti credevano che “Cristo nacque uomo come tutti” e tuttavia raccontavano qualcos'altro a proposito del Figlio di Dio.
Dopo che la dottrina di Callisto si era diffusa in tutto il mondo, giunse a Roma un uomo che osservava questa pratica, infido e pieno di spudoratezza, di nome Alcibiade, già abitante ad Apamea di Siria, che presumeva d'esser più energico e più abile di Callisto nell'inganno. Portava con sé un libro, sostenendo che Elcaseo, un uomo giusto, lo aveva ricevuto dai Seri della Partia e lo aveva consegnato a un uomo di nome Sobia. Il contenuto del libro era stato rivelato da un angelo, la cui altezza era di 24 scheni (cioè 96 miglia), la sua larghezza 4 scheni e da spalla a spalla 6 scheni; le impronte dei suoi piedi 3 scheni e mezzo di lunghezza (cioè 14 miglia), larghezza uno scheno e mezzo, profondità mezzo scheno. A suo dire c'era con lui anche una donna, le cui dimensioni erano come quelle testé dette; l'uomo era il Figlio di Dio, mentre la donna si chiamava Spirito Santo. Raccontando queste cose crede di impressionare gli imbecilli affermando questo: che è stata annunciata agli uomini una nuova remissione dei peccati nel terzo anno del regno di Traiano, e stabilisce un battesimo, del quale discorrerò, dichiarando che quanti fossero stati coinvolti in ogni tipo di dissolutezza, profanazione e illegalità, anche qualora si trattasse di un credente, dopo essersi convertiti ed aver ascoltato il Libro e creduto, avrebbero ricevuto tramite il battesimo la remissione dei peccati. Osò escogitare questi inganni prendendo spunto dalla dottrina esposta prima, che Callisto aveva insegnato. Ritenne opportunamente di metterla in pratica, giacché pensava che molti avrebbero gioito di questa promessa. Noi, essendoci opposti anche a questo, non permettemmo che molti errassero a lungo, confutandolo quale effetto d'uno spirito falso e proposito d'un cuore pieno di orgoglio, e mostrando che costui a mo' di lupo s'era insinuato tra le numerose pecore vaganti che Callisto, travisandole, aveva disperso. Ma dal momento che abbiamo cominciato, non tralasceremo neppure le dottrine d'Elcaseo, cominciando con l'esporre chiaramente la sua vita e la prova che la presunta ascesi è un inganno; in seguito esporrò anche le parti fondamentali della sua predicazione, affinché chi si trovi a leggere i suoi scritti sappia quale e di che tipo sia l'eresia che osò propagandare.

Egli avanzò come esca il modo di vivere della Legge e pose a requisito necessario che i credenti fossero circoncisi e vivessero secondo la Legge, non senza assumere alcuni elementi dalle eresie poc'anzi descritte. Sostiene, infatti, che Cristo nacque uomo come tutti, che non è nato ora per la prima volta da una vergine, ma essendo nato e rinascendo, sia la prima volta sia più volte in seguito, è apparso e viene al mondo, mutando corpo secondo le nascite e reincarnazioni, in base al noto insegnamento di Pitagora. Gli Elcasaiti sono così pieni d'orgoglio che affermano anche di predire il futuro, servendosi chiaramente come punto di partenza delle misure e dei numeri del metodo pitagorico di cui abbiamo parlato prima. Si rivolgono agli insegnamenti matematici, astrologici e magici come se fossero veritieri e, servendosi di questi, confondono gli stolti, che credono di profittare di una dottrina formidabile. Insegnano incantesimi e altre formule per quelli che sono stati morsi da un cane, per quelli posseduti da un dèmone e per quelli colpiti da altre malattie; di costoro non potremmo sottacere queste cose. Dunque avendo sufficientemente spiegato di loro i princìpi teorici e le motivazioni delle audaci iniziative, andrò avanti spiegando i loro scritti, attraverso i quali coloro che vi si imbattono conosceranno la stupidità e le prodezze ateistiche di questa gente.
Ecco allora come Alcibiade amministrava il batesimo a coloro che accorrevano da lui, dicendo ai turlupinati cose di questo tipo:

«Se dunque, o figli, uno ha avuto rapporti sessuali con un animale di qualsiasi specie, o con un maschio, o con una sorella, o con una figlia, o ha commesso adulterio, o è stato colpevole di fornicazione, e vuole ottenere la remissione dei peccati, appena avrà ascoltato il contenuto di questo libro sia battezzato una seconda volta nel nome del grande e altissimo Dio e nel nome di suo Figlio, il grande Re. Si purifichi, diventi senza macchia e chiami a testimoniare per sé i sette testimoni, che sono scritti in questo libro, il cielo, l'acqua, gil spiriti santi, gli angeli della preghiera, l'olio, il sale e la terra».
Ecco i misteri meravigliosi di Elcaseo, le cose grandi e ineffabili che trasmette ai discepoli meritevoli; e li delinquente non si accontenta di queste cose, ma alla presenza di due e tre testimoni pone il sigillo sui suoi crimini, dichiarando di nuovo così:
«Vi dico nuovamente, o adulteri e adultere e falsi profeti, se volete convertirvi, affinché i peccati vi siano rimessi e abbiate pace e parte tra i giusti, appena avrete ascoltato il contenuto di questo libro, siate battezzati una seconda volta con i vostri abiti».
Poiché, però, abbiamo detto anche che questi si servono di magie per quelli che sono stati morsi dai cani e per altri, lo spiegheremo. Si esprime infatti nei termini seguenti:
«Se un cane idrofobo e furioso, in cui vi è uno spirito di morte, dovesse mordere o spaventare o toccare un uomo o una donna o un ragazzo o una ragazza, in quello stesso momento corra con tutti gli abiti e, gettandosi in un fiume o in una fonte, dovunque vi sia un luogo profondo, sia battezzato con tutti i suoi vestiti, e offra preghiere al grande e altissimo Dio con fede nel cuore. E allora chiami a testimoniare i sette testimoni che scono scritti in questo libro: Ecco, chiamo a testimoniare il cielo, l'acqua, gli spiriti santi, gli angeli della preghiera, l'olio, il sale e la terra. Chiamo a testimoniare questi sette testimoni che io non peccherò più, né commetterò adulterio, né ruberò, né commetterò ingiustizia, né sarò avido, né nutrirò odio, né sarò sprezzante, né mi compiacerò di alcuna opera malvagia. Dopo aver detto queste cose, dunque, sia battezzato con tutti i suoi vestiti nel nome del grande e altissimo Dio».
Diceva sciocchezze su molte altre questioni, insegnando che anche i malati di tisi devono pronunciare queste frasi ed immergersi in acqua fredda quaranta volte per sette giorni, e devono fare lo stesso anche gli indemoniati. O saggezza inimitabile e magie potentissime! Chi non sarebbe colpito da una tale potenza di parole? Poiché, però, dicevamo che si sono serviti anche dell'inganno astrologico, lo dimostreremo a partire dalle loro stesse parole. Dice, infatti, così:
«Esistono cattivi astri di empietà. Ora vi è stato detto questo, fedeli e discepoli: guardatevi dal potere dei loro giorni di dominio, e non date inizio a opere nei loro giorni, né battezzate un uomo o una donna nei giorni del loro potere, quando la luna emerge da questi e viaggia con loro. Guardatevi da quel giorno fino a quando la luna si allontana da loro, e allora battezzate e date inizio a ogni vostra opera. Onorate, inoltre, il giorno di sabato perché è uno di quei giorni. Attenti, però, a non intraprendere alcuna opera anche nel terzo giorno dopo il sabato, poiché, trascorsi altri tre anni del regno di Traiano, da quando egli sottomise i Parti al suo potere, e precisamente al compimento del terzo anno, si combatterà la guerra tra gli angeli dell'empietà del nord; per questo tutti i regni dell'empietà sono scossi».
Quindi ritenendo irragionevole che questi grandi e ineffabili misteri siano calpestati o consegnati a molti, consiglia di custodirli come pietre preziose, dicendo così: «Non leggete queste parole a tutti gli uomini, e custodite questi precetti con cura, poiché non tutti gli uomini sono fedeli, né tutte le donne giuste». Non furono i saggi Egiziani a diffondere questi misteri nei santuari, né Pitagora, il sapiente degli Elleni. Giacché, se Elcaseo si fosse trovato a vivere in quel periodo, quale necessità avrebbero avuto Pitagora, o Talete, o Solone, o il saggio Platone e gli altri sapienti degli Elleni, di farsi discepoli dei sacerdoti dell'Egitto, quando disponevano di una tale e tanta saggezza grazie ad Alcibiade, il più fantastico interprete del miserabile Elcaseo? Sembra, pertanto, che quanto detto sia sufficiente affinchè le persone sane di mente si rendano conto della loro pazzia; non è parso dunque necessario far uso di ulteriori loro discorsi, che sono pletorici e ridicoli. Poiché, tuttavia, non abbiamo tralasciato queste pratiche che si sono diffuse ai nostri giorni, né abbiamo taciuto quelle diffuse prima, sembra opportuno, per investigare le cose da cima a fondo e non lasciare niente fuori discussione, dire qualcosa anche dei costumi dei Giudei e dele differenze che ci sono tra di loro; credo infatti che ci rimanga ancora questo. Dopo aver detto ciò, passerò alla dimostrazione della dottrina della verità, affinché, dopo il lungo agone del discorso contro tutte le eresie, ancorati alla corona del Regno, credendo, in conformità alla retta dottrina, nelle cose vere, non rimaniamo confusi.  
(“Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, IX, 13-16)
Anche nel caso degli elcasaiti, vediamo il tipico DNA dei fieri nemici di Paolo. Specie di quelli “venuti da Giacomo” (Galati 2:12) che insidiavano l'autorità dell'apostolo tra i galati, meritandosi giustamente gli strali di Paolo:
Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.
(Galati 4:8-11)
Si noti come la sottomissione ai “mesi, le stagioni, gli anni”, ai “deboli e miserabili elementi” era la stessa che avrebbe caratterizzato gli elcasaiti, in perfetta continuità coi Galati giudaizzanti di Paolo nella loro esagerata ossessione per il più astruso immaginario astrologico:
«Esistono cattivi astri di empietà. Ora vi è stato detto questo, fedeli e discepoli: guardatevi dal potere dei loro giorni di dominio, e non date inizio a opere nei loro giorni, né battezzate un uomo o una donna nei giorni del loro potere, quando la luna emerge da questi e viaggia con loro. Guardatevi da quel giorno fino a quando la luna si allontana da loro, e allora battezzate e date inizio a ogni vostra opera. Onorate, inoltre, il giorno di sabato perché è uno di quei giorni. Attenti, però, a non intraprendere alcuna opera anche nel terzo giorno dopo il sabato, poiché, trascorsi altri tre anni del regno di Traiano, da quando egli sottomise i Parti al suo potere, e precisamente al compimento del terzo anno, si combatterà la guerra tra gli angeli dell'empietà del nord; per questo tutti i regni dell'empietà sono scossi».
Stando alla tendenziosa testimonianza del folle apologeta proto-cattolico “Ippolito”, potremo figurarci questi elcasaiti come membri di una società segreta, un gruppo di arcani accoliti, alla luce del fatto che “Elcaseo” stesso significa “il Dio nascosto” (El kasey), mera personificazione leggendaria posticcia proto-cattolica utile soltanto a indicare il supposto autore della setta (e magari a farne il solito tardo arrivato rispetto ai “legittimi” apostoli cattolici).
Quindi ritenendo irragionevole che questi grandi e ineffabili misteri siano calpestati o consegnati a molti, consiglia di custodirli come pietre preziose, dicendo così: «Non leggete queste parole a tutti gli uomini, e custodite questi precetti con cura, poiché non tutti gli uomini sono fedeli, né tutte le donne giuste».
La loro raison d'être consisteva in una sorta di misticismo tutto giudeocristiano, che forzava gli iniziati a darsi ad imprese di temerarietà occultistica: intravedere un titanico arcangelo chiamato Cristo, colossale e impressionante nelle sue reali dimensioni. La setta avrebbe fatto uso di allucinazioni di tipo schizotipo e senza dubbio gli adepti credevano sinceramente di radunarsi in piena comunione spirituale in luoghi di incontro metasifici. La loro primaria aspirazione, in vero stile mistico, era quella di trascendere la realtà ordinaria nella ricerca di stati superiori dell'essere ma l'oggetto di culto a tal fine utilizzato era del tutto non ortodosso, una strana deviazione rispetto ai soliti dogmi della proto-ortodossia nascente:
...un angelo, la cui altezza era di 24 scheni (cioè 96 miglia), la sua larghezza 4 scheni e da spalla a spalla 6 scheni; le impronte dei suoi piedi 3 scheni e mezzo di lunghezza (cioè 14 miglia), larghezza uno scheno e mezzo, profondità mezzo scheno. A suo dire c'era con lui anche una donna, le cui dimensioni erano come quelle testé dette; l'uomo era il Figlio di Dio, mentre la donna si chiamava Spirito Santo.
Agli occhi dei proto-cattolici, questi giudeocristiani propugnavano una sorta di blasfemo misticismo rivelatorio, una condizione estatica che li conduceva a trovarsi faccia a faccia, loro soli, con un gigantesco e titanico arcangelo di proporzioni immani. Forse era proprio questa impossibilità reale — che cosa non sarebbe mai dovuto essere — l'apparizione ai soli accoliti di un “angelo” gigantesco (come il Gabriele che appare a Maometto secondo il Corano, come l'angelo Moroni che appare a Joseph Smith secondo il Libro di Mormon), a consentire a ognuno di loro di raggiungere l'esaltazione mistica per il loro primario obiettivo, che era a quanto pare, l'attesa ardente e frenetica di una sconvolgente apocalisse, l'incessante sforzo per raggiungere la distruzione totale degli “arconti di questo eone”, da loro chiamati “angeli dell'empietà del nord”, nonchè dei loro scherani sulla Terra: i romani.
...e precisamente al compimento del terzo anno, si combatterà la guerra tra gli angeli dell'empietà del nord; per questo tutti i regni dell'empietà sono scossi.
Questo è ciò che sono venuto a sapere a proposito dei giudeocristiani conosciuti col nome di “elcasaiti”, dal libro di Ippolito in cui tutto era piuttosto interessante. Ma più affascinante di Ippolito era un breve paragrafo di Epifanio in merito agli ebioniti, proprio laddove Epifanio accenna contemporaneamente agli ebioniti e agli elcasaiti, un paragrafo che posso tradurre quasi del tutto:
All'inizio questo Ebione (il presunto fondatore dei ebioniti) determinò per suo conto che Cristo fosse nato dal seme di uomo, cioè da Giuseppe. Ma da un certo tempo fino ad ora tra i suoi seguaci diverse cose si raccontano su Cristo, poiché hanno volto le loro menti a cose caotiche e impossibili. Io suppongo che dopo che Elcaseo si era unito a loro, il falso profeta a cui accennai prima in connessione coi cosiddetti Sampsenei e Ossenei e Elchesei, cominciarono a raccontare alcune fantastiche idee su Cristo e lo Spirito Santo... Infatti alcuni di loro dicono che Cristo è anche Adamo, il primo uomo creato... Altri dicono... che venne in Adamo ed apparve ai patriarchi rivestito di un corpo. (Epifanio, Panarion 30.3.2-5)

Io ho già spiegato in precedenza che Ebion non conosceva ancora quelle materie (vale a dire, l'invocazione di sette testimoni non umani), ma che dopo qualche tempo, quando i suoi seguaci si erano uniti ad Elcaseo, trattennero da Ebion la circoncisione e il Sabato e i costumi, ma da Elcaseo la fantasia, così da supporre che Cristo è una figura antropomorfa, invisibile agli uomini, alta novantasei miglia.
(Epifanio, Panarion 30.17.5–6)
In questo particolare paragrafo, come nella maggior parte degli altri, il folle apologeta proto-cattolico Epifanio tenta a suo modo di spiegare per quale oscura ragione proprio coloro i quali, se Gesù di Nazaret fosse davvero esistito, avrebbero probabilmente raccolto l'eredità dei suoi primi discepoli/apostoli, ovvero dei Pilastri (i “poveri di Gerusalemme”), ebbene per quale motivo, proprio loro, invece di ostentare almeno loro soli una cristologia bassissima — come ci si aspetterebbe se i Pilastri, a differenza di Paolo e contro Paolo, non avessero innalzato ad un livello metafisico vertiginosamente alto la loro concezione del Cristo — ostentavano al contrario una cristologia angelomorfica così alta da far gola allo stesso Paolo, se soltanto ne fosse venuto a conoscenza.

La spiegazione offerta da Epifanio è tanto debole quanto illuminante sulla sua reale ignoranza della genesi degli “ebioniti”: secondo il folle apologeta, gli ebioniti avrebbero posseduto anticamente una bassissima cristologia (l'esatta ragione per la quale tanto Epifanio quanto il prof Goulder li ritengono ultimi seguaci, in qualche modo, degli antichi Pilastri Pietro, Giacomo e Giovanni) però “da un certo tempo fino ad ora”, per colpa dell'irruzione recente dell'eretico
Elcaseo (un nome fittizio al pari di “Ebione” inventato dai proto-cattolici) si sarebbero lasciati corrompere adottando una cristologia angelomorfica del tutto incompatibile coi dogmi cattolici, trattenendo del passato solo i loro costumi giudaici.

Epifanio ci credeva veramente, alla sua goffa razionalizzazione di un fenomeno storico per lui inspiegabile: la coesistenza nello stesso gruppo giudeocristiano di due cristologie così diverse e addirittura antitetiche tra loro.

Tirando le somme correttamente ma dal suo punto di vista, Epifanio riteneva che, delle due cristologie, la più antica a caratterizzare gli ebioniti — ovvero gli ultimi seguaci degli antichi Pilastri — fosse quella bassa, con la cristologia alta la sua semplice e più naturale evoluzione...

E così hanno creduto e credono tutti gli studiosi storicisti che hanno finora ipotizzato una continuità storica tra i Pilastri del I secolo e gli ebioniti del II secolo.

Ma la realtà storica era diversa. La razionalizzazione piuttosto goffa offerta da Epifanio rappresenta esattamente ciò che ci aspetteremmo di sentire dalla bocca di un folle apologeta cattolico se gli ultimi seguaci degli antichi Pilastri — gli ebioniti — avessero dapprima creduto che Cristo fosse “una figura antropomorfa, invisibile agli uomini” e soltanto dopo, al tempo di Epifanio, si fossero uniti parzialmente all'orgia storicista fabbricando a loro volta un “Gesù storico” di proprio gradimento (un profeta ebreo adottato da Dio). Sicuramente Epifanio avrebbe considerato più antico il credo degli ebioniti che a suo avviso sarebbe dovuto essere più antico, se soltanto la sua concezione della Storia delle origini cristiane fosse vera (con un reale Gesù storico all'origine del cristianesimo) trascurando il fatto che la sua “certezza” in tal senso era proprio l'equivoco che sarebbe sorto nel caso non ci fosse mai stato un Gesù storico sulla Terra, ma al suo posto un mero arcangelo celeste di nome “Gesù” esperito unicamente tramite visioni, sogni e rivelazioni.

Ancora una volta, l'evidenza in nostro possesso è proprio come ci aspettiamo che fosse, se Gesù di Nazaret non fosse mai esistito.

Paradossalmente, grazie alle parole di Epifanio, i miticisti possono trovare un'indiretta conferma della loro tesi, la riluttante implicita confessione, da parte di un “Padre della Chiesa” (!), che la più probabile origine del credo storicista degli ebioniti non è l'esistenza effettiva di un Gesù storico di cui i Pilastri avrebbero costituito il primo nucleo di seguaci, bensì la graduale transizione degli stessi seguaci dei Pilastri, avvenuta in qualche tempo recente, dall'antico credo in un angelo “invisibile agli uomini” al credo che Gesù fosse stato solo
un mero uomo adottato da Dio al modo di un Mosè o di un Elia.

Questa transizione è indicata con un termine preciso: evemerizzazione.

Evitando giustamente di fare le giuste domande, Epifanio preferì rimanere al sicuro con le sue “verità” cattoliche che richiedevano, per poter essere tali, innanzitutto un “Gesù storico” all'origine del cristianesimo, e non le mere visioni di un angelo. E che altro, oltre a questo, doveva fare il folle apologeta proto-cattolico Epifanio per rimanere in guardia contro la disturbante presenza di simili eretici? Come poteva sapere cosa realmente si annidava dietro l'“angelo” gigantesco venerato dagli ultimi giudeocristiani col nome del Figlio di Dio?

Epifanio e i simili di Epifanio, ma in realtà tutti quelli del suo tempo oramai convinti dell'esistenza storica di Gesù di Nazaret, non potevano, e nemmeno volevano, vedere quell'angelo “invisibile agli uomini” del quale alcuni giudeocristiani, ancora al loro tempo, erano segreti testimoni in ogni momento delle loro visioni e rivelazioni.

Uccisero così l'entità invisibile nella quale gli occhi dell'apostolo Paolo, e dei Pilastri prima di lui, erano stati trascinati nel corso di sogni, visioni, allucinazioni. E chiusero definitivamente, meglio che potevano, le loro menti e quelle degli altri cristiani, davanti all'abisso che è dimora del Gesù mitico e invisibile dei primi apostoli cristiani.

Ma spesso, ne sono certo, ne sentivano ancora la presenza, forse durante il visionario momento del crepuscolo delle loro certezze.

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