lunedì 15 dicembre 2014

Due libri da leggere durante il 2015


Due letture si profilano all'orizzonte nel prossimo futuro, entrambi, credo (e spero!), obbligatorie, perchè toccano esattamente ciò che più mi affascina della letteratura cristiana antica, in attesa che il prof Daniel Gullotta abbia tutto il tempo di presentare alla peer-review il suo argomento in difesa dell'evanescente figlio d'uomo nell'ultima, disperata resistenza contro il  formidabile attacco scagliato al dogma cristiano della storicità di Gesù da parte di Richard Carrier - il quale ha giocato davvero fin troppo bene i suoi dadi -, prima dell'ultimo, inesorabile verdetto che sancirà probabilmente - e definitivamente - la non-esistenza di Gesù (che è chiamato Cristo).



 
Si tratta del libro che un giovane accademico polacco, addirittura un prete cattolico, ha presentato quest'anno.

 The Gospel of Mark
A Hypertextual Commentary

di Bartosz Adamczewski.




Nel net è disponibile già accedere gratuitamente al suo libro del 2011, Constructing Relationships, Constructing Faces (della stessa casa editrice, Peter Lang), che presentava in embrione il suo pensiero. 



Di seguito presento alcuni punti di quel libro (del 2011) che hanno fin da subito destato profonde emozioni e una nuova consapevolezza:

In particolare, nella prima lettera ai Corinzi, Paolo dichiarò semplicemente di aver visto Gesù il Signore (1 Corinzi 9:1; 15:8). Nella Seconda Lettera ai Corinzi, l'Apostolo descrisse questo evento cruciale nei termini del proprio essere stato elevato fin nel Paradiso celeste (2 Corinzi 12:1-4; cf. Genesi 2:8 LXX) che risultò nella sua visione (2 Corinzi 12:1) e ascolto (2 Corinzi 12:4) del Cristo risorto là (si veda 1 Corinzi 2:9-10; 9:1; 15:8) e nel suo divenire l'incarnazione particolare di Cristo, il nuovo Adamo, e della nuova umanità spirituale in Cristo (si veda 1 Corinzi 2:10-16; 2 Corinzi 4:16; Romani 7:7-25). Nella Lettera ai Galati, l'Apostolo si riferì alla sua vocazione come alla decisione di Dio di rivelare suo Figlio nella persona, nella predicazione, e nel corso di vita del suo apostolo particolarmente scelto (Galati 1:12.16-16b).  Per questa ragione, i credenti potevano imitare Cristo mediante l'imitazione di Paolo (1 Tessalonicesi 1:6; 1 Corinzi 11:1; Filippesi 3:17-18). Di conseguenza, l'Apostolo delle Nazioni divenne, a differenza degli altri apostoli (si veda Galati 1:16), l'incarnazione particolare del Cristo crocifisso e risorto per il mondo intero (Galati 2:19-20). Quest'interpretazione dell'auto-comprensione di Paolo potrebbe sembrare esagerata. Si dovrebbe notare, comunque, che Paolo era una personalità fuori dal comune.
...
Di conseguenza, Paolo poteva aver considerato sé stesso come il particolarmente scelto mediatore di salvezza, la quale fu offerta da Dio in Gesù Cristo all'intera umanità.

(pag. 35-36, mia libera traduzione e mia enfasi)

Questo conferma ciò che aveva detto anche Roger Parvus: ossia che Paolo andò molto vicino a considerarsi interiormente superiore, al limite quasi della megalomania, rispetto agli altri cristiani, in virtù della speciale ed enigmatica relazione che aveva magicamente instaurato con il suo ''Cristo in me''. Qui lo storico sembra essere giustificato ad applicare su Paolo quella minuziosa analisi psicologica che i folli apologeti cristiani hanno invece fino ad ora applicato scioccamente alla cosiddetta ''autocoscienza del Gesù storico''.

Da par mio, non vado oltre le parole di Adamczewski, perchè rappresentano il minimo comun denominatore alla quale partecipano sia Paolo, sia il suo più probabile alter ego storico, Simon Mago (qualora la possibilità sollevata dal geniale Roger Parvus si rivelasse azzeccata, ma questo, purtroppo, non lo sapremo mai - anche se già sappiamo che Simon Mago fu davvero usato da alcuni cristiani come il mostruoso doppio di Paolo).

Di certo però non ci sono dubbi che le cose andarono effettivamente così, tra Paolo e i Pilastri di Gerusalemme:

L'esito della seconda visita di Paolo in Giudea fu, ecco, davvero negativo. L'Apostolo arrivò ad un compromesso con i 'pilastri' di Gerusalemme e favorì la sua causa nella misura in cui gli fu concesso di predicare ancora il vangelo ai gentili (Galati 2:7-9a). D'altra parte, comunque, egli perse la sua causa nella misura in cui non gli fu permesso di fondare comunità nelle quali dover trattare ebrei e gentili  come membri diversi ma mutualmente correlati dello stesso corpo di Cristo (si veda 1 Corinzi 7:17-19; 12:12-
30; Romani 12:4-5; 14:1-15:13). Secondo il patto di Gerusalemme, la missione cristiana doveva essere divisa in due regni distinti: quello dei gentili e quello dei circoncisi (Galati 2:9e).

 Nell'interpretazione di alcune persone da Giacomo, e successivamente anche di Cefa, di altri giudeocristiani, e di Barnaba, allo scopo di non offendere sensibilità ebraiche, quei due regni non dovevano comunicare l'un con l'altro in alcun modo diretto. Tale istanza, che risultò inevitabilmente in uno scisma eucaristico nella chiesa, condusse alla crisi di Antiochia, durante la quale Paolo rimproverò pubblicamente Cefa, e di conseguenza lo offese in pubblico (Galati 2:11-14).
 Come risultato di questa crisi più importante dell'antico cristianesimo, lo scisma eucarisico perdurò per decenni con nessuna prospettiva di riconciliazione (si veda ad esempio Galati 2:15-21; Colossesi 2:16.20-23). Cefa rimase pubblicamente offeso (Galati 2:11-21). Barnaba e Tito abbandonarono Paolo nella sua attività missionaria (Galati 2:13; si veda 2 Timoteo 4:10). I missionari giudeo-cristiani tentarono di prendere controllo sulle communità paoline di Galazia e Macedonia (e apparentemente anche di Acaia e Asia) spingendo i cristiani gentili ad adottare almeno basilari osservanze ebraiche, compresa la circoncisione fisica (Galati 2:3; 5:2-3.12; 6:12-13;
Filippesi 3:2-5; si veda anche Galati 2:14; 4:10; 6:12; Filippesi 3:2), allo scopo di portare i cristiani precedentemente paolini, in linea con il patto di Gerusalemme (si veda Galati 2:9e), nel regno giudeocristiano della 'circoncisione'.
D'altra parte, dopo la crisi di Antiochia, Paolo percepì Gerusalemme come sacrilega e perdurante nella schiavitù (Galati 1:17-18; 2:1; 4:25). Egli si considerò in possesso della sua cittadinanza non nell'Israele terreno ma nell'Israele celeste (Filippesi 3:20; si veda
Galati 4:26). Esortò le sue comunità a collezionare fondi per lui e non per la comunità di Gerusalemme (Galati 2:10b; 6:6; Filemone 6.13.21; Filippesi 4:9-19). Inoltre, l'Apostolo perse i suoi amici ebrei di Roma (si veda Filemone 1.23-24; Filippesi 1:1.17; 2:25; 4:10-22), ed egli desiderò ritornare alle comunità evangelizzate per prima ma ora minacciate dell'Oriente, e non più in Spagna (Galati 4:20; Filemone 9-10.13.22;
Filippesi 1:7.13-14.25-27).
Lasciata Antiochia, Paolo andò a Roma. Molto probabilmente dalla capitale dell'impero, l'Apostolo scrisse la Lettera ai Galati. Il proselitismo di Paolo che guadagnò non solo i gentili ma anche alcuni proseliti romani d'alto rango probabilmente causò invidia e tensione da parte degli ebrei romani e degli ebrei cristiani (si veda Filippesi 1:15.17-18; 3:18; 1 Clemente 5.5; Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.81-84). Quest'invidia e tensione da ultimo causò indirettamente l'imprigionamento di Paolo: il predicatore di Cristo, il Signore universale (si veda Filippesi 2:11). Dalla prigione romana, Paolo scrisse la lettera a Filemone e la Lettera ai Filippesi. Paolo fu processato e condannato dalle autorità romane molto probabilmente uno o due anni dopo il suo arrivo a Roma (si veda Filippesi 2:25-26; si veda anche Atti 28:30), vale a dire, nel 49 EC.
È possibile, ma non davvero probabile in vista della dipendenza letteraria di Svetonio e di Luca sulle opere di Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.81-84; si veda Svetonio, Cl. 25.4; Atti 18:2-5), che altri sospetti ebrei e giudeocristiani vennero allo stesso tempo puniti con l'espulsione dalla capitale dell'impero.  Paolo evidentemente non ebbe successo nell'implementazione del suo piano di andare in Spagna prima della sua morte (si veda Romani 15:24.28). Di conseguenza, il compito di evangelizzare l'intero mondo gentile ricadde sui suoi seguaci.

(pag. 38-40, mia libera traduzione e mia enfasi)

Sull'eventuale menzione dell'uomo chiamato Paolo da parte di Flavio Giuseppe parlerò in un post apposito.

Continua Adamczewski:
Il vangelo di Marco è il più antico racconto letterario riguardante l'attività di Gesù Cristo. Comunque, contrariamente alla diffusa opinione, che è di fatto basata solamente sul testo patristico post-lucano etichettato la 'testimonianza di Papia' (Eusebio, Storia della Chiesa 3.39.15; si veda Luca 1:1-4), questo racconto non è basato su tradizioni orali riguardanti l'attività del Gesù storico.
(pag. 133, mia libera traduzione e mia enfasi)

Fà davvero piacere che un accademico di fede cattolica prenda serenamente coscienza di questo fatto.


Perchè le conseguenze sono enormi. Così vengo a sapere ad esempio dal libro più recente dello stesso autore:
A volte, gli studiosi cercano addirittura  di ricostruire la proporzione delle tradizioni orali che erano apparentemente usate da Marco, e che dovrebbero essere considerate storicamente affidabili. Per esempio, Adela Yarbro Collins ha fatto recentemente una lista di sei eventi che erano apparentemente contenuti in tale ipotetica cronaca pre-marciana. Una metà di quelli eventi si riferisce alla relazione tra Gesù e Giovanni il Battista. Comunque, nella ricostruzione della presupposta ''cronaca'' pre-marciana, che in apparenza rifletteva tradizioni orali palestinesi riguardanti Gesù, Yarbro Collins, come parecchi altri studiosi, ha acriticamente assunto che Giovanni il Battista battezzò Gesù, e che Giovanni fu ucciso prima della morte di Gesù. La studiosa americana ha basato le sue affermazioni sulla data presunta della morte di Giovanni il Battista 'nel 28 o 29 E.C.'', supportando la sua opinione in una nota a piè di pagina: 'Sulla data della morte di Giovanni, si veda P. W. Hollenbach, “John the Baptist,” in The Anchor Bible Dictionary (ed. D. N. Freedman; 6 vols.; New York: Doubleday, 1992), 3:887’. Quando un lettore curioso segue il riferimento alla presunta discussione dettagliata di Hollenbach sul soggetto, lui o lei trova meramente la seguente affermazione generale riguardante Giovanni il Battista:  ‘La sua popolarità e le possibilità rivoluzionarie del suo messaggio di gisutizia sociale condussero al suo arresto, prigionia e condanna a morte da Erode Antipa, probabilmente nell'a.d. 28 o 29.’ In realtà, la condanna a morte di Giovanni il Battista nella fortezza transgiordana di Macheronte avvenne circa nel 36 (Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.116-119), così più probabilmente quasi un decennio dopo la morte di Gesù a Gerusalemme  (c. ad 26-27; si veda Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.63-64 [nella sua forma originale]), e di conseguenza è piuttosto possibile che essi mai si incontrarono l'un con l'altro.  
Simili riserve dovrebbero essere sollevate nella misura in cui riguarda l'affidabilità storica delle tradizioni apparentemente pre-marciane relative alla proclamazione di Gesù del regno di Dio, come pure dell'esecuzione di Gesù di atti irrequieti nel tempio di Gerusalemme, infatti entrambi quelle idee non sono attestate al di fuori dei vangeli.
Di conseguenza, il solo elemento storicamente affidabile della tradizione orale che fu apparentemente usato da Marco, come è ipotizzato da Yarbro Collins, è la crocifissione e resurrezione di Gesù. Comunque, è evidente che Marco poteva aver copiato i dati essenziali riguardanti la crocifissione e resurrezione di Gesù dalle lettere di Paolo l'Apostolo. Coerentemente, l'ipotesi dell'utilizzo di Marco di antiche tradizioni orali riguardanti Gesù è in realtà inverificabile, se non totalmente implausibile. 

( B. Adamczewski, The Gospel of Mark, pag. 15-16, mia libera traduzione e mia enfasi)

se quel folle apologeta cattolico di Federico Adinolfi, con tutte le arie che si dà della sua presunta imparzialità scientifica (oggettivamente più spacciata che reale), leggesse queste parole del prof Adamczewski su Giovanni il Battista, non avrà mai l'onestà intellettuale di ritrattare le sue idee intorno alla ''relazione'' tra Gesù e Giovanni il Battista, idee viziate alla radice dalla più perversa brama apologetica di salvare a tutti i costi la storicità di un episodio evangelico ritenuto a torto ''imbarazzante'' e ''perciò'' *storico*. Ma il folle apologeta non conosce cosa vuol dire mutare la propria opinione a fronte di una nuova, migliore spiegazione dell'evidenza. Eppure è un prete cattolico a presentare quella spiegazione! Perfino io non saprei come spiegarmi che un prete cattolico sia capace di conciliare questa sua analisi con la sua fede. Ma poi mi ricordo del frate miticista Thomas Brodie e della sua appassionata difesa di un cattolicesimo privo del dogma della storicità di Gesù e giungo a intravedere perchè il cristianesimo è, in fondo, migliore di altre religioni crudamente letteraliste come ad esempio l'Islam: perchè permette a gente fondamentalmente onesta come Thomas Brodie, Paul Nadim Tarazi, John Shelby Spong, Markus Vinzent, e altri ancora di continuare a proclamarsi serenamente cristiani perfino dopo essere giunti a conclusioni nella ricerca scientifica che inducono a ritenere le loro chiese di appartenenza nel caso migliore, dei simulacri imbiancati, nel caso peggiore, dei manicomi di pazzi, dove la bontà dei pochi che sanno la verità - in breve: che il mito è più reale della Storia stessa - brilla sullo sfondo di tanto oscurantismo e bieco letteralismo.


Thomas L. Brodie


 
L'analisi di Tom Dykstra, che a suo tempo avevo già commentato, trova conferma nel nuovo lavoro di Adamczewski:
L'autore post-paolino del più antico racconto evangelico (che fu più tardi identificato con Marco probabilmente dovuto alla presunta prossimità di Marco ad entrambi Paolo e Pietro: si veda Filemone 24; 1 Pietro 5:13; si veda anche Colossesi 4:10; Atti 12:12.25) illustrò l'identità di Cristo come era stata rivelata nella persona, nella vita, e nelle lettere di Paolo l'Apostolo. Lo fece in accordo con la comprensione di Paolo della sua propria vita, precisamente in quanto rivelante l'amorevole, sofferente e glorioso Cristo ai suoi credenti (si veda ad esempio 1 Tessalonicesi 1:6; 1 Corinzi 11:1; Galati 1:16; 2:20; Filippesi 3:17-18).
Nella parte essenziale della sua presentazione narrativa di Gesù cristo il Figlio di Dio, che potrebbe essere nominata 'racconto di missione e opposizione' (Marco 1:1-15:15),
Marco rielaborò sequenzialmente i contenuti delle più importanti lettere di Paolo: 
Galati 1:1-6:15 (in Marco 1:1-7:37), 1 Corinzi 1:1-12:27 (in Marco 8:1-10:45), Galati 2:1 tematicamente combinati con Romani 9:1-15:33 (in Marco 10:46-12:44), e Galati 2:2-14 tematicamente combinati con 1 Tessalonicesi 1:10-5:24 (in Marco 13:1-15:15). Il conclusivo 'racconto di morte, seppellimento, e risurrezione' (Marco 15:16-16:8) era composto sulla base di 1 Corinzi 15:3-4 e Filippesi 2:6-11, con l'uso di numerosi altri testi paolini. 
Il modo di rielaborare particolari motivi paolini nel vangelo marciano differisce grandemente da pericope a pericope. A volte, Marco preservò parecchio dell'originale vocabolario paolino ... laddove a volte alluse meramente ai contenuti di sezioni strutturalmente corrispondenti delle lettere di Paolo (si veda ad esempio Marco 4:35-5:20 and Galati 1:21; Marco 7:24-37 e Galati 5:22-6:15). L'evangelista non si trattenne dalla rielaborazione piuttosto creativa di motivi letterati di Paolo, a volte con un grande senso di humour (ad esempio Marco 9:18c-e: una persona malata che schiuma e stride i denti; si veda 1 Corinzi 3:2-3: dare da bere latte e non cibo solido a causa di invidia e tensione nella comunità).

(pag. 134, mia libera traduzione e mia enfasi)
Se mai c'è stato un ''Gesù'' storico, quello non può essere stato altri che lo stesso uomo chiamato Paolo.

Ma non è finita:
Adamczewski sostiene di aver trovato anche una probabile dipendenza letteraria di Marco sulle opere di Flavio Giuseppe.
Lo sfondo palestinese geografico-storico-culturale della storia marciana del personaggio simil-Paolo di Gesù è stato copiato principalmente dalle opere di Flavio Giuseppe. Per esempio, Marco confluì in Marco 1:4-6 vari motivi che egli aveva copiato dai resoconti di Flavio Giuseppe riguardanti Giovanni il Battisa (Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.116-119), Teuda (Ἰορδάνης ποταμός, profeta: Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 20.97; si veda anche Marco 11:32), e anonimi pretendenti  che condussero le folle nel deserto (ἔρημ: Guerra Giudaica di Flavio Giuseppe 2.259; Ant. 20.167, 188). In modo simile, Marco rielaborò in Marco 6:17-27, allo scopo di illustrare il testo paolino di Galati 2:6-9.11-14, le storie di Flavio Giuseppe del matrimonio di Erode Antipa con Erodiade (Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.109-116) e della morte di Giovanni il Battista (Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.116-119) in modo tale che nel suo racconto Giovanni sorprendentemente morì prima di Gesù (Marco 6:14-29 diversamente Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.63-64, 116-119) e, inoltre, egli morì da qualche parte in Galilea e non a Macheronte (Marco 6:21 diversamente Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 18.119). Parimenti, il motivo particolare di κορβᾶν tradotto come  δῶρον (Mk 7:11) è stato più probabilmente copiato da Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 4.73, e il motivo di Zebedeo (Ζεβεδαῖος: Mk 1:19-20; 3:17; 10:35) si origina più probabilmente da Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe 5.33.17.
Oltre a questo, Marco usò numerosi nomi, altrimenti da nessuna parte (o solo raramente) attestati, per esempio semitici, nelle forme greche in cui appaiono nelle opere di Flavio Giuseppe (e.g.  Ἰωάννης ὁ βαπτιστής  [Ant. 18.116], Ζεβεδαῖος [Ant. 5.33],  Καφαρναούμ  [B.J. 3.519],  Γερασηνοί ?  [Guerra Giudaica 2.480 et al.], , ∆εκάπολις [B.J. 3.446],   Ἡρωδιάς [Ant. 18.110],  Βηθσαϊδά [Ant. 18.28],  κορβᾶν [Ant. 4.73 et al.], Σαδδουκαῖοι [B.J. 2.119 et al.], e Καϊάφας [Ant. 18.35, 95]). Inoltre, il modello geografico particolare dei movimenti del personaggio principale (Giudea - intensa attività in Galilea - Gerusalemme) sembra emulare l'auto-presentazione di Flavio Giuseppe nella sua Vita. Tutti quei fatti implicano che Marco creativamente utilizzò nel suo vangelo almeno Bellum ed Antiquitates di Flavio Giuseppe, e probabilmente anche Vita e Contra Apionem.

(pag. 136, mia libera traduzione e mia enfasi)

Flavio Giuseppe, e non solo: si sente chiaramente pure il canto meraviglioso di Omero - un cieco in grado di vedere meglio dei reali ciechi! - dietro l'allegoria riservata ai soli che hanno ''occhi per vedere'':
Il vangelo di Marco indica che il suo autore aveva almeno un'esperienza basilare di vocabolario aramaico (si veda ad esempio Marco 5:41; 7:34; 15:34), che gli permetteva di creare gioch di parole più o meno decifrabili con nomi aramaici o dal suono aramaico (ad esempio Marco 1:9.24; 3:17-19.22; 6:3; 9:5; 10:46-47.51; 11:1.21; 14:45; 15:7.11.15.22). D'altra parte, il vangelo marciano contiene solo un pò di nomi che non si possono trovare né nelle opere di Flavio Giuseppe e neppure provate in modo convincente di essere in qualche modo allusivi: Dalmanutha ((∆αλμανουθά:  Mk 8:10), Betania (Βηθανία Marco 11:1.11-12; 14:3), Getsemani (Γεθσημανί:  Marco 14:32), e Maddalena ((Μαγδαληνή:  Marco 15:40.47; 16:1). Questo fatto, assieme al modo di Marco altamente intertestuale di composizione della sua opera, implica che il vangelo marciano non è basato su alcuna particolare tradizione palestinese riguardante l'attività del Gesù storico.
Esiste tuttavia un'altra opera che è stata rielaborata in un modo sequenziale ipertestuale nel vangelo marciano: l'Iliade di Omero. L'uso di motivi omerici è chiaramente evidente nelle sezioni del vangelo marciano che dipingono un Gesù che viaggia in un territorio gentile (si veda, ad esempio, Marco 4:35-41 e Odissea 5.291-393 [ἄνεμος, κῦμα, ἀπόλλυμι, γαλήνη, *μεγάλ], 13.70-169 [[θάλασσα, πρύμνη, κύματα, ἄνεμος, πρὸς ἀλλήλους]; Marco 5:1-13 e Odissea 9.181-542 [λίθοισι, ὄνομα, δέω], 10.238-243 [trasformazione in porci]). Comunque, l'intera opera marciana, con il suo modello particolare di cangiante locazione delle scene narrative, con la sua interpretazione post-omerica piuttosto che post-paolina della ragione principale della morte di Gesù (δεῖ:  Marco 8:31; si veda 9:31; 10:32-34), con il suo complicato modello delle interazioni dell'eroe con la Deità e con i suoi oppositori, e con la sua particolare descrizione della morte e seppellimento dell'eroe principale, è strutturalizzata secondo la sequenza dei più importanti motivi dell'Iliade.
Marco usò l'Iliade di Omero come un aggiuntivo ipotesto strutturalizzante del suo vangelo allo scopo di dare alla sua opera un tipo di tensione drammatica, che pervaderebbe il suo intero racconto e che sarebbe familiare ai suoi lettori ellenistici. Inoltre, la raffigurazione di Gesù con le caratteristiche di Ettore, il solo personaggio regale asiatico che fu altamente rispettato dai greci dopo le guerre persiane, permise a Marco di presentare Gesù, il Messia Ebreo (e di conseguenza, Asiatico) che fu confessato essere il Signore del mondo intero, in un modo che sarebbe comprensibile e accettabile al pubblico greco. Di fatto, Marco creò un'opera che fu comparabile nel suo obiettivo all'Eneide di Virgilio: esso forniva una base letteraria alla nascente civiltà cristiana dell'Impero Romano.
L'invenzione di Marco di una versione narrativa davvero sofisticata, ma d'altra parte perfettamente comprensibile, del vangelo paolino fu cruciale allo sviluppo del cristianesimo gentile. Se il nuovo movimento religioso fosse stato equipaggiato solo con le lettere di Paolo, che sono piuttosto difficili da comprendere dagli outsiders, probabilmente non si sarebbe mai diffuso su tutto il mondo. In un certo senso, con il suo 'racconto di Gesù', Marco permise al cristianesimo paolino di prevalere sui suoi oppositori cristiani gentili (si veda specialmente Marco 6:1-7:5; 10:46-15:15 contro lo fondo di Gal 2:1-14) e di accattivarsi l'immaginazione e le anime di milioni di persone di tutte le culture e le generazioni.

(pag. 137-138, mia libera traduzione e mia enfasi)

Per quanto riguarda il vangelo di Matteo, la conclusione di Adamczewski è netta: l'autore di quel vangelo era un finto giudeocristiano, ma vero protocattolico. E per giunta basato su Atti degli Apostoli, quanto di più cattolico (e di tendenziosamente, apologeticamente ''cattolico'' nell'accezione più negativa del termine) si possa immaginare dell'intero Nuovo Testamento:
Il vangelo di Matteo è il terzo vangelo narrativo cristiano. Fu composto dopo i vangeli di Marco e Luca e dopo gli Atti degli Apostoli, così nel 130-140 EC circa. Più precisamente, numerosi dettagli del racconto matteano, come per esempio l'assenza di ogni riferimento al Tempio e ai suoi sacerdoti in Matteo 1-2 (a differenza dei testi più antichi tematicamente ad esso relativi, Luca 1-2 e Atti 1:1-6-7) e, d'altra parte, la presenza di allusioni agli impuri gentili poichè liberamente entranti nell'area del Tempio (Matteo 21:14; diversamente Luca 14:21) e che erigono simboli pagani nel 'luogo santo' ebraico (ἐν τόπῳ ἁγίῳ: Matteo 24:15; si veda Atti 6:13; 21:28; diversamente Marco 13:14) suggerisce che il vangelo di Matteo fu composto dopo la disfatta della rivolta di Simone bar Kosiba, così nel 135-140 EC circa.
Il luogo della composizione di Matteo era più probabilmente lo stesso di quello del vangelo di Marco e quello delle opere lucane, precisamente Efeso o più in generale l'Asia. Il vangelo di Matteo appartiene al gruppo degli scritti del Nuovo Testamento relativamente tardi che furono composti con l'uso della procedura di uso sequenziale ipertestuale non delle lettere paoline e post-paoline (si veda Romani, Galati, Efesini, 2 Tessalonicesi, 2 Pietro, Marco, Luca, e Atti) ma degli Atti degli Apostoli (si veda Ebrei, Apocalisse, e Giovanni).

(pag. 151, mia libera traduzione e mia enfasi)

Queste parole segnano per me ogni rinuncia ad investigare ancora oltre su un vangelo, quello di Matteo, che non ha nulla da dirmi perchè è solo pura propaganda pubblicitaria protocattolica, troppo tarda per contare veramente qualcosa nella ricerca delle Origini.
Nonostante il fatto che Matteo veicoli un numero di idee specificamente post-lucane, specialmente quella di un'unità della chiesa giudeo-gentile e quella della transizione necessaria del vangelo dagli ebrei ai gentili (con entrambi quelli aspetti ecclesiologi autorizzati e supervisionati dal carattere narrativo etopoietico di Pietro), esso fu per secoli  considerato il vangelo più antico, più apostolico, più ebraico, più giudaico, e storicamente più affidabile. Matteo evidentemente ebbe successo, mediante l'uso della tecnica dell'etopoietica, nella composizione di un'opera che si presentava distintintamente giudeocristiana e, per questa ragione, apparentemente apostolica. In realtà, Matteo è il vangelo che probabilmente influenzò di più la Chiesa fino ai tempi moderni.
(pag. 154-155, mia libera traduzione e mia enfasi)


Ecco la conclusione del prof Adamczewski nel 2011, ulteriormente e più approfonditamente dispiegata negli anni successivi fino ad oggi:
L'analisi sopra-presentata dei fenomeni di ipertestualità ed etopoietica negli scritti del Nuovo Testamento conduce alla conclusione che il Nuovo Testamento come un intero è un'impresa profondamente intertestuale-retorica. In realtà, la maggioranza degli scritti del Nuovo Testamento non hanno nessun riferimento diretto alla Storia.
Ad eccezione di un pò di lettere di Paolo l'Apostolo (specialmente 1 Tessalonicesi, 1-2 Corinzi, Filemone, e Filippesi), gli scritti del Nuovo Testamento si riferiscono principalmente ad altri testi (specialmente alle lettere paoline) e non direttamente ad eventi storici. In merito a questo, gli scritti del Nuovo Testamento ricordano parecchie opere ebraiche ed ellenistiche che sono state composte con l'uso della procedura di una rielaborazione creativa, ipertestuale e a volte sequenziale di opere letterarie più antiche.

(pag. 163, mia libera traduzione e mia enfasi)



A proposito: Adamczewski non crede affatto all'esistenza di Q. Dunque il prof Markus Vinzent non è il solo, oltre al prof Michael Goulder (per il quale Q è tutto un errore dall'inizio alla fine), a lanciare strali aggressivi contro una chimera dura a morire nelle accademie, lamentandosi apertamente dell'eccessivo conservatorismo dei suoi colleghi accecati dalla fede.

L'altro libro che dovrei leggere, e che mi presenta enormi sfide, è scritto addirittura tutto in tedesco. Ma tant'è: come ho imparato rapidamente in inglese pur di leggere i libri dei seri studiosi miticisti (e non le porcate italiote di quell'idiota di Pier Tulip) così sono sicuro che con lo stesso zelo riuscirò a comprendere un libro scritto tutto in tedesco, armato di tutto punto.

Il libro si intitola:


Frohe Botschaft am Abgrund: Das Markusevangelium und der Judische Krieg (German Edition) (German) Hardcover –
di Andreas Bedenbender

Solo sapere il titolo lascia subito preda del più forte sgomento:

Buone Nuove sull'orlo del precipizio. Il vangelo di Marco e la Guerra Giudaica

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