sabato 19 novembre 2016

Sul Suono del Silenzio (II)

SILENZIO: È il peggiore attentato che un sovrano possa fare: imporre il silenzio ai preti. La Chiesa è una comare che vuole parlare, che deve parlare, che immancabilmente morirebbe se le si impedisse di parlare.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?
  ● Proviamo una migliore analogia: la madre di Ehrman si converte ad un nuovo culto marginale e poi scrive ventimila parole a più parti, cercando di persuaderli a non ascoltare a dubbiosi e sfidanti che tentano di indirizzarli a nuove dottrine, e invece di imitare, e seguire gli insegnamenti, del Signore e Maestro del suo nuovo culto, Jorgé, da lei descritto come un pre-esistente dio salvatore celeste che comunica tramite messaggi nascosti nelle scritture ed estatiche rivelazioni e sogni, e da lei dichiarato assassinato da “i poteri di questo eone”, che furono ingannati da Dio nell'ucciderlo così che il sangue della sua morte avrebbe posto magicamente fine al potere di Satana ... ma lei mai una volta in tutte le ventimila parole menziona qualcosa che questo Maestro Jorgé disse o fece mai sulla terra, mai dice chi sono “i poteri di questo eone”, e non menziona mai nessuno che lo abbia mai incontrato nella sua vita. Non pensi che dopo la loro lettura tu fortemente sospetteresti che Maestro Jorgé fosse una persona immaginaria? Io so che farei così.
(estratto da Il Dibattito Ehrman-Price, Richard Carrier, mia traduzione)
I dati trovati nei più antichi strati della letteratura cristiana — vale a dire, le epistole paoline —  sono letti di solito tramite la cieca assunzione dei vangeli posteriori, ovvero supponendo l'esistenza storica di Gesù sul pianeta Terra. Ma quando si perviene stricto sensu al contenuto reale di quelli antichi documenti è naturale realizzare che loro non provano, né esplicitamente né implicitamente, il ritratto che si vuole dare di Gesù nei vangeli, di un profeta itinerante in Giudea vissuto nel recente passato. In verità, ad uno sguardo approfondito, le lettere autentiche di Paolo sono interpretabili più perfettamente e naturalmente sotto l'ipotesi che il cristianesimo si originò quando Paolo e gli altri apostoli cominciarono a costruire, sulla base di indizi intravisti nelle scritture, o di profezie ignorate dai più, o di rivelazioni personali col loro effetto traumatico, una realtà altra, diversa da quella che appare al resto delle persone nella quotidianità del vivere: la realtà di un dio che muore e risorge nei cieli inferiori, un dio mitico (in termini ebraici: un arcangelo celeste) che fu soltanto più tardi trasformato in un dio che muore e risorge sulla Terra. Non fu l'unico dio ad essere evemerizzato sulla Terra. L'antichità classica già proliferava di personaggi mitologici trasformati in personalità “storiche” e propinate alla massa come tali. E la leggenda di “Gesù di Nazaret” non faceva eccezione.

Di seguito pubblico la mia traduzione dei sorprendenti silenzi attorno al fantomatico Gesù storico che affiorano nella sola Lettera ai Romani, come sono stati elencati a suo tempo nel suo sito web dallo studioso Earl Doherty (ma i primi 20 principali silenzi di tutte le epistole sono già stati elencati in precedenza):


ROMANI

Successivi ai “Principali 20” silenzi, si tornerà ora alla stessa testa del corpus epistolare e all'inizio della lettera di Paolo ai Romani. I versi di apertura di quest'epistola potrebbero benissimo essere classificati i prossimi in linea, perché contengono un'importante e illuminante panoramica sulla fonte delle idee cristiane circa il Figlio di Dio, e una spiegazione di quelli aspetti che suonano “umani” attribuiti di tanto in tanto a lui.

 21. - Romani 1:1-4
    1 Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo [oppure, apostolo per chiamata di Dio: NEB], messo a parte per il vangelo di Dio, 2 che egli aveva già promesso [oppure, aveva annunciato: NEB] per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture , 3 Il vangelo riguardo al Figlio suo . . . [RSV]

Al modo in cui Paolo lo presenta, le scritture profetizzarono il vangelo del Figlio che Paolo reca, non la vita o la persona di Gesù stesso. Questo è uno strano modo di porre le cose, eppure è estremamente rivelatore, perché implica, ancora una volta, che tra la predizione del vangelo da parte di Dio nei libri profetici, e la rivelazione di quel vangelo a Paolo e ad altri, nessuna vita di Gesù subentrò. Invece, la scrittura, interpretata di recente, racconta del Figlio la cui esistenza e opera è stato precedentemente sconosciuta, e che opera nel regno spirituale superiore. Questo sarà sostenuto dalla parte successiva di questo passo (di seguito).

Due silenzi aggiuntivi qui: il “vangelo” è un prodotto mandato da Dio. Nessun ruolo per un Gesù che predica, in qualità di originatore del vangelo circa sé stesso, è accennato. Questo fatto, e la “chiamata”, che in altre sedi è chiaramente identificata una chiamata da parte di Dio e non di Gesù (si veda 1 Corinzi 1:1), non solo supporta il silenzio su di un Gesù storico come la fonte del vangelo cristiano, ma nega la leggenda di Atti di una chiamata diretta a Paolo da parte dell'esaltato Cristo in una visione sulla via per Damasco.
    . . . che era disceso dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4 dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità [oppure, lo Spirito Santo: NEB] mediante la resurrezione dai morti. [RSV]
Come la frase è costruita, Paolo sta dicendo che le sue informazioni sull'essere Gesù “del seme di Davide” giungono dal vangelo nascosto nella scrittura, e non da una documentazione o tradizione storica. Le sacre scritture contenevano molte profezie che il Cristo/Messia sarebbe stato della discendenza di Davide, e Paolo avrebbe dovuto trovare un modo per applicarle al suo Figlio celeste. Se si considera che il secondo elemento di quest'affermazione, Cristo che viene dichiarato Figlio di Dio con potenza “secondo lo Spirito”, fu quasi certamente derivato dal Salmo 2:7-8 e si riferisce ad un evento ritenuto celeste, si è portati a prendere entrambi questi elementi “evangelici” per riferimento ad informazioni note sul Cristo dalla scrittura, e per riferimento ad aspetti del mondo spirituale. Per una spiegazione del termine “secondo la carne” in un contesto del genere e come un Cristo spirituale poteva essere percepito in parentela con Davide, così pure per una discussione più completa di questo intero passo, si veda la Sezione II dell'Articolo Complementare Numero 8 : Cristo come “Uomo”. Questo passo sarà anche ampiamente discusso nell'Appendice.

22. - Romani 1:16-17
    16 Infatti non mi vergogno del vangelo. Esso è potenza di Dio per la salvezza di  chiunque crede. . . 17 perchè in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede . . . [NEB]

Ancora una volta, Paolo attribuisce il vangelo a Dio, e il suo potere a Dio. Anche il dono di giustizia conferito al credente viene assegnato a Dio. Non sembra esserci nessuno scrupolo sulla coscienza di Paolo di un recente Gesù storico e del suo ruolo nella produzione e personificazione del vangelo e dei suoi effetti.

 —  Romani 1:19-20 - Si veda “Principali 20” #1

23. - Romani 3:21-25
    21 Ora, però, indipendentemente dalla legge [vale a dire, la Legge scritturale ebraica], è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la Legge e i Profeti [cioè, i libri mosaici e profetici della scrittura]. 22 È la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono. . . [NEB, ndr]

Un passo complicato ma molto rivelatore che vedremo in due parti, ciascuna contenente silenzi importanti. Successivo a questo passo, nel verso 26, la “giustizia di Dio” è specificata come qualcosa che è stata rivelata (il verbo phaneroo) “nel tempo presente”. Paolo sta dicendo che il periodo presente è un periodo di rivelazione, non l'arrivo di Gesù sulla terra ed i suoi atti salvifici. Ed invece di un Gesù “che reca testimonianza” o testimonia la giustizia di Dio, è la scrittura che lo fa, una dichiarazione diretta che questa è da dove Paolo e altri hanno appreso di ciò, non tramite la persona e la predicazione di un umano Gesù nella storia recente. Ancora una volta, l'agente è Dio, non Gesù. Il mezzo è mediante la fede: la fede nel Cristo spirituale, una figura rivelata di recente.
    . . . 24 tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in [la persona di: NEB] Cristo Gesù. 25 Dio  Dio lo ha prestabilito [proetheto] come sacrificio espiatorio mediante la fede nel suo sangue [vale a dire, nella sua morte sacrificale].

Qui il focus principale rimane su Dio come l'esecutore di azioni salvifiche nel tempo presente. È Dio che compie l'atto di redenzione, non Gesù. Le parole del NEB “nella persona di” non sono nell'originale greco, ma riflettono il desiderio di compensare il fallimento di Paolo nel rendere Gesù l'agente diretto di redenzione. Cristo è introdotto solo come strumento di Dio di quella redenzione, l'oggetto di una fede necessaria, ed una redenzione operata attraverso ulteriore fede nella sua morte sacrificale. Tutto questo linguaggio è compatibile con Cristo come una figura interamente spirituale che è stata ora rivelata, e il cui sacrificio ha avuto luogo nel regno spirituale. (E chiunque dubiti che il “sangue” possa essere spirituale ed essere sparso nel mondo celeste superiore ha bisogno solo di leggere Ebrei 8-9.)

Questa rivelazione di Cristo—non la sua presenza sulla terra—è supportata dal verbo protithemi, di cui uno dei significati è “esporre pubblicamente” nel senso di “rivelare a conoscenza generale”. Dio sta rivelando Cristo e quello che ha fatto, tramite la scrittura, ai simili di Paolo, e ha rivelato i vantaggi da trarre dal sacrificio redentore di Cristo. Si noti la pervasività esclusiva del concetto di “fede” nei confronti di Gesù, la fede in ciò che la scrittura—e Paolo—hanno rivelato. Non c'è nulla di Storia qui.

[Per una discussione di quell'onnipresente frase paolina “in—oppure attraversoCristo”, a significare un Cristo che è un'agente di salvezza e un mezzo spirituale attraverso il quale Dio si rivela e fa la sua opera nel mondo, si veda la Parte Due degli Articoli Principali. Si veda anche il testo opzionale in 2 Corinzi 1:21-22 (#55).]

— Romani 6:2-4 - Si veda “Principali 20” #11

 24. - Romani 6:17
    Ma sia ringraziato Dio,  che eravate schiavi del peccato, ma avete ubbidito di cuore a quella forma di insegnamento che vi è stata trasmessa . . . [NEB]

Ora, se questo insegnamento che fu trasmesso al credente fosse  in realtà in tutto o in parte il prodotto di Gesù, predicato mentre lui era sulla terra, perché Paolo non avrebbe detto semplicemente così? Indipendentemente dal fatto se il credente sapesse da dove provenisse, il pensiero e l'espressione naturali sarebbero stati sicuramente: “quella forma di insegnamento datoci da Cristo Gesù”, o qualche parola del genere. [Si veda 1 Timoteo 6:3 - si veda Appendice: 1 Timoteo 6:13 / (e 6:3)]

25. - Romani 8: 19-23
    19 Poichè la creazione aspetta con impazienza che i figli di Dio [cioè, i fedeli credenti] siano manifestati [cioè, rivelati alla vista di tutto il mondo]. . . [NEB]

Il cristianesimo antico, insieme alla maggior parte degli ebrei, credeva che la fine, o la trasformazione, del mondo fosse prossima. Come abbiamo visto nei “Principali 20” #16 (1 Corinzi 10:11), questo “dualismo delle due età” immaginava l'età presente della storia del mondo in procinto di cambiare nella nuova era del Regno di Dio, di solito in circostanze apocalittiche. In questo ed in altri passi, possiamo vedere che la prospettiva di Paolo si concentra su ciò che deve ancora venire, non su ciò che è appena successo. Qui, la sua aspettativa è in termini di rivelazione imminente dello Spirito di Dio attraverso i credenti; niente di essa è in relazione a recenti eventi storici nella persona di un Gesù di Nazareth.
    . . . 21 la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. . . .

Se il recente atto di Gesù nella storia avesse effettuato questo, l'espressione di Paolo avrebbe dovuta essere usata al tempo passato, come ad esempio: “... La creazione è stata liberata da ... ”
    . . . 22 Fino ad ora, tutta la creazione geme ed è in travaglio, come nelle doglie del parto. . . .

L'intero universo geme, in attesa. Dov'è il senso di qualche passato adempimento nella vita e nella carriera di Gesù? Erano alcuni dei dolori dell'universo non placati dalla sua venuta? In effetti, l'universo è in travaglio per dare una nascita, una nascita non ancora raggiunta. Paolo sembra relegare la vita di Gesù a qualche battito fetale. “Fino ad ora,” dice Paolo, l'universo è in travaglio, senza lasciare spazio a quello che avrebbe dovuto essere considerato il punto cardine della storia di salvezza, il momento culminante del lungo travaglio del mondo: la stessa vita di Cristo e il suo atto salvifico sul Calvario. Paolo non dà nessun indizio di una cosa del genere.

Ci si potrebbe anche chiedere perché non capitò a Paolo di considerare determinati eventi del vangelo come parte del “gemito della creazione”, vale a dire il terremoto alla crocifissione di Gesù ricordato in Matteo, oppure le tre ore di oscurità che coprirono la terra ricordate da parte di tutti i Sinottici. Particolarmente mancanti sono pure i miracoli di Gesù, che furono considerati dai cristiani successivi come parte dei “segni” di Gesù che portavano al cambiamento dei tempi. Paolo, né qui né altrove, ha una parola da dire sui miracoli del vangelo di Gesù, nemmeno come auguranti l'incombere della nuova era.
    . . . 23 Non solo la creazione, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 

Silenzi chiave qui. Quando Paolo si riferisce ad eventi presenti o immediatamente passati, la fase preparatoria a questa aspettata libertà per l'universo, che cos'ha in mente? Solo il “dono dello Spirito”, l'atto di Dio nel rivelare il vangelo, che ha assoldato uomini come Paolo per predicare Cristo e annunciare il Regno. La recente carriera di Gesù stesso, che per lo meno avrebbe dovuto essere considerata la “prima installazione” delle azioni di Dio nel periodo presente, non è da nessuna parte in vista.

“Aspettiamo che Dio faccia di noi i suoi figli.” Come può Paolo dire che sta aspettando Dio a fare questo? Non aveva egli già fatto così, e molto altro ancora, attraverso l'incarnazione? In effetti, perché Paolo non esprimerebbe l'idea che erano Gesù stesso e le sue azioni sulla terra ad aver reso libere le persone e fatto loro figli di Dio? Come può non inserire la vita recente di Gesù di Nazaret nel quadro dello svolgimento della storia di salvezza? La questione della “necessità”, oppure dell'esistente conoscenza dei lettori di una cosa del genere, non ha nulla a che fare con ciò. La vivida descrizione di Paolo del tempo presente rivendica la naturale, inevitabile inclusione della vita recente di Gesù, e non la otteniamo. Se, d'altra parte, la morte sacrificale del Figlio spirituale di Dio fosse un evento mitico, eterno, che prese luogo nel mondo spirituale superiore, allora non faceva parte dell'età presente che è prossima a passare; non faceva parte del quadro che Paolo sta creando. Cristo incide sul tempo presente solo nella rivelazione di lui da parte di Dio, nella trasmissione dello spirito di questo Figlio considerato un intermediario (si veda Galati 4:6), nel concretizzarsi dei benefici della redenzione mediante Cristo in questa nuova età di fede.

26. - Romani 8:24-25
    24 Poichè siamo stati salvati in speranza. Ma la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perchè lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con impazienza. [NIV/RSV]

Successivamente al passo precedente, Paolo implica ancora una volta che la caratteristica della nostra epoca è una caratteristica di fede, fede in qualcosa che accadrà nel futuro. Come poteva non immaginare che l'incarnazione del Figlio, testimoniato da così tanti (anche se non da lui stesso personalmente), costituisse una “visione” di salvezza e degli eventi che portarono prossimi a questa? In effetti, la testimonianza della risurrezione fisica di Gesù, come ricordata da tutti gli evangelisti post-marciani, fu un “vedere” la stessa cosa che Paolo e i suoi lettori sperano di vedere: la resurrezione fisica dei morti. Com'era il miracolo di Gesù di far rivivere più di un Lazzaro, in una piena pubblica “visione”!   Questo passo illustra il vuoto nella mente di Paolo di ogni compimento, o perfino testimonianza, del piano salvifico di Dio per l'umanità nella figura storica e negli atti di Gesù di Nazaret.

27. - Romani 8:26
    Perchè non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili. [RSV]
Poteva Paolo essere stato ignorante della Preghiera del Padre Nostro, insegnata ai suoi discepoli da Gesù? Se nemmeno questo elemento della predicazione di Gesù raggiunse Paolo mediante una trasmissione orale, oppure se Paolo non fece neppure questo livello di sforzo per imparare quello che Gesù aveva detto, come può lui pretendere di star predicando quest'uomo, e come avrebbe potuto soddisfare le esigenze e le richieste dei suoi ascoltatori di conoscere almeno qualcosa dei personali insegnamenti di Gesù ? Paolo semplicemente non poteva ignorare tali dati fondamentali della predicazione di Gesù, e quindi la “spiegazione” offerta da coloro che dicono che lui non aveva alcun interesse nella vita di Gesù non può reggersi in piedi ad un attento scrutinio. (Vedi la mia recensione del libro Honest to Jesus  di Robert Funk  per un ampio dibattito in questo senso.)

Non dovrebbe Paolo aver considerato il Gesù predicatore un “intercessore” per Dio a favore dell'umanità, una pretesa che Gesù stesso fa più di una volta nei vangeli?

28. - Romani 10: 3-4

Un profondo silenzio su un Gesù storico regna per tutti i capitoli 10 e 11 della Lettera ai Romani, un silenzio che sfugge ad una spiegazione plausibile. Paolo sta affrontando la questione se gli ebrei possono aspettarsi una salvezza finale da Dio, e ciò dipende sulla loro fede in Cristo. Comincia il capitolo 10 in questo modo:
    3 Perchè essi [gli ebrei] ignorando la giustizia di Dio, e cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. 4 poichè Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono. [NEB]

Dov'è il senso della predicazione storica di Gesù? Dio è l'agente primario qui, con Cristo una forza presente sotto la sua direzione, così Paolo intende le attività di Cristo al presente. Piuttosto che dire “Cristo portò giustizia” nella storia recente, è ora, attraverso la rivelazione di Dio e la predicazione di Paolo, che egli lo fa. In tutti questi passi, in tutta la discussione sul fallimento degli ebrei nel credere e i loro maldestri approcci alla giustizia, c'è un silenzio clamoroso sul loro fallimento ad ascoltare la persona e il messaggio di Gesù stesso, durante la sua recente incarnazione sulla terra. Questo sarà continuato in modo più dettagliato nei seguenti due elementi (29 e 30).

- Romani 10: 9 - Si veda “Principali 20” #18

29. - Romani 10:13-21

Continuando la sua considerazione delle prospettive di salvezza degli ebrei mediante la fede in Cristo, Paolo ora affronta la questione di quali opportunità avevano avuto di conoscere Cristo, e come hanno reagito a quelle opportunità. Egli fa una serie di domande, precedute da una citazione da Gioele (2:32 LXX) nella quale “Signore”, a differenza del significato originale, viene preso a riferimento di Gesù il Messia:
    13 Infatti [dice la scrittura] “Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”.
   14 Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto?
E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunci?
15 E come annunceranno se non sono mandati?
Com'è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone notizie!» . . . [RSV]

Come la presenta Paolo in quei versi, l'opportunità degli ebrei di conoscere Cristo si limita all'ascolto del Cristo predicato da uomini come Paolo, inviati come apostoli sui loro bei piedi (una citazione da Isaia 52:7). Non vi è qui un accenno di un'opportunità molto importante che gli ebrei—almeno quelli di Galilea e Giudea di una generazione prima—, avevano goduto, vale a dire il vedere e il sentire Cristo stesso, che predica nella sua stessa persona. Nell'evidenziare la colpa degli ebrei nel non credere in Cristo, Paolo avrebbe  totalmente ignorato il loro drammatico rifiuto del Figlio incarnato sulla terra? Egli continua:
    16 Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia. Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?» 17 Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di [cioè, circa] Cristo. 18 Ma io dico: forse [gli ebrei] non hanno udito? Anzi, la loro voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo”. . . . . [NEB, ndr]

Anche da questo è chiaro che Paolo sta parlando solamente della predicazione di apostoli commissionati come lui. Questo non può comprendere Gesù. Il genitivo “di Cristo” nel verso 17 è un genitivo oggettivo, Cristo è l'oggetto della predicazione. Nel verso 18, Paolo si dà un'apertura per dare la risposta più forte, la ragione più incriminante della colpa degli ebrei e della loro possibile perdita di salvezza: avevano sentito il messaggio dalle labbra del Signore stesso e l'avevano rifiutato. Ma Paolo manca di dare seguito a quell'apertura. Come poteva non evidenziare il rifiuto dei suoi connazionali del Figlio di Dio nella carne? Invece, tutto ciò a cui si riferisce sono quelli apostoli come lui che hanno “predicato fino agli estremi confini della terra” (un pò di iperbole da parte sua). Paolo, nel corso di questo intero passo, non solo è silente su un Gesù storico predicatore, ma non ha fatto nessuno spazio per lui.

Paolo prosegue citando altri tre passi della scrittura:
    19 Allora dico: forse Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: «Io vi renderò gelosi con una nazione che non è nazione; provocherò il vostro sdegno con una nazione senza intelligenza». 20 Isaia poi osa affermare «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me». 21 Ma riguardo a Israele afferma: «Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore». [RSV]

Qui Paolo passa all'evidente contrasto tra Ebreo e Gentile. Nelle prime due citazioni  mette in luce la vergogna degli ebrei contro il merito dei gentili, ma non riesce a fare il punto che mentre gli ebrei avevano rifiutato il messaggio perfino se consegnato da Gesù stesso, i pagani lo avevano accettato di seconda mano. E nella citazione finale di Paolo, il concetto delle stesse mani di Gesù, stese al suo popolo durante il suo ministero sulla terra, a quanto pare non si verificarono per lui.

[C. K. Barrett (Epistle to the Romans, pag.189) è uno studioso che sembra turbato dal silenzio di Romani 10, infatti lui tenta, tramite un dubbio mezzo, di far entrare Gesù nel quadro. Nella seconda delle quattro domande di Paolo sopra citate (versi 14-15), la frase in greco “hou ouk ekousan” è quasi universalmente tradotta: “del quale non hanno sentito parlare”. Il Lexicon di Bauer dà questo significato, ma di tanto in tanto i commentatori (Sanday, Cranfield) manterranno che akouo con il genitivo significa “sentire qualcuno”, cioè, direttamente. L'“insolito” significato “sentire di” è consentito,  dicono alcuni, solo nella poesia. Bene forse potremmo ritenere che Paolo sia molto vicino alla poesia in quelle ritmiche, bilanciate domande, che sono tutte in parallelo nella struttura e cominciano con la stessa parola.

In ogni caso, Barrett si aggrappa a questa concezione per precisare che il “hou” nella seconda domanda dovrebbe essere tradotto “che (non di cui) non hanno sentito”, poichè, dice, “Cristo deve essere sentito o nella sua persona, oppure nella persona dei suoi predicatori”. Oltre a volerlo in entrambi i sensi, Barrett non tiene conto del fatto che forzare Gesù nel contesto qui distrugge la catena finemente elaborata di Paolo, una catena che si concentra interamente sulla risposta al messaggio apostolico. Questo è il motivo per cui anche coloro che sostengono che il significato grammaticale è quello di “sentire lui” (non di lui), tuttavia, prendono per intenzione di Paolo quella di identificare la voce di Cristo con quella dei predicatori. Come lo pone Cranfield (International Critical Commentary, Romans, pag. 534), il pensiero di Paolo è “del loro sentire Cristo parlare nel messaggio dei predicatori”. Così, Gesù sta parlando agli ebrei solamente per procura. Questo lascia ancora irrisolta la grande questione del perché Paolo non riesce a fare un riferimento specifico alla personale predicazione di Gesù, ma almeno un'interpretazione del genere è conforme all'integrità del passo come lo presenta Paolo. Barrett non si adegua. Quando estende il suo commento su questo capitolo dicendo: “Attraverso il Figlio, sia nella sua persona incarnata che per mezzo dei suoi apostoli, Dio si è dichiarato ad Israele, ed ha incontrato nient'altro che ripulse”, Barrett non solo ci sta mostrando quel che dovremmo giustamente aspettarci di trovarvi, ma sta permettendo che ciò che non può credere sia mancante sovrascriva ciò che non c'è chiaramente nelle parole di Paolo. Inoltre, sostenere che Paolo, nella sua raffigurazione della non-risposta degli ebrei, avrebbe scelto di limitare il ruolo chiave di Gesù in quella raffigurazione ad un ambiguo pronome relativo di due lettere (nel greco) sembra poco meno che ridicolo. ]



30. - Romani 11:1-6, 7-12, 20

Come parte della sua critica del fallimento degli ebrei nel rispondere ad apostoli come lui, Paolo si riferisce alle parole di Elia in 1 Re (19:10):
    . . . 3 Signore, hanno ucciso i tuoi profeti. . . [NEB]

Questo era un'accusa infondata largamente popolare tra alcuni circoli settari ebrei. Paolo potrebbe avervi aderito, ma è sicuramente un silenzio eloquente che non aggiunge  a questo presunto ricordo la massima atrocità dell'uccisione del Figlio di Dio in persona. Poi:
    7 . . . (Israele) fu reso cieco alla verità. . . 8 (Dio) ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchie per non udire . . . 11 sono forse inciampati ....  . 12 la loro caduta . . . 20 (gli ebrei) sono stati troncati per la loro incredulità.

Tale mitigato linguaggio (si veda 1 Pietro 2:8, gli ebrei che “inciampano nella parola”: NEB) difficilmente sembra intendere il peccato di deicidio. Piuttosto, conferma l'opinione che la colpa degli ebrei, nella mente di Paolo, è limitata al loro fallimento ad ascoltare la predicazione degli apostoli, a rispondere all'invito ad avere fede nel Figlio spirituale, rivelato da Dio, che Paolo e altri stanno predicando.

31. - Romani 12:3


I capitoli 12 e 13 della Lettera ai Romani (i successivi cinque articoli) sono un trattato di etica cristiana. Molte delle loro ammonizioni recano una forte somiglianza con gli insegnamenti di Gesù trovati nei vangeli. Eppure, non solo non sono questi attribuiti a lui, ma non si fa neanche menzione del fatto che Gesù fosse un maestro, che fosse il fondamento dell'etica cristiana. Non solo, ma sembra esserci poca evidenza nella mente di Paolo che qualcosa fosse derivata da Gesù, se insegnamenti o doni personali. In 12:3, dice:
    Per la grazia che mi è stata concessa . . . abbiate di voi un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnato a ciascuno. 

Questo non suona come un uomo che ha esperito personalmente una chiamata da parte di Gesù stesso, se sulla via per Damasco oppure altrove. Né suona come un uomo che possiede qualche senso di un Figlio che aveva vissuto una vita incarnata durante la quale donò così tanto ai suoi seguaci, e al mondo, in termini di doni, insegnamenti ed esempio. Paolo prosegue (versi 4-5) a parlare di se stesso e dei suoi lettori come “arti e organi, uniti con Cristo, che formano un solo corpo”, un concetto altamente mistico che meglio si adatta ad un Cristo che nella mente di Paolo è una figura cosmica, mitologica che abita il mondo celeste—a cui i credenti, in linea con la visione filosofica del tempo, come riflessa nei culti misterici greci—potevano unirsi in modi spirituali.

32. - Romani 12:14


Uno di quelli elementi dell'etica cristiana che somiglia agli insegnamenti del Gesù evangelico è questo:
    Benedite coloro che vi perseguitano; benedite e non maledite.
Matteo, nel suo Sermone della Montagna (5:44), fa dire a Gesù: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. Ci sono quelli che dicono che quest'esortazione fu un'esortazione rivoluzionaria per il mondo antico, e addirittura invenzione dello stesso Gesù. Se è così, sembrerebbe naturale che Paolo avesse detto così, che avesse attribuito un'etica così innovativa all'uomo che era arrivato con essa, all'uomo alla predicazione del quale si suppone che lui avesse dedicato la sua vita.

33. - Romani 12:17-18
    . . . Non rendete a nessuno male per male. . . vivete in pace con tutti gli uomini.
Questo sintetizza l'altra ammonizione innovativa di Gesù, rappresentata in Matteo 5:38-39: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra”. Nel suo studio di Efesini, E. L. Mitton sostiene che questo principio etico è “lo spirito di Cristo” incarnato in tutta la sua carriera sulla terra. Era Paolo a conoscenza di questo? Come spiegare il fallimento stupefacente di Paolo nel citare un riferimento alle parole di Gesù, che per due millenni è stato additato come l'insegnamento cristiano per eccellenza (anche se raramente seguito): porgere l'altra guancia ? Per quanto riguarda l'essere in pace con tutti gli uomini, cosa di Matteo 5:24 con il suo monito “riconciliati con tuo fratello” ?

Paolo procede perfino (versi 19-20) a fare citazioni per sostenere le sue ammonizioni. Quali sono? Sono testi dell'Antico Testamento, versi da Deuteronomio e Proverbi. Quelli includono dar da mangiare agli affamati e dare da bere agli assetati, ma Paolo non dà un indizio dei pensieri e delle direttive di Gesù su quelle stesse cose.

[Può forse un argomento come quello di J. P. Holding, “non c'era nessun bisogno” di un esplicito riferimento a Gesù, non fare acqua qui? Paolo ha ovviamente un “bisogno” di un sostegno alle sue ammonizioni con qualche supporto sacro. Perché avrebbe dovuto scegliere antichi scritti anonimi per fornire questo quando lui possiede le stesse parole del Figlio di Dio in persona durante una recente predicazione terrena? Qualsiasi affermazione che Paolo avrebbe potuto essere all'oscuro di tali insegnamenti chiave, che avrebbe condotto da sè stesso una predicazione di Gesù Cristo senza conoscere le cose più fondamentali circa la carriera di Gesù sulla terra e l'etica da lui insegnata, è semplicemente troppo ridicola da tollerare. (Teniamo una conclusione come questa in mente quando arriviamo all'Appendice, con la sua discussione di una manciata di allusioni nelle epistole a cose che possono suonare come riferimenti ad una presenza o ad un evento “nella carne”, ma che possono essere interpretate altrimenti: come derivate dalla scrittura, e come consistenti colla concezione mitologica del tempo di un mondo superiore.)]


— Romani 13:3-4 - Si veda “Principali 20” #14

34. - Romani 13:7
    Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto. [NASB / NEB]

Difficilmente si poteva ottenere un sentimento più vicino a uno dei detti più famosi di Gesù, come riportato in Marco 12:17, Matteo 22:21 e Luca 20:25: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”. Anche i moderni scrittori di fiction hanno usato questo detto ben equilibrato per ritrarre Gesù come un manovratore politicamente corretto e che poteva pensare sui suoi piedi. Se Paolo avesse avuto familiarità con esso (e come avrebbe potuto non esserlo, se qualcosa della trasmissione orale lo avesse raggiunto?), ci sarebbe stata qualche ragione plausibile per la quale egli non avrebbe fatto riferimento ad un tale detto di Gesù per supportare il suo argomento? (Si veda il silenzio simile in 1 Pietro 2:13).

35. - Romani 13:8-9
 Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: . . . si riassume in queste parole: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. [NEB]
Nei vangeli, Gesù più di una volta (ad esempio, Matteo 22:39) cita il comandamento “Ama il prossimo tuo” del Levitico quando gli viene chiesto il suo parere sul più grande comandamento di tutti. Paolo due volte (qui e in Galati 5:14) può esprimersi esattamente come fece Gesù e parlare dell'intera Legge come “riassunta” in un'unica regola, eppure non mostra nessun segno di realizzare che sta facendo così. Ulteriori direttive in materia di amore nelle epistole (ad esempio, Giacomo 2:8) in modo simile mancano perfino uno sguardo di sfuggita ai sentimenti di Gesù in proposito.


36. - Romani 13:11-12

Seguendo Romani 8:19-23 (#25), Paolo continua nella stessa vena sullo stato di fervente attesa del mondo, e l'attuale periodo della storia che porta fino al momento della salvezza:
    11 Questo voi farete, consapevoli del momento:  . . . perché la nostra salvezza [liberazione] è più vicina ora di quando diventammo credenti. 12 La notte è avanzata, il giorno è vicino. [NEB]

Il giorno è vicino? Non c'è stata nessun'alba di qualche tipo con l'incarnazione del Figlio di Dio? La recente presenza di Gesù sulla terra non era riuscita a dissipare qualcosa dell'oscurità di notte? Anche la salvezza di per sé è qualcosa che si trova interamente nel futuro, e il suo unico punto di riferimento nel passato non è un atto di redenzione di Cristo stesso, ma il momento in cui i cristiani per prima credettero in Cristo. Come può Paolo usare la parola salvezza e non introdurre il personale atto di Gesù ?

Questo non è un mondo post-messianico, non è post-Gesù. Paolo ed i suoi colleghi apostolici hanno intrapreso una missione che è interamente rivolta al futuro. Nella mente di Paolo, il fattore che la cominciò non fu la vita di Gesù, ma la chiamata da parte di Dio, il vangelo rivelato, il segreto a lungo nascosto ora dischiuso: Cristo stesso, l'agente di salvezza di Dio, il Figlio che arriverà per la prima volta alla Fine imminente, per portare la notte alla fine e lanciare un nuovo giorno.

37. - Romani 14:13
Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello. [NEB]
Paolo non sentiva evidentemente alcun bisogno di sottolineare che Gesù stesso aveva detto: “Non giudicare, per non essere giudicato”, come Matteo riporta nel suo Sermone della Montagna (7:1; si veda Luca 6:37). Quel sermone ha anche cose da dire su come trattare un fratello (5:22, 7:3-5) sulle quali Paolo è altrettanto silenzioso.

38. - Romani 14:14
    Sono assolutamente convinto, come cristiano [come uno che è nel Signore Gesù: NIV], che nulla è impuro in sé. [NEB]
Qui Paolo sembra anche inconsapevole delle dichiarazioni di Gesù sulla purezza dei cibi. Questo era un tema scottante all'interno dell'antico movimento cristiano. La nuova setta doveva continuare ad applicare le severe leggi alimentari sollecitate dai farisei, con le loro preoccupazioni ossessive sulla purezza di alcuni alimenti? Se mai ci fosse stato un momento in mezzo ad un argomento emotivo quando Paolo si sarebbe aggrappato alla dichiarata posizione di Gesù  come sostegno, questo passo in Romani lo è sicuramente. Il suo silenzio non può che indicare che egli è veramente ignorante di tali scene come quelle ricordate in Marco 7 dove Gesù accusa i farisei di ipocrisia e dice alla gente: “Nulla di ciò che entra nell'uomo dal di fuori può contaminarlo”. L'evangelista porta a casa il punto, concludendo “Così ha dichiarato puri tutti i cibi”.

Lo stesso silenzio nel corso di una discussione sui cibi si verifica in 1 Timoteo 4:4. E la lettera di Barnaba di inizio 2° secolo dedica un intero capitolo (il 10) ad un tentativo di screditare le restrizioni alimentari ebraiche, ma neanche qui, neppure così tardi,  uno scrittore cristiano che conosce le sue scritture tradizionali interne ed esterne si riferisce alle stesse parole di Gesù sull'argomento.

39. - Romani 15:3-4
    3 Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: “gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me”. 4 Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle scritture teniamo viva la nostra speranza. [RSV]

Paolo qui attinge dal Salmo 69:10 per caratterizzare—non l'esistenza di Gesù, come sostenne G. A. Wells (Historical Evidence for Jesus, pag. 36), ma il suo sacrificio esemplare per il bene più grande, ed il suo rifiuto da parte del mondo (nel movimento che lo predica) in parallelo al rifiuto esperito dal credente cristiano. Wells sottolinea che Paolo, se avesse posseduto qualche informazione del vangelo su Gesù, avrebbe potuto derivare dallo stesso detto di Gesù, come in Marco 8:34: “Se uno viene dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Invece, la voce di Cristo, e con lei la conoscenza di lui, arriva direttamente dalle scritture, una caratteristica dell'antico pensiero cristiano che incontreremo molte volte.

E. B. Cranfield (International Critical Commentary, Romans, pag. 732) ammette che “ha colpito molte persone il fatto davvero sorprendente che a questo punto Paolo, invece di citare un esempio o esempi dalla storia dell'esistenza terrena di Cristo, deve semplicemente citare l'Antico Testamento”. Cranfield cerca di razionalizzare questo, ma la vera intuizione sta nel verso 4. Non che Paolo sta riflettendo la sua convinzione che “Cristo è il vero significato della legge e dei profeti”, come dichiara Cranfield, ma che quelli scritti sacri sono l'unica fonte di informazioni su di lui, e il testimone principale sul quale i credenti pongono le loro speranze, piuttosto che su memorie e tradizioni delle recenti parole e atti di Cristo. Questa attenzione ai passi della scrittura, invece che al ricordo della vita di Gesù, se orale o scritto, è una caratteristica importante delle epistole (si veda in particolare 2 Pietro 1:19), e sarebbe una scelta bizzarra, nel contesto di un movimento originato da una vita che avrebbe dovuto essere ancora viva e vegeta nelle menti dei suoi membri.

— Romani 16:25-27 - Si veda “Principali 20” #2

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