lunedì 5 maggio 2014

Dell'evoluzione teologica nei vangeli riflessa in una sola parabola

Guardando alla curiosa evoluzione della parabola della stoffa nuova e degli otri nuovi nei vangeli sinottici si apprende un particolare davvero interessante.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».
(Marco 2:21-22)

Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».
(Matteo 9:16-17)


Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».
(Luca 5:36-39)

Nota al lettore: non credo ad una parola della cosiddetta ipotesi Q. La mia ipotesi preferita è che Marco fu il primo vangelo, modificato per diventare Matteo, il quale verrà confutato dal vangelo di Marcione, per poi quest'ultimo vangelo finire trasformato per diventare l'odierno Luca.

La parabola della stoffa nuova e degli otri nuovi potrebbe sembrare davvero enigmatica prima facie. Ma se si sostituisce ''stoffa'' e ''otri'' con ''Patto'' o ''Alleanza'' (in latino: Testamentum) allora emerge chiaramente il significato sotteso alla parabola in tutte le sue varie versioni della medesima allegoria.

La cosa strana è che Marco sembra ispirarsi alla teologia di Marcione (una buffa coincidenza che Μαρκίων d'altronde significhi ''piccolo Marco'' come Cesarione significa ''piccolo Cesare''): il Nuovo Testamento è totalmente diverso dall'Antico Testamento, e le due religioni sono incompatibili. Esattamente quanto predicò Marcione. Il cristianesimo fu un animale del tutto nuovo sulla scena che non aveva nulla a che fare e nulla da spartire con l'ebraismo. 


Matteo si oppone a questa pericolosa tendenza esegetica (presente davvero in Marco o forse solo sinistramente ventilata dagli gnostici che si sono impadroniti di Marco), facendo di tutto per far coesistere pacificamente le antiche e le nuove tradizioni: le prime non sono superate, e nè le seconde sono da vedersi come zizzania.
...e così l’uno e gli altri si conservano.

Qui Matteo si sta riferendo al vino nuovo e agli otri nuovi e quindi sembra solo copiare parola per parola Marco, ma forse, con l'enfasi sulla loro reciproca conservazione, sembra implicitamente voler sottolineare (di nuovo rispetto a Marco) la continuità con la tradizione precedente di conservare il vino vecchio in otri vecchi, pur sapendo di aver rotto con la tradizione da essi simboleggiata, del vecchio Israele.
Il non detto sarebbe:
...e così l’uno e gli altri si conservano [come si sono conservati finora il vino vecchio e gli otri vecchi]


Se alla fine chi permette la preservazione del buon vino è la GIUSTA -- ovvero NON IPOCRITA -- alleanza con Dio (mentre il cattivo vino andrà a male comunque, in qualunque otre lo si versi), allora quello che si salva dell'antica tradizione è almeno la volontà SINCERA di preservare lo SPIRITO di quell'antica alleanza nella nuova. Matteo si sente più ebreo e non meno ebreo -- e come tale, in diritto di criticare aspramente anche i farisei -- in virtù della sua maggiore e più radicale fedeltà a quella medesima alleanza con il Dio di Israele.
Tradisce dunque una tendenza conservatrice ed un desiderio di continuità con l'ebraismo almeno nella comune pretesa di derivare autorità e rispetto della tradizione dalla medesima fonte: il dio degli ebrei.


Il mistero insolubile di Matteo è che non saprò mai se tradisce una sincera rivalutazione dell'antica tradizione, oppure quella rivalutazione era solo apparente e di facciata. Ma di certo il giudeocristiano Matteo aveva da giustificarsi, e da polemizzare, anche con chi voleva tenersi solo le vecchie tradizioni (ovvero i farisei e il resto degli ebrei ''normali'') senza avere alcuna intenzione di diventare cristiano.

Su Luca invece, non ci sono dubbi che le sue eccessive adulazioni oltre misura dell'ebraismo sono solo il tentativo tutto proto-cattolico di cooptare quest'ultimo in funzione anti-marcionita, re-giudaizzando a dovere l'anti-Matteo di Marcione.
Ma dell'ebraismo a Luca non interessa nulla se non per quello scopo, in realtà: contrapporre argomenti al vangelo eretico di Marcione. Mai vangelo ebbe una genesi più aridamente politica di quello di Luca e mai vangelo mi consegna un'immagine più priva di vita del Gesù di Luca, ridotto a mero strumento politico con la combinazione tutta cattolica del ''vero'' con l'''utile''. In nome di questo bisogno tutto politico, Luca non esita a pretendere nell'incipit di aver sistemato chissà quali confusi ricordi e tradizioni risalenti a Gesù, senza mai dire quali e perciò mentendo sfacciatamente (perchè alla fine ci ripropone solo la solita allegoria). Per esempio, a differenza degli altri tre vangeli, Luca fa apparire in pubblico la prima volta Gesù nella più ebraica Gerusalemme, piuttosto che nella Galilea dei gentili. Evidentemente, per lui ''il vecchio è gradevole!''. Ma solo per pura real politik.