sabato 21 giugno 2014

Sulla fine del teismo (e del “Gesù storico”)

Ho deciso di verificare la pretesa alla verità del cristianesimo. Sono ben cosciente che è congenito della natura umana far propendere la decisione verso dove suggerisce la più profonda delle nostre inclinazioni. Dunque il solo modo per provare la verità di una pretesa è cercare di provare la sua falsità. La cosa potrebbe sembrare strana, eppure prima di giungere alla nostra conclusione è necessario passare mediante un rigoroso processo di scetticismo. La più profonda metodologia è l'esame attraverso il Dubbio.

Certamente i cristiani, folli apologeti come sono, si troveranno a disagio con il Dubbio.
Perchè in discussione è il loro concetto di ''fede'': devi prima avere fede, e solo dopo puoi sapere la verità. Che è demenza totale, pura follia apologetica. Ogni verifica imparziale e non prevenuta dei fatti è di fatto messa fuori gioco una volta che la ''fede'' viene fatta assurgere ad arbitro ultimo e definitivo di conoscenza. Puah!


Un esempio luminoso della bancarotta mentale dei folli apologeti sarebbe di figurarsi due persone con tanto di pistole puntate all'altezza della loro fronte. Chi dei due ha fede dirà: ''ho fede che nessun danno mi verrà dal premere il grilletto''. L'altro più ragionevole direbbe invece: ''prima mi assicuro che la pistola sia scarica, e poi posso premere il grilletto quante volte voglio, perfino puntando l'arma contro la mia tempia''. Ovviamente parecchi si ritroverebbero ad approvare ad occhi chiusi quest'ultima più prudente precauzione e la terranno come esempio, salvo quando si viene in materia di quella schifosa parola che è la ''religione''!

Ma la fede dei folli apologeti è così ostinata e pervicace che fino a quando si darà per scontato che un ordinario essere umano non sovrannaturale di nome Gesù abbia dato origine al cristianesimo, sempre si considereranno in diritto di ritenere che nella ghiandola pineale (di cartesiana memoria) del suddetto personaggio ''realmente esistito'' vi sia magicamente manifestato il link alla ''seconda persona della trinità'' o qualcosa del genere. Quella sarà sempre la risposta dei dementi folli apologeti della rete, che si chiamino Gianluigi Bastia o Jerim Bognadic Pischedda, Valerio Polidori o James McGrath: la manifestazione del più cieco e irrazionale fideismo!

Sono parecchie le religioni che non reggono al più severo esame una volta che si individua la loro fragile fondamenta sul soprannaturale. Ma mentre la rimozione del soprannaturale non impedisce a quelle religioni di continuare a proclamare il loro messaggio, la religione cristiana trae tutta la sua linfa vitale e la sua sottile forza di persuasione unicamente dal presupporre un Gesù storico alla sua (anche soltanto più indiretta) origine, col risultato che perfino i folli apologeti atei che godono nello sputarvi sopra tutto il loro disprezzo anticristiano -- come fece a suo tempo Celso -- , ebbene, perfino loro, fanno alla fine il gioco degli stessi folli apologeti che senza posa proclamano la divinità del Figlio di Dio. La loro fede deve fare quadrato attorno a quel simulacro ''storico'' perchè ne costituisce l'essenza e la naturale evoluzione storica. Una fede così pervicace, così congenita, da pervadere coi suoi miasmi ancora la modernità occidentale.

Ma il criticismo dei cosiddetti testi sacri, iniziato con Spinoza, deve continuare ancora e ancora, inarrestabile.

Così scriveva, profeticamente, Arthur Drews, a conclusione del suo The Christ Myth:
Al presente esistono solo due possibilità -- o attendere pazientemente mentre l'ondata della marea del naturalismo, divenendo sempre più potente di giorno in giorno, spazza via l'ultima traccia del pensiero religioso, oppure trasferire il debole fuoco della religione alla base del Panteismo, in una religione indipendente da ogni sorveglianza ecclesiastica. Il tempo del dualistico Teismo è passato. Al presente tutti gli spiriti elevati, nelle sfere più diverse, concorrono nel tendere verso il Monismo. Questa tensione è così profondamente fondata e così ben giustificata, che la Chiesa non sarà capace di sopprimerla per sempre. Il principale ostacolo ad una religione e attitudine monistica è la fede, inconciliabile con la ragione o la storia, nella realtà storica di un ''unico'', ideale e insorpassabile Redentore. 
(Arthur Drews, The Christ Myth, pag. 300, mia libera traduzione e mia enfasi)

Anch'io penso che il teismo, almeno nella sua traduzione occidentale cristiana, è ormai qualcosa di inconcepibile a priori dall'uomo moderno, a meno di non voler ridicolizzare la questione, perfino nelle sue versioni più apparentemente ''liberali'', e tuttavia perfino Arthur Drews ne risulta ancora influenzato.


Io non ho bisogno di un Gesù storico di qualsiasi sorta per fondare la mia fede nell'unico dio che da sempre esiste e che per esistere non ha bisogno altro che di sè, il Deus sive Natura del più vero Spinoza che dello Spinoza interpretato da Einstein (quel panteismo, espresso anche da Arthur Drews, che Richard Dawkins definì ateismo ''stuzzicante''), come è spiegato nelle seguenti sublimi parole di uno dei massimi esperti viventi della filosofia di Baruch Spinoza, ovvero il prof. Steven Nadler:
L'aspetto più difficoltoso della concezione spinoziana di Dio, quel che rende problematico un vero teismo, è l'identificazione di Dio con la Natura e l'eliminazione della trascendenza di Dio. È stato spesso detto, nei secoli, che Spinoza è un panteista. Ora quel che è distintivo circa tutte le forme di panteismo è la negazione della trascendenza di Dio. Fin qui, l'etichetta sembra applicarsi. Ma il ‘panteismo’ può venir preso in almeno due sensi. In primo luogo, il panteismo può essere inteso come (a) l'affermazione che Dio è ontologicamente distinto dal mondo e dai suoi contenuti ma nondimeno ubiquamente “contenuto” o “immanente” entro di loro, forse nel modo in cui l'acqua è contenuta in una spugna inzuppata o il succo è contenuto entro un frutto. Questo si potrebbe chiamare “panteismo immanentista”. In secondo luogo, il panteismo può essere inteso come (b) l'asserzione che Dio è in realtà identico con ogni cosa che esiste. “Dio è ogni cosa e ogni cosa è Dio,” come è stata espressa la posizione. In base a questa vista, Dio è il mondo e tutto ciò che è in esso, e niente di separato da esso. Questo sarebbe “panteismo riduttivo.” Nonostante il fatto che Spinoza ci dice esplicitamente che Dio è “immanente” in Natura, egli chiaramente non è un panteista nel primo senso immanentista. La frase ‘Dio ossia la Natura’ è volta ad asserire una stretta identità numerica tra Dio e la Natura, non una relazione di contenimento.  Dio non è “in” Natura in modo tale che la natura contenga, in aggiunta ai suoi naturali contenuti, un contenuto separato divino e soprannaturale. Non esiste nessuna scintilla o spirito o essenza divina nè nelle cose naturali e neppure in o sotto la Natura nella sua interezza. Ma neppure, insisterei, è Spinoza un panteista nel secondo e più riduttivo senso, ed è importante vedere perchè.
Contro questo, potrebbe sembrare che il dibattito sull'identificazione o meno di Dio con la totalità della Natura o con solo una parte della Natura (vale a dire, la Natura naturans), esaminata nel capitolo precedente, è cruciale alla questione del presunto panteismo di Spinoza. Dopotutto, se il panteismo è la vista che Dio è ogni cosa, allora Spinoza è un panteista solo se lui identifica Dio con tutta la Natura -- cioè, solamente se adottiamo l'implicita interpretazione della relazione tra la sostanza e i modi nella sua metafisica. In verità, questo è esattamente come si incornicia la questione nella letteratura recente (che, a differenza dei dibattiti sulla vista spinoziana di Dio nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, comporta meno passione religiosa e politica e più scrutinata analisi).
Entrambi quelli che pensano che Spinoza è un panteista e quelli che credono che non è un panteista si focailzzano sulla questione della identificazione o meno di Dio con la totalità della Natura, compreso i modi finiti, o solamente la sostanza e gli attributi ma non i modi. Vorrei suggerire, comunque, che questo dibattito circa la misura dell'identificazione spinoziana di Dio con la Natura non è veramente il punto. Ad esser precisi, se per ‘panteismo’ è intesa l'idea che Dio è ogni cosa, e se si legge Spinoza che dice che Dio è solo Natura naturans, allora il Dio di Spinoza non è ogni cosa e di conseguenza lui non è un panteista. Le cose finite, in base a questa lettura, seppur causate dagli eterni, necessari e attivi aspetti della Natura, non sono identici con Dio o la sostanza, ma piuttosto ne sono gli effetti.
Ma questo è non il senso interessante in cui Spinoza non è un panteista. Infatti perfino se Spinoza invero identifichi Dio con la totalità della Natura, non segue da questo che Spinoza sia un panteista. La questione reale è non quale sia l'adeguata lettura della metafisica della concezione spinoziana di Dio. In base ad un'interpretazione alternativa, la mossa di Spinoza è una mossa naturalistica e riduttiva. Dio è identico o con tutta la Natura o con soltanto una parte della Natura; per questa ragione, Spinoza condivide qualcosa con il panteista (nella sua versione riduttiva). Ma -- è questo è il punto importante -- anche l'ateo può, senza neppure molta difficoltà -- ammettere che Dio è nient'altro che la Natura. Il panteismo riduttivo e l'ateismo sono, in termini ontologici, estensionalmente equivalenti, dal momento che nessuno dei due riconosce qualcosa al di sopra e al di là del naturale. Piuttosto, la questione del panteismo di Spinoza va davvero a trovare una risposta sul piano psicologico delle cose, riguardo l'adeguata attitudine da prendere verso il Deus sive Natura. Insisterei che, qualunque delle due letture della relazione sostanza/modo si adotti, è un errore definire Spinoza un  “panteista” nella misura in cui il panteismo è ancora un tipo di teismo.
Quel che distingue davvero il panteista dall'ateo è che il panteista non rigetta come inappropriate le attitudini psicologiche religiose richieste dal teismo.


Invece, il panteista semplicemente afferma che Dio -- un essere di fronte al quale si deve adottare un'attitudine di rispettoso timore reverenziale -- è oppure è esteso per tutta la Natura. E nulla poteva essere così distante dallo spirito della filosofia di Spinoza.   Come abbiamo già visto in qualche misura, e come esamineremo più in dettaglio nei capitoli successivi, Spinoza non crede che un rispettoso timore reverenziale sia un'attitudine appropriata da prendere di fronte a Dio ossia la Natura. Non esiste nulla di santo o di sacro riguardo la Natura.  È certamente non l'oggetto di un'esperienza religiosa -- con le sue concomitanti emozioni di speranza e timore -- e non c'è posto nel sistema di Spinoza per un senso di mistero al cospetto della Natura. Invece, si dovrebbe cercare di comprendere Dio ossia la Natura, con il genere di adeguata o chiara e distinta conoscenza intellettuale che rivela le più importanti verità della Natura e mostra come ogni cosa dipenda essenzialmente ed esistenzialmente da più alte cause naturali. La chiave per scoprire e sperimentare Dio, per Spinoza, è la filosofia e la scienza, non il timore reverenziale religioso o la rispettosa sottomissione. Queste ultime inducono solo al comportamento superstizioso e alla sottomissione ad autorità ecclesiastiche; le prime conducono all'illuminazione, alla libertà, e alla vera credenza (vale a dire, alla pace della mente). Ad essere precisi, Spinoza è a volte capace di un linguaggio che sembra profondamente religioso. Egli dice che “sentiamo e conosciamo per esperienza di essere eterni” (VP23s), e che virtù e perfezione sono accompagnate da un “amore di Dio [amor Dei]” (VP15, VP32s, VP33). Ma, come vedremo, tali frasi non sono neppure date con il loro tradizionale significato religioso. Il progetto naturalistico e razionalista di Spinoza richiede di rifornire quelle nozioni di un'adeguata interpretazione intellettualista. Quindi, l'amore di Dio risulterà essere semplicemente una consapevolezza della definitiva causa naturale della gioia che accompagna il miglioramento della propria condizione che reca il terzo tipo di conoscenza (intuitus); amare Dio è nient'altro che comprendere la Natura. E l'eternità alla quale si partecipa è rappresentata solamente dalla conoscenza di eterne verità che
costituisce una parte della mente. Ci fu un gran dibattito nel diciottesimo secolo tra i filosofi tedeschi Friedrich Jacobi e Moses Mendelssohn chiamato Pantheismusstreit. Tra le questioni c'era se o meno i panteisti sono atei, e in particolare se Spinoza fosse o meno un panteista; e se così, se lui fosse anche un ateo.  Questo mi sembra più un dibattito su epiteti e classificazione astratta invece che di sostanza filosofica. Per definizione, io penso, panteismo non è ateismo. Ed è assolutamente chiaro, almeno per me, che Spinoza è, in sostanza, un ateo. Il pensatore romantico Novalis sbagliava quando, impressionto da quel che immaginò il panteismo di Spinoza, definì Spinoza ''l'uomo inebriato di Dio''. Spinoza non rivelò la natura nel divino. Al contrario, egli ridusse il divino alla natura – egli naturalizzò Dio – nella speranza di diminuire il potere delle passioni e dei credi superstiziosi che generavano le concezioni tradizionali di Dio. Se esiste un teismo in Spinoza, è soltanto un teismo nominale. Lui usa la parola ‘Dio’ per riferirsi alla ‘Natura’, ma solo perchè le basilari caratteristiche della Natura o Sostanza – eternità, necessità, infinità – sono quelle tradizionalmente attribuite a Dio. Era un modo di illuminare la sua concezione di Natura e Sostanza, non di introdurre una dimensione divina al mondo.

(Spinoza's Ethics: An Introduction, Cambridge, 2006, pag. 120-121, mia libera traduzione e mia enfasi)


Spinoza era stato in altre parole così profetico e geniale nella sua profezia, da anticipare la conclusione dei pensatori moderni sul teismo, cambiando con la sua filosofia l'intero corso del pensiero occidentale. Personalmente trovo gli argomenti filosofici di sostegno alla religione, al teismo, o al ''Gesù storico'' (pur tenendo ben separate le due questioni, ovviamente) così esecrabilmente pessimi e inutili da annoiarmi e disgustarmi. Io ora considero ''la dimostrazione della storicità di Gesù'', almeno nei termini in cui la propone il folle apologeta di turno (primo fra tutti, Bart Errorman),  una frode e non posso più a lungo prenderla abbastanza seriamente da considerarla una posizione rispettabile, men che meno una posizione scientifica -- non più di quanto possa ritenere il disegno intelligente una legittima teoria biologica. Io non intendo lanciare l'accusa che la gente che fa quella fallace ''dimostrazione'' siano truffatori che mirano a imbrogliare gli ignari con pretese che loro per primi sanno essere vuote. No, i teologi sotto mentite spoglie, i folli apologeti cristiani e i filosofi teisti sono, quasi penosamente, sinceri e onesti. Ma proprio non posso più prendere oramai i loro argomenti seriamente, e se non non puoi prendere qualcosa seriamente, non dovresti nemmeno cercare di dedicarvi seria attenzione ancora.