mercoledì 19 aprile 2017

Circa «Le mystère de Jésus» di Paul-Louis Couchoud (VII)

(Questa è la settima parte della traduzione italiana di un libro del miticista Paul-Louis Choucoud, «Le mystère de Jésus». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


VII. GESÙ

Gesù appartiene alla storia per il suo nome e il suo culto, ma non è un personaggio storico. Non ha posto nella generazione degli uomini. Non è un uomo che abbia vissuto e sia svanito nella morte. È un grande sogno degli uomini, continuamente vivente.
Non conobbe la morte se non in mistero. La sua vita, che non è dell'ordine delle cose visibili, non si iscrive nella trama dei fatti positivi. Non è un mito né un simbolo ma una realtà spirituale, più reale agli occhi degli spirituali che qualsiasi esistenza limitata; solo i credenti ne devono giudicare, a patto di lasciar da parte gli storici.
Gesù non ha a che fare dell'esistenza. Egli ha l'essere. Egli non è esistito. Egli è stato ed è. Egli diviene ancora. È un essere divino la cui conoscenza fu lentamente elaborata dalla coscienza cristiana. Fu generato nella fede, nella speranza e nell'amore. Si è formato dall'aroma dei cuori.
Egli ha preso le forme mutevoli che l'adorazione gli diede. Nacque non appena ebbe un credente. Si rafforzò di tutte le reclute che vennero a lui e di cui prese l'intima sostanza, talora più sottile, talora più greve. Visse nel corso dei secoli, attraverso i cervelli umani, ed è forse destinato a perire se non con l'umanità.
La sua sola realtà è spirituale. Ogni altra è miraggio. Egli farà smarrire coloro che lo perseguiteranno sulle rive del lago di Galilea o sui gradini della triste Gerusalemme. Essi non vi troveranno null'altro che i suoi fedeli. Egli è altrove, fin dall'origine. Non è in nessun luogo, fuorché nelle anime.
Non lo si deve cercare nell'alba favolosa della religione: egli è la religione stessa. La storia intera del cristianesimo, ecco la sua storia. Ma egli non ha biografia.
Con una grossolana cucitura la sua morte e la sua resurrezione, la sua epopea mistica, furono congiunte con la cronaca umana dei cristiani. Esse sono su due registri differenti. Nel piano temporale, i cristiani soffrono, attendono, scongiurano e credono.
Nell'intemporale, Gesù rinnova senza fine il suo sacrificio e il suo trionfo. Non si può restituire alla storia di Gesù il suo significato e la sua bellezza se non lasciandola intera nel registro celeste.
Il problema storico delle origini è dominato da un problema letterario. Esso si risolverà mano a mano che si farà una critica più severa e un ordinamento più esatto degli opuscoli a noi giunti della prima età cristiana.
Nel corso dei primi secoli ci sono quattro periodi da distinguere, alternativamente foschi e illuminati.
I venti o trent'anni che precedono le lettere di Paolo, le quali sono dell'inizio dell'anno 50, sono nell'oscurità, o, ciò che è peggio, in una falsa luce. Non si conservano documenti di quel periodo e su di esso naturalmente si portarono le finzioni dell'apologetica e i miti della fede.
Per abbozzarne le grandi linee noi disponiamo dei dati rari ma solidi forniti dalle lettere di Paolo, di ciò che si può ritrovare del primitivo racconto degli Atti sotto i rimaneggiamenti di un retore apologeta, e del piccolo gruppo di ricordi trasferiti e inseriti nel Vangelo secondo Marco.
La fede in Gesù nasce in Palestina, probabilmente in Galilea, in mezzo ad un'esplosione di visioni, di guarigioni, di miracoli e di profezie, in una rinascenza mistica, a cui è concesso il nome di Cefa Pietro. Essa s'introduce a Gerusalemme sotto gli auspici di un uomo cospicuo, di nome Giacomo. Si scalda in sinagoghe di lingua greca e, sotto la sua forma estrema, si urta contro il Sant'Uffizio ebraico, il Sinedrio, che condanna Stefano a morte.
Repressa a Gerusalemme, è portata ad Antiochia e a Roma. Da Antiochia, certi profeti taumaturghi la propagano dalla parte dell'Asia Minore. Tre fra essi si spingono fino in Macedonia e in Grecia.
Non sappiamo bene che cosa sia ancora a quell'epoca Gesù. Tuttavia è già costituito sui testi essenziali e sopra una dottrina elementare dello Spirito. La storia di quel periodo arcaico dev'essere abbozzata con squisita prudenza. Essa conterrà sempre una grande parte d'irrimediabile incertezza. È un'alba grigia.
Il secondo periodo, al contrario, è il meglio illuminato. È quello delle lettere di Paolo, dal 50 al 55.
Un fascio di luce si stende su cinque o sei gruppi recentemente fondati: Tessalonica, Corinto, Filippi, Colosse, la Galazia, Roma — dove è accesa la fede in Gesù. Ben interrogate, le lettere di Paolo forniscono una massa preziosa d'informazioni dirette sulla vita di queste assemblee di santi.
Noi vediamo che cosa sia per esse Gesù. Il mistero di Gesù non è esposto ex professo dal geniale profeta cristiano. Ma traspare sotto tutti i suoi versetti ritmici e ardenti. È un alto poema teologico e mistico, maturato nella meditazione della Bibbia e nell'estasi, poema di salvezza coordinato ad un rituale di salvezza.
Gesù, una delle persone di Jahvé, per un atto incredibile di umiliazione abbandona la forma divina, e diventato uomo si sottomette al supplizio in cui lo videro Davide e Isaia e che gli infliggono i principi celesti i quali non lo riconoscono. Ma Satana, il Dio di quest'età, è beffato e sconfitto. Questo supremo sacrificio di espiazione gli fa perdere l'impero del mondo. Gesù resuscita in trionfo e strappa gli uomini al peccato, alla morte, alla Legge.
I tempi sono compiuti. L'Età nuova comincia. Con la fede in Gesù ci si identifica a Gesù. Coi riti temibili: l'immersione del battesimo, il calice bevuto nella Cena del Signore, ed anche con ogni sofferenza patita in nome di Gesù, si muore con Gesù, per resuscitare presto con lui, nella metamorfosi dei corpi.
La divina storia del Messia è per ognuno la garanzia della salvezza. Essa non è raccontata con calma. È trasmessa con un tremore di tutto l'essere come un formidabile mistero. È penetrata di sacro orrore, mista di ammirazione e di preghiera, di emozione e di spavento, di supplica e di consolazione. Sgorga dal profeta frequentemente in strofe ardenti, non ancora in tranquilli racconti.
Dopo le lettere di Paolo si stendono di nuovo circa vent'anni oscuri, dal 55 fin verso l'80.
I gruppi cristiani crescono e si moltiplicano nell'ombra. Roma, l'Asia, la Siria ne sono infiltrate: ma questo intenso sviluppo resta nascosto per noi.
Durante questo periodo, nell'anno 70, un immenso avvenimento si produce: la dispersione degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme. Esso risuonò nella giovane teologia cristiana. Si risolve in un incoraggiamento. Decisamente, gli ebrei sono riprovati da Dio. Il vecchio Dio volge la faccia da Israele, e non c'è salvezza se non nel regno di suo figlio Gesù.
Questo periodo lasciò soltanto frammenti di scritti, inseriti e conservati in opere più recenti. Allora fu redata da un antico segretario di Paolo una leggenda dei primi tempi cristiani, e un racconto delle missioni di Paolo. Bisogna esaminarle attentamente come si può fuori dal seno dell'eloquente amplificazione del libro degli Atti.
Allora pure si formò una raccolta dei principali Oracoli del Signore, cioè delle sentenze, precetti, rivelazioni o parabole ispirate dallo Spirito Santo ad un profeta cristiano e attribuite a Gesù dall'unanime discernimento degli altri. Saranno questi i materiali per i futuri evangelisti.
Così si costituisce senza rumore un'antologia dei miracoli più antichi e degli oracoli più belli che lo Spirito aveva ispirato e compiuto tra i fratelli. Alla storia celeste di Gesù Figlio di Dio si aggiunge senza ancora combinarsi con essa, la relazione terrestre delle opere e delle parole di Gesù-Spirito.
Il quarto periodo, che dall'80 si estende a circa il 110-120, è quello dei Vangeli.
Roma, Antiochia, Efeso, dirigono il movimento cristiano. Per illuminarci sulla vita delle assemblee durante questo periodo, abbiamo la lettera di Clemente di Roma ai Corinzi, le lettere pseudonime del Nuovo Testamento (lettere supposte di Paolo, di Pietro, di Giacomo, di Giuda, di Giovanni), le lettere di Gesù-Cristo che aprono l'Apocalisse, e la Didachè, compendio di insegnamento catechistico e di rituale.
Nel piano dei fatti, il conflitto cova o scoppia fra le autorità dell'impero e le assemblee dei santi. Alla fede, alla speranza, all'amore, il cristiano deve aggiungere la prudenza e il coraggio. La testimonianza resa a Gesù si muta spesso in martirio.
Nel piano delle credenze si produce un cambiamento capitale. Il mistero di Gesù si fissa in racconto. Passa dallo stato lirico allo stato narrativo. È diffuso, o per meglio dire volgarizzato, in una forma che avrebbe ben sorpreso l'autore della Lettera ai Romani. Occorre rispondere ai bisogni di uditori più misti e meno intelligenti, che l'alta poesia e la profonda mistica di Paolo superano alquanto.
In qualche angolo popoloso di Roma, cuoce una pia pentola, una specie di grossa minestra cristiana dove tutto si macera e si mescola: la storia mistica di Gesù con tradizioni voltate in allegorie, testi biblici voltati in visioni con un'apocalisse moralizzata, miracoli mutati in simboli con oracoli e parabole scelte, tolte dal loro senso. È la buona novella secondo Marco. L'epopea ineffabile di Paolo diventa una leggenda artificiale che si afferma si sia svolta in Palestina, una quarantina d'anni prima della rovina di Gerusalemme. il misterioso Servo di Dio diventa una vittima di Ponzio Pilato e dei giudei, il modello eroico e commovente dei martiri cristiani. Gesù si materializza pesantemente.
L'invenzione ardita dei predicatori popolari fece la sua strada. Il nuovo modo di presentare il mistero cristiano piaceva a genti più numerose che il modo antico. Il Vangelo di Marco ebbe una sicura spinta. Fu riveduto e aumentato, a Roma, sembra, nel vangelo di Luca, in Siria nel vangelo di Matteo, e profondamente rimaneggiato in Asia e messo al livello della teologia di Paolo nel vangelo di Giovanni.
Si osserva tuttavia che la leggenda evangelica ha lasciato poca traccia nella letteratura contemporanea. Un profeta di grande razza come l'autore dell'Apocalisse si attiene al Gesù delle scritture e della visione, al Gesù mistico. Né egli, né Clemente di Roma, né gli autori delle Lettere pseudonime (salva un'allusione isolata a Ponzio Pilato nella prima lettera a Timoteo), né l'autore della Didachè tengono conto delle narrazioni evangeliche. Le parole evangeliche fanno ancora parte del fondo comune delle didascalie. Si deve scendere fino a Giustino, alla metà del secondo secolo, per vedere i “Vangeli” citati come autorità e presi per le “memorie degli apostoli” (I Apologia, 66, 3). Fu allora che la credenza in un Gesù storico, di carne e d'ossa, diventa una posizione teologica, sostenuta nelle lettere false di Ignazio d'Antiochia, con la passione del teologo disputatore, non con la calma dello storico documentato.
Conviene prendere i Vangeli per ciò che sono: opere ausiliarie e secondarie. Se li si staccasse dalla teologia di Paolo, perderebbero ogni significato profondo. Se non si conoscesse prima il sacrificio redentore del Figlio di Dio, la storia narrata da Marco non ci condurrebbe lontano. Essa non è abbastanza coerente per essere molto commovente. Ci si intenerisce un pò sopra un Messia alla morte di cui non si vedono bene le ragioni. La si paragona tutt'al più all'abnegazione dei martiri maccabei. Senza Paolo, Marco è privo di grande interesse.
I Vangeli non hanno valore se non come seconda macinazione del mistero cristiano. Essi provano la libertà lasciata in sott'ordine ai catechisti delle masse. Sono fregi ricamati sulla fede: non avrebbero mai creata la fede stessa. Il culto cristiano non avrebbe potuto fondarsi sui loro aneddoti un pò inconsistenti. È esso, al contrario, che sostiene questa nuova fioritura, ed è fondato sulla robusta e primitiva teologia ch'esso espresse in riti, ben prima che i Vangeli la traducessero in leggenda.
E tuttavia si deve dire che il Gesù dei Vangeli completa a meraviglia quello di Paolo.
Gesù, in Paolo, era tanto vero uomo quanto vero Dio, perfetto mediatore, per il quale gli uomini si assorbivano nella divinità. Ma la sua umanità restava come virtuale, quasi allo stato di definizione dottrinale. Gesù non prendeva un corpo d'uomo, nato da donna, se non per essere crocifisso dai celesti Arconti. Ciò era sufficiente per la sicurezza della fede. Ma come si era curiosi di sapere di più intorno a questa prodigiosa incarnazione!
I Vangeli riempiono una cornice lasciata vuota. Dell'uomo celeste di Paolo fanno un individuo che ha lineamenti personali, un'età, un'andatura, un accento, e, poco manca, un carattere. Il lato umano di Gesù, teologicamente necessario, è disegnato, un pò leggermente, ma non senza soavità. Esso forma una felice controparte alle sublimi aridità del lato divino.
Il pericolo per la fede era questo, che si spingesse troppo lungo l'umanizzazione. Già Luca si mette per una via che mette capo a Renan. Ma Giovanni ristabilisce un artistico equilibrio fra l'uomo e il Dio.
Dopo il quarto Vangelo, Gesù ha tutti gli organi della sua vita soprannaturale. Lo sforzo combinato di ebrei immaginativi e di greci mistici ha dato un Dio al mondo moderno. Ben più lontano, ben più alto che tutti gli Dèi anteriori, egli proseguirà la sua carriera, Uomo-Dio che è vicino ai cuori infranti, oggetto fisso da amare nell'atroce svolgimento delle cose.
O amico mio giapponese, sono i semplici credenti quelli che alla fine hanno ragione. Gesù è il buon Dio. È il Mahādeva d'Occidente, che cacciò tutti i déva.
Voi, buddisti, sapete che essere Dio è una delle forme dell'esistenza, come essere pietra o uomo. E voi sapete che gli Dèi hanno pure il loro Karma. Ma per essi la Ruota gira ben più lenta che per noi. Il nostro
Mahādeva ebbe la sua ascensione splendida e già forse piega verso un futuro declinare.
Esso è bello, forte e buono, perchè tanti uomini gli diedero il meglio di sé stessi. Le generazioni l'hanno riscaldato, ingrandito, esaltato. Egli le domina come il monumento anonimo si erge sopra gli operai defunti. Egli è il più alto slancio delle anime sotto i cieli d'Occidente.

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