giovedì 25 agosto 2016

Sul Figlio dell'Uomo come “un altro Gesù” (I)

A voi il mistero è stato dato del Regno di Dio: ma a quelli fuori, in parabole tutto è fatto, affinchè guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro.
(Marco 4:11-12)
ANATEMI: Caritatevoli imprecazioni che i ministri del Dio della pace scagliano contro chi non è di loro gradimento, votandoli, per il bene delle loro anime, a supplizi eterni quando non riescono a far subire ai loro corpi supplizi temporali.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
“Mai ci fu un esempio di una parola che diventa una creduta persona, ai sensi della presente legge di materializzazione, più chiaramente ed evolutivamente del “Messia” e “Figlio dell'Uomo” delle profezie ebraiche .... Il Cristo, “Gesù” non era un uomo, per la ragione che egli fu profetizzato e intravisto in questo mondo e in questa vita per fare un'opera che sarebbe stata del tutto assurdo supporre che un uomo potesse mai fare. I Romani avevano ucciso, e potevano facilmente uccidere, qualunque uomo che avesse tentato di resistere alla loro oppressione. Ora il Dio Jahvè tramite il suo “figlio eternamente generato,” spiritualizzato come il “Figlio dell'uomo,” che è l'“Anima dello Stato” come Shakespeare fa dire ad Ulisse, deve, per essere di qualche effetto, apparire con poteri soprannaturali. Egli fu il popolo personificato, Israele; egli era stato crocifisso vivo, nel loro assoggettamento e massacro fino alla morte e all'Ades. Ma tramite un potere soprannaturale lui, Israele, sarebbe risorto di nuovo e avrebbe portato il giudizio finale sostenuto dall'infinito potere del Padre della nazione, Yahweh. Fu solamente uno spirito — Dio che poteva fare questo — niente di meno poteva essere originato, o pensato o previsto, per uno scopo sovrumano del genere. Una persona, un uomo, un riformatore, una debole edizione di Socrate, oppure Savonarola o Bruno! Come assurdo! Il cuore umano nella sua disperazione per la sua immaginazione, portò un Dio nel mondo per fare il lavoro di un Dio. “Non un uomo”, disse Napoleone; “e neppure un Dio,” dice la Scienza, eccetto l'idea. Tale era ciò che finalmente unì i milioni di Asia, Africa, Europa e America, in un sogno così inebriante che non osa essere risvegliato sebbene l'alba della scienza è qui”.
(T. B. Wakeman)

Per secoli e secoli i folli apologeti cristiani si sono rovellati invano sul significato di “figlio dell'uomo” nel vangelo di Marco, un fatto sufficiente da solo, ai miei occhi, a sconfessare l'intera accademia del “Gesù storico” per quella baracconata che è delle più goffe e pretenziose, nonchè per l'ultimo residuo finale del Medioevo che ci portiamo appresso destinato al precipizio lento ma inesorabile verso la deriva e la perdita di qualunque credibilità accademica.

Era naturale aspettarsi — dato il malcelato desiderio dei folli apologeti cristiani di attribuire al Gesù del primo vangelo (e per estensione al Gesù storico da loro intravisto sulla stessa traiettoria) quanti più pomposi e stravaganti titoli divini o semi-divini possibili — che l'espressione “Figlio dell'Uomo” in Marco venga di volta in volta considerato un essere celeste come l'arcangelo Michele, un simbolo di Israele spirituale, una figura di giudice escatologico, un titolo per il messia, qualunque cosa, ma non ciò al quale rimanda il suo più semplice e diretto significato: semplice essere umano, un tizio qualunque, un mero figlio d'uomo spogliato di qualunque iniziale maiuscola, se mai l'avesse avuta.

Ma prima di esaminare in profondità tutte le occorrenze del “Figlio dell'Uomo” in Marco, occorre ricordarsi un punto per nulla affatto trascurabile quando si approccia il primo vangelo: in tutte le lettere di Paolo non figura mai neppure una volta l'espressione “Figlio dell'Uomo” in riferimento a Gesù: e Paolo non era certo il tipo da farsi scappare la minima occasione per esaltare il suo celeste arcangelo Gesù mai sceso sulla terra, se solo gli fosse data la possibilità di utilizzare l'ennesimo titolo divino o semi—divino in omaggio a Gesù. E neppure si può affermare che Paolo non sapesse nulla della tradizione enochica del Figlio dell'Uomo (che ne fa un titolo messianico di giudice escatologico), come ha pienamente dimostrato il prof James Waddell nel suo importante The Messiah A Comparative Study of the Enochic Son of Man and the Pauline Kyrios.

Quest'ultimo ipotizza che Paolo si rifiutò di chiamare “Figlio dell'Uomo” il suo Gesù perchè “Figlio dell'Uomo” voleva dire — tra le altre cose (ovviamente immaginifiche) — anche “Figlio di Adamo”, e ricordare nel titolo la subordinazione all'Adamo primigenio (col solo torto però di essere declassato da Paolo al “Primo Adamo” peccatore, e come tale in necessità di un superiore “Secondo Adamo” in Cristo) sarebbe stata quasi un'onta per il suo arcangelico Gesù, agli occhi dell'apostolo, qualora venisse così identificato.

Sia come sia, un Gesù “Figlio dell'Uomo” non è definitivamente il Gesù di Paolo, ma un “altro Gesù”.

Cosa significa essere un “altro Gesù” agli occhi di Paolo l'apostolo?
Se infatti il primo venuto vi predica un altro Gesù  da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo.
(2 Corinzi 11:4)
 
Sembra che ci sia un solo termine per indicare tutto questo: anatema

Ma si badi bene a chi è rivolta l'anatema in Galati 1:8 :
Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!
 
Non certo a chi predica un “altro Gesù” e nemmeno a questo medesimo “altro Gesù”, ma bensì alla stessa audience di Paolo: i Galati stessi, qualora accolgano come loro Gesù questo “altro Gesù”.

Noi sappiamo già che “Marco” (autore) è paolino. L'evidenza è enorme in questo senso. Leggi Tom Dykstra. Leggi Adamczewski.

Il Gesù di Marco è lo specchio perfetto di Paolo: la sua vita, la sua teologia.

Ma poteva il paolino Marco essere tanto impudente e disobbediente verso il suo mentore Paolo da introdurre così sfacciatamente un Gesù “Figlio dell'Uomo” nel suo vangelo, se davvero tale vangelo è (come in effetti è, impossibile negarlo) un vangelo così fortemente indebitato alla predicazione e all'esistenza stessa di Paolo l'apostolo? Poteva Marco introdurre un “altro Gesù” contro la direttiva stessa dell'apostolo, consegnata a suo tempo ai Galati?

Se per vangelo intendiamo un fedele resoconto, fatto senza infingimenti alcuni, se non della vita di Gesù (che non è del resto possibile procurare perchè un Gesù storico non è mai esistito sulla terra), almeno della teologia di Paolo (al costo di attingere perfino dalla sua vita), allora ci sarebbe qualche problema con Marco nella misura in cui lui, un sincero paolino, introduce un “altro Gesù” non solo sconosciuto ma anche totalmente inviso a Paolo (un Gesù che si presenta addirittura come l'odiato “Figlio dell'Uomo”), quando invece i dementi proto-cattolici fabbricatori di false epistole nel nome di “Paolo” si mantennero, o almeno cercarono con tutti i mezzi, apparentemente più vicini possibili (per quanto glielo potesse consentire la loro fede storicista, ovviamente) al linguaggio e al modo di presentarsi dell'apostolo, nonostante, naturalmente, la loro teologia fosse distante anni luce da quella dell'apostolo (per ovvie ragioni temporali).

L'enigma è risolto se si bada a chi davvero lancia un'anatema Paolo. Come abbiamo visto, non ad un retorico “noi”, nemmeno ad un sinistro “angelo dal cielo” rivelatore di “un altro vangelo”, e neppure allo stesso “altro Gesù” oggetto oscuro di tale “altro vangelo”, bensì su coloro che lo accettano come il vero Gesù: sui Galati eventuali che si lasciano abbindolare dalla predicazione di quei “falsi fratelli” infiltratisi impunemente in Galazia col preciso scopo di fare terra bruciata attorno all'apostolo.

Ma un “altro Gesù” era, per necessità, un travestimento di Satana.
Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere.
(2 Corinzi 11:13-14)
Paolo ci consegna così, piuttosto acriticamente, qual è il modus operandi di un “altro Gesù” quando inteso come nient'altri che un demone ostile e ingannatore: il travestimento in un apparente, e solo apparente, “angelo di luce”, per “ingannare” i semplici “fratelli del Signore”, cioè i cristiani neofiti appena battezzati ma non ancora addentro ai sacri misteri del culto.

Marco non poteva che seguire, a modo suo, quel medesimo pattern. Il Gesù “Figlio dell'Uomo” non poteva che suonare una contraddizione in termini agli occhi di un vero paolino. Perchè allora Marco lo introdusse così platealmente? Per gettare un anatema non su di sè, e neppure su questo stesso “Figlio dell'Uomo”. Ma al contrario su quelli che lo videro secondo il suo racconto allegorico, sugli stessi Pilastri (oppositori storici del messaggio paolino): Pietro, Giacomo e Giovanni. E chiunque altro al loro seguito, vivi o defunti.

Il “Figlio dell'Uomo” come la mitologica Medusa, come risulterà chiaro, capace cioè di distruggere con lo sguardo ogni persona o cosa, uomo, donna, anziano o bambino, in grado di reggerlo come tale. E dalla natura non meno altrettanta chimerica.

La prima menzione del Figlio dell'Uomo appare in Marco 2:10 :
 Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
(Marco 2:1-12)

Si noti innanzitutto in un'immagine tradizionale (degna del più schifoso catechismo) la scena che cattura l'intero episodio:

“...scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava...” (Marco 2:4)
 Il “paralitico trasportato da quattro uomini” è simbolo di un Israele sparso nei suoi quattro punti cardinali: non solo gli abitanti di Giudea, dunque, ma quelli di tutta la Diaspora. È Israele stesso che spera di essere guarito da Gesù. Il miracolo avviene che questo paralitico è fatto calare dall'alto al centro della stanza dove si trova Gesù a predicare:


 
Sembrerebbe che il paralitico continui ad essere un'innocua figura, umile e disgraziata.

Ma osserva bene la scena: chi è ora più vicino a Gesù? 
 
Il paralitico? oppure la folla che circonda Gesù, e che dentro di sè disapprova fortemente il fatto che Gesù stia posando come Dio, usurpandogli di fatto l'autorità a lui solo legittima di perdonare i peccati? Il rischio è che le mie parole passino troppo rapidamente per quelle di un volgare demente catechista cattolico, ma forse una diversa immagine può aiutare il lettore a comprendere appieno il mio punto: se è il paralitico ora a trovarsi in posizione di vantaggio, essendo più vicino fisicamente a Gesù, mentre tutti gli altri dei presenti, che un attimo prima vantavano una maggiore vicinanza a Gesù, ora si ritrovano improvvisamente in una cerchia più esterna attorno a Gesù, allora è ricostruita per magico incanto la struttura tradizionale di ogni culto misterico, dove l'iniziato, l'insider (in questo caso: il “paralitico”) figura al centro (a diretto contatto col gran maestro) mentre i non-iniziati, gli outsiders, figurano tutti attorno, tutti egualmente accomunati loro malgrado dall'ignoranza dei sacri misteri in corso d'esecuzione al centro del cerchio, sotto i loro stessi occhi eppure a loro completa insaputa: 


Non meraviglia allora che i nemici di Gesù, gli ''scribi'' in questo episodio, figurano come outsiders e non come insiders. E non poteva che essere così, visto che lo stesso Gesù aveva sancito la condanna per ignoranza, e l'ignoranza per condanna, degli outsiders, di qualunque outsider (siano essi scribi e farisei, gli stessi discepoli o perfino tutto Israele):
A voi il mistero è stato dato del Regno di Dio: ma a quelli fuori, in parabole tutto è fatto, affinchè guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro.
(Marco 4:11-12)
Il senso più ovvio e immediato dei due passi in questione è che Gesù volutamente abbia parlato in modo oscuro in modo da porre, delimitare un confine: coloro che stanno dentro (gli insiders, gli iniziati) e quelli che stanno fuori (gli outsiders, i non-iniziati). Tramite un linguaggio volutamente incomprensibile, esoterico, per iniziati, si seleziona chi è dentro e chi è fuori.

Le implicazioni teologiche sono evidenti: alcuni si salvano e altri, volutamente (e non come effetto collaterale non voluto) non si salvano. La predicazione oscura è il setaccio attraverso il quale vengono selezionati coloro che si salvano ed accedono al ''mistero del regno di Dio''. Questo, almeno, nell'interpretazione grammaticale, per così dire, più ovvia e naturale, dunque quella alla quale ci si deve attenere se si vuole essere fedeli alla natura del vangelo, e non invece alle chiacchiere prive di senso dei folli apologeti cristiani e dei loro simili infiltrati in accademia.

Perchè è chiara la paura di quest'ultimi nel guardare in faccia la realtà. Ci si faccia due risate di una simile, evidentemente forzata, disperata apologia di uno di loro:
Credo che ci voglia prudenza. Se puntassimo tutto su Mc 4,11—12 ne verrebbe fuori qualcosa di veramente paradossale e inverosimile: che Gesù — di cui non è possibile dubitare che fosse un abile parabolista, data la pervasiva ubiquità delle parabole nei vari rami della tradizione — parlava per non farsi capire, e che la tradizione abbia registrato una così cospicua quantità di materiale del tutto inutile, dato che per gli esterni erano incomprensibili, mentre per gli interni erano superflue, dal momento che essi avevano accesso diretto al mistero del regno.
Tutto questo mi sembra implausibile: se Gesù aveva un messaggio — eccome se lo aveva! — non possiamo pensare che una delle sue forme retoriche preferite e in assoluto la sua più distintiva, fosse deputata meramente ad oscurare il suo messaggio, anziché a veicolarlo. E soprattutto, se esse hanno lasciato un segno così profondo sulla tradizione, vuol dire che dovevano essere ricordate come un'adeguata espressione del suo messaggio, e non solo come la sua "crosta" esterna.

Visto? Ditemi uno che la pensi allo stesso modo e io vi presenterò un folle apologeta cristiano. Per puro timore di perdere la sua ridicola quanto tendenziosa schifosa Traditio proto-cattolica (e totalmente dimentico che il cristianesimo primitivo era a tutti gli effetti una religione misterica come ve n'erano altre in giro sparse per tutto l'Impero), il demente apologeta cattolico in questione preferisce rinnegare la natura stessa del vangelo di Marco, a totale scapito della verità ma a maggior gloria della sua merdosissima fede cattolica romana.

Ma torniamo alla mia esegesi dell'episodio di Marco.

Gli ignoranti outsiders allora accusano Gesù nei loro cuori: chi sei tu per posare come Dio, perdonando i peccati a tutto Israele? Ti credi forse Dio in persona?

La risposta di Gesù non si fa attendere, e a questo punto menziona il Figlio dell'Uomo:
Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua».
La menzione del Figlio dell'Uomo, per giunta del suo potere di perdonare i peccati (e quindi di posare come Dio stesso), lungi dal risolvere la contraddizione logica che assilla gli scribi (ricordati: i condannati outsiders in quest'episodio), in realtà aggrava ancor di più il loro insolubile problema.

Cazzo — così posso immaginare, ai sensi del racconto, la loro spontanea reazione —, costui non solo posa come Dio pur essendo un mero essere umano, ma ribadisce e reitera a dispetto della nostra sincera esigenza di una giustificazione, la sua natura limitata di mero figlio d'uomo, di mero essere umano. In altre parole, ci fa rimanere fino al collo nella palude del nostro problema, ci fa crogiolare nel nostro brodo, senza invece darci una mano a cercare di risolverlo, magari chissà, ci capiamo qualcosa di questo fottutissimo enigma...

Ma a Gesù evidentemente non importa affatto dispensare la conoscenza segreta sulla sua identità agli outsiders, anzi il suo scopo preciso, lo dice lui stesso, è che loro “guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro”. Quello è precisamente lo scopo di Gesù: mandare in rovina intenzionalmente, ingannare gli outsiders. Lanciare su di loro l'anatema dell'ignoranza, e al tempo stesso l'ignoranza dell'anatema: nell'attimo stesso in cui loro si ritrovano nel cerchio più esterno dei non-iniziati (al contrario del “paralitico”) gli scribi sono già condannati e Gesù vuole che rimangano nel loro stato di peccato e di relativa condanna. È per questo che, con la sua enigmatica risposta, dà loro non una soluzione al problema, ma una reiterazione dell'ennesimo problema logico di fondo, senza vie di fughe per eluderlo:
come può un mero figlio d'uomo avere l'autorità di perdonare i peccati?

CIÒ CHE NON POTEVA ESSERE sta forse accadendo?

Davvero Marco sta insinuando così ad alta voce che un mero essere umano è così metafisicamente potente da poter posare del tutto indisturbato come Dio? No.

Marco non sta dicendo quello. E i folli apologeti cristiani che rispondono sonoramente “Sì” a quella domanda non trovano niente da fare che escogitare a mò di disperata razionalizzazione la possibilità (invero assai remota) che “Figlio dell'Uomo” sia da intendere in questo passo come una figura messianica o escatologica, come un “più che uomo” e non come un mero uomo, come un Figlio dell'Uomo con tanto di lettere maiuscole e non invece come un mero, limitatissimo, umanissimo figlio d'uomo.

Perchè quello è ciò che Marco vuole intendere per bocca di Gesù nella sua risposta agli outsiders: a voi outsiders non è dato altro che scontrarvi con questa mostruosità logica, che un uomo sta posando come Dio, in una scena apertamente blasfema.

Ma è davvero così, invece, per l'insider? Per il “paralitico”, per la sua FEDE, Gesù non è veramente chi egli ha appena detto di essere ai dementi outsiders, perciò non c'è alcuna blasfemia. Per il “paralitico”, per l'insider, per il vero iniziato ai “misteri del Regno di Dio”, Gesù è il Figlio di Dio, lo spirito del reale “Cristo Gesù” di Paolo che sta possedendo spiritualmente, in quel preciso momento, un mero figlio d'uomo, un mero ebreo, tale “Gesù Nazareno” (vale a dire un semplice ebreo di discendenza davidica: altrimenti per quale altra ragione il cieco Bartimeo chiama Cristo come “Figlio di Davide”, se non perchè ha appena udito che proveniva “da Nazaret” ?).

Ne consegue una sola verità: che “Gesù Nazareno”, quest'invenzione di Marco, ha mentito agli outsiders quando ha ricordato loro di essere un mero figlio d'uomo in grado di perdonare i peccati. E ha agito così perchè Gesù, il Figlio di Dio e NON un mero figlio d'uomo, NON un “altro Gesù” diverso da quello di Paolo, VUOLE che gli outsiders credano esattamente che lui sia un mero figlio d'uomo, ovvero un “altro Gesù” diverso da quello di Paolo, così da recare da ultimo distruzione su sè stessi a causa della loro stessa ignoranza circa la vera identità dell'entità spirituale che in quel preciso istante, sotto i loro stessi occhi eppure a loro totale insaputa, sta possedendo un mero figlio d'uomo (pur rimanendo totalmente DISTINTO e SEPARATO da esso).

E così il dramma si è appena consumato che chi vede solo un mero figlio d'uomo che si proclama orgogliosamente tale mentre posa come Dio, al limite sfiorato, anzi superato apposta!, della blasfemia, non può che accusare di BLASFEMIA questo figlio d'uomo (accusa che poi il sommo sacerdote Caifa sancirà alla fine del racconto marciano). E se il figlio d'uomo è simbolo anche dell'Israele terreno, allora gli scribi stanno in questo senso accusando l'Israele terreno, quindi compreso sé stessi!, di blasfemia, fatto che ovviamente gli meriterà giustamente una distruzione totale nel 70 EC ad opera dei romani: l'unica vera crocifissione del Figlio dell'Uomo avvenuta nella Storia reale.

Ma per gli insiders, rappresentati da quell'altro Israele (“il paralitico trasportato da quattro uomini”) più spirituale — perchè conoscitore, PER PURA FEDE, che il celeste Figlio di Dio, Gesù Cristo, e NON l'insignificante figlio d'uomo da egli posseduto, può invero guarire i peccati col potere stesso del Padre celeste —, non può che esserci la meritata salvezza.

Quella presentata è perciò l'ennesima evidenza di una cristologia, in Marco, che porta un nome preciso: separazionismo. Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, possiede, senza perciò esserne tutt'uno, un mero figlio d'uomo, “Gesù Nazareno”, Paolo avrebbe detto: “un altro Gesù”. È a causa di questo latente separazionismo, celato così esotericamente nell'allegoria, che il folle apologeta proto-cattolico Ireneo poteva denunciare, del primo vangelo, il suo uso secondo lui distorto fatto dai suoi veri originali lettori:
Coloro che separano Gesù da Cristo, sostenendo che “Cristo rimase impassibile” ma che era Gesù che “soffrì” preferiscono il vangelo di Marco; ma se lo leggono con amore di verità, potrebbero aver corretti i loro errori.
(Ireneo, Contro le Eresie, III, 11, 7)

Chiaramente Ireneo stava riportando l'opinione essoterica di quei cristiani separazionisti e non poteva mai immaginare quale fosse invece la loro opinione più esoterica nella loro cerchia di iniziati, quella nota esclusivamente tra i loro insiders: che il Gesù “che soffrì”, quello meramente umano in opposizione al vero Cristo che “rimase impassibile”, era in realtà frutto dell'invenzione di Marco, creato allo scopo di giustificare la distruzione di Gerusalemme nel 70 EC :


L’allegoria
La Storia reale
1) è blasfemia credere che un figlio d'uomo possa essere divino.
1) l'Israele terreno ha peccato di blasfemia.
2) pertanto il figlio d'uomo merita la morte per blasfemia.
2) perciò Israele merita la punizione divina.
3) quella morte è (paradossalmente!) la crocifissione.
3) quella punizione divina è la crocifissione in massa nel 70 Era Comune.
4) il figlio d'uomo risorge nella Galilea “dei gentili” perchè ha espiato i suoi peccati.
4) Israele risorge nella Diaspora, tra i seguaci di Paolo.


L'azione del vero Cristo di Paolo, che prende possesso di un figlio d'uomo per condurlo sulla croce e così purificarlo dai suoi peccati (che sono i peccati di tutto Israele), è necessaria per far risorgere quel figlio d'uomo appositamente nella “Galilea dei Gentili”, ovvero in quel “corpo di Cristo” che è il cristianesimo paolino, diffusosi tra gli ebrei della Diaspora.

Il segreto del vangelo di Marco si sta così fatalmente dischiudendo. Quello che solo qualche tempo prima era stato e continuava ad essere un mistero insolubile, un paradosso indecifrabile — esattamente come lo era per gli ''scribi'' (come doveva esserlo per loro, in quanto meri outsiders) — adesso ha assunto le sembianze di un'allegoria dall'autentico significato così ben elaborato e nascosto da estendersi in profondità dentro un abisso dove si riflette, per diretto contrasto, un mondo tutt'altro che idilliaco: quello delle aspre rivalità e contese, consumatesi a suon di anatemi reciproci, tra Gesù celesti e Cristi rivali, ereditato da apostoli come Paolo e che Marco intende magnificamente condensare nel suo “vangelo di Gesù Cristo”.

Lo scenario è magnifico e triste allo stesso tempo. Tutti dovrebbero apprezzare l'allegoria creata da Marco, perchè quello è ciò che l'autore del vangelo stava fabbricando: un'allegoria di sacri misteri esoterici ad esclusivo beneficio degli insiders tra i suoi lettori e a fatale perdizione di tutti gli outsiders, di tutti i non-iniziati, non importa se presenti dentro o fuori la sua setta.

Invece i folli apologeti cristiani si rendono colpevoli, nella loro affettata ipocrisia o semplice scemenza, di lanciare al massimo solo qualche occhiata al simbolismo sparso qua e là nel vangelo di Marco, magari seguito da qualche sporadico commento su come Marco sia piuttosto incline ad abbellire letterariamente una storia “realmente accaduta”, mentre invece quei simbolismi, quelle allegorie, quelle allusioni e quei riferimenti nascosti ad un livello “altro” non sono affatto isolati, neppure mera vernice di abbellimento di fatti altrimenti reali, anzi, non c'è episodio in Marco senza che vi si scoprano sorprendenti rimandi sempre alle stesse verità “altre”, dove ognuna di esse viene illuminata in maniera unica e insieme ripetuta, al risveglio finale della coscienza ma solo di chi ha “occhi per vedere e orecchie per ascoltare”.

E così i folli apologeti cristiani, criptocristiani ed ex-cristiani (dal prete più forsennatamente integralista fino allo storicista Mauro Pesce più pomposamente saccente di turno) esattamente come gli scribi nell'episodio appena commentato, fanno le loro ridicole e goffe esegesi del vangelo di Marco (tutte accomunate dal loro inconfondibile tratto comune di fondo che è uno spregevole e becero letteralismo) nella totale oscurità del suo vero significato allegorico, senza dedicargli un solo pensiero, un solo sguardo, dato che ciò che si vede sempre in Marco — il Figlio di Dio, lo spirito del Cristo — è proprio ciò che non si vede mai, dietro la maschera di un anonimo e insignificante figlio d'uomo privo del tutto di qualunque spessore o utilità che non sia la precisa volontà del suo creatore di farne un deliberato strumento di perdizione, un “altro Gesù” portatore di anatema su un Israele destinato a vederlo e ad ascoltarlo (come a seguirne per intimo riflesso la medesima sorte su una croce romana, nel 70 Era Comune), così che “guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro.”

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