venerdì 9 dicembre 2016

Antica storia dell'angelo Gesù

SETTE: Branche e rami diversi che si dipartono dal tronco di una stessa religione. Il tronco si chiama religione dominante. Questo tronco è perpetuamente impegnato a scrollare i propri rami, così che spesso barcolla anche lui; d'altronde, è piantato su un terreno di sabbia. Se i principi non vi mettessero mano, immancabilmente cadrebbe.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Satana, condannato a una condizione di vagabondo, di girovago, di nomade, non ha una dimora sicura; pur avendo, infatti, come conseguenza della sua natura angelica, una sorta d'impegno sulla distesa liquida o sull'aria, è tuttavia sicuramente parte del castigo il suo essere... privo di un luogo, o di uno spazio, fisso su cui gli sia concesso posare la pianta del piede.
    (Daniel Defoe, The History of the Devil)

 Io sono e chi egli sia nol so, ma sono

Colui che esser dovrò, chi ero in prima.

Ma prima me non conoscevo me stesso

Ma or che conosco me non so chi egli ero,

E Colui che era in me non è più meco,

Perché or son Seco a chi con me prim'era

Ed essendo io seco opro con Seco,

Ed egli opra con me com'io opro in Lui,

E Lui opra con me come in se stesso,

Per cui me stesso opro in voler di Lui.  

(David Lazzaretti)


Se credere nel soprannaturale è pura superstizione, non si può negare il senso del soprannaturale. E quel senso è spesso uno dei sintomi di coloro che sono psicologicamente perturbati. È il senso di ciò che non dovrebbe essere all'ennesima potenza, il senso dell'impossibile che i primi apostoli del Cristo sperimentarono nelle loro visioni e che il visionario conosce quando è sveglio. Non che il resto degli ebrei e dei non-ebrei fossero immuni dall'essere colti da rivelazioni ultraterrene, poichè anche loro avevano un cervello. E, dove c'è un cervello, c'è anche pronta una vittima, a volte anche ben disposta, di fantasie oltre il confine dell'esistenza quotidiana. Specie quando si impongono, a suon di tendenziosa propaganda e tramite la menzogna, gli effetti stessi partoriti da una superstizione marginale, nella forma di una chimerica montatura — “Gesù Nazareno” —, confermando la creduloneria della coscienza umana pure quella volta che la sensibilità razionale degli stupidi hoi polloi fu esposta a insane fantasticherie predicate, vendute e propagandate da fanatici come verità “autoevidenti”.

Dopotutto, non c'è nulla di più sconcertante della vista di un'umanità così misera che giunge a credere veramente all'esistenza di un uomo che riemerge dalla tomba, che cammina sulle acque, che moltiplica pani e pesci, che resuscita i morti, che legge nei pensieri altrui, che insegna “come uno che ha autorità” (Marco 1:22), che viene crocifisso dal governatore romano in persona senza che si sappia mai la vera ragione, che non lascia nessuna traccia di sè tra i suoi presunti contemporanei, perfino tra chi lo avrebbe amato tantissimo al prezzo della propria stessa vita, che sarebbe ricordato in vita unicamente per ciò che avrebbe fatto dopo morto, e soprattutto, che può indossare di epoca in epoca una maschera di carta dietro la quale si nasconde il proprio vero nulla.

Com'è possibile spiegare, quindi, il repentino succedersi di eventi, la conversione notturna che spinse un minuscolo gruppo di ebrei di Gerusalemme a vedere, loro soltanto, il Messia Risorto, “Cristo Gesù” ?

Come risposta propongo l'esistenza di un moto oscuro nelle anime e nei sogni di quei primi futuri apostoli del Cristo.

La misteriosa rivelazione da loro esperita, spiegata in tal modo, perde un poco del suo mistero. Dobbiamo accettare tutti, o perlomeno solo noi atei, il fatto che alcuni uomini della Giudea del I secolo erano stati posseduti da un comune fantasma, e che certe idee visionarie si erano a poco a poco costruite e avevano trovato dimora stabile nella profondità di ciascuno di loro diventando parte della loro marginale esistenza al punto che tutti loro, nello stesso momento, decisero che le loro vite non potevano più rimanere com'erano sempre state.

Quando, per la prima volta, nacque l'idea di aver trovato la voce del Messia nelle scritture, i più zelanti e impazienti furono i Pilastri di Gerusalemme: Cefa, Giacomo e Giovanni. Perchè proprio loro avevano esperito la rivelazione più forte, vivendo a stretto contatto visivo con la sorprendente apparizione di un arcangelo celeste.

Sebbene fossero pochi gli apostoli inclini a parlare di tali esperienze, quasi tutti i più antichi “fratelli del Signore”, guardando in cielo o nelle scritture, avevano avuto visioni del genere che non si sentivano di negare. E quante strane cose vennero alla mente a causa di esse. Ognuno di loro, con gli occhi dell'interiorità, aveva spesso la vaga impressione di vedere lo stesso rarefatto arcangelo celeste Gesù Cristo prendere dimora tra loro stessi, in loro stessi.

La maggior parte di loro aveva visto quell'angelo proibito, portando per sempre il ricordo di quell'incredibile rivelazione. Col passare degli anni confrontarono le loro esperienze rivelatorie e arrivarono ad accumulare una conoscenza delle scritture, dietro cui affiorava di nuovo e di nuovo la stessa voce del Figlio di Dio, da crederne impossibile un ulteriore incremento.

E non molto tempo dopo le prime visioni e rivelazioni dell'arcangelo Gesù nella comunità originaria di Gerusalemme, l'uomo chiamato Paolo venne a farvi visita.

Degli apostoli non vide
nessun altro (Galati 1:19): avevano quasi tutti spiccato il volo a predicare il “Cristo Gesù” tra ebrei e pagani. Vide solo l'apostolo Cefa, e solo fratello Giacomo a fare da testimone del suo incontro con il fondatore stesso del culto. Dal quale l'uomo chiamato Paolo riuscì ad ottenere l'agognato riconoscimento della legittimità delle sue rivelazioni personali: anche lui, dunque, aveva visto veramente l'arcangelo Gesù, il Signore della gloria. Paolo sapeva che questo è vero, perchè fu testimone di un fatto, lui solo, che provava ciò che diceva.

I primi apostoli del Cristo non si videro mai come li vedevano il resto degli ebrei e i pagani — come anime possedute da demoni o come folli degenerati — ma come esseri che avevano stretto una strana alleanza con altri ordini di esistenza, che avevano dentro di loro una particella di un angelo eterno, un dorato barlume di divinità che secondo l'uomo chiamato Paolo poteva essere incrementato. Di conseguenza, la sua ambizione lo portò ad agire per esasperare quell'intima convinzione in tutti i suoi seguaci, concedendola di vivere di vita propria. E ottenne questo effetto al costo di sradicare completamente quanto del rispetto per le antiche tradizioni religiose era rimasto in quella gente: la Torah non era più strettamente necessaria per la salvezza, perfino se l'apostolo stesso vi si atteneva ancora.

Ma con la morte dell'uomo chiamato Paolo quella singolare magia che egli vedeva negli occhi dei suoi seguaci sembrava svanire a poco a poco. Il rischio era che i nemici di Paolo, il “partito dei circoncisi”, ne avrebbero approfittato, per imporre nuovamente tra di loro il rispetto incondizionato di tutte le antiche tradizioni, se soltanto avessero voluto continuare a proiettarsi ancor più avanti nell'assoluto, nel reame dell'arcangelo Gesù, nella fervente attesa della Gerusalemme celeste, allo stesso modo che permetteva di fare loro l'uomo chiamato Paolo, quando ancora tra loro.

Allora, per reazione, gli accoliti di una particolare confraternita fondata da Paolo misero in opera il loro piano segreto, consistente nel raccontare una particolare storia ai neoconvertiti alla fede in Cristo.

Si trattava di raccontare la tragedia sovrannaturale dell'arcangelo celeste Gesù scrivendo una breve storia — la prima storia intorno ad un inesistente “Gesù Nazareno” —, ma per quanto fecero, non riuscirono a raggiungere un climax di fantasia e intensità che rendesse giustizia al grado cosmico della sofferenza, morte e resurrezione dell'angelo Gesù, almeno per come esperite dall'uomo chiamato Paolo.

In compenso, quella storia i nuovi “fratelli del Signore” l'avrebbero dovuta prendere alla lettera, se desideravano davvero diventare membri della famiglia cosmica del Signore.
I nuovi adepti seppero così di questa storia quando erano stati appena iniziati alla confraternita, ma non così iniziati da comprendere la profondità del mistero riservato ai soli accoliti “perfetti” della confraternita.

Il segreto era che non fu quella storia a convincere i
“perfetti” dell'esistenza di Gesù: quella storia erano loro ad averla fabbricata.

Il risultato fu che quella storia convinse altri della sua verità letterale, e ormai divenne troppo tardi perchè qualcuno potesse scoprire la reale verità: la leggenda dell'inesistente “Gesù Nazareno” aveva cominciato a prendere una vita sua propria, e presto sarebbe sopraggiunto il tempo in cui tutti avrebbero creduto alla sua esistenza “storica”, perfino i suoi nemici.

Eppure qualcosa dell'antico mito originario sarebbe riuscito comunque a sopravvivere, pur nella forma velata ed enigmatica di parole criptiche dal contenuto oscuro perfino a chi li ripeteva meccanicamente a voce o per iscritto. Parole che mantennero la promessa fatta a suo tempo dall'uomo chiamato Paolo: quando sarebbero stati pronti a capire, non più come bambini ma come adulti, si sarebbe infine parlato di certe cose.

Cose come queste:
Il venerdì in cui fu appeso all'ora sesta del giorno, caddero le tenebre su tutta la terra. Il mio Signore stette in mezzo alla grotta, illuminandola e mi disse: «Giovanni, per il volgo di Gerusalemme io sono crocifisso, sono trapassato con lance e canne, e mi è dato da bere aceto e fiele, ma a te dico: ascolta quanto dico. Ti ho suggerito di salire su questo monte affinché potessi ascoltare quanto un discepolo deve imparare dal maestro e un uomo da Dio».

Dopo avere parlato così, mi mostrò una croce di luce, stabile, e attorno alla croce c'era una grande folla di aspetto diverso, ma dentro di essa aveva lo stesso e identico aspetto. Sulla croce vidi lo stesso Signore che non aveva alcuna forma, ma solo una voce. E non quella voce che ci era familiare, bensì una voce dolce, soave e veramente divina che mi disse:
«Giovanni, è necessario che uno ascolti da me queste cose, giacchè ho bisogno di uno che ascolti.

Questa croce di luce, a motivo di voi, a volte è da me chiamata lògos, a volte mente, a volte Gesù, a volte Cristo, a volte porta, a volte via, a volte pane, a volte semente, a volte resurrezione, a volte figlio, a volte padre, a volte spirito, a volte vita, a volte verità, a volte fede, a volte grazia: così è chiamata per gli uomini.

Ma in realtà, considerata in sè stessa, concepita ed espressa per noi, essa è la distinzione di ogni cosa, la stabile elevazione delle cose instabili e l'armonia della sapienza. Essendo dunque sapienza nell'armonia, in essa c'è posto per la destra e la sinistra, per la forza e la potenza, per le dominazioni e i demoni, per le opere e le minacce, per le ire e i diavoli, per satana e la radice profonda dalla quale procede la natura delle cose che vengono all'esistenza.

Questa croce è così ciò che, per mezzo del logos, unisce a sé tutte le cose insieme, che distingue le cose che devono accadere in futuro e quanto in esse si trova, e condensa poi tutto in uno.

Questa non è la croce di legno che tu vedrai allorché scenderai di qui, né io sono quello che è sulla croce e che tu ora non vedi, ma del quale odi soltanto una voce.

Io ero considerato ciò che non sono, non essendo io ciò che sono per molti altri. Ciò che essi diranno di me è misero e non degno di me.

Se il luogo del riposo non si può vedere né di lui si può parlare, tanto meno posso essere visto io, il tuo Signore.

La folla uniforme che è attorno alla croce è la natura inferiore. Se quelli che tu vedi sulla croce non hanno un solo aspetto, è perchè ancora non s'è congiunto ogni membro di colui che è disceso. Ma quando la natura umana sarà innalzata e la stirpe, tratta vicino a me, obbedirà alla mia voce, colui che ora mi ascolta sarà unito a lei non sarà più ciò che ora è, bensì sarà sopra di essi come io sono ora.

Infatti, fino a quando tu non ti chiami proprio mio, io non sono ciò che sono. Ma se tu mi ascolti e rimani ascoltatore come me, io sarò ciò che ero, quando io ti avrò presso di me come me stesso. Poiché è da me che tu sei (ciò che io sono).

Non curarti, dunque, dei molti e disprezza coloro che sono fuori del mistero. Impara che io sono tutt'intero presso il Padre e il Padre è presso di me.

Io dunque non ho sofferto alcuna di quelle cose che essi diranno a mio riguardo; ed anche la passione che danzando ho indicato a te e agli altri, voglio che sia chiamata un mistero. Giacché ciò che sei tu, tu lo vedi: te l'ho indicato io. Ma ciò che sono io, lo so soltanto io e nessun altro. Permettimi di conservare ciò che è mio, e vedi il tuo per mezzo mio; ma, come ti dissi, tu in realtà non vedi ciò che sono, bensì ciò che tu puoi conoscere come congiunto.

Tu senti (dire) che io patisco,
ed io invece non ho patito,

che io non patisco,
ed io invece ho patito,


che io sono trafitto,
ed io invece non sono stato sconfitto,

che io sono appeso, ed invece io non sono stato appeso,

che da me è uscito sangue,
ed invece non è uscito.

In breve: ciò che quelli affermano di me, non ha avuto luogo, mentre ciò che essi non affermano è proprio ciò che ho patito.

Ora ti indicherò qual è il significato di questo: so, infatti, che tu comprenderai. Conoscimi dunque come tormento del logos, trafiggimento del logos, sangue del logos, ferita del logos, affissione del logos, dolore del logos, inchiodatura del logos, morte del logos. Parlo così prescindendo dall'uomo.

Tu dunque, in primo luogo conosci il logos, poi conoscerai il Signore e, in terzo luogo, l'uomo e ciò che egli ha patito ».

Dopo che egli mi disse queste cose e altre ancora che io non so riferire come lui vuole, fu assunto senza essere visto da alcuna folla. Ed allorché discesi, io li deridevo tutti, poiché egli mi aveva detto quanto essi mi dicevano su di lui. Tenni fermo in me stesso soltanto questo: il Signore ha compiuto tutte le cose in modo simbolico, e provvedendo alla conversione e alla salvezza degli uomini.

(Atti del Santo Apostolo ed Evangelista Giovanni, il Teologo, 97:2-102:1, mia enfasi)


E continua:
Perciò, fratelli, contemplando la grazia del Signore e il suo trasporto verso di noi che ne abbiamo sperimentato la misericordia non con le dita, non con la bocca, non con la lingua o qualsiasi altro organo corporeo, ma con la disposizione della nostra anima, preghiamo colui che s'è fatto uomo per noi indipendentemente da questo corpo. E vegliamo poiché, per noi, egli è tuttora rinchiuso nelle prigioni e nelle tombe, nelle catene e nelle carceri, è tra le beffe e i maltrattamenti, è sul mare e sulla terra asciutta, è tra i flagelli e le condanne, è tra le persecuzioni, tra le insidie e le punizioni. In breve: egli, fratelli, è con tutti noi e anch'egli soffre con noi allorché noi soffriamo.

Allorchè è chiamato da uno qualsiasi di noi, egli non è capace di fingere di non sentire: essendo in ogni luogo egli ode ognuno di noi. Così anche ora egli, con la sua misericordia, aiuta me e Drusiana, essendo il Dio di coloro che sono rinchiusi.

Siate dunque persuasi, cari, che io non predico di venerare un uomo, ma un Dio immutabile, un Dio invincibile, un Dio superiore ad ogni autorità e a ogni potere, più antico e più forte di tutti gli angeli, delle cosiddette creature e di tutti gli eoni. Se quindi rimanete in lui e siete edificati su di lui, la vostra anima sarà indistruttibile.

(ibid., 103:1-104:1, mia enfasi)

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi consiglierebbe un libro dove si confuta il cristianesimo in tuttibi suoi aspetti?
Sono spiegabili psicologicamente le emozioni che provano i cattolici dopo la confessioni o dopo aver mangiato l'eucarestia?

Giuseppe Ferri ha detto...

L'unico libro davvero indispensabile in tal senso è OHJ di Richard Carrier. Se solo un decimo del suo contenuto è vero, ce n'è abbastanza per confutare il cristianesimo, perfino nel caso che la tesi di fondo di quel libro (che Gesù non è esistito storicamente) si rivelasse sbagliata.

Ma vedi, il vero punto da comprendere è che i folli apologeti cristiani si fanno un preciso punto d'orgoglio nel vergognarsi ed imbarazzarsi della loro fede a causa del loro (ipotetico) Gesù storico, per poi in realtà congratularsi profondamente con sè stessi per aver esattamente così dimostrato la potenza della loro fede (e auto-convincersi di essere ''veri'' cristiani). Perciò il vero miracolo per loro non è credere alla lettera ad una Tomba Vuota e ad altre sciocchezze del genere, ma credere che Gesù sia esistito veramente.

Schopenhauer lo aveva già capito quando scrisse:

...purché la religione potesse presentarsi solo come allegoricamente vera. Invece essa si presenta pretendendo addirittura di essere vera nel senso proprio della parola: qui sta l'inganno ed è qui dove l'amico della verità le si deve opporre come a una nemica.

Anonimo ha detto...

La ringrazio della risposta.Mi spieghi invece per quale motivo le persone dei primi secoli si convertivano al cristianesimo,anche tra le persone colte.

Giuseppe Ferri ha detto...

Anche Plutarco era una persona colta, eppure Plutarco credeva all'esistenza storica del dio che muore e risorge Romolo e ne scrisse addirittura una biografia. Lo stesso Plutarco credeva che il sacrificio del dio che muore e risorge Osiride per mano di Tifone fosse accaduto nella regione sublunare. Così pure il colto Giuliano l'Apostata credeva alla discesa del dio che muore e risorge Attis nella regione tra la Terra e la Luna. L'uomo chiamato Paolo era sicuramente colto eppure credeva davvero di parlare con l'angelo Gesù.

Ma forse per "persone colte" intendi quelle la cui cultura approssima meglio la nostra cultura scientifica moderna. In tal senso di diritto solo gli atomisti, ovvero gli antichi seguaci di Democrito e di Epicuro, erano da considerare veramente "persone colte" secondo un metro di giudizio più moderno. E anche se purtroppo non ci è giunta alcuna evidenza della loro reazione al cristianesimo nei primi secoli, noi sappiamo per certo cosa pensavano di loro i cristiani: ovvero tutto il male possibile.
Al punto da definirli "bestie"; perché erano loro assai probabilmente le "belve" affrontate da Paolo in Efeso. Vedi 1 Corinzi 15:32 :

Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve a che mi gioverebbe?

Anonimo ha detto...

La ringrazio nuovamente.E a questo punto:per quale motivo il cristianesimo prese così piede?E anche le persone si cinvertivano,anche rischiando la propria vita?
La ringrazio in anticipo.

Giuseppe Ferri ha detto...

Il prof Hector Avalos ha scritto un libro piuttosto convincente a proposito: Health Care and the Rise of Christianity (Peabody, MA: Hendrickson, 1999). Dove sostiene che l'assistenza sanitaria offerta dai primi cristiani fu determinante per la diffusione del culto nella misura in cui garantiva, a differenza di quella garantita dai pagani e dagli ebrei, piu' semplici terapie (solo fede e guarigione "nel nome di Gesu'"), maggiore accessibilita' geografica (erano i cristiani esorcisti e taumaturghi ad andare dai malati e non i malati a dover mettersi in cammino verso i luoghi sacri dove poter sperare nella guarigione), maggiore disponibilita' (a differenza degli ebrei che potevano guarire di sabato solo a certi vincoli) e minor costo (gli esorcisti cristiani si accontentavano di guadagnare solo la fede dei loro pazienti).
Ad ogni caso io penso che nei primi due secoli il cristianesimo era solo un minuscolo culto misterico ebraico diffuso soprattutto tra donne e schiavi come afferma Celso. Sarebbe stato il culto di Mitra la religione dominante dell'impero perche' diffuso tra l'esercito ma il suo potere d'attrazione diminui' non appena Roma comincio' a perdere le guerre. L'invenzione di un Gesu' storico fu sicuramente uno degli espedienti di sopravvivenza ideato dai cristiani per supplire al graduale incombente declino dell'entusiasmo apoclittico originario del movimento (manifestatosi sotto la forma di continue visioni, rivelazioni e comunicazioni dirette con l'angelo Gesu').