...Questa libera traduzione
dell'articolo di Ken Olson, A Eusebian Reading of the Testimonium
Flavianum (2013) continua dal post precedente...
La seconda
parte del Testimonium, con in corsivo la sezione che Meier e
numerosi altri studiosi ritengono essere interpolata, recita:
E nonostante Pilato, per accusa dei primi tra noi, lo condannò alla croce, coloro che da principio lo avevano amato non cessarono. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunciato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Fino ad ora la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani, non è venuta meno.
Io ho
seguito Meier qui nel tradurre l'iniziale genitivo assoluto come una
clausola concessiva. Nella lettura di Meier, la seconda metà del
Testimonium suggerisce che l'autore del testo è sorpreso che
il seguito di Gesù continuasse dopo la morte di Gesù. Meier dice:
L'implicazione sembra essere una di sorpresa: ammessa la fine vergognosa di Gesù (con nessuna nuova vita citata nel nucleo), uno è impressionato dal notare, dice Giuseppe, che questo gruppo di discepoli post-mortem ci sia ancora e non sia scomparso perfino ai nostri giorni.
Meier è di
nuovo piuttosto corretto nel comprendere che il testo comunica che
la continuazione del cristianesimo dopo la morte di Gesù è
sorprendente. Ma se leggiamo il testo così com'è e includiamo la
pretesa che Gesù sia apparso ai discepoli di nuovo vivo, abbiamo una
spiegazione per questo sorprendente evento. Inoltre, c'è un
argomento chiave che Eusebio realizza a sostegno dell'affidabilità
del racconto dei discepoli della risurrezione prima ancora nello
stesso capitolo della Dimostrazione in cui egli riproduce il
Testimonium. Eusebio, al pari del Testimonium, trova
sorprendente il comportamento dei discepoli. Egli dice: ''sicuramente
tutti loro avevano assistito alla fine del loro maestro, e la morte
verso cui andò. Perchè allora dopo la visione della Sua miserabile
fine rimasero sul posto? (3.5.39); e nuovamente: “Io vi domando
come quei seguaci di uno spregevole e disonesto maestro, che avevano
assistito alla Sua fine, discussero l'un con l'altro come dover
inventare una storia su di Lui che possa reggere insieme?”
(3.5.113). L'argomento di Eusebio in questa parte del capitolo è che
la prolungata adesione dei discepoli alle dottrine di Gesù e il
conseguente successo della loro missione è inspiegabile senza la
realtà delle apparizioni di risurrezione, che aveva dimostrato la
verità di cosa impartì Gesù. Più tardi nella Dimostrazione,
Eusebio enumera le ragioni per la risurrezione stessa e mette al
numero cinque il bisogno di Gesù di dare ai suoi discepoli una
conferma oculare della vita dopo la morte così da dar loro il
coraggio di predicare il suo messaggio a tutte le nazioni
(Dimostrazione 4.12). Nella sua opera precedente In Onore
di Costantino, Eusebio mette al primo posto questa ragione per la
risurrezione (Orazioni Tricennali: Sul Sepolcro di Cristo 15.7). In
aggiunta, qualcosa del linguaggio usato in questa sezione del
Testimonium trova paralleli nell'opera di Eusebio, ma non in
Giuseppe. Quel qualcosa include: καὶ ἄλλα μυρία
(“e migliaia di altre meraviglie”), che occorre otto volte
altrove nell'opera di Eusebio; τῶν Χριστιανῶν . . . τὸ
φῦλον (“tribù di cristiani”), che occorre due volte
altrove; ed εἰς ἔτι τε νῦν (“fino ad ora”), che
occorre sei volte altrove. Alcuni studiosi hanno suggerito che
l'autore del Testimonium, nel dire che la tribù dei cristiani
non si è estinta fino ad ora, aspetta o perfino desidera che essa
giunga ad una fine, ma questa inferenza non è necessaria. Nella
Storia Ecclesiastica 1.3.19, Eusebio pensa che Gesù solo, “di
tutti coloro che sono mai ancora stati fino ad ora (εἰς ἔτι
καὶ νῦν), è chiamato Cristo tra tutti gli uomini,” ed egli
in nessun modo aspetta o desidera che questa situazione cambierà.
Forse un parallelo più vicino al Testimonium è il
Commentario ai Salmi di Eusebio: ''i farisei e i sadducei sono
scomparsi (ἐξέλιπον) così del
tutto che nessuna menzione è fatta di loro perfino fino ad ora
(εἰς ἔτι νῦν), e neppure è il loro
nome preservato tra gli ebrei” (PG 23 col. 684C). Entrambi il
fallimento dei sadducei e dei farisei nel Commentario e il
successo dei cristiani nel Testimonium esibiscono uno dei temi
principali della storiografia di Eusebio: qualsiasi cosa che non
proviene da Dio fallirà, ma che cosa proviene da Dio non può essere
fermata. Il fatto che il cristianesimo non è fallito, ma continua
fino a questo giorno nonostante tutto ciò che è stato scagliato
contro di esso, è dimostrazione della sua verità.
Io non mi
aspetto di essere in grado di capovolgere l'opinione maggioritaria
degli studiosi moderni nel corso di un breve capitolo. Ci sono
numerosi altri pezzi di evidenza che diversi studiosi hanno citato
come motivi per accettare almeno la autenticità parziale del testo,
come ad esempio il passaggio che menziona Giacomo il fratello di Gesù
in Antichità 20.200, le affermazioni di Origene in Contro
Celso 1.47 e in Commentario su Matteo 10.17 che Giuseppe
non credeva che Gesù fosse il Cristo, la versione araba del testo
del decimo secolo di Agapio, e l'esatta presenza del testo nella
tradizione dei manoscritti di Giuseppe.
Cosa ho
tentato di mostrare qui è che parecchie delle solite ragioni fornite
a sostegno dell'autenticità del testo sono deboli o rivoltabili, e
questo è particolarmente vero degli argomenti intorno al linguaggio
flavianeo e al contenuto non-cristiano. Inoltre, argomenti circa il
tono negativo e letture ironiche o ambigue sono quasi interamente
soggettive. La nostra abilità a percepirli dipende da chi noi
pensiamo che scrisse il testo la prima volta. L'argomento
frequentemente impiegato che il linguaggio è “flavianeo” e
perciò deve o provenire da Giuseppe stesso oppure essere una davvero
abile interpolazione, va incontro a difficoltà particolarmente nei
punti dove troviamo paralleli in Eusebio ma non in Giuseppe. Tale
linguaggio, naturalmente, poteva ancora ipoteticamente venir usato da
Giuseppe. È impossibile provare l'opposto in maniera assoluta. Ma è
difficile vedere come possa essere usato come un argomento positivo a
favore dell'autenticità. E se adottiamo l'ipotesi che Eusebio sia
così profondamente influenzato dal Testimonium da imitare non
soltanto il suo linguaggio ma anche la sua apparente cristologia
altrettanto bene nelle sue numerose opere, questo sembra non solo
improbabile ma giunge quasi a rimuovere l'ipotesi di autenticità da
ogni possibilità di falsificazione. La fiducia che parecchi studiosi
ripongono sul Testimonium o sul suo nucleo ricostruito è mal
riposta.
La
discussione qui offerta, se corretta, contribuisce alla nostra
comprensione di Eusebio come un autore, polemista, e preservatore di
testi giudeo-ellenistici. Egli è stato riconosciuto di frequente per
il suo esteso utilizzo di citazioni. Io ho dimostrato qui che, almeno
in quest'unico caso altamente discusso, Eusebio non solo ha usato
citazioni, ma le ha anche prodotte, e il suo prodotto fu veicolato
nei manoscritti delle Antichità di Giuseppe. La suggestione
che Eusebio è stato a volte colpevole di falsa attribuzione è
difficilmente in sè stessa una fantasia. Sabrina Inowlocki ha di
recente prestato attenzione al passaggio che Eusebio attribuisce a
Filone nella Dimostrazione 8.2.402d–403. Invece di quotare
direttamente il passaggio dove Filone discute l'incidente in cui
Pilato impose aquile d'oro con tanto di iscrizioni a Gerusalemme in
Legatio ad Gaium 299, Eusebio attribuisce a Filone un
passaggio che combina il linguaggio derivato dal racconto di Giuseppe
di Antichità 18.55–59 con la sua personale redazione che
prevede un Pilato che situa le immagini nel Tempio stesso. In quel
caso, naturalmente, il passaggio eusebiano non fu veicolato nei
manoscritti di Filone.
È
plausibile pensare che in altri casi Eusebio potrebbe aver
influenzato la trasmissione dei testi da lui usati come fonti? Ci
sono, in realtà, un pò di casi dove l'influenza di Eusebio sulla
tradizione manoscritta di Giuseppe è difficilmente discutibile.
Alice Whealey ha sottolineato che i traduttori latini del sesto
secolo delle Antichità non fornirono traduzioni originali del
Testimonium Flavianum o del passaggio intorno a Giovanni il
Battista nel Libro XVIII, ma usarono le traduzioni esistenti di quei
passaggi dalla versione latina di Rufino della Storia
Ecclesiastica di Eusebio. Nella tradizione manoscritta greca di
Giuseppe, compare una nota alla fine della tabella dei contenuti
aggiunta al Libro I delle Antichità: ''Il libro copre un
periodo di 3008 anni secondo Giuseppe, di 1872 secondo gli ebrei, di
3459 secondo Eusebio''.
Al di là
di quei casi specifici, esiste la questione più generale, che David
Runia ha considerato, del ruolo giocato da Cesarea nella trasmissione
dei testi giudeo-ellenistici. Runia dimostra, per esempio, che i
nostri manoscritti delle opere di Filone sono tutte derivate da un
singolo esemplare di Cesarea. Comunque, lui pone a lato le opere di
Giuseppe in quanto esterne alla prospettiva del suo studio:
Non è probabile che la libreria di Cesarea fosse la sola responsabile della sopravvivenza di quelle opere, che subito dopo la loro pubblicazione ottennero una perdurante popolarità tra i cristiani, e in misura minore, tra i lettori pagani.Runia 1996:477–478
La
descrizione di Runia del corpus flavianeo come un intero, comunque,
non si applica alle Antichità, e in particolare non ai Libri
XI–XX. Come ha dimostrato Whealey, i più antichi scrittori
cristiani che discussero Giuseppe furono assai più impegnati con
Contro Apione e con la Guerra Giudaica. Origene ed
Eusebio sono i primi autori cristiani a ostentare un'inequivocabile
familiarità con le Antichità, e Porifiro è il solo autore
pagano a farlo. L'esatta misura dell'influenza di Eusebio su entrambe
l'interpretazione cristiana di Giuseppe e la trasmissione del testo
di Giuseppe rimane una questione aperta. Nel caso particolare del
Testimonium, comunque, sembra davvero probabile che l'opera di
Eusebio influenzò la trasmissione dei manoscritti greci del Libro
XVIII delle Antichità.