domenica 7 settembre 2014

Sulla mia interpretazione miticista delle origini

Penso sia giunto il momento di ricostruire lo scenario secondo me più probabile delle origini cristiane come avevo fatto in un ottimo post precedente, aggiornandolo sulla base delle mie nuove conoscenze. Confrontando quello che segue con la mia visione precedente, lascio al lettore la meraviglia di vedere cambiamenti o meno nel mio pensiero.

35 EC – 40 CE – nessun vangelo. Un movimento minuscolo ma diffuso, con centro a Gerusalemme, operava tra la classe media della parte orientale dell'Impero, suggestionata mediante il misticismo e l'occultismo dell'epoca dalla figura di un Messia profetizzato nelle Scritture ebraiche, che aveva già realizzato la sua missione, e che era ora accessibile solo attraverso visioni & rivelazioni celesti, puri contatti di unione mistica col divino, segni visibili dell'invisibile regno di Dio già misteriosamente presente e oramai prossimo a manifestarsi. La chiesa di Gerusalemme sembra aver mantenuto abbastanza legami coll'ebraismo da poter essere considerata solo una delle sue sette marginali.

Difficilmente potrei chiamarli cristiani o giudeocristiani: *ebrei cristiani* sembra più accurato.
L'esperienza di questi primi predicatori si cristalizza approssimativamente nella più antica tradizione orale.



35 EC – 40 CE – entra Paolo. I vari guru del movimento ne approfittano per ricevere e impartire ''istruzioni'' su quello che devono fare gli adepti durante la loro effimera esistenza terrena, per meritare ciascuno la propria salvezza personale. Emerge tra loro in particolare la forte personalità dell'uomo chiamato Paolo. Egli ritiene che il suo vangelo, il vangelo di Paolo, è il solo vangelo che preserva la fede di Gesù Cristo. Questo vangelo è derivato dalle Scritture e dalle rivelazioni personali di Paolo, e da nient'altro. Il solo vero messia è quello predicato da Paolo sia agli ebrei cristiani, sia ai pagani. Perfino i capi della chiesa di Gerusalemme, i Pilastri Pietro, Giacomo e Giovanni, devono adeguarsi. La crocifissione di Gesù annulla la Torah e dunque rende inutile l'appartenenza religiosa e culturale all'ebraismo. La croce di Gesù è dunque l'elemento essenziale del piano divino di salvezza, più importante perfino della sua risurrezione. Gesù è morto per la salvezza di tutti e quindi tutti devono accettare incondizionatamente il vangelo di Paolo. Anche gli altri apostoli. Anche i Pilastri. 
Inizialmente Paolo persuade Pietro ed ottiene carta bianca presso i pagani. Dopo qualche anno, temendo i suoi progressi nell'azione di proselitismo, i Pilastri, e in particolare Giacomo, decidono di rompere bruscamente il patto, osteggiando sempre più apertamente Paolo e la sua eccessiva apertura al mondo pagano e mostrando sempre più insofferenza nei suoi confronti (chiamasi strategia del fatto compiuto). Paolo prevede tutto questo e ricatta i Pilastri: accettino la colletta di soldi da lui raccolta presso i pagani a beneficio dei ''poveri'' (di Gerusalemme, Galati 2:10) e si convertano al suo vangelo, pena altrimenti la condanna da parte del Gesù di Paolo. I Pilastri rifiutano di prendere quei soldi e non cedono al ricatto. Un incidente diplomatico accade ad Antiochia, dove Pietro abbandona apertamente Paolo e rivela di appoggiare Giacomo contro Paolo. Perfino Barnaba, dapprima seguace di Paolo, lo abbandona. La rottura è completa. I Pilastri rinnegano in modo assoluto il vangelo di Paolo. Paolo è ora solo, con i suoi seguaci. Egli vede in tutto questo la volontà di Dio e si ritiene il solo preservatore della verità del vangelo. Inizia a scrivere epistole alle comunità da lui fondate o a lui guadagnate animato dalla convinzione di essere ispirato da Dio. Nell'intenzione di Paolo, le lettere di Paolo vanno considerate Scrittura sacra dai suoi seguaci ebrei e non-ebrei. Per garantire che le sue comunità non lo abbandonino, Paolo stimola i suoi seguaci ad esperire le sue stesse visioni e rivelazioni celesti, alimentando il loro misticismo, il loro spirito profetico e altri fenomeni allucinatori. Così i suoi seguaci si ritengono essi stessi ispirati dallo Spirito Santo e non cedono alle rivendicazioni dei Pilastri perchè non hanno più bisogno di loro, trovando tutto questo già profetizzato nelle Scritture ebraiche (Geremia 31:31-34).
Questo è il senso dei moniti di Paolo:
 “Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione” (1 Tessalonicesi 1:5).
“Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie.” (1 Tessalonicesi 5:19-20)
Quando Paolo dice:
 “Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito” (1 Tessalonicesi 4:8)
lo scopo di Paolo nell'enfatizzare il ruolo dello Spirito Santo è di far sentire indipendenti anche spiritualmente i suoi seguaci dagli altri apostoli e Pilastri, facendoli camminare con le loro gambe: lo Spirito Santo diventa dunque uno strumento nelle mani di Paolo e non il suo vero oggetto d'interesse, almeno in questo caso.


Paolo muore. I suoi seguaci collezionano le sue lettere e le considerano la loro fonte di autorità. Aggiungono altre lettere alla collezione (ad esempio Colossesi) in linea con la sua teologia e per rispetto le attribuiscono a lui. Ma ben presto l'assenza di Paolo lascia i suoi seguaci in una posizione instabile senza più un apostolo a sostenerli.


 LE PROVE: le lettere di Paolo e la lettera agli Ebrei, i nostri più antichi documenti, illustrano la totale assenza di tracce di un Gesù umano in Paolo e contemporaneamente mostrano un mare di tracce della fede in un essere divino. Gesù non fu notato dai suoi contemporanei perchè non era ancora stato inventato - o, almeno, stava appena iniziando ad essere inventato. Le lettere di Paolo rappresentano un'antica fase in quel processo quando Gesù fu più uno spirito divino che un intruso umano. Paolo descrive pratiche mistiche e occulte riguardo al compito di ciascuno nella comunità ''secondo la propria parte'', in 1 Corinzi 12-13. Si veicolano significati ''secondo le Scritture'', vale a dire attingendoli per intero dalle Scritture. Dalle lettere di Paolo si intuisce che sta parlando di un'entità visionaria, mai scesa sulla terra (se non forse nel più totale anonimato e nella più totale invisibilità, il che è lo stesso ed è perfino meno probabile), che dialoga con l'Apostolo, via esperienze mistiche di connessione con la divinità oppure tramite rivelazioni stimolate da una connessione col divino sempre presente e mai davvero esauritasi del tutto (Paolo cioè comunicava telepaticamente col divino perfino quando faceva azioni meccaniche in pubblico).



70-90 EC - qualcuno scrisse il vangelo di Marco - Le lettere di Paolo, perfino se considerate ispirate da Dio al pari delle Scritture ebraiche, non sono più sufficienti ad assicurare l'indipendenza e la serenità dei seguaci di Paolo dalle continue rivendicazioni degli ebrei cristiani seguaci dei Pilastri. I seguaci di Paolo sentono il bisogno di un'autorità maggiore di Paolo in grado di conferire autorità al vangelo di Paolo in sua assenza e contro quella dei suoi rivali. La sola più alta autorità maggiore di Paolo sarebbe Gesù. Ma di Gesù i seguaci di Paolo conoscono solo (dalle sue lettere) che è crocifisso ed è risorto e nient'altro. Così nasce l'idea di inventare un'allegoria di Gesù sulla Terra, nella Storia, come un uomo divino, con tanto di una famiglia terrena, discepoli e nemici, azioni e detti, ed una descrizione terrena della sua ordalia.
Quell'allegoria è pensata per essere sin dall'inizio Sacra Scrittura come le altre Scritture ebraiche. Il suo anonimo autore (o più di uno) è il nuovo leader dei discepoli di Paolo. Il suo vangelo non è una collezione di precedenti tradizioni orali ma è un'invenzione letteraria creata attingendo dall'Antico Testamento, dai poemi di Omero, dalle lettere di Paolo e dalla propria fantasia.
Quell'allegoria deve essere diffusa e letta a voce alta tra i cristiani paolini nella speranza che raggiunga, come effetto collaterale, anche l'orecchio degli ebrei cristiani, oramai non più presenti a Gerusalemme dopo la distruzione della città e del suo Tempio da parte dei Romani. Lo scopo principale di quell'allegoria è di rompere il legame tra gli ebrei cristiani e la loro matrice ebraica, ancora vivo nonostante la distruzione di Gerusalemme: porre Pietro nel campo di Paolo, perchè Pietro è considerato meno ribelle rispetto a Giacomo, il più acerrimo oppositore storico di Paolo. In questo senso l'autore del vangelo di ''Marco'' ha creato una lettera ''in codice'' ai seguaci dei Pilastri per convincerli a convertirsi al vangelo di Paolo, l'unico vero vangelo.
Quel che rimane della chiesa di Gerusalemme e dei seguaci di Pietro, e dunque attraverso loro il resto degli ebrei, sono invitati a lasciare la Gerusalemme Terrena che era destinata (al tempo della fiction) a venire distrutta e che è ''puntualmente'' già distrutta al tempo in cui Marco scrive. Questo è lo scopo principale dell'allegoria, il primo messaggio che il suo autore intende veicolare attraverso la storiella del vangelo.
 Il messaggio ai seguaci dei Pilastri non è veicolato in modo chiaro, ma cripticamente, nascosto dietro lo stile della Torah. In apparenza parla di Gesù e dei suoi insegnamenti sotto forma di storie.

Ma ad un più alto livello comunica qualcosa di diverso, un messaggio diverso, consegnato mediante le storie inventate su Gesù e sul suo insegnamento e attraverso i nomi dati ai personaggi di quel vangelo che sono convenienti ai suoi scopi. La memoria dei rivali storici di Paolo è diffamata nell'allegoria dipingendoli costantemente in errore, traditori, ladri e perfino blasfemi. I simboli, le implicazioni, i mezzi, i giochi di parole, e gli stili che l'autore di Marco ha utilizzato sono tecniche letterarie. I nomi attribuiti ai personaggi sono scelti in base al valore simbolico che aiuta l'autore a trasmettere il suo messaggio. Non sono nomi di personaggi veri, reali. Invece sono nomi che l'autore di Marco si è fantasiosamente inventato per puntare simbolicamente a ciò che più gli interessa di volta in volta nel ''vangelo di Paolo'' e per comunicare, solo a coloro che hanno occhi per vedere, il messaggio segreto circa il vangelo di Paolo. 


Solo una conoscenza esoterica può dare una chiave a quei simboli e una soluzione agli enigmi e rivelarne le implicite allusioni. Parole ed espressioni simboliche, raffigurazioni e allusioni, ''quel che intende dire veramente Marco'', il vero ''significato'', riempiono a tal misura il suo vangelo al punto che è impossibile per l'ignaro lettore determinare la differenza tra cosa è simbolico e cosa è reale!



La Non-Vita di Gesù è intrecciata segretamente ai fatti salienti accaduti a Paolo e descritti nelle sue lettere.
La voce di ''Gesù'' è quella di Paolo. La stessa ''vita'' di Gesù è un'icona di Paolo. Perfino Giovanni il Battista è fatto rappresentare per gli ebrei quello che Paolo rappresenta per i cristiani gentili. Gesù che va nel deserto (Marco 1:12) vicino a Gerusalemme allude al viaggio di Paolo in Arabia invece che a Gerusalemme. Si allude alla congenita ambiguità di Pietro nei confronti di Paolo mediante la parola greca usata nella descrizione di Simone e Andrea nell'atto di gettare (
ἀμφιβάλλοντας, Marco 1:16) le reti: la parola per ''reti'' è mancante e
ἀμφιβάλλοντας si può tradurre anche come ''oscillanti'', ''vacillanti''.
Pietro non è fedele alla parola di Dio: tradisce Gesù perchè ha rotto il patto concordato con Paolo a Gerusalemme. Quel che accadde ad Antiochia, vuole alludere il vangelo di Marco, quando Pietro tradì Paolo passando dalla parte di Giacomo, fu blasfemia contro lo Spirito Santo: così Pietro nel vangelo è trattato come un traditore e un blasfema contro lo Spirito Santo e condannato da Gesù in persona come ''satana'' (Marco 8:33).
I pilastri Giacomo e Giovanni diventano nell'allegoria i figli di Zebedeo. In Marco 1:20 essi riparano le reti insieme al padre e ai servi,
(τῶν μισθωτῶν, Marco 1:20, traducibile anche come mercenari): perchè sono figli di Zebedeo e Zebedeo è un nome che nel libro di Giosuè allude ai membri di Giuda la cui professione è quella di mercenari. Giacomo e Giovanni vogliono il potere sulle nazioni e si sono macchiati di tradimento contro Paolo quando ruppero gli accordi di Gerusalemme.

Nell'allegoria, Maria è la madre di tutti i fratelli di Gesù ''secondo la carne'' che rappresentano soprattutto gli ebrei cristiani e in secondo luogo tutti gli ebrei.  Maria non rappresenta la madre dei veri fratelli del Signore, ossia i veri cristiani, i seguaci di Paolo. Maria è dunque un simbolo del vecchio, corrotto Israele, nella tradizione profetica che identifica Israele come una moglie (Osea 1:1-3) o una donna (Ezechiele 16 e 23): in Osea e in Ezechiele quella donna simbolo di Israele è la donna adultera e fornicatrice. Così Maria, la madre di Gesù, è simbolo degli ebrei cristiani e dell'infedeltà di Israele, un simbolo di fornicazione contro Dio.
Maria e i Pilastri sono simboli di infedeltà a Dio nel vangelo di Marco. 
Come il concetto di una madre terrena di Gesù, così il concetto di un Giacomo fratello biologico di Gesù nasce solo ora, con Marco, in quanto iperbole letteraria intesa a fare un punto essenzialmente teologico: Giacomo può essere persino reputato Pilastro dagli altri credenti ma Dio non ha riguardi per nessuno, scrive Paolo ai Galati. Di conseguenza anche nell'allegoria il ruolo di Giacomo può essere esagerato al massimo perfino presentandolo come uno dei fratelli biologici di Gesù, ma Gesù considera suoi fratelli solo i veri
''fratelli del Signore'', ovvero i veri cristiani, i seguaci di Paolo. E dunque, se Giacomo non sarà un vero fratello del Signore perchè non intende aprirsi al vangelo di Paolo, non gli servirà a nulla essere rinomato come Pilastro, a maggior ragione non gli servirà a nulla essere considerato nel ruolo più prestigioso di tutti, fosse addirittura quello iperbolico (e dunque non reale, non storico) di fratello di Gesù ''secondo la carne''.
 
 L'asino legato in Marco 11:4 che Gesù vuole liberare inviando due suoi discepoli rappresenta gli ebrei cristiani non ancora liberati dal vangelo di Paolo perchè ancora ''legati'' alla Torah. Lo stesso Gesù risorto non appare nel vangelo perchè connette chiaramente la sua autorità a quella di Paolo, che già precede Pietro nella Galilea dei gentili e dunque è lui il primo e il più grande degli apostoli.
L'autore di Marco va a completare quello che Paolo ha cercato parzialmente di fare durante la sua esistenza, inventandosi un Gesù che invita Simone (Pietro) a seguirlo da Gerusalemme nella terra dei gentili. Parimenti, in Marco 14:3-11, a Betania, letteralmente ''Casa dei Poveri'' (allusione ai ''poveri'' di Gerusalemme) il ''Gesù''/Paolo di Marco invita i presenti a prendere posizione o con il Gesù del vangelo di Paolo oppure con gli ebrei cristiani ribelli al vangelo Paolo.
 L'eroe della storia nel vangelo di Marco allora non è Gesù, ma Paolo che predica Gesù. Gesù è continuamente l'ombra di Paolo, un'immagine di Paolo, un'allusione a Paolo.


Quindi gli attori dell'allegoria, come Gesù e Giovanni il Battista, sono solo descritti in un modo adeguato al messaggio che l'autore di Marco vuole veicolare, non per preservare inesistenti tradizioni orali.

Il vangelo di Paolo, ora plasmato in un'allegoria venduta come Parola di Dio, invita quel che rimane degli ebrei cristiani a recidere ogni legame con un recalcitrante ebraismo oramai considerato estinto dopo i tragici fatti del 70 EC. 


Dunque si raggiungono principalmente tre scopi:
1) si invia un messaggio in codice agli ebrei cristiani e ai loro leader,
2) si crea una Non-Vita per Gesù da leggere ad alta voce nella comunità proprio come le profezie, in quanto parola di Dio,
3) si dà un'ultima possibilità di redenzione ai cristiani ebrei e agli ebrei non cristiani.



A questi scopi se ne aggiunge un quarto:

4) si adatta l'allegoria in retrospettiva al tetro scenario apocalittico post-70, in reazione al crollo di Gerusalemme e alla minacciata estinzione di Israele, facendo di Gesù il simbolo del nuovo Israele spirituale sopravvissuto nel nuovo ordine mondiale, ovvero la chiesa giudeo-gentile.



Una scuola o una comunità di ebrei cristiani sfuggita all'Olocausto del 70, non so se appartenente o meno alla stessa comunità paolina alla quale apparteneva ''Marco'' ma sicuramente una comunità in possesso di una visione un pò più letteralista di Gesù al fine di renderlo più aperto e più favorevole alle istanze ebraiche in funzione anti-gentile (il Gesù di Marco infatti *si chiude* alle aspettative dei discepoli, laddove il Gesù di Matteo *si apre* ai discepoli, rappresentanti degli ebrei cristiani), riprende l'idea iniziale di Marco, e modella un vangelo di Matteo che in qualche modo rende più accettabile il vangelo precedente anche agli ebrei cristiani che quel vangelo aveva troppo disprezzato: ''cattolicizza'' Marco. Questo vangelo di Matteo diventa il vangelo centrale dell'intero nuovo movimento ortodosso (tant'è che fu a lungo considerato il PRIMO vangelo, e figura prima di Marco in ogni Bibbia che abbiamo). In questo vangelo la figura del Pilastro Giacomo è riabilitata correggendo il vangelo precedente di Marco e rendendolo dal sapore più ebraico.

Quanto a Barnaba, il traditore di Paolo, il suo nome non è associato a nessun vangelo canonico. Egli è il perfetto prototipo dell'Anticristo come lo raffigura 1 Giovanni 2:18-19 :
“Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri.”





LE PROVE:
il vangelo di Matteo fu in effetti considerato il più antico e popolare vangelo dai proto-ortodossi o proto-cattolici, sebbene si tratti di un'emerita colossale menzogna perchè è evidente che dipende fortemente da Marco. Il primo vangelo, Marco, deve il suo contenuto unicamente all'Antico Testamento, ai poemi di Omero, alle lettere di Paolo e alla fantasia del suo autore. Vi è una totale assenza di prove in Paolo (naturalmente vissuto assai prima) che qualcuno degli apostoli giunti prima di lui avesse conosciuto di persona la figura del culto. Combina questo fatto anche al dettaglio per nulla trascurabile della TOTALE e onnipresente assenza di prove pagane esterne o interne che possano confermare indipendentemente l'esistenza dell'uomo Gesù.




90-150 CE – Il vangelo di Luca rappresenta il momento in cui un autore stava realmente cercando di ingannare la gente per indurla a credere che un Gesù storico esisteva.
Gli hoi polloi, almeno tra i cristiani, al tempo in cui Luca fu prodotto, erano in prevalenza storicisti.
Luca e Atti degli Apostoli sono inventati di sana pianta in tutta risposta alla minacciosa popolarità dell'eresia di Marcione (ancora un piccolo movimento tuttavia, come il resto del culto, e ancora diffuso tra la classe media), un pericolo che si delineava su tutta la lunghezza del fronte proto-cattolico giungendo a comprometterne seriamente le pretese.  Luca si basò su Marco e Matteo. Gli Atti degli Apostoli mirano a riscrivere la Storia presentando un'immagine completamente romanzata, armonica e unita della chiesa primitiva, ridimensionando l'autorità e l'eredità di Paolo per timore che di loro se ne impadronissero le rivali chiese gnostiche e marcionite ma parallelamente trasformando Pietro in una specie di proto-Paolo e dunque in un portatore del vero vangelo (quello di Paolo). Nella tendenziosa propaganda proto-cattolica nota come Atti degli Apostoli Pietro non solo è del tutto in sintonia con Paolo ma difende anch'egli la causa dell'unico vero vangelo ed entrambi sono ciascuno un alter Christus di suo proprio diritto.  Per questo tempo, la Grande Chiesa, ovvero il nascente cattolicesimo, sta iniziando a muovere i primi passi, e inizia a combattere la sua battaglia per sopraffare una dopo l'altra le variegate forme del credo già insediatesi da tempo e risalenti più o meno alle originarie comunità paoline o giudeocristiane.
Verso la fine di questo periodo viene scritto il vangelo di Giovanni, forse basandosi su un vangelo gnostico precedente  (sono d'accordo con Earl Doherty su questo punto: si veda pag.289-291 del suo Jesus: Neither God Nor Man e questo post di Vridar). Nel frattempo, un diluvio di vangeli gnostici ed ebioniti vengono scritti in risposta ai primi due, una vera e propria effusione naturale dell'idea che il Cristo ha camminato sulla terra.



LE PROVE: esiste l'opinione tra gli studiosi che Luca e Atti degli Apostoli si devono alla stessa mano proto-cattolica. Il tenore di quei due documenti infatti è cattolicizzante al massimo ed è sempre stato riconosciuto come tale. La ''povera storia'' di Atti degli Apostoli è pura tendenziosa propaganda proto-ortodossa volta a rafforzare dogmaticamente il mito della Successione Apostolica, a scapito di Paolo e di chi si appellava ancora (e con successo, a quanto sembra) all'autorità di quel ''Colossale Impressionante Apostolo''. L'inganno e la concorrenza reciproca tra cattolici e gnostici portarono a creare le Pastorali pur di ribadire la pretesa di parlare per bocca di Paolo. Potrebbe dunque esserci la concreta possibilità che anche Giovanni fosse l'ennesimo tentativo proto-cattolico di cooptare a bordo della Grande Chiesa gli gnostici. La strategia politica è sempre quella: prendi un vangelo che è popolare presso gli gnostici, e cattolicizza quel vangelo per fagocitare i suoi lettori nella tua chiesa. Gli gnostici, dal canto loro, si unirono all'orgia storicista, l'orgia che prevedeva il fare costante appello alle parole del ''Gesù storico'' e dei suoi discepoli per rivendicare il proprio unico possesso della Verità, con un diluvio di vangeli gnostici.



150 – 200 CE – per questa fase, la Grande Chiesa sta iniziando ad allungare il suo braccio mostrando spavaldamente i muscoli: ora che ha potere e denaro sufficienti a unificare gradualmente il variopinto movimento cristiano attorno alla sua propria versione del mito storicizzato, un mito che in misura crescente rappresenta l'unico consentito in un apposito ''canone'', rendendo falsi ipso facto tutti gli altri. La Grande Chiesa è anche abbastanza fortunata da meritare tra le proprie fila anche delle menti brillanti e abili nella persuasione perchè allenati nella retorica come Giustino o altri Padri della Chiesa. Non c'è più necessità di scrivere vangeli, di inventarsi profezie, di occultare pratiche o esegesi eretiche: i veri eredi delle comunità cristiane disseminate originariamente da Paolo sono andate nel frattempo estintesi o in ultima istanza considerate eretiche e fuorilegge.


200 – 400 CE – il movimento cattolico si va posizionando gradualmente al centro come un vero e proprio movimento di massa. Cresce a dismisura ancora di più, ed entro la fine di questo periodo è perfettamente in grado di presentarsi a Costantino, debitamente aggiustato, incipriato, azzimato, profumato, inghirlandato e pettinato, come l'unica possibile alternativa religiosa in grado di unificare un Impero ormai giunto al tramonto.


Il lettore avrà notato come ho cambiato le mie idee rispetto al passato. Ora ritengo che la scuola di Paolo sia dietro tutta, o quasi tutta, la letteratura del Nuovo Testamento, dietro i vangeli di Marco, di Matteo e di Luca e dietro le epistole,  ma non dietro il libro dell'Apocalisse (violentemente anti-paolino). Il Nuovo Testamento solo parzialmente rappresenta il prodotto di leader ecclesiastici protocattolici che selezionavano quali libri devono essere considerati canonici e quali no. Perchè è anche vero che parte cospicua di quella letteratura fu semplicemente creata dalla scuola di Paolo e imposta come parola di Dio a tutti i cristiani dalla scuola di Paolo. Le scelte dei leaders della chiesa era dunque in parte condizionata da quello che fu a loro presentato. Le differenze tra vangelo e vangelo e tra epistola e epistola ricalcano l'evoluzione, oltre che del concetto di Gesù negli anni (da puro spirito a concreto ebreo di Galilea), anche dell''ideologia che quella medesima scuola dovette subire nell'affrontare un ostile mondo pagano, vangeli e Cristi rivali, vecchi e nuovi concorrenti sulla scena, scismi ed eresie di turno. Furono i paolini dietro ''Marco'' a inventarsi un Gesù umano del tutto antitetico agli ebrei cristiani seguaci dei Pilastri, e furono gli stessi paolini dietro ''Matteo'' a decidere poi una riabilitazione parziale della memoria storica dei Pilastri, per terminare, quando Gesù era ormai storicizzato da un pezzo, con la propaganda romanzata completamente revisionistica di Luca-Atti degli Apostoli  oramai proto-cattolica, ovvero ''universale'', nel tentativo coronato dal successo di rimarginare antiche e nuove ferite cooptando il maggior numero possibile di cristiani sotto l'egida di un solo e unico vangelo.