(segue da qui)
È comprensibile che, secondo una concezione del 1° secolo (Plutarco, Quaest. Graec. 5), si diventasse veramente “Chrestus” solo quando si veniva messo a morte: cosa che, nel libro alessandrino della Sapienza, accade in modo esemplare a un “figlio del Padre”. Così, ben presto, anche il quasi-galileo Gesù muore come un (Luca 23:35) Chrestus eletto, un Chrestus per eccellenza, per opera degli stessi per i quali egli muore, per passare, dal legno dei suoi dolori, alla vita eterna (Luca 23:45). Ma già la “vera progenie” della Stoà (Seneca, De Prov. 1): “davvero costui era Figlio di Dio” (Matteo 27:54). “L’uomo perfetto e virtuoso” (Seneca, Ep. 120:12). “Egli è” già “lo spirito grande, che si è consegnato a Dio” (Ep. 107:12; cfr. Matteo 26:39). “Non si è mai lamentato della sua sorte. Ha comunicato a molti la sua consapevolezza, come la luce che risplende nelle tenebre, e ha attirato l’attenzione di tutti, perché era pacifico e mansueto (cfr. Matteo 11:29), adatto in egual misura alle cose umane e a quelle divine” (Ep. 120:13). “Inoltre egli era sempre lo stesso e rimaneva in ogni atto uguale a sé stesso, come uno che non era buono più per deliberata scelta, ma nel cui comportamento si era giunti al punto che non solo poteva agire bene, ma non poteva agire altrimenti che bene” (Ep. 120:10). “Il saggio sta vicino agli dèi ed è il più vicino a loro; a parte la mortalità, egli è simile a un dio” (De Const. Sap. 8:2). Il saggio non sa tutto (Ep. 109:5), così come anche il Santo di Dio (Marco 1:24), il figlio ideale del Vangelo (Marco 13:32), non sa tutto. Ma “i precetti per il saggio sono superflui”, dice Seneca (Ep. 94:11), così come più tardi anche in “Paolo” a Roma la “sana dottrina” (1 Timoteo 1:10; 2 Timoteo 4:3; Tito 2:1) afferma che la legge non è destinata al giusto (1 Timoteo 1:9). Il saggio della Stoà non commette hamartémata o peccata, né errori né peccati; il saggio fa ogni cosa bene (D.L. 7:125; Giovanni Stobeo, Ecl. 2:120; Filone giudeo, Qu. omn. prob. lib. 9). Così anche nel Vangelo gli uomini dicono del “Santo di Dio” (Marco 1:24): “Egli ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Marco 7:37). Con ciò si intende anche che il “Santo di Dio” è in realtà il buon Maestro (Marco 10:17), che la santità ne rappresenta l’aspetto esteriore, mentre la conoscenza o sapienza ne costituisce l’aspetto interiore della perfezione del Figlio (Marco 13:32); e che nei racconti evangelici dei miracoli… si deve sospettare un uso figurato.

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