giovedì 1 dicembre 2016

Sul Suono del Silenzio (III)

 DIO: Sinonimo di preti. O, se si preferisce, factotum dei teologi, primo operatore del clero, incaricato degli affari, fornitore, intendente dell'esercito celeste.
La parola di Dio è la parola dei preti; la gloria di Dio è la camera mortuaria dei preti; la volontà di Dio è la volontà dei preti. Offendere Dio equivale a offendere i preti. Credere in Dio significa credere a quello che di lui dicono i preti. Quando si dice che Dio è in collera significa che i preti sono di cattivo umore. Sostituendo il termine preti a quello di Dio, la teologia diventa la più semplice delle scienze. Posto ciò, bisogna concludere che non esistono veri atei, poiché, a meno che non si sia stupidi, non è possibile negare l'esistenza del clero, che si fa decisamente sentire. Ci sarebbe anche un altro dio, ma i preti non se ne curano: bisogna attenersi al loro Dio, se non si vuole finire sul rogo. Vedi Deismo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?

Quello che vedo nelle lettere di Paolo l'apostolo è la totale assenza di un Gesù storico: non esiste più nessuna differenza tra ciò che si definisce come “Gesù storico” e il Cristo celeste arcangelo di Paolo. Perchè il “Cristo Gesù” di Paolo è soltanto una forma tra le altre della deità che muore e risorge che il mondo ellenistico manifestava ed esprimeva di continuo, non soltanto dietro i vari Osiride, Attis, Dioniso, Tammuz, Inanna, Romolo, Talmoxis, ecc., ma anche nel complesso groviglio dell'antica angelologia ebraica. E il “Gesù storico”, che io avevo sempre considerato il soggetto più importante e indispensabile per spiegare le origini cristiane, non è altro che una chimerica illusione, un'ologramma fittizio che svanisce ad un più attento scrutinio, un'ipotesi non necessaria e neppure giustificata pur di dare un volto ed un senso all'arcangelo celeste adorato dall'uomo chiamato Paolo.

Ma ora è giunto il momento di presentare la terza parte dei 200 mancati riferimenti al Gesù storico nelle epistole di Paolo. L'autore è Earl Doherty e la sua analisi in lingua originale si trova a questo indirizzo.



1 & 2 CORINZI

1 Corinzi




40. - 1 Corinzi 1:1
    Da Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, . . . [NEB]

In diversi luoghi in tutto le sue lettere, Paolo parla della sua chiamata a predicare il Cristo, e praticamente in ogni luogo la identifica una chiamata da parte di Dio, non da parte di Gesù. Questo modo coerente di esprimersi smentisce la leggenda raccontata in Atti che Paolo, sulla via per Damasco, subì una visione personale di Gesù Cristo  che costituì un'esperienza di conversione e segnò l'inizio della sua carriera da apostolo. Altri passi (compresi di scrittori che parlano in nome di Paolo), che caratterizzano la sua chiamata come una chiamata da Dio comprendono: 1 Tessalonicesi 2:4, Galati 1:16 e 2:8, 2 Corinzi 1:1, 3:6 e 10:13, Efesini 1:1 e 3:7, Tito 1:3. In Galati 1:1, dice di essere inviato “da Gesù Cristo e Dio Padre”, l'unico riferimento ad una chiamata da parte di Gesù, ed è associata alla chiamata da parte di Dio. (Non voglio fornire un'ulteriore discussione di quei passi.)

[Si noti che il suo riferimento al “vedere il Signore” in 1 Corinzi 9:1 e 15:8 non è specificato come esperienza di conversione, e potrebbe essere un riferimento ad una “visione di conferma” del Figlio che Paolo ricevette qualche tempo dopo la sua conversione. Certo, le visioni (1 Corinzi 15:5-7) di Pietro, Giacomo, degli oltre 500 fratelli, ecc, non furono esperienze di conversione, dal momento che si trattava di persone che erano già credenti e apostoli. Paolo elenca il suo personale diritto dopo il loro come se fosse della stessa natura al pari del resto. (ciò poteva essere stato indotto anche dal suo bisogno di subìre lo stesso tipo di visione come un mezzo per confermare sé stesso in qualità di apostolo, come indicherebbe 1 Corinzi 9:1f). E prosegue in 15:10 per dire di essere “quello che sono” in virtù della grazia di Dio, non di Gesù. Inoltre, 2 Corinzi 12:1, nel raccontare “visioni e rivelazioni del Signore”, non riesce ad includere nessuna esperienza che assomigli alla leggenda della via per Damasco, e tanto meno si riferisce alla chiamata che lo portò a diventare un apostolo. ]

— 1 Corinzi 1: 7-8 - Si veda “Principali 20” #17

 41. - 1 Corinzi 1:9
 È Dio stesso che vi chiamò a condividere nella vita [letteralmente, comunione] di suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore; e Dio mantiene la fede. [NEB]

Ancora una volta, l'attenzione è rivolta a Dio, laddove un apostolo che risponde ad un umano Gesù di Nazaret più probabilmente avrebbe intravisto che la chiamata al credente viene dall'uomo che lui sta predicando. Se, però, Gesù è una figura del tutto rivelata da Dio attraverso la scrittura (e sostenuta da delle visioni occasionali), il teocentrismo di Paolo è comprensibile.

42. - 1 Corinzi 1:18-24(f)
    18 Poiché la predicazione della croce è follia per quelli che periscono, ma per noi che veniamo salvati, è la potenza di Dio. 19 Infatti sta scritto: “io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti”. 20 Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo mondo? Non ha forse Dio reso folle la sapienza del mondo? 21 Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la follia della predicazione.
22 I Giudei infatti chiedono segni miracolosi e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i pagani follia, ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. [NIV]

Nella grande difesa di Paolo della sua dottrina circa il Cristo, qualcosa che per sua ammissione colpisce come ridicolo il mondo dei non credenti, lui ci tiene a precisare solo quello che è circa il suo vangelo, il quale è risultato “scandalo per i Giudei e follia per i pagani”. Che cos'è? Semplicemente questo (letteralmente, in greco):
Noi proclamiamo Cristo [che è stato] crocifisso”.

L'affermazione di Paolo sembra essere un'affermazione di un semplice fatto: che Cristo fu crocifisso. Eppure, se la crocifissione di Gesù fosse stato un recente evento storico, il suo solo accadimento, essendo una materia di ricordo e di dominio pubblico, difficilmente sarebbe risultato un ostacolo o una follia a chiunque. Il significato proclamato di quell'evento poteva essere così, ma Paolo non suggerisce di voler intendere che è l'interpretazione della crocifissione ad essere il problema. Né dice che il problema è che un uomo crocifisso è dichiarato il Messia — cosa che sarebbe davvero un affronto per l'ebreo medio. No, come Paolo la presenta, è la dottrina stessa che il Messia fu crocifisso che viene resistita.

Inoltre, il verbo greco è nel tempo perfetto, un tempo che riguarda più l'effetto perdurante nel presente piuttosto che una semplice dichiarazione di un accadimento passato. Questa è una ricorrente modalità di espressione (spesso semplicemente nel tempo presente), che rappresenta Cristo e le sue azioni mentre accadono nell'“ora”, perfino mentre parlano nell'ora tramite le sacre scritture. Tutto questo è coerente col concetto di un'attuale rivelazione da parte da Dio, di verità di un mondo superiore a lungo segrete, sul punto di essere rivelate e di provocare un effetto al momento presente.

Così Paolo sta dicendo che la sua predicazione di un Messia che è dichiarato di essere stato crocifisso è stata trovata inaccettabile da coloro che lui associa alla sapienza del mondo. La sua sapienza — una sapienza di Dio — è che il Messia fu crocifisso, e che questo è il piano di salvezza di Dio. Possiamo concludere, quindi, che Paolo non sta parlando di un evento storico verificabile, ma di una celeste figura spirituale che è conosciuta solo dalla scrittura. Certi ebrei e gentili respingono l'interpretazione di Paolo di questo Messia celeste — che egli fu crocifisso (da chi, si veda l'elemento successivo). Quest'interpretazione è diversa da quella di altri — che egli fu non crocifisso. (Vorrei affermare che quest'ultima si riferisce all'apostolo Apollo, al quale Paolo ha appena accennato. Si veda Articolo Complementare Numero 1: Apollo di Alessandria e l'Antico Apostolato Cristiano per una discussione approfondita di questo passo.)

Se Paolo stesse predicando Gesù di Nazaret — un uomo crocifisso — come il Messia e Salvatore, lo avrebbe discusso in questi termini, tanto più che in questo lungo passo (che si estende fino a 2:10) lui sta difendendo la sua dottrina e sta difendendo Dio per la sapienza del suo piano di redenzione. Eppure, non c'è una parola in quei 24 versi circa il Gesù umano, circa una dimensione terrena, circa la questione del riconoscimento di un criminale crocifisso come il Figlio di Dio e redentore del mondo. Infatti, l'innalzamento di un uomo alla divinità, la trasformazione di un sovversivo condannato in una parte della Divinità, sarebbe, per quasi tutti gli ebrei, una pietra d'inciampo di proporzioni così monumentali da far impallidire ogni obiezione che potevano avere per l'affermazione che il Messia dovette subire una crocifissione. Paolo è completamente silenzioso sulla più grande follia tra tutte loro.

Invece, Paolo “definisce” Cristo come “la potenza di Dio e la sapienza di Dio” (passo 24). In linea con tutto il resto da lui espresso, sta definendo una figura celeste in termini di caratteri spirituali (nello stesso modo in cui si potevano definire concetti come il Logos greco e la Sapienza personificata ebraica); non vi è alcun segno che sta facendo una dichiarazione su un uomo umano.

Nel passo 22, Paolo fa notare che gli ebrei cercano miracoli a sostegno di ogni dottrina intorno a Dio e la salvezza. È strano, quindi, che non riesce a richiamare l'attenzione su uno qualsiasi dei miracoli del vangelo di Gesù a supporto dell'affermazione che l'uomo crocifisso di Nazaret era stato effettivamente Messia e Salvatore.

43. - 1 Corinzi 2:7-8
    7 Ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria 8 e che nessuno dei dominatori di quest'età ha conosciuta; perchè, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 

Paolo predica “Cristo crocifisso”. Ma da chi? “I dominatori di quest'età”. Il parere degli studiosi è stato a lungo diviso sul significato di questa frase, ma la ricerca liberale ritiene in gran parte che si riferisca alle forze spirituali che sono considerate al dominio dell'età presente della storia. Gli antichi a quel tempo consideravano i livelli più bassi del cielo abitati da demoni malvagi che controllavano il destino della terra e tormentavano la vita della gente. Sono loro che sarebbero passati via una volta stabilita una nuova era di Dio, e spesso si parla della crocifissione di Cristo come dello strumento di Dio per conquistare gli spiriti malvagi e sanare la spaccatura che hanno creato tra cielo e terra. (Si veda Colossesi 2:15, Efesini 1:10, 2:2, 3:10 e 6:12.) Per una discussione completa del significato di questo passo, assieme ad un elenco parziale di studiosi che sostengono questa interpretazione, si veda Articolo Complementare Numero 3: Chi Crocifisse Gesù?

Sembrerebbe che Paolo individua la crocifissione di Gesù nel regno spirituale ad opera degli spiriti malvagi. (Si veda L'Ascensione di Isaia, 9:13-14). Quelli che riconoscono questo significato per i “dominatori di quest'età” a volte tentano di qualificarlo affermando che Paolo intravvede la loro azione dietro le autorità umane che in realtà, secondo i vangeli, crocifissero Gesù, ma Paolo non dice questo, e un'idea del genere non è neanche presente quando arriviamo ai vangeli e le autorità umane iniziano per prima ad essere specificate.  

44. - 1 Corinzi 2:11-13
    11 Infatti chi, tra gli uomini, conosce le cose dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui?  Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. [RSV]

Ancora una volta, Paolo è impermeabile all'idea che Gesù sulla terra fosse qualcuno che conosceva il pensiero di Dio e lo rivelò all'umanità. Invece, nei versi precedenti ha parlato dello Spirito come strumento di rivelazione di Dio, perfino delle “profondità della natura di Dio”. Si sarebbe potuto pensare che l'uomo che era in realtà il Figlio di Dio avrebbe compreso e rivelato qualcosa di quella natura. Egli continua dal verso 11 a dire:
    . . . 12 Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate; 13 e noi ne parliamo ma non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali.

Ci può essere un'esclusione più evidente di ogni senso di un recente Gesù di Nazaret, predicatore sulla Terra? Paolo non volge il minimo sguardo nella sua direzione qui. Tutta la conoscenza, tutti i doni, tutta la sapienza sono venuti da Dio per mezzo dello Spirito. Perfino il concetto stesso di “parole” che rivelano Dio Paolo non può portare sé stesso ad associarlo alla predicazione di un Gesù storico. Poteva Paolo esser stato convertito da una risposta alla figura di Gesù di Nazaret—anche nella sua forma risorta, esaltata—ed essersi spogliato così completamente di ogni suo pensiero ed espressione?

[Un indicatore migliore di come precisamente Paolo vede un ruolo per Cristo arriva poche righe dopo. Nel verso 16, Paolo chiede, attraverso una citazione di Isaia 40:13, “«Chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?» Ma noi abbiamo la mente di Cristo”. Precedente a questo, Paolo è stato a parlare dello Spirito di Dio. Ora egli suggerisce una definizione di quello Spirito e rivela un altro aspetto della sua vista completamente mitologica e mistica del Figlio. Paolo e altri “uomini spirituali” sono provvisti dello Spirito, che dà loro la capacità di conoscere Dio e le più alte verità dell'universo. Questo Spirito divino, inspirato, è “la mente di Cristo”, fare Cristo un aspetto di Dio, l'elemento comunicante, conferitore di conoscenza, di Dio. In altre parole, l'equivalente di un'“ipostatizzata Sapienza”. Questo è un riflesso del principale concetto filosofico dell'epoca, che il Dio ultimo comunicava al mondo della materia e all'umanità mediante uno spirituale consociato e intermediario. In Paolo, lo Spirito di Dio sta procedendo ulteriormente lungo il percorso verso la personificazione.

Il concetto di Paolo di possedere la mente di Cristo dovrebbe essere visto in parallelo alle sue idee mistiche circa la condivisione nel “corpo” di Cristo, i due—Cristo e tutti i credenti—costituendo assime un “corpo” mistico per sè stesso. Questa è un'idea legata al generale concetto cultuale misterico dell'epoca per cui l'iniziato è unito in qualche modo con la sostanza spirituale e il fato del dio salvatore. Se il concetto di Paolo del “corpo” di Cristo è riconosciuto — e di solito lo è —  riferirsi solamente alla natura spirituale del Cristo celeste, allora il suo concetto della “mente” di Cristo dovrebbe parimenti essere visto privo di relazione con qualunque incarnazione umana.

Paolo fa solo occasionalmente quest'esplicita identificazione dello Spirito di Dio con Cristo (ad esempio, Filippesi 1:19, Galati 4:6), poichè il significato ebraico più generale del termine è davvero molto ancora parte del pensiero suo e dei suoi ascoltatori. Vedremo in seguito a questa visione di Cristo in 2 Corinzi 4:6.]


45. - 1 Corinzi 4:5
Poichè non giudicate nulla prima del tempo, finchè sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. [NEB]
   
Un altro riferimento alla venuta di Cristo, che manca di ogni senso del suo esser già stato qui, specialmente per il suo vuoto su ciò che Gesù poteva aver fatto durante la sua predicazione nel portare luce nell'oscurità e nel rivelare i pensieri della gente.

46. - 1 Corinzi 4:11-13
    11 Fino a questo momento noi abbiamo fame e sete. Siamo nudi, schiaffeggiati e senza fissa dimora. 12 . . . ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo. [NEB]

Paolo lamenta il trattamento che apostoli come lui subiscono dal mondo nella misura in cui cercano di diffondere il messaggio di Cristo. Poteva non aver trovato nessun conforto nelle parole di Gesù stesso, nelle sue benedizioni di coloro che hanno fame e sete e sono perseguitati (nel Discorso della Montagna), o quando disse che il Figlio dell'Uomo fu altrettanto senza dimora e non aveva dove posare il capo (Luca 9:58 e paralleli)? Non dovremmo aspettarci da lui che richiami l'attenzione sul fatto che “benedite quelli che vi maledicono” fu una diretta ammonizione di Gesù (Luca 6:28 e paralleli)?

47. - 1 Corinzi 7:29
    Ma questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai abbreviato. [NEB]

Come parte dell'attesa della fine imminente dell'età, Paolo e altri scrittori fanno spesso tali previsioni, spesso a dispetto dello scetticismo e dell'opposizione (ad esempio, 2 Pietro 3:4). Qui, sicuramente, c'è una necessità impellente di riferirsi alle stesse previsioni di Gesù sulla vicinanza della Fine imminente, come in Matteo 10:23, Marco 13:30 e soprattutto 9:1: “Ci sono alcuni di quelli qui presenti, che non gusteranno la morte prima di aver visto il regno di Dio venire con potenza”.

Se i suoi lettori già sapessero che Gesù aveva detto cose di questa natura (e questo non sempre dovrebbe essere dato per scontato), l'impulso naturale per uno scrittore in una situazione come questa sarebbe sicuramente di precipitarsi al fatto che le stesse parole di Gesù supportano la sua affermazione. Questo è particolarmente vero quando il soggetto in fase di discussione è controverso, e quando vi è un elemento di persuasione da esercitare sul lettore perchè ascolti, perchè presti attenzione, accetti l'idea in procinto di essere illustrata. Eppure è proprio in contesti come quelli — e costantemente così — che incontriamo la mancanza di qualsiasi appello a parole e atti di un Gesù storico.

48. - 1 Corinzi 9:1-2
    1 . . . Non sono io apostolo? Non ho visto Gesù, il nostro Signore? . . . 2 Se peraltri non sono apostolo, lo sono almeno per voi, perchè il sigillo del mio apostolato siete voi, nel Signore. [NEB]

Qual'era la base su cui stava per venir messo in discussione l'apostolato di Paolo? Dato il quadro del vangelo, uno dei motivi potrebbe sembrare ovvio: lui non fu uno di quelli scelti da Gesù durante la sua predicazione sulla terra. Ma il fatto strano è che Paolo, in tutta la sua argomentazione sulla legittimità della sua posizione, non affronta mai la questione in quei termini. Non dice mai: “Sì, lo so che altri seguirono Gesù nella sua predicazione terrena, ma il modo in cui io fui chiamato è altrettanto degno...” In realtà, i suoi argomenti rifiutano l'idea che ci sia una differenza a qualsiasi titolo. Il passo sopra mostra che per lui un modello importante è il “vedere” il Signore. Questo verbo si riferisce ad un tipo di esperienza visionaria o di rivelazione. Non vi è alcun segno da nessuna parte che Paolo intrattiene qualche distinzione tra conoscere Gesù sulla terra e vederlo in carne e ossa, e conoscerlo attraverso visioni della sua identità celeste. La prima idea non fa mai un'apparizione.

Anche se è affermato — come spesso accade — che Paolo ignora questa distinzione perché si rifiuta di accettare il fatto che essa dovrebbe essere rilevante, potete star certi che i suoi avversari non sarebbero così obbligati. Questa distinzione è proprio la cosa che ci si poteva aspettare loro gli avrebbero rinfacciato, e che lui sarebbe stato costretto ad affrontare, gli piacesse o meno. Inoltre, un conto è ignorare qualcosa che tutti sanno. É un altro conto, come parte di quel processo di ignorare, cambiare le cose in termini che sarebbero falsi e fuorvianti in modo riconoscibile, qualcosa che altri certamente non gli avrebbero permesso di eludere. 

Ma c'è una conclusione da trarre da questo passo che gli studiosi sono riluttanti ad ammettere. L'affermazione di Paolo che anche lui ha “visto il Signore” implica che il suo tipo di visione (di cui pochi metterebbero in discussione che fosse del tutto visionario) è lo stesso di quello degli apostoli coi quali egli stesso si sta confrontando; in caso contrario, il suo appello alla sua visione personale del Signore che lo pone legittimamente tra i loro ranghi non avrebbe senso. E dal momento che prosegue proprio nei versi successivi a riferirsi a Cefa e ai “fratelli del Signore” (che possono essere presi a significare membri della fratellanza settaria a Gerusalemme, di cui Giacomo fu il capo: si veda la mia Risposta a Sean), siamo giustificati nel presumere che quelli figurano tra gli apostoli coi quali lui si sta confrontando. Così la necessaria conclusione è che anche quelli uomini conoscevano il Signore solo tramite questo tipo di “visione”, vale a dire un tipo visionario. Cefa e i fratelli del Signore e il resto degli apostoli non sapevano nulla di Gesù sulla terra, che è il motivo per cui non incontriamo mai in Paolo alcun riferimento alla nomina di apostoli da parte di un Gesù umano.

— 1 Corinti 10:11 - Si veda “Principali 20” #16

49. - 1 Corinzi 12:4-11
    4 Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. . . . 7 Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. 8 Infatti a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza;  . . . eccetera. . . . 11 Ma tutte queste cose le opera quell'unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole. 

Passo dopo passo Paolo e altri antichi scrittori ci danno un quadro chiaro della natura dell'antico movimento cristiano: l'irruzione di apostoli predicatori sulla scena del primo secolo, spinti dalla convinzione che lo Spirito di Dio stava parlando a loro e inviando loro con un nuovo messaggio di salvezza, una convinzione di solito ricevuta dalla lettura delle scritture. Non c'è un'eco di quello che dovrebbe essere il fattore principale in questo movimento, se il quadro ortodosso fosse corretto: una rete di apostoli che fanno risalire la loro dottrina e autorità tramite una catena che porta a coloro che furono nominati e inviati da Gesù stesso; In altre parole, un sistema di tradizione apostolica e il senso che Gesù di Nazaret avesse iniziato il processo. Quest'ultimo è un concetto che si manifesta solo nel secolo secolo in aggiunta allo sviluppo dell'idea di un Gesù storico, al quale autorità e autenticità di dottrina viene poi attaccata.

Anche se l'opera dello Spirito di Dio fosse vista in azione nel contesto di un movimento cominciato con Gesù di Nazaret, quello Spirito sarebbe stato legato in qualche modo a lui, come alla fine fu legato — più drammaticamente nel vangelo di Giovanni, con la promessa di Gesù ad inviare il Paraclito dopo la sua dipartita dal mondo. Infatti, “Giovanni” arrivò con questo concetto al fine di individuare lo Spirito di Dio, fino ad allora la forza trainante del movimento, mentre procede da Gesù ed è sotto la sua direzione. Come abbiamo visto (1 Giovanni 4:1, #15), nemmeno le epistole di Giovanni introducono il concetto del Paraclito in relazione agli spiriti concorrenti che sono all'opera nel mondo apostolico.

50. - 1 Corinzi 12:28
    E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo gli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, ecc.  [NIV]

Dio ha stabilito? Al tempo in cui 1 Corinzi fu scritta (54 circa?), Il gruppo di apostoli a Gerusalemme intorno a Pietro era presumibilmente ancora vivo e attivo (lo testimonia Galati scritta nello stesso periodo). Perché Paolo non fa alcuna menzione di eventuali apostoli nominati dallo stesso Gesù? Non erano Pietro e Giacomo e il resto parte della “chiesa”?

Il linguaggio di Paolo crea un quadro generale, ancora una volta, di un movimento formato dall'attività di comunicazione percepita da Dio, sia come fonte originaria che come la sua direzione costante. Non vi è un sussurro qui di un principio in un Gesù storico e l'impatto che è detto di aver avuto sul dispiegamento del movimento cristiano.

51. - 1 Corinzi 13:1-13
    . . . Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza e amore; ma la più grande di esse è l'amore. [NEB]

Un capitolo sul tema dell'amore, che è lungo 13 versi, ma non contiene una parola su qualsiasi insegnamento sul soggetto da parte di un Gesù storico predicatore.

52. - 1 Corinzi 14:36-37
    36 La parola di Dio è  forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli? 37 Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore. [NEB]

Ancora una volta, la raffigurazione di Paolo del movimento cristiano è una raffigurazione dipendente esclusivamente dallo Spirito mandato da Dio. Apostoli fanno pretese in competizione circa la loro ispirazione dal Signore (in questo caso, Dio). Nessuna disposizione, nessun appello, è fatto ad un recente Gesù di Nazaret, o all'autorità investita in quelli che ebbero una connessione terrena con lui.

Alla luce della stragrande impressione contenuta negli ultimi numerosi elementi circa lo Spirito, che il motore del movimento cristiano è la rivelazione diretta, o “ricezione” da Dio delle verità del messaggio evangelico, l'elemento successivo — il passo cruciale di 1 Corinzi 15:3-8 — consente un'interpretazione che è abbastanza diversa da quella offerta regolarmente.

53. - 1 Corinzi 15:3-8
    3 Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (kata tas graphas), 4 fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, 5 e che apparve a [letteralmente, fu visto da] Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8 Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Faccio una discussione approfondita di questo passo nell'Articolo Complementare Numero 6: La fonte del Vangelo di Paolo. Qui mi limiterò ad evidenziare gli elementi relativi al tema del silenzio.

Il primo elemento, a seguito delle precedenti diverse voci riguardanti l'opera dello Spirito, è che il verbo “ho ricevuto” nel verso di apertura sopra deve essere inteso nel senso di una rivelazione personale, e non di una tradizione passata, attraverso canali umani da parte di altri. Non solo Paolo non manifesta nessun segno in nessuna parte di ricevere una “tradizione apostolica”, nel senso di un vangelo circa Gesù, che è venuto da coloro che si presume lo conoscessero, ma lui nega qualsiasi cosa del genere con molta veemenza, precisamente in Galati 1:11-12, dove afferma di aver ricevuto il suo vangelo “da nessun uomo, ma da una rivelazione di/circa Gesù Cristo”.

Se “ho ricevuto” del verso 3 si riferisce quindi ad una rivelazione personale, questo ha due effetti immediati. Il primo effetto è che gli elementi da lui dichiarati nel suo vangelo, la morte, la sepoltura e la resurrezione di Gesù, non si riferiscono probabilmente ad eventi storici. Se tutti e tre fossero oggetto di testimoni oculari e di documentazione storica (almeno dal punto di vista cristiano), sarebbe più che semplicemente ridicolo per Paolo riferirsi ad una conoscenza di quelle cose come cose che gli giungono attraverso una rivelazione personale. In secondo luogo, lui ci dice infatti da dove ha attinto tali informazioni: dalle scritture. Anche se kata tas graphas viene regolarmente interpretata nel senso “in adempimento delle scritture” (un'idea che Paolo non discute da nessuna parte), può altrettanto facilmente implicare il significato di “come ci comunicano le Scritture”, e questo è coerente coll'intera presentazione delle scritture nelle antiche epistole cristiane come la fonte di conoscenza del Cristo, e anche come depositaria della stessa voce di Cristo.

Come ne parlo nell'Articolo 6, il verbo usato per le “apparizioni” si trova regolarmente nel contesto di una esperienza visionaria personale. E poiché Paolo include la sua propria esperienza visionaria alla fine della lista in modo tale da suggerire che la natura della sua esperienza è uguale a quella di tutte le altre, questo porta alla conclusione che i dettagliati avvistamenti di Gesù da parte delle persone di Gerusalemme si riferiscono in modo simile a percepite esperienze visionarie. Ciò significa che non vi è alcuna connessione temporale necessaria tra la morte, la sepoltura e la resurrezione dei versi 3-4, e la serie di visioni. Le prime costituiscono il vangelo proclamato intorno agli atti redentori di Cristo nel regno spirituale, informazione che è derivata dalle scritture. Sia il vangelo che le apparizioni sono cose che Paolo ha in precedenza “trasmesso”, nel senso di enunciato, ai Corinzi, e di cui egli sta ricordando loro qui. L'idea “ho ricevuto” si applica solo agli elementi del vangelo. (Si veda l'Articolo Numero 6 per una discussione approfondita di tutti quei punti.)

L'altro grande silenzio da affrontare è che questo resoconto delle apparizioni di Gesù non è coerente con il resoconto evangelico. Quest'ultimo, naturalmente, non è un resoconto unificato, e in effetti contiene molti elementi contraddittori tra i vari evangelisti — non ultimo il fatto che il primo vangelo, Marco, non possiede per nulla apparizioni di Gesù, mentre i vangeli più tardi diventano sempre più complessi nella loro raffigurazione delle attività del Gesù risorto. Ma ciò che essi contengono tutti è qualcosa di cui Paolo non dice una parola: che la prima presenza presso la tomba, e il primo avvistamento in tutti i vangeli successivi, fu quella di certe donne. Dove in tutte le antiche epistole cristiane c'è qualcosa di Maria Maddalena e delle altre donne che ebbero il privilegio di essere le prime a ricevere il messaggio della resurrezione e anche il primo avvistamento (in Matteo e Giovanni) dello stato risorto del Cristo? Per quanto riguarda la dichiarazione definitiva di Paolo che Pietro fu il primo a vedere Gesù risorto, non un vangelo è d'accordo con lui.

 — 1 Corinzi 15:12-16 - Si veda “Principali 20” #9

54. - 1 Corinzi 15:45-49
    45 E così è scritto: “il primo uomo, Adamo, fu creato per avere una natura vivente,  l'ultimo Adamo per essere spirito datore di vita. 46 Comunque, lo spirituale (corpo) è non prima, piuttosto il materiale, e poi lo spirituale. 47 Il primo uomo (fu) tratto dalla terra, di terra, il secondo uomo (è) dal cielo. . . . 49 E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. [Jean Hering, ndr]

L'interpretazione di questo brano è una questione complessa, e rimando il lettore alla sezione III del mio Articolo Complementare Numero 8: Cristo come “Uomo”: Paolo Riferisce a Gesù come ad una Persona Storica? Qui mi limiterò a fare il punto che i traduttori sono costretti a mettere in un buon numero di verbi, dal momento che Paolo omette la maggior parte di loro, e lo fanno con preconcetti evangelici in mente. Il verso 45 può essere particolarmente fuorviante, e io ho fornito la traduzione qui di Jean Hering (1 Corinthians, pag. 175).

Il punto fondamentale che Paolo sta facendo in tutta questa parte del capitolo è che gli esseri umani saranno sottoposti ad una resurrezione assumendo un nuovo e diverso “corpo di resurrezione” la cui natura non sarà carne e sangue terreni. Questo corpo di resurrezione sarà modellato su quello di Cristo, che il verso 47 dice fatto di “materiale celeste”. Il problema è, Paolo manca di fare qualsiasi distinzione tra il corpo umano di Cristo, che egli possedette durante il suo tempo sulla terra, e il nuovo corpo da lui posseduto in cielo dopo la sua resurrezione. Si tratta di una distinzione che deve essere assolutamente fatta, dal momento che il primo non può servire da modello. Paolo avrebbe dovuto specificare che sta parlando del corpo di Cristo dopo la sua resurrezione dai morti. In realtà, tutti i tipi di problemi risulterebbero nel discorso di Paolo qui dal suo silenzio su una distinzione del genere. Egli non fa per nulla nessun riferimento ad un corpo terreno di Cristo.

I commentatori spesso presentano la loro interpretazione di questo passo, come se Paolo specificasse veramente di star predicando del corpo risorto di Gesù, oppure di almeno implicarlo. Ma anche una lettura superficiale mostra che Paolo tace su una cosa del genere. Un altro modo di guardare a questo silenzio è quello di sottolineare che, nel tentativo di convincere i suoi lettori che gli esseri umani possono essere resuscitati in un altro corpo spirituale, egli non riesce a derivare dall'evidente esempio di Gesù stesso, il cui corpo umano si suppone resuscitato in un corpo spirituale. (Paolo, ad ogni modo, non mostra alcun segno di considerare lo stato “resuscitato” di Gesù   “in carne”, e in effetti il suo linguaggio esclude una cosa del genere. Questo vuol dire che lui e i vangeli, con la loro presentazione di un Cristo risorto in una forma fisica, differiscono drammaticamente.)

L'uso di Paolo del termine “uomo” in relazione a Cristo non può semplicemente essere preso a riferirsi al suo stato umano, infatti anche questo creerebbe difficoltà per, e addirittura starebbe in contraddizione con, le cose che dice di Cristo e del suo corpo celeste. Infatti, il termine “uomo” può essere inteso in uno qualsiasi di un certo numero di modi mitologici, coerenti con le prospettive ellenistiche e apocalittiche del tempo, come per esempio l'“Uomo Celeste” di Filone di Alessandria. (Si veda l'Articolo Numero 8 per una discussione approfondita di quelle domande.)
2 Corinzi


55. - 2 Corinzi 1:21-22 / 5:5

    21 Ora colui che con voi ci fortifica in Cristo e che ci ha unti è Dio. 22 Egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ha messo la caparra (arrabon) dello Spirito nei nostri cuori. [NIV / NEB]

    Confronta anche 2 Corinzi 5:5: “Ora colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito”.

Il Nuovo Testamento del Traduttore dà come traduzione per l'ultima parte del verso 22: “e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori”, e relative note di traduzione fanno questa osservazione: “La parola greca 'arrabon' è un termine commerciale per un pagamento parziale che rende vincolante una transazione. l'idea di 'rata' e 'pegno' sono entrambe incluse in esso. Qui il dono reale dello Spirito Santo è un'assicurazione, inoltre, che ce ne sarà di gran lunga in futuro”.

I due passi di cui sopra potrebbero benissimo essere inclusi nei “Principali 20”, perché c'è un silenzio qui, che è a dir poco profondo. Abbiamo Dio il primo motore e la fonte di ciò che significa essere cristiani, Dio quello col quale Paolo e i suoi compagni di fede sentono la connessione primaria. La fede cristiana guarda avanti alla promessa del futuro, e che cosa vedono come puntatore a quella promessa? La vita di Gesù? Il suo sacrificio sul Calvario? No, il dono dello Spirito, l'ispirazione che Paolo e altri sentono esser stata data loro nel concepire e promulgare il messaggio evangelico. Questo è il segno del marchio di Dio. Come incarnazione e garanzia della promessa di Dio di vita eterna, egli ha mandato — non Gesù, non il Figlio incarnato, ma lo Spirito, l'ispirazione accordata a Paolo e agli altri suoi apostoli di Cristo.

Solo un vuoto completo su ogni conoscenza di un Gesù storico avrebbe potuto portare Paolo a esprimersi in questo modo. Guardando indietro, vede che la promessa di salvezza da raggiungere al Regno imminente ha avuto la sua prima 'rata', il suo 'pegno', nell'invio dello Spirito, non in Gesù di Nazaret. Il movimento cominciò non con una figura storica, ma con l'arrivo dello Spirito di Dio. Paolo e gli altri scrittori di epistole dicono questo più e più volte, ma probabilmente da nessuna parte così chiaramente come in questo passo.

[L'uso della frase “in Cristo” nel verso 22 può ora essere visto per quello che è. Cristo è parte di quell'“invio dello Spirito”, poichè il vangelo ispirato trovato nei profeti (si veda Romani 1:1-4, 16:25-27, ecc), ha portato la parola di Dio intorno a lui e alla relazione mistica che l'umanità sta ora per avere con lui come Signore e Salvatore. Al pari del concetto greco del Logos, Cristo è emanazione di Dio, il suo agente sussidiario e aspetto comunicante. Come mediatore tra Dio e il mondo, egli è l'ombra che Dio getta, o meglio, la luce che getta, infatti Dio, a opinione dei filosofi, non poteva essere visto, non poteva essere toccato. Egli fu reso visibile all'occhio intellettuale, si fece conoscere al mondo materiale, attraverso aspetti secondari. Quelli aspetti avevano caratteristiche proprie — e ruoli da svolgere nella salvezza. Lo Spirito di Dio, o lo Spirito Santo (in alternativa, il concetto di Sapienza nella tradizione scritturale) era il modo ebraico principale di definire quella forza comunicante. Paolo rappresenta un movimento di pensiero che ha personalizzato questa forza ad una nuova fase, quella di un Figlio, un Salvatore, il portatore del Regno quando arriva alla Fine imminente. Paolo e i primi cristiani considerano la fede in questo Figlio appena rivelato come il piano di salvezza di Dio. Una delle idee religiose prevalenti del tempo, come riflessa nello sviluppo dei culti misterici, era quella di un'associazione con una divinità la cui natura si poteva condividere e i cui atti salvifici comportavano paralleli paradigmatici che effettuavano certe garanzie per l'iniziato.  Dal momento che tali rapporti non erano possibili con il Dio ultimo, erano necessarie divinità intermedie. Per l'espressione settaria in particolare ebraica (altamente ellenistica in alcune delle sue influenze), che Paolo rappresenta, quella divinità era il Figlio, Cristo Gesù, trovato nelle scritture.]


56. - 2 Corinzi 3:4-6 / 8-9

    4 Una simile fiducia noi l'abbiamo per mezzo di Cristo presso Dio. . . . 6 Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera ma di spirito, perchè la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica. [NEB]

Ulteriore parlare dello Spirito come la forza trainante del nuovo movimento di fede. L'autorità e la competenza di Paolo ad agire come un apostolo viene da Dio. E come può Paolo parlare di questa dispensazione della nuova alleanza come un prodotto della sua opera apostolica, senza mai uno sguardo a Gesù, nella sua vita e predicazione, come il distributore principale di quel patto? Il patto stesso è espresso nelle attività dello Spirito, non nelle stesse attività recenti di Gesù. Nota l'uso del verso 4 di “per mezzo di Cristo” (si veda l'elemento precedente), nel senso di un canale di relazione con Dio.

Paolo continua a parlare dello splendore (gloria) sul volto di Mosè, che riflette lo splendore divino, in occasione dell'inaugurazione della vecchia alleanza:

    8 Ma se così, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? 9 Se infatti il ministero della condanna fu glorioso [vale a dire, la gloria della Legge Mosaica del vecchio patto, che Paolo considera in modo negativo], molto più abbonda in gloria il ministero della giustizia.  [NEB]

Il verso 8 traccia un parallelo alla dispensazione del vecchio patto, il parallelo allo splendore divino presente agli eventi del Sinai. È lo splendore della vita e della persona di Gesù, il suo sacrificio glorioso sul Calvario? No, è il dono dello Spirito di Dio, la forza che ha lanciato il movimento apostolico di cui Paolo è una parte. Qui è dove risiede lo splendore della nuova alleanza: esattamente alle porte di Paolo. Gesù non è nemmeno entrato dalla porta di servizio. Paolo davvero ignorerebbe l'intero evento della vita e della carriera di Gesù quando ci si sposta dalle vecchie alle nuove “dispensazioni” nella relazione di Dio con l'umanità? Ancora una volta, nessun Gesù storico interviene nel pensiero di Paolo tra il passato e il presente.

57. - 2 Corinzi 4:4-6

    4 per gli increduli, ai quali Il dio di questo mondo [=Satana] ha accecato le menti affinchè non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'immagine di Dio. . . . 6 Perchè il Dio che disse: “Splenda la luce fra le tenebre” è quello che risplende nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio, che rifulge nel volto di Gesù Cristo.  [NIV]

Qui Paolo ci dà un ulteriore avvistamento nella natura e nel ruolo del Figlio, secondo la filosofia mistica del tempo. La frase finale indica il carattere fondamentale di Cristo, come il canale tramite il quale Dio è conosciuto. Dio si rivela attraverso le sue emanazioni, tramite un intermediario spirituale personificato come il Figlio. Qui Paolo lo caratterizza in possesso di, o nell'essere, un “volto”. Quel volto non è quello che era stato visto sulla Terra dagli occhi di uomini e donne comuni, ma nella visione interna del mistico, l'“uomo spirituale” (1 Corinzi 2:10-13) al quale Dio ha concesso la luce della sua rivelazione. Come offrì Dio luce della conoscenza di sé stesso? Non attraverso la persona di un Gesù predicatore, ma con la sua rivelazione del Cristo, mediante lo splendore della luce nel cuore delle persone.

In 1 Corinzi 2:11-13, Paolo parla della “mente” di Cristo, che dà conoscenza della mente di Dio. Qui, egli è un “volto”, in ultima analisi, il volto di Dio. In nessuno dei due passi è fatto qualche riferimento alla carriera umana di Cristo, e in effetti il verso 4 di sopra mostra che il vangelo di Paolo è circa il Figlio, che viene definito come “l'immagine di Dio”.  Questo è un aspetto simile al Logos, del tutto spirituale e mitologico, e non ha nulla a che fare con l'incarnazione terrena.

L'espressione “luce della conoscenza” è letteralmente “l'illuminazione della conoscenza”, che è semplicemente un altro modo per descrivere il processo di rivelazione. Dio si è rivelato attraverso il Cristo intermediario, un processo che ha luogo “nel cuore”, a ulteriore supporto dell'idea di una rivelazione. Se Paolo sapesse di un Gesù sulla terra che aveva rivelato Dio nella sua persona e nella sua predicazione, egli avrebbe formulato le cose in modo completamente diverso.

58. - 2 Corinzi 4:13-14

13 Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: “Ho creduto, perciò ho parlato”, anche noi crediamo e perciò parliamo, 14 convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.

Paolo suggerisce certamente qui che la conoscenza della resurrezione di Gesù è del tutto una questione di fede, e nulla a che fare con testimonianza oculare. La citazione dalle scritture definisce il significato della dichiarazione di Paolo: la fede porta alla dichiarazione. Se la resurrezione di Gesù fosse una materia di documentazione storica cristiana, ci aspetteremmo che lui vi facesse appello, utilizzando un'espressione del tipo: “Noi crediamo che coloro che ci dissero di averlo visto vivo dopo la sua morte stavano dicendo la verità”.

59. - 2 Corinzi 5:6-7

    6 Quindi aspettiamo sempre con fiducia, consapevoli del fatto che ogni momento che passiamo in questo corpo umano, è tempo trascorso lontano dal Signore. 7 E la fede è la nostra guida, noi non vediamo lui. [NEB]

Non: “noi non vediamo più lui”, o un qualche sentimento simile a indicare che nel passato recente uomini e donne avevano visto il Signore, e che questa testimonianza alla sua vita, morte e resurrezione fosse la guida alle loro azioni, non la fede priva di testimonianza. Paolo costantemente ci dà l'immagine di un movimento ispirato interamente dalla fede, per convinzione in ciò che Dio ha rivelato. Non vi è alcuna indicazione che questo non si applichi ad ognuno: apostoli, profeti, o chiunque viva oggi. (Si veda Romani 8:24-25, 1 Pietro 1:8).

60. - 2 Corinzi 5:17-20

    17 Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. 18 Dal primo all'ultimo questo è stata l'opera di Dio [letteralmente, tutto questo viene da Dio] che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione . . .   [NEB]

Cosa ha effettuato il cambiamento dal vecchio al nuovo? Non l'opera di Gesù, ma l'unione del credente con Cristo; in altre parole, l'unione mistica con Cristo realizzata dal credente mediante la fede. Il Gesù storico come punto di svolta in questa sequenza non sta per essere visto da nessuna parte. Paolo prosegue per assegnare l'intero processo di evoluzione a Dio, senza neppure uno sguardo ad un Gesù terreno e alla sua predicazione.

Il “per mezzo Cristo”, come abbiamo visto negli elementi 55 e 56, è rappresentativo del Cristo spirituale in qualità di canale tra Dio e l'uomo. Quello che non significa è un'incarnazione terrena, infatti Paolo assegna esplicitamente il “ministero della riconciliazione” a sé stesso, senza nemmeno un suggerimento che Gesù nel suo ministero avesse giocato un ruolo  almeno  altrettanto significativo. La stessa combinazione si ripete nel verso 19:

    19 Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione.

Anche in questo caso, il “in Cristo” caratterizza il Figlio come la forza di mediazione, o di intercessione — una forza spirituale, non una forza terrena, poichè Paolo procede ancora una volta ad identificare sé stesso come il portatore del messaggio di riconciliazione tra Dio e l'umanità, ignorando qualsiasi messaggio di riconciliazione nella cui consegna il Gesù terreno avrebbe potuto essere implicato.

    20 Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo [letteralmente, in nome di Cristo], come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio.  
Se Paolo sta 'rappresentando' Cristo, è strano che è Dio a fare l'esortazione al credente, e non Gesù stesso. Questo è risolvibile, tuttavia, se consideriamo Cristo come l'intermediario spirituale, e non un recente rappresentante umano di Dio sulla terra, che dovrebbe egli stesso esser stato responsabile della riconciliazione delle persone con Dio. Una delle idee che non abbiamo mai incontrato nelle epistole, qui o altrove, è l'idea che Paolo e gli altri apostoli, nella loro missione di predicazione, stanno continuando l'opera del Gesù terreno.

[Il Dizionario Teologico del Nuovo Testamento, VIII, pag. 513, considera la prima parte del verso 20 in questo modo: “Come predicatore del vangelo l'apostolo è un autorizzato trasmettitore del messaggio divino e quindi un rappresentante di Cristo. La chiamata urgente dell'apostolo nel momento in cui egli invita gli uomini a credere è dunque una chiamata che stabilisce lo stesso Cristo esaltato”. Così Paolo parla “in nome di Cristo” in cielo: indicando la sua comprensione del Figlio come un mediatore spirituale e canale a Dio.]

- 2 Corinzi 6:1-2 - Si veda “Principali 20” #8

61. - 2 Corinzi 9:10

    Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia. [NEB]

Queste parole innescano in noi un ricordo del famoso miracolo dei pani e dei pesci, quando Gesù compatisce la folla e moltiplica il magro cibo disponibile in modo che tutti possano mangiare a sazietà. Paolo qui è alla ricerca di una metafora per mostrare che Dio provvederà i credenti di “tutto quel che vi è necessario” (il precedente verso 8) in ogni situazione. Il miracolo di Gesù dei pani e dei pesci non sarebbe stato una vivida illustrazione di come Dio provvede al suo popolo? Paolo non aveva sentito parlare di questo miracolo? Aveva sentito parlare di qualche miracolo di Gesù?

62. - 2 Corinzi 10:7-8 / 11:22-23 / 12:11-12

    7 Voi guardate all'apparenza delle cose. Se uno è convinto dentro di sé che egli è di Cristo [NEB: che egli appartiene a Cristo], consideri anche questo dentro di sé: che com'egli è di Cristo, così lo siamo anche noi. 8 Infatti se anche volessi vantarmi un po' più della nostra [cioè, mia] autorità, che il Signore [cioè, Dio] ci ha data per la vostra edificazione e non per la vostra rovina, non avrei motivo di vergognarmi . . .   [RSV]

Nei capitoli da 10 a 12, Paolo sta presentando un caso per la difesa del suo apostolato, la sua legittimità, la sua qualità. Quello che è ancora una volta mancante in questa raffigurazione dell'antico movimento predicatore cristiano è ogni riferimento ad un Gesù storico come colui che ha costituito ciascuno all'apostolato, o colui al quale chiunque si appella. Infatti, in questi tre capitoli, Paolo ci dà un quadro decisamente diverso del movimento apostolico rispetto a quello che la tradizione ha derivato dai vangeli e da Atti.

Nel verso 7, Paolo afferma di essere in condizioni di parità con gli apostoli rivali che hanno minacciato la sua posizione a Corinto. Non sappiamo esattamente chi fossero quei rivali, ma ogni questione di appellarsi a connessioni risalenti ad un gruppo di Gerusalemme che aveva conosciuto Gesù, oppure risalenti allo stesso Gesù, non appare da nessuna parte. Il verso 8 esclude una cosa del genere, infatti Paolo parla di un'autorità che viene dal Signore, che qui significa Dio. Tale significato è indicato, non solo dal focus generale di Paolo su Dio come la fonte della sua chiamata all'apostolato, ma dal commento da lui fatto in 10:13, che la misura del campo di attività di un apostolo è “stabilita da Dio” per “predicare il vangelo intorno a Cristo”.  Egli dice di essere “raccomandato dal Signore” (10:18).

Due passi relativi nei seguenti capitoli hanno ancora una volta un Paolo che non mostra alcuna conoscenza di una distinzione tra gli apostoli sulla base di aver conosciuto ed esser stati nominati da Gesù nella carne. In 11:22-23, egli dice:

    22 Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discendenza d'Abramo? Lo sono anch'io. 23 Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro. [NEB]

E in 12:11-12, egli dice:

    11 . . . perché in nulla sono stato da meno di quei sommi apostoli, benché io non sia nulla. 12 Certo, i segni dell'apostolo sono stati compiuti tra di voi, in una pazienza a tutta prova, nei miracoli, nei prodigi e nelle opere potenti. [NEB]

Nel primo dei passi di cui sopra, procede ad elencare le sofferenze e le battute d'arresto che ha subìto al servizio del vangelo. Nel secondo, i “segni del vero apostolo” riguardano l'energia che reca nel suo lavoro, i segni (da Dio), che lui è stato provvisto dell'approvazione divina. Non solo non c'è questione di richiedere l'autorizzazione da parte di chi sapeva di Gesù, o la conferma di un vangelo secondo canali accettati di tradizione apostolica, ma Paolo rifiuta di immaginare qualunque misura per la quale egli risulterebbe inferiore ad ogni altro nel campo apostolico. Gesù di Nazaret e la sua memoria non figurano neppure remotamente in questa prospettiva.

[Quale raffigurazione del primo apostolato cristiano sta presentando qui Paolo? In quei capitoli, Paolo non sta facendo un confronto tra lui e il gruppo di Gerusalemme. Lui ha contenziosi con Pietro e compagnia  (in particolare in Galati 2), e anche là non riesce a riconoscere alcuna distinzione tra loro e sé stesso. Ma dove i Corinzi sono interessati, ha a che fare con un mondo più vasto di apostolato, con rivali ai quali raramente dà un nome, e le cui sfide non hanno nulla a che fare con eventuali pretese personali di contatto con Gesù di Nazaret o, per quella materia, con gli apostoli di Gerusalemme.

Gli studiosi sostengono che spesso tali apostoli in competizione, anche se non sono da identificare con “i Dodici”, sono comunque della Giudea e sono stati inviati dal gruppo di Gerusalemme; che le lettere da loro portate (si veda 2 Corinzi 3:1) sono le lettere di autorizzazione da parte loro. Se così fosse, difficilmente avrebbero potuto fallire nel sostenere questo, costringendo Paolo ad affrontare quest'autorizzazione nella difesa della propria posizione. Altri studiosi suggeriscono che in realtà Paolo si sta difendendo contro gli apostoli di Gerusalemme in 2 Corinzi 10-12. La frase “questi superapostoli” in 11:5 e 12:11 è, dicono, un ovvio riferimento a Pietro e compagnia. Ma in 11:13-15, Paolo volge a quelli stessi uomini tutta la forza della sua ira:

    “Quei tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. . . . la loro fine sarà secondo le loro opere.”
In Galati 2, Paolo può mostrare disprezzo verso il gruppo intorno a Pietro per le cose che hanno fatto, ma questo grado di vilipendio non sarebbe possibile. Altrove i suoi rapporti con loro sono almeno cortesi, se non collaborativi. E per tutta la sua carriera è impegnato a fare una raccolta finanziaria presso le sue comunità gentili per conto della chiesa di Gerusalemme.

C. K. Barrett (Second Epistle to the Corinthians) cerca un compromesso che non funziona: i “superapostoli” (11:5 e 12:11) si riferiscono al gruppo di Pietro, e i “falsi apostoli” (11:13) sono un insieme senza nome di rivali che hanno invaso il suo gregge di Corinto. Ma Paolo in questo passo non mostra alcun segno di passare da un gruppo all'altro, né Barrett offre qualche razionalizzazione che abbia senso per il suo fare così. I commentatori più attenti riconoscono che da nessuna parte in questo passo è stabilito un nesso tra i rivali di Paolo a Corinto e la chiesa di Gerusalemme.

Siamo quindi di fronte ad una raffigurazione di un movimento apostolico cristiano operante nella diaspora, che non possiede né pretende alcun collegamento ad un gruppo privilegiato di apostoli a Gerusalemme, e di certo non ad un umano Gesù di Nazaret  tramite un tale gruppo. Non importa con chi Paolo ha a che fare, se con il gruppo petrino o altrimenti, nessun accenno di un Gesù umano al quale apostoli fanno risalire la loro autorità può essere identificato. (Per una discussione più completa della questione di apostolato, si veda Articolo Complementare n. 1: Apollo di Alessandria e e l'Antico Apostolato Cristiano)]


63. - 2 Corinzi 11:4

Se nel mondo di Paolo nessuno fa appello ad una connessione con Gesù di Nazaret o con coloro che lo avevano conosciuto, qual è l'autorità su cui poggia la pretesa di ogni apostolo? Lo abbiamo visto nell'epistola 1 Giovanni 4:1f (si veda “Principali 20”, #15), e lo vediamo qui nell'ammonimento di Paolo agli inaffidabili Corinzi:

Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un vangelo diverso da quello che avete accettato, voi lo sopportate volentieri. [NEB]
La frase “ricevere uno spirito” si riferisce all'accettazione dei Corinzi di un apostolo ispirato che predica secondo lo spirito che crede di aver ricevuto da Dio. Paolo si riferisce ad altri apostoli che predicano sotto l'influenza di ispirazioni percepite diverse dalla propria, e l'oggetto di quelle ispirazioni è una vista radicalmente diversa di Gesù rispetto a quella che egli ha acquisito. Così drammaticamente diversa, che pochi versi dopo, li può condannare come “falsi apostoli... travestiti da apostoli di Cristo”, e dichiara che “la loro fine sarà secondo le loro opere”.

Tale linguaggio estremo difficilmente può fare riferimento, come sostengono alcuni commentatori, alle differenze che circondano l'applicazione della Legge Ebraica. Questa è la raffigurazione di interpretazioni radicalmente contrastanti del Cristo stesso, che non sarebbero sorte nel contesto dello scenario ortodosso evangelico di un movimento apostolico cominciato e coordinato da un gruppo di dodici seguaci di Gesù attivi da Gerusalemme. Ha senso solo nel contesto di un sistema di fede sviluppatosi su gran parte dell'impero i cui sostenitori, come Paolo, hanno derivato le loro idee da scritture e dalle filosofie in moda di quel giorno. Quei diversi e rivali apostoli del Cristo, nessuno dei quali fa qualche connessione con una comunità madre di Gerusalemme tantomeno con Gesù stesso, sono parte di un piano di parità. Ogni apostolo, come Paolo, fa la sua pretesa di verità e autorità in base ad un'ispirazione personale e alla chiamata da parte di Dio. Il motore dell'antico movimento cristiano  non è la memoria di Gesù, le sue parole e i suoi atti tenuti in vita e trasmessi attraverso un canale di testimoni e quelli a loro volta che hanno istruito e autorizzato. Piuttosto, è lo spirito di Dio conferito individualmente sui profeti cristiani, i destinatari prescelti della rivelazione del Padre. Tale quadro è presentato  chiaramente dagli scrittori di epistole ad ogni occasione.

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