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Ora, tuttavia, gli scrittori del Nuovo Patto sono “fratelli che hanno la testimonianza di Gesù” (Apocalisse 12:17), e “la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia” (Apocalisse 19:10). In altri termini: Gesù si rivela come spirito divino, e nel nome di Gesù, cioè di quello spirito divino o profetico, i nostri scrittori “apostolici” rivelano il vero senso delle scritture; “senza la scrittura non affermiamo nulla” – riconosce, come abbiamo visto, il Pietro alessandrino, o roccia di un portavoce, nel suo stesso Kérygma. Siamo dunque avvertiti e sappiamo che cosa dobbiamo pensare, quando a passi delle scritture giudaiche vengono collegati nomi, parole e azioni, passione, morte e resurrezione di un Gesù evangelico: il Vangelo si ricava dalle scritture giudaiche secondo il metodo dell’allegoresi allora in uso. “Ce lo ha insegnato lo spirito santo e profetico” – dice a un certo punto, nella sua grande apologia (Apologia 1:44), a metà del 2° secolo, Giustino. “Su quale fondamento” – chiede egli (Apologia 1:53) – “avremmo dovuto credere a un uomo crocifisso, che egli è il primogenito dell’Increato Dio e proprio lui sarà colui che giudicherà l’intero genere umano, se non avessimo avuto davanti a noi le testimonianze proclamate prima della sua incarnazione, e se non avessimo visto anche che esse si sono adempiute?” Il Vangelo si è dunque presentato come il compimento del meglio che si era “nascosto” nelle scritture giudaiche. Dovremo considerare non soltanto che lo spirito santo di Matteo 1:18 è uno “spirito profetico”, ma che questo spirito di “profezia” ha evocato dalle scritture giudaiche parole e azioni che, come fatti salvifici del Vangelo, hanno scosso e agitato il mondo, senza che il Giosuè evangelico sia mai stato altro che la condensazione di spirito esegetico alessandrino, la storicizzazione di un’allegoresi giudeo-greca.

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