mercoledì 26 novembre 2025

Gerard Bolland: IL VANGELO — Un ‘rinnovato’ tentativo di indicare l’origine del cristianesimo 3:12

 (segue da qui)


L’interpretazione rivelatrice delle espressioni figurate e simboliche, nello spirito dell’alessandrinismo pre- e post-evangelico, non veniva comunicata a “tutti”, non indistintamente a chiunque: tale non era lo spirito dell’antichità. “La profondità della Gnosi” — aveva già scritto Eraclito (citato in Clemente, Stromata 5:13) — è buona diffidenza nasconderla!” A Platone (Simposio 218), a Taziano (Ad Graecos 8) e a Clemente Alessandrino (Admonitio 7) erano note parole orfiche come queste: “Spiegazione per coloro ai quali conviene, ma fuori delle porte, gli impuri, tutti insieme”. Persino di Tucidide dice Marcellino che egli aveva scritto volutamente in modo oscuro, per non essere accessibile a tutti e per non sembrare di poco valore per la sua facile comprensibilità a chiunque volesse leggerlo; ma, al contrario, per suscitare ammirazione, attraverso l’indagine, nei veri sapienti. E Anassarco, contemporaneo di Aristotele, scrisse: “Il sapere molto può essere di grande vantaggio per chi lo possiede, ma anche di grande danno: è utile per l’uomo giudizioso, ma nocivo per chi pronuncia con leggerezza ogni parola davanti a qualsiasi pubblico. Bisogna conoscere le giuste misure dell’occasione: questa è la pietra di paragone della sapienza. Coloro che divulgano la loro conoscenza a sproposito, anche se diffondono la verità, mostrano di non saper coniugare saggezza e prudenza, e meritano piuttosto il rimprovero di stoltezza” (Clemente, Strom. 1:36; Stob. Flor. 34:9). Che si debba essere sapienti per riconoscere il sapiente è un motto eleatico (Diog. Laerz. 9:20); e che presso la moltitudine si debba sempre ricorrere ad apparenze superficiali, lo ha dichiarato Platone (Fedro 273). Nella Repubblica (494) egli ha predetto che il pensiero filosofico non sarà mai cosa di “chiunque”, e nel Timeo 28c, ad esempio, dice: “Trovare il Creatore e Padre di tutte le cose è difficile, e, una volta trovato, è impossibile parlarne a tutti”. Nella Repubblica (382) si legge ancora: “L’inganno nelle parole — quando e per chi è utile, senza che meriti riprovazione?” E la risposta suona così: “Si mostra utile come rimedio difensivo, e anche le dottrine mitiche noi le rendiamo utili quando facciamo sì che la menzogna assomigli il più possibile alla verità”.

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